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Fino a 130.000 euro ad azienda, questo l’incentivo massimo che può essere erogato alle imprese che investono sulla sicurezza nel lavoro Giunto alla sesta edizione il *Bando ISI*, lo strumento di incentivi agli investimenti previsto dall’INAIL. Dal 1° marzo è stato aperto lo sportello di presentazione delle domande. Lo stanziamento previsto per quest’anno è imponente <http://it.blastingnews.com/finanziamenti/2016/02/dal-1-marzo-partono-le-domande-per-i-finanziamenti-da-50-000-per-le-nuove-imprese-00807065.html>, infatti l’INAIL ha messo a disposizione oltre 276 milioni per le aziende che ne faranno richiesta. Le risorse sono divise tra le varie *Regioni*con importi differenti, per esempio, per la Lombardia sono destinati 45 milioni, per il Lazio 35 e così via. Vediamo come fare per presentare domanda e cosa si può fare.
Sportello attivo per le istanze
Dal *1° marzo* è possibile presentare domanda per ottenere il contributo a fondo perduto previsto dal *Bando ISI 2015*, quello che annualmente predispone l’INAIL per la Aziende che investono sulla sicurezza dei propri dipendenti. Il contributo massimo erogabile è di *130.000 euro* ad Azienda
e deve coprire al massimo il 65% dell’investimento effettuato. Il termine ultimo per presentare istanza è fissato alle ore 18:00 del 5 maggio 2016.
Il Bando è aperto a tutte le imprese, anche individuali, iscritte alla Camera di commercio, industria, artigianato ed agricoltura. La struttura di
questi incentivi è fino ad esaurimento risorse <http://it.blastingnews.com/lavoro/2016/02/legge-delega-sulla-poverta-stanziati-un-miliardo-di-euro-ma-non-per-il-reddito-minimo-00790985.html> In base agli stanziamenti regionali, quindi le domande saranno valutate ed eventualmente accolte in ordine cronologico. Il bando è consultabile sul sito *inail.it <http://inail.it>*, cliccando sul tasto Bando Isi 2015. Lì ci sono tutte le informazioni dettagliate su quali investimenti ammissibili
e su come bisogna procedere per ottenere gli incentivi.
Come presentare le domande e cosa si può fare.
Le domande devono essere inoltrate telematicamente tramite il sito ufficiale dell’*INAIL* nella sezione servizi telematici. Sarà necessario prima di tutto registrare l’Azienda, o attraverso il canale telematico o presentandosi agli sportelli INAIL. Una volta ottenute le credenziali di accesso ai servizi on line dell’Istituto, si potrà iniziare a compilare la domanda. La procedura di inserimento della domanda è fatta in modo che l’Azienda possa inserire anche il progetto di investimento e permette più simulazioni in modo tale da valutare l’ammissibilità dell’investimento, se si rientra nelle soglie di ammissibilità e così via. Solo quando si è sicuri di aver presentato un progetto fattibile, si potrà continuare con gli step successivi, fino all’ultimo che è la registrazione delle domande.
Questa è solo una prima fase della procedura, perché seve solo per essere ammessi al *beneficio*. Infatti l’iter valutativo da parte dell’INAIL
inizierà il 12 maggio 2016. Da quel giorno, le imprese che hanno ottenuto l’ok al progetto potranno ricollegarsi al sito e presentare la domanda di contributo vero e proprio. Ricordiamo che le spese ammissibili per poter ottenere il contributo a fondo perduto sono molteplici. Gli investimenti oggetto di richiesta infatti possono essere quelli relativi all’acquisto di macchinari, impianti e attrezzature nuovi, oppure alle opere di ristrutturazione degli edifici sede dell’Azienda, agli interventi di bonifica amianto ed a tutti le spese sostenute per l’adozione di ogni sistema di *sicurezza sul lavoro*.
Sta facendo molto discutere il disegno di legge delega con il quale il Governo sta cercando di dare applicazione ad una Direttiva dell'Unione Europea volta a dare certezza e mafiose celerità alla banca che ha concesso un mutuo per l'acquisto di una casa ad un mutuatario che per sette volte, anche non consecutive, non ha onorato l'impegno a pagare la rata. Attenzione, perché la previsione delle rate non pagate non fa riferimento alla cadenza delle stesse e quindi si può riferire a 7 mesi se la rata pattuita è su base mensile o a tre anni e mezzo se l'impegno del debitore è a cadenza semestrale, e via discorrendo.
Il problema è che nel testo unico bancario sono già presenti norme che prevedono che, in presenza di sette pagamenti anche non consecutivi, la banca può chiedere di rivalersi sul bene ipotecato, anche se c'è la differenza, e non di poco conto, che deve rivolgersi a un giudice e che lo stesso deve autorizzarla a procedere all'esproprio e alla successiva vendita dell'immobile, vendita che non deve necessariamente avvenire mediante vendita all'asta.
Ma tra le due procedure vi è un'altra differenza, e in questo la Direttiva UE va decisamente a vantaggio del debitore, in quanto la normativa attuale prevede che la banca si soddisfi con il bene pignorato e non ristori al mutuatario l'eventuale differenza, mentre la normativa in corso di introduzione prevede esplicitamente due cose: l'affidamento ad un perito terzo del compito di stimare il reale valore dell'immobile e la restituzione, dopo la vendita, dell'eccedenza di valore rispetto al debito al proprietario di casa espropriato, ed è una differenza di non poco conto rispetto alla prassi attuale.
Avendo seguito per anni quanto è successo negli Stati Uniti d'America in materia di propri di case nella fase più calda della crisi finanziaria, mi trovo a suggerire sommessamente ai decision makers di non gettare via il bambino con l'acqua sporca e cioè di mantenere il patto marciano che ispira il testo della Direttiva e di allungare semmai il numero delle rate che danno luogo alla nuova procedura.
Il fatto che la nuova normativa non si applichi ai mutui in essere può essere, infatti, un danno per questi proprietari che, in base alle norme vigenti, possono vedersi espropriare un bene di 200-300 mila euro a fronte di un mutuo residuo non superiore a 100 mila euro e non vedersi restituire la differenza!
Nel profluvio di statistiche con le quali passiamo il tempo prima dell'arrivo sulla scena nel primo pomeriggio di Super Mario, al secolo Mario Draghi, presidente della Banca Centrale Europea, vi è il dato sui prezzi al consumo in Italia che segnala una flessione dello 0,2 per cento su base mensile e una variazione negativa dell'indice dei prezzi al consumo italiano dello 0,3 per cento ove rapportato allo stesso mese dell'anno precedente.
Non darei molta importanza a questo dato, perché la componente petrolifera in forte calo è destinata a far registrare sensibili incrementi dopo che il prezzo al barile del WTI, dopo essersi spinto nella parte alta dell'area dei venti dollari, ha bruscamente invertito la rotta e si è portato in vista dei 35 dollari al barile, segnando un incremento del 30 per cento circa rispetto ai minimi e anche altre componenti del paniere sono destinate a segnare rialzi nei prossimi mesi per cui il CPI italiano dovrebbe uscire dall'attuale stato di letargo.
Ma cosa è in realtà la deflazione? Non è altro che la variazione negativa dell'indice dei prezzi al consumo, un'eventualità, quella che stiamo vivendo negli ultimi mesi (non tutti in verità), che dovrebbe solo fare felici i consumatori in quanto il pieno costa meno, non quanto dovrebbe ma certamente meno, la spesa al supermercato, complici anche le offerte più o meno strepitose, se non costa meno almeno non aumenta a parità di prodotti acquistati e, anche nel settore dei servizi, si nota se non una variazione negativa delle tariffe quasi raddoppiate al momento della conversione tra la lira e l'euro, quantomeno una staticità o minori variazioni dei prezzi; ma allora perché dovremmo preoccuparci di un fenomeno che, come dicevo all'inizio, rischia anche di mostrarsi alquanto effimero?
Ebbene, un problema c'è in quanto si tratta di una spia evidente di uno stato alquanto depresso sia della domanda di beni di consumo che dei prezzi all'ingrosso, che anticipano le variazioni di quelli al consumo, ma, e forse soprattutto, della tendenza dei consumatori, in presenza di flessioni dei prezzi, a rinviare i consumi in attesa, non sempre premiata, di ulteriori variazioni al ribasso, ma gli effetti più rilevanti riguardano il settore finanziario e in particolare modo le banche che lamentano di fare scarsi profitti in uno scenario che vede contemporaneamente tassi bassi e variazioni negative dell'indice dei prezzi al consumo. Un discorso a parte riguarda la situazione dei debitori che non vedono ridursi, come solitamente accade, il carico del loro debito espresso in termini reali!
Decidere di aprire un’azienda agricola rappresenta un passo molto importante nella vita di ogni giovane imprenditore. Si tratta infatti di una scelta che richiede impegno e dedizione, ma soprattutto tanta curiosità e voglia di entrare in una realtà imprenditoriale molto differente dalle altre.
Chi decide di intraprendere questo percorso, quindi, oltre a rispettare una serie di adempimenti burocratici, deve conoscere eventuali criticità e disporre delle strategie migliori per trasformare l’idea in un progetto di successo.
In particolare, se volessimo sintetizzare l’intero processo in pochi semplici passi, è possibile individuare dieci mosse fondamentali per aprire un’azienda agricola.
1. Avere un’idea d‘impresa intorno alla quale costruire un progetto di sviluppo.
Ciò vuol dire che ancora prima di cominciare è utile avere le idee ben chiare sulla tipologia di imprenditore che si intende diventare. Che si scelga la strada dell’imprenditore agricolo “tradizionale”, specializzato nella produzione in uno specifico comparto, o quella dell’imprenditore agricolo “multifunzionale e pluriattivo”, si andrà incontro a opportunità e scenari normativi piuttosto differenti. Inoltre, avendo un’idea d’impresa ben precisa, è possibile valutare in maniera preventiva tutte le eventuali leve strategiche da attivare: innovazione, vendita diretta, reti, territorio, qualità, agroenergie, agriturismo, fattoria didattica, ecc.
2. Analisi delle caratteristiche e delle potenzialità aziendali tramite l’osservazione del territorio, del mercato, dei concorrenti e delle normative vigenti.
L’intuizione da sola non è sufficiente a decretare il successo di un’attività. Un’idea d’impresa, se pur apparentemente vincente, va sempre accompagnata, prima, dopo o durante l’elaborazione, da un’analisi del mercato e della concorrenza.
Con il supporto di appositi consulenti è quindi consigliabile analizzare:
– Capitale umano (competenze professionali, quale modello gestionale, quale forma giuridica).
– Capitale fisico (dimensioni aziendali, immobili disponibili e da acquisire, macchine e attrezzi).
– Offerta (massa critica, differenziazione prodotti e attività, qualità, diversificazione).
– Mercati (canali di vendita possibili, attività promozionali)
– Performance economica (redditività e costi)
E’ inoltre altrettanto opportuno valutare componenti esterne all’azienda
sul piano:
– Istituzionale (normativa di riferimento, esistenza di reti formalizzate come consorzi, cooperative, strade del vino,ecc).
– Territoriale (dotazione infrastrutturale materiale e immateriale, disponibilità di servizi alle imprese agricole).
– Commerciale (canali distributivi locali, caratteristiche della domanda e dell’offerta).
– Competitivo: struttura della concorrenza e grado di concentrazione dell’offerta.
3. Trasformazione dell’ “idea” in un progetto di sviluppo imprenditoriale.
Dopo la fase di analisi e l’elaborazione dell’idea d’impresa, comincia la progettazione vera e propria. Una volta definiti gli obiettivi da raggiungere e i risultati attesi, occorrerà individuare le risorse da utilizzare e le strategie da implementare.
4. Verifica della fattibilità/realizzabilità del progetto.
Si tratta quindi di redigere, con l’aiuto di adeguati specialisti e professionisti, un Business Plan, in grado di conferire credibilità al progetto e consentire la richiesta di finanziamento pubblico o privato. Nel piano dovrà essere analizzata la situazione di partenza, il progetto di sviluppo e la situazione post investimento.
5. Ricerca della fonte di finanziamento
Una volta redatto il piano economico e finanziario si potrà procedere alla ricerca delle fonti di finanziamento. Nel caso dei giovani imprenditori agricoli vi sono diverse misure e strumenti per favorirne l’insediamento, fra cui ad esempio il “subentro”, il premio di “primo insediamento”, piuttosto che i fondi stanziati dal Piano di Sviluppo Rurale. Per l’acquisto di un terreno è invece opportuno verificare la possibilità di richiedere un mutuo tramite ISMEA.
6. Verifica se il progetto ha le caratteristiche necessarie per accedere ad un finanziamento pubblico.
Dopo aver individuato le fonti di finanziamento più idonee, è necessario leggere accuratamente il bando in questione per verificare l’effettiva esistenza dei requisiti soggettivi (rispetto al soggetto che si candida) e oggettivi (rispetto al progetto di investimento che si intende proporre).
7. Presentazione del progetto per il finanziamento pubblico.
Una volta eseguite le analisi e i controlli necessari si può procedere alla presentazione del progetto attraverso apposita domanda corredata di Business Plan. In questa fase, in particolare, è consigliabile l’assistenza da parte di un CAA (Centro Autorizzato di Assistenza Agricola) e la consulenza di un professionista per la parte tecnica. La presentazione della domanda, tuttavia, pur avvenendo in maniera corretta, può non essere sufficiente a garantire il raggiungimento dell’obiettivo (finanziamento) in tempi brevi. Una delle criticità maggiori insite in questo passaggio è infatti rappresentata proprio dall’eccessiva lentezza delle pratiche burocratiche. Le procedure per accedere alle risorse dei Psr specificatamente dedicate ai giovani prevedono in media 275 giorni fra l’approvazione del programma e l’uscita del bando, 248 giorni tra la fine della raccolta delle domande e il decreto di concessione del contributo (istruttoria), tra i 18 e i 24 mesi per l’erogazione del contributo.
8. Presentazione del progetto per il finanziamento privato.
Qualora si decida di fare richiesta di finanziamento privato, è possibile valutare i pacchetti e le agevolazioni messe a disposizione di CreditAgri.
È quindi opportuno richiedere la consulenza dell’istituto per conoscere i prodotti finanziari più adatti e le migliori condizioni di accesso al credito.
9. Ricerca delle garanzie per accedere al credito.
Tuttavia ogni richiesta di finanziamento che si rispetti prevede la sussistenza di determinate garanzie, che andranno presentate alla banca di
turno. Anche in questa fase, quindi, è consigliabile affidarsi alla consulenza di CreditAgri, in modo tale da poter individuare eventuali criticità e possibili soluzioni.
10. Realizzazione del progetto.
Una volta accertata la sussistenza delle garanzie ed effettuata la richiesta di finanziamento, si passerà alla fase di concretizzazione del progetto. Delicato e cruciale questo passaggio risentirà inevitabilmente della preparazione, della capacità imprenditoriale, della creatività che il singolo riuscirà ad esprimere.
I mercati e gli osservatori più o meno smaliziati, tutti delusi dall'esito del G20 finanziario, aspettano con ansia quello che domani dirà Mario Draghi nella conferenza stampa che chiude i lavori del consiglio direttivo della Banca Centrale Europea in quel di Francoforte.
Ai più distratti tra i miei lettori mi permetto di proporre una biografia non autorizzata di Draghi, un docente di economia in quel di Trieste che assurse agli onori della cronaca come Direttore Generale dell'allora ministero del Tesoro, incaricato di portare avanti un ambizioso programma di privatizzazioni che vide il suo clou nei famosi incontri a bordo del panfilo Britannia di proprietà della famiglia reale britannica. Terminata in buona sostanza l'opera di privatizzare il privatizzabile, il nostro passa a lavorare presso una delle entità che avevano funto da advisor della colossale operazione ed entra nella potente ma ancor più preveggente Goldman Sachs diventandone il numero uno per l'Europa con base a Londra.
Chiamato da Berlusconi e Tremonti a risolvere il disastro lasciato da Antonio Fazio, Super Mario diventa il Governatore della Banca d'Italia, lavoro per lui alquanto noioso fino a che la crisi finanziaria del 2007 lo spinge ad assumere contemporaneamente all'incarico in Via Nazionale la guida dell'organismo sovranazionale incaricato di riscrivere le regole di quello che l'allora presidente francese, Nicholas Sarkozy, ebbe a descrivere come il casinò a cielo aperto della finanza globale, un incarico in cui profuse tutte le sue energie e che lo portò a scontrarsi a muso duro con gli allora vertici delle Investment Banks e delle banche più o meno globali, inclusi i suoi ex datori di lavoro di Goldman.
Dopo quelle battaglie epiche, si trovò proiettato al vertice della BCE, venendo sostituito alla guida della Banca d'Italia da Vincenzo Visco, un uomo che si era distinto perlopiù in un ruolo di guida dell'ufficio Studi di Via Nazionale e che non ha brillato per decisionismo e incisività nelle prove a cui è stato chiamato come Governatore, anche se le regole del gioco sono davvero farraginose come lui sostiene.
Cosa dirà Draghi domani è difficile dirlo, mentre è sicuro che proseguirà nel Quantitative Easing, forse pretendendo che le banche non trattengano come finora hanno fatto il mare di liquidità proveniente da Francoforte e ne passino qualcosa anche a imprese e famiglie e chissà che sia "la volta buona"
Come era largamente prevedibile, la riunione dei due giorni del gruppo dei venti paesi più industrializzati del pianeta si è chiusa con una serie di auspici difficilmente misurabili e tantomeno quantificabili in merito ad un sostegno della domanda nei rispettivi paesi che andrebbe ad affiancarsi slle ondate di liquidità originate dalle banche centrali più importanti del mondo sviluppato, con la differenza che le seconde sono illustrate analaiticamente nei comunicati dei banchieri centrali, mentre le prime sono del tutto nebulose e affidate alla conferma dei parlamenti e, nel caso dei paesi membri dell?unione europea, al placet della Commissione basata a Bruxelles.
Sulla cosa che conta davvero, cioé la Cina, bisogna andare a leggere tra le righe del comunicato ufficiale, perché non c'è molto che si possa fare di fronte al maxi esodo di capitali dall'un tempo impero celeste, né si può immaginare un freno efficace a quella svalutazione competitiva prossima ventura dello yuan che le autorità monetarie e, soprattutto, il governo di Pechino stanno per mettere in atto anche in risposta alle intervenute svalutazioni altrettanto competitive messe in atto dai principali concorrenti, area dell'euro in particolare.
Ma i nodi veri della economia cinese nel comuniato non vengono affrontati neanche di striscio, anche perché non si sa quanto si può fare contro il livello mostruoso dell'indebitamento delle imprese, contro il conseguente stato disastroso dei conti delle banche, anche tenendo conto dell'incapienza dei conti pubblici rispetto alle necessarie maxi misure di stimolo dell'economia cinese necessarie per sostituire con la domanda nterna il calo sempre più evidente delle esportazioni, questo ultimo mal comune ma non mezzo gaudio delle altre economie concorrenti.
E' vero che si trattava di un consesso dei ministri delle finanze e dei governatori delle banche centrali dei venti e non di una riunione dei capi di Stato e di Governo, ma questo non giustifica la sottovalutazione dei problemi delle banche più o meno globali, della dilicatissima questione dei cambi tra le principali valute e, come si diceva sopra, di quella vera e propria bomba rappresentata dalla rallentante prima economia del pianeta in termini di crescita e seconda in termini di PIL, non considerando l'aggregato dell'Unione europea come un'unica realtà statuale!
L'ondata iniziale della tempesta perfetta originò dal brusco calo del settore immobile a stelle e strisce, dopo un'ascesa che sembrava realmente non avere fine e che originò due fenomeni diversi ma in qualche modo paralleli: l'esplosione del ricorso ai mutui subprime (quelli per i quali i procacciatori venivano a trovarti fino a casa), mutui che le banche avevano acquistato da finanziarie e che poi avevano impacchettato in titoli tossici garantiti dalle compiacenti società di rating con l'attribuzione della tripla A e il non meno rilevante fenomeno dei rifinanziamenti di mutui in essere, mutui che raramente
venivano accesi per motivi di ristrutturazione dell'immobile ma, favoriti dalla costante ascesa dei prezzi, per ragioni di tutt'altro tipo quali, in particolare, spese a carattere voluttuario.
Come andò a finire è largamente risaputo, in quanto il crollo dei prezzi gettò in strada milioni di persone e intere zone degli Stati Uniti d'America divennero lande deserte, la più famosa delle quali è Newark una cittadina non molto distante da New York nella quale banche e finanziarie pagavano gli homeless per presidiare le case dopo che da molte di esse era stato asportato tutto l'asportabile, ma zone similari si trovavano in Florida, in Nevada, in California e via discorrendo.
Il fenomeno del crollo dei prezzi e dell'impossibilità dei proprietari a pagare i mutui dilagò a vista d'occhio in Gran Bretagna, in Spagna e in numero di paesi che è impossibile qui citare tutti e si portò dietro il dissesto di banche importanti che vennero poi assorbite da altre o furono salvate da interventi statali decisi nel 2009 da un G20 di capi di Stato e di Governo letteralmente atterriti dagli assalti alle banche che avvennero in particolare nel Regno Unito.
La storia italiana presenta caratteristiche molto diverse e affonda le sue radici in quanto avvenne al momento del cambi tra la lira e l'euro nei primissimi anni del nuovo millennio. Allora ero appena uscito dalla sala cambi di un'importante banca italiana e sapevo per esperienza personale i rischi connessi alla parità ufficiale stabilita nella primavera del 1998, un periodo molto difficile per la valuta italiana letteralmente massacrata sotto il governo Berlusconi e il successivo governo Dini, con il risultato che il cambio fu molto sottovalutato e sia i lavoratori autonomi che i proprietari di case adottarono nelle
loro richieste un cambio molto più forte, in alcuni casi pari a mille lire per un euro.
Il mercato assorbì tranquillamente questa pretesa e si registrarono non pochi casi di appartamenti del valore di 300 milioni messi in vendita a 300 mila euro. Tutto questo finché lo scoppio della bolla immobiliare mondiale, la recessione e quant'altro innescarono un crollo dei prezzi che perdura anche oggi, nonostante la recente esplosione delle concessioni di mutuo e l'impennata delle compravendite, due fenomeni che, nel 2015, si sono accompagnati con un'ulteriore, anche se un po' più moderata, flessione dei prezzi delle case, un fenomeno che, a mio avviso, è destinato a perdurare almeno fino a che i venditori non terranno conto dei prezzi di carico più che dei livelli alquanto irrealistico toccati dal mercato quando le quotazioni erano al top.
Mi fanno un po' di tenerezza i 20 ministri dell'economia o delle finanze dei venti paesi più industrializzati del pianeta costretti per due giorni a stare in quel di Shanghai, ognuno con i suoi dossier e con le sue preoccupazioni più o meno legate alle tre questioni che caratterizzano la nuova fase della tempesta perfetta: la Cina con la sa gigantesca bolla creditizia e il suo rallentamento dell'economia; la bolla già scoppiata del petrolio e delle altre materie prime energetiche e, the last but not the least, l'emergenza delle banche che non sono ancora riuscite a smaltire l'altissima montagna dei derivati più o meno tossici.
Ricordo con una certa nostalgia i vertici in seduta pressoché perenne del biennio 2008-2009, con i capi di Stato e di Governo giù ad imprecare sulle diavolerie escogitate dagli apprendisti stregoni delle allora Investment banks e delle banche più o meno globali disseminate in tutto il mondo, così come ricordo con simpatia la fatica di Sisifo caduta sulle spalle dell'allora Governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, un uomo con un passato al Ministero del Tesoro, allora si chiamava così, ed ex capo per l'Europa della potente ma ancor più preveggente Goldman Sachs.
Con il rispetto dovuto ad ognuno di loro, devo tuttavia dire che non avrebbero cavato un ragno dal buco se non fossero entrate in partita le banche centrali, Federal Reserve in testa, per inondare letteralmente i mercati di liquidità e dare tempo alle banche di cercare di smaltire l'enorme mole di titoli tossici in loro possesso, discorso che vale quasi esclusivamente per le banche che hanno avuto accesso alle capaci discariche allestite presso le varie sedi della banca centrale americana.
Il problema è che quei bravi ragazzi delle fabbriche prodotto non hanno smesso di fare il loro ben remunerato mestiere e hanno continuato a sfornare titoli sempre più complessi e rischiosi e, questa volta, il primato non va alle ex Investment Banks statunitensi o alle banche globali a stesse e strisce alquanto scottate da quanto era accaduto con la prima fase della tempesta perfetta, ma bensì alle banche Globali poste al di qua e al di là della Manica, banche talmente potenti da far risultare nelle apposite normative europee i non performing loans, meglio conosciute come sofferenze, più pericolose della montagna di derivati e titoli tossici più o meno tossici che hanno nelle loro molto capaci pance.
Se non c'è una soluzione gestibile per questo problema, aggravato dalla declinazione cinese di cui ho parlato in precedenti articoli, figuriamoci cosa potranno fare contro la crisi delle esportazioni, segnatamente quelle cinesi ma anche quelle europee non ci scherzano, o sul fronte bollente del petrolio dove è evidente la difficoltà di trovare un'intesa con l'Iran che pretende giustamente di tornare ai livelli pre sanzioni e altri paesi che sono costretti a produrre il più possibile accontentandosi dei risicati margini di guadagno tutt'ora esistenti.
Invitalia, l’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa, ha pubblicato per l’anno 2016 un bando di concorso, al fine di agevolare giovani e donne che intendono avviare un impresa, prevedendo finanziamenti a tasso zero.
Vediamo, quindi, quali sono i requisiti e le info utili per potersi candidare all’iniziativa.
Finanziamenti giovani e donne 2016: l’iniziativa
Con la Circolare MISE 9 ottobre 2015, infatti, l’Agenzia ha aperto il bando “Nuove imprese a tasso zero” per il 2016.
L’iniziativa prevede lo stanziamento di 50 milioni di euro finalizzati a finanziare i progetti imprenditoriali in diversi settori come artigianato, commercio, agricoltura, turismo, di giovani e donne, con un tetto di spesa di 1,5 milioni di euro.
L’agevolazione, secondo quanto disposto dai massimali del regolamento europeo (Regolamento de minimis n. 1407/2013), può avere un importo massimo complessivo di euro 200.000,00 nell’arco di tre esercizi finanziari per impresa unica ed inoltre è stabilito che il finanziamento deve essere restituito, per usufruire dell’incentivo a tasso zero, entro 8 anni.
I settori per i quali è possibile presentare progetti sono diversi:
• produzione di beni nei settori industria, artigianato e trasformazione dei prodotti agricoli;
• fornitura di servizi alle imprese e alle persone;
• commercio di beni e servizi;
• turismo;
• turistico-culturale (attività per la valorizzazione e la fruizione del patrimonio culturale, ambientale e paesaggistico, e per il miglioramento dei servizi di ricettività e accoglienza);
• innovazione sociale (produzione di beni e fornitura di servizi che creano nuove relazioni sociali o soddisfano nuovi bisogni sociali).
Finanziamenti giovani e donne 2016: requisiti
Per potersi candidare all’iniziativa i soggetti devono avere un’età compresa tra i18 ed i 35 anni oppure essere donne maggiorenni senza alcun limite di età.
Inoltre, il progetto può essere presentato solo qualora l’attività imprenditoriale sia costituita sotto forma societaria. E’ ammessa anche l’adesione di persone fisiche purché costituiscano entro 45 giorni dall’ammissione la società.
Finanziamenti giovani e donne 2016: come partecipare
Per partecipare all’iniziativa è necessario presentare la domanda insieme alla documentazione richiesta attraverso l’apposita procedura online predisposta sul sito di Invitalia, previa registrazione (è necessario essere in possesso di indirizzo Pec o firma elettronica).
I progetti verranno esaminati in base all’ordine cronologico di presentazione e successivamente si provvederà ad una valutazione nel merito seguita da colloquicon esperti di Invitalia.
Alla fine della procedura di valutazione verranno comunicati, tramite Pec, entro 60 giorni dalla presentazione della domanda, gli esiti.
Per maggiori informazioni This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.
Mi rivolgo in particolare ai lettori del Diario della crisi finanziaria (diariodellacrisi.blogspot.com) che hanno avuto la pazienza di leggere la puntata dedicata al modo in cui va letto lo spread, in particolare quello tra BTP e Bund a dieci anni, per sottolineare che sta accadendo un fenomeno inedito, in quanto ieri mattina c'erano operatori disposti a comprare il decennale tedesco nonostante lo stesso garantisse uno yield, o rendimento interno, nell'area dello 0,15 per cento, con punte sino allo 0,13 per cento a metà seduta.
Non ignoro che in altri punti della curva dei rendimenti dei titoli di Stato tedeschi, ovviamente posti al di sotto come durata dei decennali, i rendimenti sono addirittura negativi, ma vedere un decennale che offre questi livelli fa davvero impressione e induce a interrogarsi sui motivi di questi acquisti e sull'identikit degli acquirenti.
E' evidente che una situazione del genere è spiegabile solo alla luce di una fase di grande incertezza sulle prospettive delle entità quotate, in particolare appartenenti al settore bancario, o sui rischi, veri o presunti, derivanti dall'investimento in altri titoli del debito sovrano, in particolare di quelli emessi da paesi dell'area meridionale dell'Unione europea, una miscela di motivazioni che spinge a vedere il decennale tedesco, e ovviamente anche a diverse scadenze, come una sorta di bene rifugio garantito dalla solidità del Paese e dal massimo rating garantito allo stesso dalle potenti agenzie di rating, le stesse che continuavano a garantire la massima affidabilità di Lehman Brothers a pochi giorni dal suo clamoroso default.
Per quanto riguarda l'identikit degli acquirenti, è presto detto in quanto esistono una serie di soggetti nel mondo, fondi pensione, compagnie di assicurazione e alcuni tipi di fondi sovrani che sono costretti a impiegare una parte dei loro ingenti investimenti in titoli rappresentativi del debito pubblico di paesi che forniscano le massime garanzie in termini di solidità e di affidabilità, condizioni queste ovviamente e come dicevamo sopra garantite nero su bianco da Moody's, Standard&Poor's o Fitch's. Non mancano, ovviamente, anche singoli investitori, segnatamente risparmiatori tedeschi, e questi scelgono il Bund in alternativa all'oro o altri investimenti sicuri.
Il bello è che sono mesi che il decennale italiano si muove in un'area compresa tra 140 e 160 basis point di rendimento e questo era vero anche quando il Bund era tre 60 e 70 basis point, quindi non siamo in presenza di significativa variazioni nel prezzo e quindi nel rendimento dei nostri titoli, ma di fronte a un rally senza precedenti dei titoli rappresentativi del debito pubblico tedesco.
Sono giorni e settimane che sento parlare di un mito che si è infranto sugli alti marosi della tempesta perfetta nel settembre del 2008, quando il governo degli Stati Uniti d'America e il presidente della Federal Reserve, Benjamin Bernanke in arte Bernspan, decisero che Lehman Brothers, la diretta concorrente di Goldman Sachs, poteva fallire, pur essendo too big to fail.
Non fu un sussulto di ideologia liberista, perché nelle stesse ore venne decisa dalle stesse persone la salvezza per la molto più inguaiata AIG, un colosso delle assicurazioni che ne aveva davvero fatte di cotte e di crude ma che risultava essenziale per le banche e le altre compagnie di assicurazioni e, in più di un caso, per Stati sovrani.
Vi è un vero e proprio fiorire di analisi sulle sorti non tanto magnifiche e progressive delle banche globali europee, Deutsche Bank in testa, e tutti si interrogano sul livello raggiunto dai Credit Default Swaps riferiti alla banca basata a Francoforte, livelli che sono oramai prossimi a quel 620 toccato da Lehman a poche ore dal default, ma pur rendendo noto questo nessuno ha il coraggio di tirare le conseguenze, tanto drammatici sarebbero gli effetti sul sistema bancario non solo europeo ma mondiale.
Ma proprio ieri uno di questi analisti ha reso noto che il governo della Germania ha tra le sue mani, non si sa da quanto tempo, un dossier intitolato proprio alla banca di Francoforte, un dossier seguito dal ministro delle finanze Schauble e dai suoi più stretti collaboratori e non è un caso che il potente ministro, quando l'azione veleggiava sui 13 euro, ha rilasciato quattro dichiarazioni in cinque giorni, difendendo con toni ancora più accorati dei vertici aziendali la solidità di Detsche Bank, in un caso usando letteralmente le stesse parole del Chief Executive Officer della banca.
Non voglio essere malizioso, ma la stessa estemporanea proposta di un ministro dell'economia europeo, avanzata proprio dalla Germania e dai suoi più stretti alleati, e l'accelerazione sull'implementazione dell'unione bancaria europea non sembrano essere del tutto casuali!
Come ben sanno i lettori della prima fase del Diario della crisi finanziaria (diariodellacrisi.blogspot.com), i miei punti di riferimento nel tenere il diario di bordo nella tempesta perfetta sono il non mai troppo compianto John Maynard Keynes e George Soros, ma non dimentico Giulio Andreotti quando diceva che a pensar male si fa peccato ma non si sbaglia!
I pochi lettori di questa nuova fase del blog sulla più grave crisi finanziaria dalla fine del secondo conflitto mondiale avranno notato che alcuni degli argomenti toccati in queste settimane richiedono più di una puntata del diario della crisi finanziaria, anche se voglio rassicurarli sul fatto che non si tratta di una sorta di accanimento terapeutico, quanto del fatto che si tratta spesso di vicende alquanto oscure e che squarci di luce appaiono qui e là in tempi non prevedibili da chi tiene faticosamente il giornale di bordo della tempesta perfetta.
Uno di questi casi è certamente rappresentato da quella Cina che continua orgogliosamente a chiamarsi Repubblica Popolare Cinese anche se sono anni che è entrata non solo nel sistema capitalistico ma ha anche una forte propensione alla creazione di bolle speculative, delle quali quella del credito è soltanto la più appariscente, una bolla gigantesca che è strettamente collegata a quella dell'ormai vasto mercato azionario cinese, un mercato che rischia di avere assonanze con quello imperiale britannico dell'800 con le ormai famose, se non famigerate azioni che rappresentavano fantomatiche miniere sparse un po' ovunque nel mondo!
Ebbene, nell'un tempo Celesete impero, è stato arrestato il capo dell'ufficio statale di statistiche, quello famoso per essere stato sbugiardato sul dato del prodotto lordo interno cinese da un connazionale riparato negli Stati Uniti d'America, ed è di oggi la notizia che il capo dell'organismo di vigilanza sulle borse cinesi, l'equivalente della nostra Consob, è stato giubilato, per sua fortuna a piede libero, ed è stato sostituito dal presidente dell'Agricultural Bank, una persona che dire che è in conflitto di interessi equivale a fargli un complimento.
Ma la notizia più importante la fornisce l'Economist in un lungo servizio sui rischi che sta correndo l'economia cinese in questo momento e quello più rilevante è rappresentato dal debito complessivo che è pari al 282 per cento del prodotto interno lordo cinese, una cifra che è data dal debito sovrano che supera di poco il cinquanta per cento del PIL, mentre quello che è riferibile a famiglie e società è pari al 232 per cento del PIL.
Sono cifre da far tremare i polsi e che, secondo l'autorevole settimanale economico inglese, potrebbero portare ad una stretta creditizia che porterebbe la prima locomotiva del mondo dritto dritto alla recessione, con contagio pressoché immediato alle economie degli altri paesi industrializzati!
Mi sono occupato per diverse puntate della nuova ondata della tempesta perfetta, cercando, spero con successo, di indicarne le cause profonde, così come ho ficcato il naso nei guai degli altri, indicando i rischi cui vanno incontro gli azionisti, gli obbligazionisti e i depositanti per la parte superiore ai 100 mila euro per deposito (al proposito, riporto le stime di un eventuale bail in a carico dei soggetti summenzionati che sarebbero pari a 130 miliardi di euro per Deutsche Bank e a 165 miliardi per i loro omologhi in BNP Paribus, solo per citare le due maggiori banche globali del continente europeo); è ora quindi di volgere il naso verso i guai di casa nostra e occuparmi di quel grosso problema insoluto rappresentato dalla banca Monte dei Paschi di Siena, un gruppo che vede indagati in diversi gradi di giudizio ex top manager, inclusi presidente e direttore generale e esponenti di primo piano di Deutsche Bank e di Nomura che li avrebbero aiutati a confondere le acque via opportuni derivati dai nomi alquanto fantasiosi.
Oggi, il gruppo bancario senese è guidato da una persona che nell'ambiente gode di una solida reputazione e avente fama di integrità, Fabrizio Viola, un manager che non ebbe timori a schierarsi contro il sistema consociativo esistente in Banca Popolare di Milano e che, come è ovvio, ne uscì con le ossa rotte, ma che trovò posti al vertice in diverse banche senza dover inviare il curriculum e che poi fu chiamato come numero uno operativo in quel di Siena in assenza di concorrenti spaventati dal buco nero, e non solo dal punto di vista contabile in cui era sprofondata la banca, tirandosi dietro l'omonima Fondazione i cui vertici del tempo ancora si mangiano le mani per non aver venduto le quote per tempo.
Su Mps, come ben sanno i lettori più assidui del diario della crisi finanziaria, credo di avere a quel tempo detto tutto, compreso il nome del gruppo bancario europeo che avrebbe avuto tutto l'interesse e la convenienza a portare il gruppo bancario senese a nozze, nonostante o forse proprio per i guai combinati dai vecchi dirigenti con l'iperpagata e sfortunata operazione di acquisizione di Antonveneta, una banca che il vecchio Botin, patron del Santander, comprò e vendette in un notte guadagnando dai 2 ai 3 miliardi.
In quelle puntate di qualche anno fa, indicavo in BNP Paribus il candidato alle nozze e, anni dopo, quando tutto o quasi è cambiato nel settore creditizio italiano ed europeo continuo a vederla come la soluzione più logica, anche se mi consento da solo di formulare un sommesso consiglio a Laurent Bonaffé, CEO del gruppo transalpino, ed è quello di tenersi stretto Fabrizio Viola anche, e forse soprattutto, se non ha fama di essere un signorsì.
Come il bambino innocente che non seppe trattenersi di fronte al Re, ingannato da due astuti sarti, dal gridare che era nudo, così ieri Matteo Renzi, nell'aula austera del Senato della Repubblica, ha gridato che Deutsche Bank e altre banche globali europee, segnatamente tedesche, francesi e britanniche, hanno in pancia, ha detto letteralmente così, una montagna di derivati e titoli tossici e che, di fronte a questa situazione che mette a rischio l'intero sistema finanziario europeo, area euro e non solo, l'Italia avrebbe posto il veto alla proposta di mettere un tetto del 25 per cento del patrimonio al possesso di una banca di titoli pubblici del paese di appartenenza.
Quasi non volevo credere ai miei occhi e alle mie orecchie sentendo pronunciare dal presidente del consiglio di uno dei paesi più importanti dell'Unione europea argomentazioni proprie di noi blogger finanziari impegnati in un'opera spesso ingrata di controinformazione su banche globali che, come Deutsche o Bnp Paribas, dispongono di un attivo tradizionale pari a circa la metà del prodotto interno lordo dei paesi in cui hanno sede, ma che posseggono per di più una montagna di prodotti derivati che, sommandole, è pari a decine di volte il prodotto interno lordo dell'Unione europea.
In questi anni ho scritto diverse volte del caso Deutsche Bank, incluse le due puntate del diario della crisi finanziaria (diariodellacrisi.blogspot.com) pubblicate in questi giorni e devo dire che non è problema di qualità dei Chief Executive Officer di turno, dei quali l'attuale CEO di Deutsche è forse il più bravo, ma dell'impossibilità per gli stessi di porre rimedio alle diavolerie inventate dagli apprendisti stregoni delle fabbriche prodotto delle investment bank delle banche più o meno globali e che richiedono degli specialisti pagati a peso d'oro per spacchettare questi prodotti che spesso non erano chiari neanche ai loro inventori.
Ma questi ragazzi più o meno ingegnosi sono dei veri e propri apprendisti di quelli impegnati nella potente ma ancor più preveggente Goldman Sachs, anche perché l'entità cui loro prestano la loro ben remunerata opera è usa a determinare i trend su cui scommette sui mercati delle materie prime energetiche, i metalli preziosi, i cambi e i mercati azionari e obbligazionari, sentenze dei tribunali avverse permettendo, e il valore nozionale di queste attività di Goldman rappresentano un multiplo del prodotto lordo dell'intero orbe terraqueo.
Negli Stati Uniti, la questione si è non risolta ma almeno fortemente ridimensionata grazie al riacquisto da parte della Federal Reserve di parte della montagna di titoli più o meno tossici, cosa che la BCE si rifiuta di fare, accettandoli al più come collaterali!