L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni.

Economics (240)

Roberto

Roberto Casalena
This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.



Oramai è un tam tam inarrestabile: le donne e gli uomini al servizio di Danièl Nouy, la potentissima responsabile della vigilanza della Banca Centrale Europea, stanno lavorando attivamente sul dossier dei Non Performing Loans delle banche italiane che, a livello di sistema, evidenziano un rapporto percentuale sui crediti sani che sfiora il 20 per cento, il triplo del rapporto evidenziato in media dai paesi che, come noi, adottano la moneta unica europea; questo fornisce una chiave di lettura ben diversa al recente summit tra il Governo, il Governatore della Banca d'Italia, i vertici al completo della Cassa Depositi e prestiti e i due molto afflitti amministratori delegati della prima e della seconda banca italiana, sì quella Unicredit e Banca Intesa San Paolo che devono garantire gli aumenti di capitale della Banca Popolare di Vicenza e di Veneto Banca, rispettivamente e che già sanno che dovranno farsi carico di un rilevante inoptato a causa del carico di sofferenze che quei due istituti di credito veneti hanno in pancia.

Ma il problema è che, in quel vertice, i due presunti salvatori che, insieme, rappresentano una parte considerevole dell'intero sistema bancario, hanno dimostrato di avere a loro volta bisogno di essere salvati, anche perché sono detentori di una parte più che proporzionale di Non Performing Loans, in particolare Unicredit, e quindi hanno bisogno come il pane di questo fantomatico fondo da 10 miliardi di euro per smaltire le sofferenze e, questa è la vera novità, garantire aumenti di capitale in gran parte finalizzati a coprire le perdite derivanti dalla cessione forzata di sofferenze e altri crediti deteriorati a prezzi di mercato che non si discostano di molto dal valore nominale degli stessi, come dimostra l'aumento di capitale del Banco Popolare da un miliardo di euro, aumento di capitale interamente utilizzato per coprire parte delle perdite derivanti dallo smaltimento di 10 miliardi di euro di NPL in tre anni imposto, in sede di fusione con la Banca Popolare di Milano, proprio dalla Nouy.
Ho scritto più volte sui sonni persi da amministratori delegati e presidenti delle banche nostrane in relazione alle vere intenzioni della vigilanza BCE e, certamente, avere un orizzonte temporale presumibilmente triennale per portarsi agli standard europei nel rapporto tra sofferenze e impieghi vivi è qualcosa di difficilmente immaginabile, dopo decenni di vigilanza alquanto distratta esercitata dalla Banca d'Italia e credo proprio che in quel di Siena non si chiuda occhio ormai da mesi, alla luce di un rapporto tra crediti deteriorati e impieghi vicino al 40 per cento, cinque volte la media europea e con valori dell'azione del Monte dei Paschi di Siena calata rispetto ai massimi del 2007 ad un valore da prefisso telefonico!

Ma quello che più rode ai vertici bancari italiani è il fatto che il modello utilizzato dalle donne e dagli uomini di Madame Nouy prende a riferimento le sofferenze lorde e non quelle nette, 200 miliardi di euro circa le prime contro un molto più ragionevole 88 miliardi le seconde, perché sostengono che gli accantonamenti non reggerebbero ad una situazione di stress che loro vedono come molto più probabile di quanto ritengono i nostri amministratori delegati. Tutto questo spiega i crolli delle azioni delle banche italiane molto più di tanti astrusi ragionamenti!

Che i clienti non andassero da soli allo studio legale panamense Mossack Fonseca lo aveva capito anche il più sprovveduto dei miei quattro lettori, ma nessuno avrebbe potuto immaginare la diffusione di questa pratica di accompagnamento esistente tra le banche tedesche, con sei delle maggiori banche tedesche pienamente coinvolte e altre 21 banche di minori dimensioni e, almeno in parte, a capitale pubblico.
Ovviamente, la parte del leone la fa una nostra vecchia conoscenza, sì quella Deutsche Bank che non è solo il primo istituto di credito tedesco, ma è anche una banca globale che annovera nei suoi bilanci (al di sopra e al di sotto della linea di bilancio) poco meno di 60 mila miliardi tra derivati e titoli tossici, ebbene questa banca ha avviato per centinaia di suoi clienti le pratiche che portavano a costituire presso lo studio Mossack Fonseca società off shore, un accompagnamento verificatosi oltre quattrocento volte e che sarebbe stato facilitato, oltre che dalle sue dimensioni, anche dal fatto che uno dei due soci fondatori dello studio legale panamense è di origine tedesca.

Ma il bello, come rivela un articolo de La Stampa, è che già due anni fa una persona aveva venduto alle autorità tedesche uno spaccato di questo sistema ed erano state multate alcune banche tedesche, come ad esempio Commerzbank che ha dovuto pagare 17 milioni di euro, oltre a promettere, cosa che a quanto pare non ha fatto, di non adottare più simili comportamenti.
Tra le banche sotto esame da parte delle autorità tedesche, che va detto sono tra le più inflessibili al mondo nel perseguire le pratiche disinvolte dei cittadini tedeschi, vi è anche la Hypovereinbank che, come è noto, fa parte del gruppo Unicredit, e avrebbe aiutato la costituzione di sole 17 società off shore rispetto alle centinaia delle altre grandi banche tedesche, ma il danno reputazionale è fatto!
Certo, questo immenso giro di denaro, un giro che peraltro non è stato ancora quantificato nella sua interezza, è stato facilitato da oltre 500 banche all over the world, ma il totale delle società tedesche sul totale di quelle aperte dallo studio panamense sfiora il dieci per cento (l'8 per cento circa per la precisione) ed è compiuto in larga misura da banche che due anni fa avevano ricevuto il cartellino giallo dalle autorità tedesche.
Comunque, con buona pace di quanto affermato di recente in televisione dal prof. Masciandaro, di questo caso sentiremo parlare a lungo e i provvedimenti, stavolta, dovrebbero essere molto diversi da quelli assunti in passato!

Non ricordo, neanche negli anni più caldi della tempesta perfetta, precedenti di un incontro tra il Governo e il Gotha dei banchieri italiani, anche perché in quegli anni, mentre in tutta Europa si salvavano le banche spendendo circa 600 miliardi di euro, il Governo del nostro paese non spese un centesimo e, infatti, i Monti Bond, peraltro utilizzati in buona sostanza soltanto dal disastrato Monte dei Paschi di Siena, vedono la luce quando oramai l'ondata di piena della prima fase della crisi finanziaria è passata e il sistema creditizio italiano subisce le conseguenze degli "errori" dei banchieri nostrani e il montare delle sofferenze legate alla crisi economica prodotta da quello che negli anni precedenti era accaduto in quel casinò a cielo aperto che era stato per giudizio dei grandi della terra il sistema della finanza strutturata.

Alla riunione ha partecipato, almeno nella parte iniziale, anche il presidente del Consiglio, Matteo Renzi e ha fornito indicazioni generali per poi lasciare la guida della riunione a Pier Carlo Padoan, il ministro dell'Economia proveniente dall'OCSE dove aveva svolto una lunga e fortunata carriera come economista, e Padoan, attorniato dai vertici della potentissima Cassa Depositi e Prestiti, ha ascoltato pazientemente il libro delle lamentazioni dei ben remunerati amministratori delegati delle principali banche italiane.

A quell'affollato tavolo sedevano cacciatori e prede della nuova fase di ristrutturazione del sistema bancario italiano, ma ospite invisibile era anche la potente signora che guida la vigilanza della Banca Centrale Europea, Danièle Nouy, sì quella che sta facendo perdere loro il sonno con le sue richieste perentorie che spesso partono proprio dal carico di sofferenze della banche italiane, partendo da un modello, quello di Francoforte, che prende a riferimento le sofferenze lorde più che quelle nette, quasi che gli accantonamenti effettuati dalle banche non valessero tanto se si entra in una fase di default.

Quello che i banchieri e il Governo si sono detti nella riunione di martedì è, ovviamente, coperto dal riserbo più assoluto, ma, come sempre, qualcosa è trapelato a riguardo della possibile costituzione di un veicolo comune, dote di dieci miliardi di euro, che dovrebbe smaltire in parte il peso delle sofferenze e lo spinoso capitolo degli aumenti di capitale delle disastrate banche venete, con i due big del settore creditizio impegnate a garantire l'aumento della Banca Popolare di Vicenza, Unicredit, e quello di Veneto Banca, Intesa San Paolo; un punto, quest'ultimo, su cui credo proprio che gli animi si siano alquanto scaldati!

Credo proprio che, se avessero visto attentamente il film Il sarto di Panama, Putin, il premier cinese e tanti altri potenti della terra che hanno fatto ricorso ai servigi di un importante studio legale panamense per occultare parte delle loro più o meno ingenti ricchezze ci avrebbero pensato almeno due volte prima di scegliere questa parte del mondo.

Di paradisi fiscali, liste più o meno nere e di stati canaglia abbiamo sentito parlare tante volte, ma, come ricordavano ieri alcuni valenti economisti, raramente, io direi mai, dalle roboanti promesse di fare pulizia e di recuperare l'ingente maltolto dell'evasione fiscale che così spesso è alla base della costruzione di queste scatole societarie, infarcite di prestanome dove è difficile risalire al nome del beneficiario ultimo, si è passati ai fatti.

Stavolta a essere beccati con le mani nella marmellata sono i clienti di questo rinomato studio legale basato in quel di Panama ma con studi associati in decine di paesi e sempre per colpa di un dipendente infedele che, forse per lucro o per altri insondabili motivi, ha passato alla Suddeutsche  Zeitung un milione di documenti racchiusi in 2,3 terabyte di informazioni, documenti che il giornale tedesco ha poi condiviso con altre decine di testate nel mondo e, tutti insieme questi organi di informazione che fanno parte di un network di giornalismo investigativo, hanno messo negli scorsi mesi al lavoro oltre trecento giornalisti che hanno lavorato in tandem sui nomi più importanti mentre hanno operato singolarmente sui nomi dei clienti dei rispettivi paesi.

Sia chiaro, non è, come ha ricordato il caporedattore de L'espresso, la testata che sta svolgendo il lavoro sui circa 800 italiani che hanno costituito società off shore a Panama, che si sia partiti da liste di nomi, anche perché in non pochi casi si tratta di prestanomi, ma si è dovuto "lavorare" ogni singolo fascicolo per risalire ai reali beneficiari della società, un lavoro certosino che ha però alla fine dato i suoi frutti.

Nell'epoca della globalizzazione della finanza non è un reato portare dove si voglia i propri capitali ma c'è il piccolo particolare che tali movimenti vanno denunciati al fisco del paese di appartenenza del singolo investitore, un adempimento al quale si sono sottratte a quanto pare, tutte le persone coinvolte in questa vicenda. Dopo il clamore della notizia, ieri è stata l'ora delle smentite, alcune molto veementi e indignate, ma i giornalisti ricordano che hanno a disposizione i mandati firmati da tutti i reali beneficiari ultimi!

E’ apparsa domenica sera la notizia e già oggi è rimbombata su tutti i media, parliamo dello scandalo dei paradisi fiscali, che ha visto coinvolti, molti leader mondiali, calciatori importanti, imprenditori e gente  comune. Secondo le prime notizie sarebbero coinvolti per l’Italia Luca Cordero di Montezemolo, il quale, attraverso la sua segreteria ha fatto sapere di essere estraneo ai fatti e le Banche UBI e Unicredit. Ma vediamo nel dettaglio cosa sono le società offshore e come funzionano. A differenza delle tante opinioni, le società offshore non servono esclusivamente ad eludere o evadere le tasse, ma, principalmente servono ad occultare le proprietà. Quali i vantaggi? Innanzitutto nell’elusione delle imposte relative al tetto fiscale, alla protezione del capitale da coniugi o creditori, protezione dei propri capitali, riduzione del carico fiscale,
ecc. Offshore significa “fuori dalle acque territoriali”, zona di nessuno, con sede fuori dal Paese di residenza.

Ogni Paese considerato paradiso fiscale offre limitati vantaggi ai residenti o alle società domiciliate. Per esempio, nel Principato di Monaco non si pagano le tasse sui redditi personali (da noi esempio l’IRPEF),  mentre le società sono altamente tassate. A Panama, appunto oggetto dell’inchiesta, non si pagano le tasse sempre e quando il reddito non sia prodotto nel territorio nazionale.

Il business offshore è in genere gestito da qualcuno residente in un Paese ad alta tassazione e che desidera, anche in parte, eludere le tasse.
L’attività deve apparire come residente all’estero, le fatture sono emesse dal Paese di residenza fiscale della società e all’estero devono essere pagate. Dal conto offshore potete ritirare i soldi come volete, ma non devono essere mai inviati sul vostro conto. Potete usare il bancomat, carte di credito o triangolazioni su altri conti. Con questa procedura e con un buon consulente siete al sicuro dai rischi da controlli fiscali.

I costi per la costituzione di una offshore sono estremamente bassi e convenienti, una società anonima può costare circa 1200 euro e comprende: agente residente, notaio, tassa annuale, tassa sul capitale,  imposte di registro, delega generale notarile e apostillata ed azione portatore. Se invece avete bisogno di fatturare, in questo caso non è necessaria una presenza fisica, potete usare una società anonima di Panama con una succursale in paese non black list, esempio Lussemburgo, al costo complessivo di sole 2300 euro.

Ovviamente se avete intenzione di aprire una offshore dovete prendere alcune precauzioni:

• mantenere l’anonimato;

• non dovete avere uffici nel vostro paese;

• il vostro sito internet deve essere registrato offshore;

• non dovete pubblicare su internet indirizzi e telefoni o mail indicativi di nome e cognome;

• non inviare per mail le fatture;

• deposito atti e documenti presso notaio in busta chiusa;

• i pagamenti devono essere fatti tutti all’estero;

• non trasferire mai i soldi dal conto offshore al vostro

• la contabilità e la corrispondenza segrete.

La caccia al tesoro è partita.

Le statistiche a volte sono davvero impietose e ci dicono che le banche italiane quotate a Piazza Affari hanno perso nel primo trimestre di questo anno di disgrazia 2016 il 32 per cento del proprio valore, quindi, in soli tre mesi, un terzo circa della capitalizzazione di borsa delle nostre banche primarie è andato in fumo e, in questo caso, non vale l'ironia di Trilussa sulle statistiche, perché i ribassi sono abbastanza equamente distribuiti sulle banche di cui mi sono occupato in questo periodo nel Diario della crisi finanziaria.

Ma il problema vero è dato dal fatto che se in questi tre mesi l'andamento delle quotazioni è stato sostanzialmente one way, non è andata di certo meglio nel 2015, anno in cui si è registrato, per la maggior parte delle banche quotate l'abbandono di massimi di periodo che già a dicembre segnalavano cali notevoli delle quotazioni e questo in un anno che ha visto il listino generale crescere di un robusto 15 per cento, variazione positiva che è stata la più alta tra quelle registrate nello stesso periodo dagli altri listini europei.

Procediamo in ordine di importanza, rispetto ai massimi del 2015, Unicredit, primo gruppo bancario italiano ha perso il 53 per cento, mentre un po' meglio ha fatto Intesa San Paolo che perso "solo" il 35 per cento, mentre la terza classificata nella graduatoria dei gruppi bancari, Banca del Monte dei Paschi di Siena (e lo rimarrà, salvo stravolgimenti anche dopo la fusione tra Banco Popolare e Banca Popolare di Milano, almeno per il totale attivo) ha lasciato sul terreno nel breve volgere di dodici mesi l'81 per cento del valore di borsa e, quindi, della capitalizzazione.
Venendo un po' più in basso nella graduatoria, il Banco Popolare, promesso sposo della più piccola Banca Popolare di Milano, ha perso il 65 per cento della propria capitalizzazione, mentre la sposa limita le perdite al 42 per cento, ma peggio ha fatto UBI che, nel breve volgere di 12 mesi, è passata da un valore dell'azione di 15 euro ai 3,24 di venerdì.

Ma il discorso si davvero drammatico per gli azionisti delle due banche di medio grandi dimensioni non quotate, Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca che, in assenza di una presenza dell'azione nei mercati regolamentati, hanno visto scendere, senza possibilità di vendere, il valore dell'azione da valori superiore ai 60 euro e ai 6,3 e 7,3 euro, rispettivamente, del valore di un diritto di riscatto che le rispettive banche impediscono loro di esercitare e che si apprestano a vedere, in sede di prossima quotazione, scendere ancora il valore delle rispettive azioni a valori oscillanti intorno all'euro!

Aperto il primo bando di *Adrion, il Programma di Cooperazione Territoriale Europea di cui la Regione Emilia-Romagna è Autorità di Gestione per conto della Commissione Europea*.

Si tratta di oltre 33 milioni di euro a disposizione di istituzioni pubbliche e di privati per presentare progetti per sostenere l’innovazione, per la valorizzazione dei beni naturali e culturali e per realizzare

servizi integrati di trasporto e di mobilità nell'area adriatico-ionico.

 

Il programma Interreg Adrion 2014-2020 ha l’obiettivo di supportare la Strategia europea per la macroregione adriatico ionica (EUSAIR).

Per info scrivere a: This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.

Questo primo bando è aperto a tre assi prioritari del Programma:

1) Regione Innovativa e intelligente ha l’obiettivo di sostenere lo sviluppo di un sistema regionale dell’innovazione per l'area adriatico-ionica;


2) Regione sostenibile mira a promuovere la "valorizzazione e la conservazione dei beni naturali e culturali come asset di crescita sostenibile nell'area e a rafforzare la capacità di affrontare a livello

transnazionale la vulnerabilità ambientale;"

3) Regione connessa ha lo scopo di migliorare la capacità per i servizi integrati di trasporto e di mobilità e multimodalità.

Per l’Italia le Regioni interessate sono: Abruzzo, Basilicata, Calabria, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Lombardia, Marche, Molise, Puglia, Sicilia, Umbria, Veneto, Provincia Autonoma di Bolzano e Provincia Autonoma di Trento.

La dimensione finanziaria dei progetti presentati dovrà attestarsi tra gli 800 mila euro e i 1.500.000 euro.

I progetti avranno un tasso di *cofinanziamento comunitario pari all’85% dei costi ammissibili*. La quota di spesa del 15% non coperta dai fondi FESR o IPAII verrà garantito da fonti di cofinanziamento nazionali.

Torna a salire il tasso di disoccupazione a febbraio. E' pari all'11,7%, secondo i dati provvisori dell'Istat, in aumento di 0,1 punti percentuali rispetto a gennaio.
L'Istat stima che i disoccupati a febbraio siano aumentati di circa 7.000 unità, con un aumento percentuale dello 0,3% che sintetizza un dato di crescita tra gli uomini e di calo tra le donne.

A febbraio 2016 il tasso di disoccupazione giovanile diminuisce al 39,1%, in calo di 0,1 punti percentuali rispetto al mese precedente. Lo rileva l'Istat nei dati provvisori precisando che dal calcolo del tasso di disoccupazione sono esclusi i giovani inattivi, cioè coloro che non sono occupati e non cercano lavoro, nella maggior parte dei casi perché impegnati negli studi. Nell'ultimo mese, inoltre, cresce tra i 15-24enni il tasso di occupazione (+0,2 punti fino al 15,6%) e cala l'inattività (-0,3 punti al 74,3%).
A febbraio ci sono 97 mila occupati in meno a causa della riduzione dei lavoratori permanenti. Questi sono 92 mila in meno in un mese, secondo i dati provvisori dell'Istat. Per i dipendenti a tempo indeterminato è il primo calo da inizio 2015. "Dopo la forte crescita registrata a gennaio 2016 (+0,7%, pari a +98 mila) - spiega l'istituto - presumibilmente associata al meccanismo di incentivi introdotto dalla legge di stabilità 2015" il calo dell'ultimo mese riporta i dipendenti permanenti ai livelli di dicembre 2015.

Dopo essersi concentrati su Carige, ora sotto attacco dal fondo Apollo con la benedizione della BCE, sulla fusione finalmente deliberata dai consigli di Banco Popolare e Banca Popolare di Milano, sulla Banca Popolare di Vicenza e, anche se un po' sotto traccia, su Veneto Banca, gli uomini e le donne guidati da Danielle Nouy, una donna che non è paga di essere il primo capo della vigilanza europea ma punta a crescere nella BCE, stanno esaminando dossier corposi il primo localizzato in quel di Siena, dove il pur bravo amministratore delegato, Fabrizio Viola non riesce a scalare l'alta montagna di sofferenze lorde e nette che ancora attanagliano il suo gruppo e Unipol Banca, la banca di Unipol-Sai, chissà perché dal nome è scomparso ogni riferimento alla storica Fondiaria, una banca che è riuscita non solo ad avere sofferenze nette per più di un terzo degli impieghi in salute, ma a concentrare incagli e sofferenze nel periglioso settore delle costruzioni, un settore dove al massimo puoi pignorare cantieri più o meno in corso di realizzazione e rimani, quindi, con il classico pugno di mosche in mano.

Del gruppo Monte dei Paschi di Siena mi sono occupato in diverse puntate del Diario della crisi finanziaria, preconizzando peraltro un matrimonio possibile e opportuno con BNP Paribus, un gruppo che dispone della liquidità disponibile al servizio dell'eventuale acquisizione, ma che ogni volta si dichiara pago del possesso nel nostro Paese della Banca Nazionale del Lavoro e di Findomestic, una società leader nel credito al consumo e nei piccoli finanziamenti, anche se non è più la gallina dalle uova d'oro del settore. Il Governo italiano e la Banca d'Italia sono attivamente impegnati in opera di moral suasion per indurre qualche pretendente a farsi avanti, ma al momento al povero Viola non resta che lavorare a testa bassa all'operazione di pulizia dei bilanci e di riorganizzazione di quello che un tempo era non solo l'istituto di credito tra i più solidi del panorama creditizio italiano, ma anche un possibile gruppo aggregante, purtroppo azzoppato dalla frettolosa e esageratamente costosa operazione di acquisizione lampo di Antonveneta.
Molto più complessa e delicata e la situazione dei conti della branca bancaria del gruppo Unipol-Sai, quella Unipol Banca che è riuscita nel capolavoro di avere poco più di 9 miliardi di impieghi e a collezionare crediti deteriorati e sofferenze lorde per poco meno di 4 miliardi, forte di un contratto del 2011 che prevede che la capogruppo si faccia carico di buona parte delle sofferenze, cosa che finora ha fatto per un miliardo circa ma non è più disposto a incrementare la dote per questa figlia spendacciona e innamorata dei costruttori e, quindi, cerca disperatamente partner bancari nel settore delle banche popolari, inclusa la vicina Banca Popolare dell'Emilia Romagna, ma nessun cavaliere bianco non chiederà al gruppo assicurativo di farsi carico di tutte o larga parte delle sofferenze e di questo sono ben consapevoli gli uomini alla guida di Unipol, o certamente lo è l'amministratore delegato Carlo Cimbri!

Primo capo della vigilanza sulle banche dei paesi membri dell'area euro e prima donna nel consiglio della Banca Centrale Europea, Daniéle Nouy, 66 anni, entra nel 1974 alla Banca di Francia e ne esce venti anni dopo per fare esperienza in organismi finanziari sovranazionali e poi tornare alla Banca di Francia nel 2010 come capo della vigilanza, incarico che ricoprirà fino al giorno della nomina a presidente del Supervisory Board presso la BCE, cioè appunto capo della neonata vigilanza bancaria europea.

Ho ripercorso pedissequamente il suo brillante curriculum perché è fondamentale per capire il suo modo di intendere il problema della solidità e stabilità delle banche, che è un approccio con molte somiglianza con quello proprio della Bundesbank e non è un caso se, nell'analisi delle criticità di una banca tipo, l'asse franco-tedesco privilegi quella riferibile ai Non Performing Loans, crediti deteriorati e sofferenze in senso stretto (sia lorde che nette) rispetto a quella rappresentata da quelle vere e proprie montagne difficilmente scalabili denominati derivati e titoli tossici in pancia alle banche globali come Deutsche Bank, Commerzbank, BNP Paribus, Credit Lyonnaise che evidenziano un nozionale complessivo che è un deciso ultimo del prodotto lordo dell'intera Unione europea, inclusi i paesi esterni all'area euro, per non parlare del salvataggio delle landesbanken e delle sparkassen tedesche!

E' questo un rovesciamento della realtà del quale pagheremo tutti alla lunga le conseguenze, ma intanto Daniéle procede come un rullo compressore con una particolare attenzione alle banche nostrane, che non è che siano esenti da difetti, e, nel giro di pochi mesi ha colpito Carige, Banco Popolare e Banca Popolare di Milano, Banco popolare di Vicenza e Veneto Banca ( in questi ultimi due casi decisamente troppo tardi), sta attenzionando Monte dei Paschi di Siena e Unipol Banca e sta strattonando Banca Popolare dell'Emilia Romagna e Ubi Banca perché raccattino qualche banca di medie dimensioni e via discorrendo perché, anche nelle banche non ancora colpite, vi è una diffusa insonnia dei vertici provocata dal timore di ricevere una draft da Francoforte.
Ma è di ieri la notizia che il fondo statunitense Apollo avrebbe proposto a Banca Carige di rilevare tutte le sue sofferenze a prezzi di mercato proponendosi di ripianare le conseguenti e ingenti perdite con un aumento di capitale riservato al fondo per 500 milioni di euro mentre 50 milioni sarebbero riservati agli attuali azionisti, Malacalza in testa, un'offerta apertamente gradita dalla Nouy che non del tutto a caso chiede a Carige di presentare un funding plan entro il 31 marzo, cioè entro domani!

© 2022 FlipNews All Rights Reserved