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Economics (240)

Roberto

Roberto Casalena
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Ho visto come tutti le scene del macello avvenuto ieri all'aeroporto di Bruxelles e in due stazioni della metropolitana del centro della stessa città, una a pochi passi dalla sede dell'Unione europea dove lavorano 33 mila persone e dal palazzo dove si tengono le riunioni sempre più frequenti del Consiglio d'Europa, il consesso dei 28 capi di Stato e di Governo che decide sui destini dei 500 milioni circa di abitanti dei paesi membri dell'Unione e dire che sono sgomento è poco, non solo di fronte alle scene di dolore che hanno contrassegnato quella che doveva essere una tranquilla giornata di inizio primavera, ma anche di fronte alla tranquillità, quasi indifferenza, che si coglieva sui volti dei tre attentatori ripresi nel video di una telecamera di sorveglianza, volti nei quali non si scorgeva alcun timore per la loro stessa prossima morte, destino al quale tuttavia uno dei tre si è sottratto, non sapremo mai se per paura o se perché il suo ruolo doveva essere semplicemente di appoggio all'azione degli altri due.

Sembra impossibile pensare che le terribili conseguenze dell'azione degli uomini dello stato islamico siano riconducibili all'azione di una sola cellula dormiente, un numero di persone che va dai cinque che hanno partecipato agli attacchi a un numero pari o di poco superiore che ha avuto presumibilmente funzioni di appoggio o di natura logistica, una decina di persone o poco più che possono mettere in scacco le forze di polizia e le funzioni statuali antiterroristiche, peraltro attivamente supportate dalle omologhe forze francesi, al punto di paralizzare completamente la vita della capitale del Belgio che è anche sede dell'Unione europea.

La sottovalutazione con la quale l'Occidente tutto ha affrontato la fase iniziale del movimento jaidista, un esercito che contava all'inizio poche migliaia di adepti è certamente alla base della estensione dell'area di influenza dell'ISIS a intere regioni mediorientali come l'Irak e la Siria dove, in alcuni momenti, è sembrato che potessero addirittura vincere la loro battaglia, almeno fino a che si è mossa una coalizione capitanata dagli Stati Uniti d'America e, e forse soprattutto, si è mossa pesantemente la Russia che ha in poco tempo capovolto le sorti della guerra in corso nella Siria di Assad.

Quello che colpisce, oltre alla estrema ferocia ostentata dagli uomini del califfato, è la disinvoltura con la quale si sono buttati in ogni tipo di attività economica criminale, dal traffico di droga, all'esportazione illegale di petrolio, a disinvolti movimenti bancari non sempre intercettati dall'intelligence occidentale, giungendo a muovere centinaia di milioni di dollari, almeno fino a che l'azione di contrasto non ha sortito i primi effetti e i giacimenti petroliferi sono stati in tutto o in parte messi sotto il controllo delle forze della coalizione.

Non so quanti soldi abbia accantonato il Chief Executive Officer di Deutsche Bank per le cause legali pendenti e per quelle future riguardanti il mal operato del colosso bancario da lui guidato, ma credo che saranno ampiamente insufficienti se, nel settembre di questo anno di disgrazia 2016, il tribunale britannico di Southwark in quel di Londra dovesse riconoscere colpevoli i quattro ex dirigenti di Deutsche per i quali la Gran Bretagna ha chiesto e ottenuto un mandato di arresto europeo insieme a un ex trader di Société Generale che ha già annunciato tramite il suo legale che si opporrà con tutte le sue forze all'arresto.

Certo per questa manipolazione del tasso Euribor, iniziata nel 2006 e durata fino al 2010 e scoperta clamorosamente nel 2012, Deutsche Bank, Citigroup, UBS e altre banche si sono già viste comminare multe miliardarie, così come l'ideatore della truffa, Tom Hayes è stato già condannato a 14 anni di carcere dallo stesso tribunale inglese che ora sta giudicando gli altri undici imputati, ma rileva il fatto che queste multe non inibiscono alle molte decine di milioni di clienti delle banche danneggiate di rivalersi per i danni subiti sui loro finanziamenti o sui loro mutui indicizzati appunto al tasso Euribor taroccato dagli esponenti delle banche chiamate in causa, e in quel caso cosa ne sarà della "piscina di liquidità" di 215 miliardi di euro dell'istituto di Francoforte?

Quello che fa specie è che per quattro anni Citigroup, UBS You & I, Societe Generale, Deutsche e altre banche abbiano lavorato indefessamente e in perfetta sintonia per danneggiare gli interessi di quelli che dovrebbero rappresentare il loro bene più prezioso, la clientela appunto, un comportamento che conferma i peggiori pregiudizi dell'opinione pubblica, in questo caso sarebbe giusto parlare di giudizi, nei confronti delle banche e la pena subita dal capofila di questo manipolo di colletti bianchi di alto bordo, anche se elevata, risulta quasi infima rispetto al danno arrecato agli ignari correntisti e mutuatari.
Ma quello che colpisce è il numero di alti dirigenti di Deutsche Bank sul totale degli imputati, quattro su dodici, a testimonianza dell'importanza dell'operazione per l'istituto di Francoforte, un colosso del credito sul quale sarebbe più che opportuno che la Banca Centrale Europea accendesse un faro con la stesse determinazione con la quale si occupa delle banche italiane!

So bene che guadagnano milioni di euro l'anno più le provvidenziali stock options, ma sono alcuni mesi che gli amministratori delegati e i presidenti delle banche italiane, in particolare di quelle di dimensione medio-grande, stentano a prendere sonno la notte nel timore che arrivi il giorno dopo sulle loro scrivanie una draft proveniente dalla vigilanza della Banca Centrale Europea, una lettera che, se non vi sarà un riscontro fattivo e obbediente, può dare l'avvio a un procedimento che può portare anche alla messa in liquidazione della banca.

Se per molti di loro è un discorso ipotetico, per i vertici del Banco Popolare e per quelli della Banca Popolare di Milano si tratta di una dura realtà che rischia seriamente di mandare in fumo i progetti di un matrimonio alla pari tra i due gruppi bancari, un matrimonio nel quale la BPM avrebbe mantenuto un certo grado di autonomia per tre anni e con una governance che definire pletorica è ben poco, visto che il consiglio di amministrazione della realtà risultante sarebbe stato composto da ben diciannove membri.

Ma il problema vero sollevato dalla lettera di Francoforte è quello dell'adeguatezza del capitale e della qualità dell'attivo, un termine elegante per definire le sofferenze dei due istituti che il piano di fusione pensa di affrontare in cinque anni e gli uomini e le donne della vigilanza della BCE vorrebbero fossero adeguatamente affrontati molto prima e attraverso la via maestra di un adeguato aumento di capitale.
La borsa ha punito entrambe le banche, ma si è concentrata in modo ancora più duro nei confronti di quella che, piaccia o no alla BPM, è in realtà l'acquirente e cioè il Banco Popolare, la cui azione giovedì ha lasciato sul terreno poco meno di un sesto del valore registrato nel corso della seduta precedente.
Di fronte a tutto questo fa sorridere il piano B escogitato dalle sigle sindacali della BPM, tuttora vere padrone della banca che pensano di far rientrare in partita Andrea Bonomi, sì quello stesso uomo d'affari che ha presieduto il consiglio di gestione della banca dal 2011 e 2014 che costrinsero a lasciare per contrasti insanabili, come se il problema fosse di nomi e non di un aumento ingente di capitale!

Si concluderà con la prossima riunione della Bank of England la tornata riunioni delle più importanti banche centrali del pianeta, tornata aperta in bellezza dalla Banca Centrale Europea di Mario Draghi che ha utilizzato l'artiglieria pesante contro la bassa crescita e la deflazione con una serie di misure volte a stanare le banche, incentivandole nel senso letterale del termine a fare il loro mestiere prestando soldi a imprese e famiglie e inondando di liquidità i mercati finanziari per ammontari mai visti in precedenza, un mix di mosse che ha scosso anche l'opinione finora ostile della Germania di Angela Merkel.

Uno dei protagonisti di questa storica riunione della BCE, il Governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, nel corso di una lezione di economia agli studenti del liceo romano da lui frequentato da giovane, ha affermato che con queste misure senza precedenti l'istituto di Francoforte "ha comprato tempo per la politica", ha cioè creato le condizioni perché i governi procedano con le riforme e diano impulsi concreti alle imprese e alle famiglie perché possano tornare a fare il loro mestiere che è quello, rispettivamente, di investire e consumare, trappola della liquidità e propensione al risparmio permettendo.

Alla riunione della BCE, ha fatto seguito quella della Bank of Japan che, dopo la rivoluzione recente introducendo i tassi negativi per i rifinanziamenti delle banche nipponiche e l'immissione di liquidità per 80 mila miliardi di yen, ha deciso e reso noto che, almeno per ora, lascia le cose come stanno e adotta una politica di wait and see e francamente non le si può dare torto, avendo fatto tutto il possibile per far ripartire investimenti e consumi.
La Yellen e la sua Federal Reserve ha imitato la Bank of Japan e ha lasciato le cose come stanno, una mossa coraggiosa per una grande nazione che ha oramai raggiunto un tasso di disoccupazione di poco al di sopra del tasso frizionale del 4 per cento, un economia che viaggia a ritmi sostenuti per un'economia industriale avanzata, un livello di investimenti soddisfacente e il solito disastro nelle partite correnti che però continua a essere compensato a livello di bilancia dei pagamenti, insomma una situazione nella quale l'incremento di un quartino di punto dei tassi non avrebbe assolutamente guastato, una prospettiva che si è infranta sul taglio delle prospettive di crescita contenuto nel comunicato finale emesso ieri dalla Fed!

Chi ha avuto la pazienza di seguirmi nella mia cronaca della tempesta perfetta sin dal settembre del 2007 sa bene quale sia il mio debito nei confronti della chiave di lettura della crisi del 1929 effettuata in tempo reale dallo scomparso economista britannico John Maynard Keynes, un uomo il cui valore fu riconosciuto anche in vita e che fu insignito del titolo di Lord, ma, e forse soprattutto, uno studioso che distrusse letteralmente i teoremi dell'economia classica basata sulla teoria dell'equilibrio generale che postulava come di fronte a una crisi l'unica ricetta fosse quella di ridurre il costo dei mezzi di produzione, salari ovviamente in primo luogo, per tornare alla situazione precedente, ma anche il teorizzatore della trappola della liquidità, una situazione nella quale pur in presenza di tassi molto bassi latitasse la propensione ad investire.

Di fronte all'operato delle principali banche centrali del pianeta, con il loro inondare di liquidità i mercati e il loro porre l'asticella dei tassi da loro governati poco sopra, o poco sotto come nel caso della Bank of Japan, attorno all'asticella dello zero, assistiamo, in particolare in Europa e in Giappone ad un'inconsueta forma di sciopero degli investimenti che non riescono a tenere il passo delle altre componenti della domanda aggregata, visto che anche i consumi, ad esempio, stanno ritrovando una qualche forma di vivacità.

Non che questo i banchieri centrali non lo sappiano, o meglio, sicuramente lo sa Mario Draghi che, nell'ultima versione della sua politica monetaria ha inserito azioni che prendono letteralmente a calci le banche, offrendo tassi negativi per chi presterà a imprese e famiglie e disincentivando con tassi negativi a carico loro la mala abitudine di tenere parcheggiati in quel di Francoforte centinaia di miliardi di euro overnight, che poi vengono rinnovati praticamente per sempre. abitudine comune a tutte le banche europee di qualsivoglia dimensione.
La parola ora passa ai Governi e agli imprenditori che a loro volta dovrebbero andare a scuola dal Leone di Omaha, al secolo Warren Buffett, uno che nel pieno della tempesta perfetta comprò tutto il comprabile, giungendo perfino a comprare una compagnia ferroviaria in difficoltà, un capitalista a tutto tondo, un multimiliardario che non lascia dormire i suoi soldi in investimenti sicuri che poi spesso tali non sono con le borse che perdono un venti per cento in media, le materie prime che si squagliano, i titoli più o meno tossici che è meglio starne alla larga e via discorrendo, come ricordavo nella puntata di ieri, considerazioni che fanno pensare che mai come ora nel mondo degli affari chi si ferma è perduto!

La tempesta perfetta non risparmia neanche i ricchi e il pessimo bimestre gennaio-febbraio di questo 2016, cifre esatte non ne sono disponibili, ha certamente eroso anche i patrimoni multimiliardari dei ricchi del pianeta, anche perché al declino brusco delle borse dopo un soddisfacente 2015 si è accompagnato il netto calo delle materie prime, petrolio e gas in primis, e qualche piccola soddisfazione l'ha data solo il metallo aureo, quello che John Maynard Keynes chiamava il relitto barbarico.

L'avversione al rischio che è derivata da queste repentine flessioni dei prezzi di azioni, obbligazioni e materie prime ha determinato una corsa dissennata verso i porti sicuri dei titoli di stato di paesi quali la Germania e altri paesi virtuosi portando i rendimenti interni di questi investimenti a livelli prossimi allo zero per le scadenze decennali e oramai a livelli negativi per le scadenze triennali, fenomeno che ora si è esteso anche ai titoli nostrani, ma, è questa la consolazione dei paperoni, almeno il capitale è al sicuro!

Per chi vive di salario e di pensione, o a volte neanche di quelli, queste possono sembrare preoccupazioni da poco, ma per quelli ossessionati dalla loro posizione relativa nella graduatoria di Forbes si tratta di patemi rilevanti e sicuramente i ben remunerati consulenti di cui si avvalgono stanno indicando loro alternative per recuperare il terreno perduto, strategie che spesso si rivelano peggiori del male.

Un ulteriore sintomo che le cose non vanno proprio come nel migliore dei mondi possibili è dato dal sensibile calo dei bonus sulla principale piazza finanziaria del pianeta, quella di New York, dove, secondo i dati analitici forniti dal New York State Comptroller, le elargizioni variabili sono calate nel 2015 del 9 per cento rispetto agli importi elargiti nel 2014, portandosi a poco più di 146 mila dollari in media.

Per la mia esperienza diretta nell'industria finanziaria, vi invito a non considerare quella cifra media, in quanto le differenze di importo tra le posizioni apicali o altamente specialistiche e quelle normali sono grandissime e si passa dai molti milioni di dollari per queste posizioni e le poche migliaia per i tanti che sono collocati alla base della piramide!

Come ho scritto in diverse puntate, erano molto alte le attese per le mosse della Banca Centrale Europea che Mario Draghi ha svelato nella conferenza stampa che si è svolta al termine della riunione del consiglio direttivo della BCE giovedì scorso, ma quello che Mario Draghi ha svelato ai mercati è stato sicuramente più di quanto gli osservatori si attendessero, talmente tanto di più che ho preferito prendere una pausa di riflessione prima di commentarle.
La prima decisione riguarda il Quantitative Easing, portato a partire da aprile da 60 a 80 miliardi di dollari al mese, ma con una novità che va al di là del pur sorprendente aspetto quantitativo perché oltre ai titoli sovrani la BCE potrà acquistare anche obbligazioni delle aziende non finanziarie, obbligazioni che saranno attentamente valutate da un apposito comitato ed è questa la seconda mossa, un'azione che può favorire direttamente le imprese senza passare per il tramite del sostegno bancario che spesso latita.

La terza mossa, la più invisa alla Bundesbank e alle banche tedesca, è quella di penalizzare ulteriormente l'abitudine delle banche europee, segnatamente le banche locali tedesche, di parcheggiare buona parte della liquidità in quel di Francoforte, in questo caso il tasso negativo passa dallo 0,30 allo 0,40 per cento.

La quarta mossa è stata quella di portare il tasso di rifinanziamento a zero e, quinta mossa, quello sui prestiti marginali ad un risibile 0,25 per cento e qui Draghi, pur avendola apprezzata, non si è spinto fino all'adozione di tassi negativi adottata di recente dalla Bank of Japan, una mossa che avrebbe spinto ad una crisi di nervi Weidmann, presidente della Bundesbank e che non è matura in Europa.
Ma il vero bazooka della BCE è nella sesta mossa, quella di prevedere quattro operazioni illimitate di Tltro nelle quali il tasso applicato andrà dallo zero a -0,4 per cento a seconda di quanta parte della somma assegnata alla singola banca andrà in prestiti alle aziende e alle famiglia, circostanza nella quale sarà la BCE a pagare un interesse alle banche perché facciano il loro dovere.
Come me si sono presi una pausa di riflessione i mercati che dopo aver archiviato a caldo una seduta negativa si sono riscattate venerdì con forti rialzi spinti proprio dai titoli bancari, anche di quelli delle banche tedesche!

I giornali di ieri riportavano due notizie: la prima riguarda una maxi esportazione di capitale da 14 miliardi di euro organizzata dal colosso svizzero Credit Suisse, sì la stessa banca che tanti guai ha avuto negli Stati Uniti d'America per un'analoga orchestrazione da appena 10 miliardi di dollari, che ha favorito 14 mila clienti italiani con una chiara idiosincrasia al fisco, mentre la seconda notizia riguarda l'ex direttore generale del Monte dei Paschi di Siena, Antonio Vinci, condannato a pagare 245 milioni di euro per danno patrimoniale all'istituto senese, condanna avvenuta anche su istanza della stessa banca e della sventurata fondazione che per volere troppo restò con un pugno di mosche in mano.

In realtà, ci sarebbe anche una terza notizia che ci riguarda ed è quella delle sentenze pilotate nell'ambito dei processi tributari, un giro d'affari multimilionario anche perché riguarda somme contestate dal fisco per 50 miliardi di euro e un giro di malaffare che vede coinvolte più o meno tutte le realtà geografiche del paese e che vedeva gli avvocati dei ricorrenti come estensori delle relative sentenze in luogo dei giudici presunti corrotti (dico presunti anche se qualcuno di loro è stato beccato con la mazzetta in contanti nella giacca).

Venendo al giro d'affari miliardario orchestrato da Credit Suisse, va detto che la stessa insieme alla concorrente UBS "You and I" è usa a comportamenti disinvolti del genere, ma stavolta ha inventato un meccanismo originale che passa per finte polizze che non transitavano nei conti della banca e che prendevano invece la strada dei soliti paradisi fiscali, Liechtenstein e Bahamas in testa e c'è da giurarci che stavolta iil colosso svizzero fornirà una maggiore collaborazione rispetto alla inutile resistenza strenua che mise in campo ai tempi dello scandalo statunitense, anche alla luce dei vari trattati di collaborazione che la Svizzera ha siglato anche per non finire nella lista nera internazionale, al pari di uno stato canaglia.

Per quanto riguarda la vicenda che vede come vittima, si fa per dire, il Monte dei Paschi di Siena, muove quasi a tenerezza il povero Vinci chiamato a pagare per tutti per l'operazione Santorini, il derivato montato da Deutsche Bank, che era servito, insieme all'operazione Alexandria, a mascherare le perdite miliardarie legate all'acquisizione di Antonveneta, quel capolavoro del compianto Botin del Santander che comprò e vendette in 24 ore la banca veneta con una plusvalenza miliardaria!

Mentre siamo tutti in attesa delle decisioni che la Banca Centrale Europea assumerà nella riunione del consiglio prevista per oggi, appaiono sulla stampa due notizie: la prima denuncia l'ostilità delle casse di risparmio tedesche, le famose sparkassen (cui si uniscono in spirito le landesbanken), entità recentemente salvate con utilizzo di fondi pubblici, contro la politica dei tassi sotto zero per le banche che parcheggiano depositi in quel di Francoforte e, the last but not the least, il fatto che, per motivi procedurali, il falco Weidmann presidente della Bundesbank e della Banca dei Regolamenti Internazionali non potrà partecipare al voto e al dibattito per il meccanismo di rotazione che la BCE mutua dalla Federal Reserve statunitense.

L'ira delle banche locali tedesche è motivata dal fatto che una delle decisioni che gli osservatori si aspettano dalla tanto attesa riunione di oggi del vertice della BCE è proprio l'ulteriore inasprimento della politica dei tassi negativi volta a scoraggiare l'abitudine delle banche europee, non solo quelle tedesche, di lasciare, giorno dopo giorno, parte rilevante della loro liquidità presso la banca centrale, abitudine che già oggi è penalizzata dall'applicazione di un tasso negativo dello 0,30 per cento che dovrebbe, il condizionale è assolutamente di obbligo, essere inasprito oggi allo 0,40 per cento, un'entità che colpirebbe e non poco le tesorerie delle banche e degli altri soggetti abilitati a compiere le operazioni overnight con la BCE.

Ma non minore ostilità incontrano le altre due misure allo studio: l'aumento da 60 a 70 miliardi di euro delle operazioni di riacquisto dei titoli pubblici dei paesi facenti parte dell'area dell'euro, con spostamento della data di conclusione delle operazioni per un periodo compreso tra tre e sei mesi, e l'ampliamento del tipo di titoli acquistabili dalle donne e dagli uomini operanti nella trading room di Francoforte, un dettaglio non da poco alla luce della montagna di titoli di tossici in pancia alle banche europee più o meno globali, anche perché questo è un dettaglio virtuoso che distingue l'approccio europeo da quello seguito, negli anni più caldi della tempesta perfetta dalla Federal Reserve allora a guida del non troppo compianto Benjamin Bernanke, in arte Bernspan!

Anche se sarà materia di un successivo articolo, mi preme affermare che, per l'ennesima volta, la Commissione europea ha inviato cinque lettere per squilibri macroeconomici eccessivi, ma ha dimenticato di mettere nero su bianco lo squilibrio palese rappresentato dall'avanzo commerciale eccessivo anche se lo stesso ha raggiunto l'8 per cento del PIL contro il tetto del 6 per cento previsto dalle regole stabilite nei trattati.

Il sensibile incremento delle visite del precedente articolo sullo stesso argomento sta a dimostrare che gli italiani sono sempre più consapevoli che con l'avvento della vigilanza europea affidata alla Banca Centrale Europea e l'arma di distruzione di massa rappresentata dal bail in con le sue conseguenze nefaste su azionisti, obbligazionisti e risparmiatori per la parte dei depositi eccedente la soglia dei 100 mila euro nulla sarà come prima, perché per la banca che dovesse non rispettare quanto previsto nelle missive provenienti da Francoforte si apre la strada dell'ingresso in un percorso che spesso si conclude con l'applicazione del bail in con le conseguenze che sono poi quelle illustrate sopra.

Come tutti, ho visto le immagini dell'assemblea degli azionisti della Banca Popolare di Vicenza, quella le cui quote sono passate da 63 a 6,3 euro che è poi il valore del diritto di recesso, diritto che la banca ha ovviamente sospeso, un'assemblea che vedeva migliaia di persone consce che il valore del loro investimento era praticamente andato in fumo, arrabbiate con i manager, ma che poi hanno approvato la trasformazione in società per azioni e l'aumento di capitale da 1,76 miliardi di euro, per dire solo i due punti più dolorosi per loro, nonché l'attivazione delle procedure per la quotazione in borsa con l'80 per cento dei voti, consapevoli che l'alternativa era perdere tutto e molti erano ex dipendenti che avevano investito nella "loro" banca risparmi e liquidazione.

Chiusa, si fa per dire, (vista l'apertura di un'istruttoria da parte dell'Antitrust che contesta alla Popolare di Vicenza l'applicazione di pratiche commerciali scorrette nei confronti dei clienti: ti do un finanziamenti se acquisti obbligazioni della banca) una partita, se ne aprono immediatamente altre due, sarebbe meglio dire tre, che sono poi la Carige alle prese con lo squagliamento dell'azione in borsa dopo la missiva letale della BCE e il Banco Popolare e la Banca Popolare di Milano che dovevano andare a nozze due settimane fa ma non lo faranno se da Francoforte non verrà un ok alla fusione, ma soprattutto alle tempistiche previste per affrontare lo spinoso argomento delle sofferenze e la pletorica governance disegnata per accontentare gli appetiti di una "fusione tra pari".

A differenza di molti, io non credo che il nostro presidente del Consiglio parli a caso e non sono trascorsi molti giorni da quando ha pronunciato la frase nella quale individuava i problemi del sistema bancario italiano anche nell'eccessivo numero di banche ed è certo che l'operato congiunto della BCE e della Banca d'Italia possono produrre effetti significativi in tale senso, anche se la dimensione, il Monte dei Paschi di Siena docet, non è una garanzia del fatto che le attenzioni degli uomini e delle donne di Mario Draghi si volgano altrove!

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