L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni.

Kaleidoscope (1382)

Free Lance International Press

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Posizionato sul tetto del Palazzo Real Casa del Correo a Madrid

attenderà la mezzanotte del 31 Dicembre

 

Alzi la mano chi non ha mai bevuto un bicchierino di sherry Tio Pepe. Nella mia terra, la Versilia, lo Sherry Tio Pepe negli anni ’60/’70 era un mito, anzi, il mito dell’ora dell’aperitivo.

Alla Bussola di Bernardini alle Focettte, alla Capannina di Franceschi a Forte dei Marmi e da Oliviero a Marina di Massa aspettavamo l’inizio delle notti “folli” sorseggiando Tio Pepe. Poi fiumi di champagne; ma all’alba, dopo il rito del “risotto di Carletto Pirovano”, si concludeva nuovamente con un Tio Pepe.

I ricordi della mia giovinezza che mi hanno assalito nella Sala Czerny al primo piano del Kurhaus durante il Merano Wine Festival.

SAM 2056La Sala Czerny, dedicata dagli Ausburgo al grande musicista allievo di Beethowen, ospita da molti anni, durante la manifestazione meranese, le Aziende estere. E tra i numerosi tavoli dell’edizione 2015 quello spagnolo della Gonzales Byass, desde 1835, Familia de Vino.

Come tutte le storie miste a leggende anche quella di Gonzales Byass e del suo Tio Pepe non sfugge all’icona del nato per caso, in una piccola cantina e poi con il mix di coraggio, caparbietà, dedizione raggiungere ogni parte del mondo. Da non dimenticare la passione dell’arte concretizzata nelle costruzioni delle varie cantine, una delle quali, la Concha, progettata ed edificata da Gustav Eiffel (sì proprio lui, quello della Torre di Parigi).

La realizzazione, da parte di Gonzales Byass, di un impero vinicolo. Non solo; anche un patrimonio architettonico unico tanto da meritarsi la possibilità di posizionare, in via del tutto eccezionale, una propria insegna gigantesca sui tetti di un Palazzo nella Plaza Puerta del Sol a Madrid divenendone parte architettonica integrante (esiste una disposizione di legge che proibisce insegne sopra i tetti nella capitale spagnola).

L’appellativo curioso Tio Pepe deriva dal nome dello zio del fondatore, Tio José (Pepe). Come non fuggire dalla storia mista a leggenda.

Interessa di più Il musicista di flamengo, l’icona di Tio Pepe e non a caso. I conoscitori di questo stile musicale organizzato intorno al canto e alla poesia sanno che il ruolo del chitarrista è quello di predisporre un "tappeto sonoro" intervallando il canto con degli assoli melodici. Quante analogie, attinenze con lo sherry. Assolo negli aperitivi, nei momenti di meditazione, ma anche come accompagnatore di piatti e pietanze particolari. Del resto flamengo e sherry sono parti sostanziali e fondamentali della cultura andalusa.

Durante l’evento meranese 2015 mi sono fermato al tavolo Gonzales Byass ed ho effettuato alcuni assaggi.

Tio Pepe Palomino Fino. Contrariamente a quanto credono molti consumatori italiani lo sherry non è solo un vino esclusivamente dolce. Può essere sia dolce sia secco, a seconda del processo di vinificazione e dell’invecchiamento che il prodotto subisce. Il Tio Pepe è uno sherry decisamente secco prodotto da uve Palomino e rientra nella categoria Fino. È quindi adatto per accompagnare i piatti spagnoli come tapas, paella e il pregiato prosciutto Pata Negra. Ma la sua versatilità lo rende eccellente anche su piatti a base di pesce e ai moderni, per noi italiani, sushi e sashimi. Tio Pepe Palomino Fino è perfetto per un innovativo happy hour.

Essendo il tavolo utilizzato dall’Azienda Gonzales Byass per la presentazione della propria gamma di Sherry, non ho potuto astenermi da ulteriori assaggi oltre il Fino, passando per il Del Duque Amontillado, l’Oloroso, il Soleras Cream 1847 approdando al Noe da uve Pedro Ximenes (PX), quello dolce per eccellenza ottenuto con il metodo solera y criadera.

Negli anni ’90 e nei primi dieci del nuovo secolo c’è stata una sostanziale e generale flessione verso il consumo dei Vini liquorosi. Ne hanno risentito il Marsala, Porto, Madeira, Malaga, Sherry soppiantati, al momento del rito giornaliero degli Happy Hour, dalle mode dei cocktail’s dai nomi esotici.

Adesso in Spagna è il momento del “Rebujito”, una bevanda rinfrescante a base di limonata, ghiaccio, fetta di limone e Tio Pepe. Ha inizio di nuovo il suo consumo, il suo ritorno.

Nella Plaza “Puerta del Sol” a Madrid il musicista di flamengo dal tipico cappello rosso, sorride nell’ora della movida madrilena dall’alto del tetto del Palazzo Real Casa del Correo, l’attuale Palazzo della Regione e quest’anno attenderà i rintocchi dell’orologio del palazzo alla mezzanotte del 31 Dicembre per festeggiare alla grande il suo ritorno: la rinascita di Tio Pepe.

Diversamente da quanto riportato nei Vangeli canoni in merito alla poca considerazione di Gesù per gli animali  e l’astinenza dalla carne, in alcuni episodi dei Vangeli apocrifi troviamo un Gesù tutt’altro che indifferente verso la condizione degli animali .

In un primo tempo i Vangeli apocrifi non erano affatto considerati tali, e alcuni Padri della Chiesa si fecero garanti di quei testi poi condannati. La maggior parte degli antichi teologi di derivazione apostolica li ritennero assolutamente veri e alcuni talvolta preferiti a quelli neotestamentari. E talune parti vennero anche interpolate nei testi canonici, come il Protovangelo di Giacomo a cui fa riferimento la Chiesa per ciò che concerne alcuni episodi della madre di Gesù. Il Padre della Chiesa Clemente Alessandrino, tra il 190 e il 210, annovera tra le sacre scritture il Vangelo degli Ebrei e il    Vangelo degli Egizi e numerose lettere apostoliche poi considerate eretiche.

Nel Vangelo degli Ebrei Gesù dice: "Sono venuto ad abolire i sacrifici e se non cesserete di fare sacrifici non si allontanerà da voi l'ira di Dio".

Nel Vangelo degli Ebioniti (comunità vegetariana con un profondo rispetto per gli animali) quando un discepolo gli chiede: "Dove vuoi che prepariamo per te, per consumare la Pasqua? Gesù risponde: "Ho forse manifestato il desiderio di mangiare carne con voi questa Pasqua"?

Nell’aramaico “Vangelo della vita perfetta” si legge: “Maledetti siano i cacciatori perché saranno a loro volta cacciati”.

Nelle pergamene del Mar Morto, scoperte nel 1947 in una località dove vissero gli Esseni, l’Angelo dice a Maria: “Tu non mangerai carne né berrai bevande forti perché il bambino sarà consacrato a Dio dal ventre di sua madre.” Negli stessi testi Gesù dice: “Siate rispettosi e compassionevoli non solo verso i vostri simili ma verso tutte le creature poste sotto la vostra tutela”. E troviamo ancora Gesù che rimprovera aspramente i pescatori: “Forse che i pesci vengono a voi a chiedere la terra e i suoi frutti?” Lasciate le reti e seguitemi”.

Il Vangelo dei Dodici Santi, riscoperto nel 1888 e tradotto dall'Aramaico dal Reverendo Gideon Jasper Ouseley: " Queste sono le creature vostre compagne della grande casa di Dio, sono vostri fratelli e sorelle e condividono lo stesso respiro di vita nell'Eterno. E chiunque si prenda cura di una delle ultime di queste donandole da mangiare e da bere secondo le sue necessità è come se lo facesse a me."  Prima di tutte le cose c'è l'amore, amatevi gli uni con gli altri e amate tutte le creature di Dio, e da questo tutti gli uomini sapranno che siete miei discepoli".

Dal Vangelo Esseno della Pace di Gesù Cristo secondo l’apostolo Giovanni delle Chiese Cristiane d’Oriente, originale in aramaico del 3° sec. d.C. Bibl. Vat. 156-P,  pubblicato nel 1928 da Edmond Bordeaux Szekely, tradotto da un antico manoscritto da lui scoperto nell’archivio segreto del Vaticano:

“Io in verità ve lo dico: colui che uccide uccide se stesso e colui che mangia la carne degli animali abbattuti mangia  un corpo di morte. Io vi chiederò conto del loro sangue spumeggiante, il loro sangue nel quale dimora l’anima.  Io vi chiederò conto di ogni animale ucciso. Chi uccide un animale uccide suo fratello e la carne degli animali uccisi nel suo corpo diventerà la sua stessa tomba. Chi si nutre della carne degli animali uccisi mangia un corpo di morte. Non uccidete e non mangiate la carne delle vostre prede innocenti se non volete diventare schiavi di Satana: questo è il sentiero che conduce alla morte attraverso la sofferenza. Poiché la vita viene solo dalla vita e dalla morte viene solo la morte. Non uccidete dunque né uomini né animali perché i vostri corpi diventano ciò che mangiate e il vostro spirito ciò che pensate. Io vi chiederò conto di ogni animale ucciso come di ogni uomo”.

-          Il Libro Esseno di Mosè: “Non ucciderai nessuna cosa vivente: la vita viene solo da Dio che la dà e la riprende”.

-          La Pace Settupla, Gesù dice: “Se qualcuno che soffre dolori e gravi affezioni  vi chiede aiuto, esortatelo a rinnovare se stesso col digiuno e la preghiera. Ditegli di invocare l’Angelo del Sole, l’Angelo dell’Acqua e l’Angelo dell’Aria affinché essi possano entrare nel suo corpo e scacciare il potere di Satana. Persuatelo a mangiare sempre alla mensa apparecchiata con i doni di nostra Madre Terra: i frutti degli alberi, le erbe dei campi. Egli non dovrà evocare il potere di Satana nutrendosi della carne degli animali perché chi uccide uccide suo fratello e chi mangia la carne di bestie uccise mangia il corpo della morte. Ditegli di preparare il suo cibo con il fuoco della vita non con il fuoco della morte”.

Come conciliare la legittimità del consumo di carne della Chiesa con le molte dichiarazioni di molti Padri, Santi della prima Chiesa cristiana e le stesse regole della maggior parte dei Fondatori di Ordini monastici sviluppatisi dopo la morte di Gesù?

I PADRI DELLA CHIESA

Eusebio di Cesarea diceva che tutti gli apostoli di Cristo si astenevano dalla carne. Secondo Eusebio, Egesippo scrive nella Storia della Chiesa che Giovanni non mangiò mai la carne.

Tertulliano scrive che durante i primi secoli i cristiani primitivi non toccarono mai carne: “Non è permesso a noi cristiani assaggiare pietanze nelle quali potrebbe essere stato mescolato il sangue di un animale .

S. Pietro nelle Omelie Clementine, XII,6 rec. VII,6. afferma: “Mangiare carne è innaturale quanto la pagana adorazione dei demoni. Io vivo di pane e olive, ai quali aggiungo solo di rado qualche verdura”.

S. Girolamo affermano: “Dopo che Cristo è venuto non ci è più consentito mangiare la carne”.

S. Ambrogio afferma: “La carne fa cadere anche le aquile che volano”.

S. Giovanni Crisostomo scrive: “Mangiare la carne è innaturale e impuro”.

Gregorio di Nazianzo: “L’ingordigia di pietanze a base di carne è un’ingiustizia abominevole”.

Basilio il Grande: “Il corpo appesantito con cibi a base di carne viene afflitto dalle malattie. Si può difficilmente amare la virtù quando si gioisce di piatti e banchetti a base di carne. La carne è un alimento contro natura che appartiene ad un mondo passato” .

S. Clemente Romano dice che S. Pietro si nutriva di pane, olive ed erbe.

Porfirio: “Gesù ci ha portato il cibo divino, il cibo carneo è nutrimento dei demoni”.

S. Clemente Alessandrino: “La carne ottenebra l’anima. Dobbiamo cibarci come Adamo prima della caduta, non come Noè dopo il peccato. I nostri corpi sono simili a tombe di animali uccisi. Credo che i sacrifici cruenti siano stati inventati solo dalle persone che cercavano un pretesto per mangiare carne”. Diceva pure che Matteo si nutriva di semi, frutta ed erbaggi. (Pedagogo II,1-16).

I DANNI DI SAN PAOLO

S. Paolo: “Tutto è mondo, d’accordo: ma è male per un uomo mangiare dando scandalo. Perciò è bene non mangiare carne, né bere vino, né altra cosa per la quale tuo fratello possa scandalizzarsi (Lettera ai Romani: 14-20).

“Tutto è lecito ma non tutto è utile. Tutto ciò che è in vendita sul mercato mangiatelo pure, senza indagare per motivo di coscienza. Se qualcuno vi invita, mangiate tutto quello che vi viene posto davanti, senza fare questioni per motivo di coscienza” (Lettera ai Corinzi: 10-27).

“Forse che Dio si prende cura dei buoi”? (Lettera ai Corinzi. 9-9).

Nel concetto giudaico, la sofferenza e il sangue versato dell’innocente purifica le colpe del peccatore: “Quasi tutte le cose vengono purificate con il sangue e senza spargimento di sangue non esiste perdono” (Lettera agli Ebrei: 9-22).

Il giovane rapper romano è diventato popolare dopo aver pubblicato su youtube un brano con delle citazioni in latino 'Ego sum Kaligola'. Porta nel rap la sua passione per la storia e per la poesia, arrivando sul palco dell'Ariston tra le giovani proposte di Sanremo 2015. Ora ha all'attivo un album 'Oltre il giardino' e continua con impegno a dedicarsi allo studio e alla musica.

La storia è la concreta testimonianza di ciò che siamo, dal passato possiamo capire ciò che è accaduto e conoscere i personaggi che hanno rivoluzionato o cambiato con le loro azioni il corso degli eventi. Non sempre i ragazzi di oggi sono interessati a conoscere e studiare la storia, non è il caso di Gabriele Rosciglione, giovane rapper romano, che ha scelto come suo nome d'arte quello di un folle imperatore: Caligola. E' ancora uno studente Gabriele, frequenta il liceo scientifico ed è appassionato non solo di storia, ma anche di poesia, fotografia, botanica e cinema. E' arrivato alla notorietà postando in rete un brano rap con citazioni in latino 'Ego sum Kaligola', poi da lì il successo è stato immediato, lo abbiamo visto sul palco dell'Ariston tra le nuove proposte di Sanremo 2015, era il più giovane dei concorrenti in gara. Inevitabile non notare il talento di questo ragazzo che si distinge non solo per la sua età, ora ha diciassette anni, ma anche per le sue capacità artistiche. Kaligola da Sanremo è uscito più maturo, determinato, continua ad impegnarsi nello studio e si dedica alla musica, ha scritto e composto tutti i brani che fanno parte del suo primo album 'Oltre il giardino', con la collaborazione per gli arrangiamenti e la produzione di Enrico Solazzo e Dario Rosciglione. Il rap è un genere che sta riscontrando interesse nel panorama musicale italiano, anche se sembra essere molto spesso legato al pop, nello stile di Kaligola invece gli arrangiamenti diventano sperimentazioni con il jazz, il funk, a volte addirittura con la musica classica. Forse è proprio questo a renderlo interessante, quel suo modo di unire musica, poesia e arte in genere completa il profilo di un giovane che farà sicuramente parlare ancora molto di sé.

Sei giovanissimo e con un nome d'arte davvero particolare: Kaligola, che ci riporta al Caligola imperatore e all'opera teatrale di Albert Camus, perchè questa scelta?

"Ho scelto questo nome quando ho iniziato a scrivere canzoni, perché mi aveva colpito molto, studiando la storia romana, il personaggio dell'imperatore Caligola: un pazzo, eccentrico, ma che tuttavia agiva sotto una logica precisa. A proposito dell'opera di Camus, ho comprato da poco il libro e cercherò di leggerlo il prima possibile, è molto interessante capire come è stato interpretato durante i secoli questo personaggio e sopratutto sono curioso di vederlo descritto dal grande Camus".

Ti abbiamo visto a Sanremo 2015 tra le giovani proposte con il brano "Oltre il giardino", come hai vissuto l'esperienza del palco dell'Ariston?

"Molto Bene, è stata una grande emozione salire su quel palco, sin dalle prime prove. In generale mi sono divertito tutta la settimana del festival, è stato qualcosa di veramente fantastico".

Come è nato il tuo interesse per la musica, in modo particolare per il rap?

"Ho sempre amato la musica ed essendo nato in una famiglia di musicisti ne ho sempre ascoltata tanta . Il rap mi piaceva già da bambino: ascoltavo principalmente i rapper del momento, come Eminem, 50 Cent e Sean Paul. Tuttavia verso gli undici anni mi ero appassionato in particolar modo per la musica classica e per le colonne sonore dei film e il mio sogno era proprio quello di diventare un compositore cinematografico. Qualche anno dopo è ritornata la passione per il rap e piano piano ho iniziato a scrivere".

Cos'è per te la poesia?

"E' l'arte più fragile".

Ci parli del brano "ll rimorso" tratto dall'album "Oltre il giardino"?

"In questa canzone parlo, come si può capire dal titolo, del rimorso, che è alla fine di ogni azione sbagliata nell'animo di chi capisce di non aver agito nel bene proprio o altrui. Nello specifico racconto la storia di due uomini le cui vite si intrecciano e si incontrano in un rimorso comune. Prima del rimorso, prima dell'azione, c'è pero' il pensiero che li condanna".

Pagina ufficiale di Kaligola su FB: https://www.facebook.com/Kaligolaofficial/photos_stream

December 12, 2015

Egregio De Rita,


in primis, mi è ignoto da dove lei abbia appreso che gli italiani, oggi, si sentano estranei ad una guerra eventuale, perchè lei purtroppo non ne parla nel suo articolo. Per cui, mi pare sinceramente una sua completa deduzione, soggettiva. Soggettività che, nel suo articolo lei cita, peraltro, come causa di egoismo e del senso di separazione dallo Stato, dalla guerra, e forse dalla società tutta.

In secundis, vorrei sapere per quale ragione al mondo, bisognerebbe sentirsi disponibili a partecipare, di persona o in spirito, ad una guerra di cui, innanzitutto i mass-media più importanti negano evidentemente le cause ed i responsabili. Basta infatti seguire l’approfondimento delle notizie, su siti e blog fuori dal sistema main-stream, perchè emergano tutte le contraddizioni e le follie operate dai nostri politici e dimenticate o negate dai giornalisti, per ciò che attiene alla guerra già in corso.

Peraltro, lei cita la storia di Bush in Iraq e Sarkozy in Libia - eventi che hanno ampiamente dimostrato la follia di ambedue gli interventi e di cui stiamo pagando, giorno dopo giorno, a piè di lista, le conseguenze – cosa che, semmai, dovrebbero indurci, non certo ad imbracciare le armi, per andare a combattere una guerra che sta seguendo con chiarezza quello stesso filone d’intervento geopolitico, miope (e guidato da interessi non certo delle popolazioni europee), ma piuttosto a scardinare una parte delle attuali istituzioni, che ci stanno portando nella direzione della guerra. Nonchè i loro portavoce: i media di regime.

Infine, lei parla di “Essere o non essere una nazione solida e determinata”.. Mi scusi: ma qui l’intero sistema politico del nostro Paese sta scardinando, giorno dopo giorno, l’impianto costituzionale e con esso tutte le strutture pubbliche che ne sono espressione, e lei mi ritira fuori “la nazione solida e determinata”? Piuttosto, faccia pace col cervello, ed esprima un pò di coerenza e di rispetto, e di scuse (sopratutto) verso un popolo che è stato preso per il culo, non solo dalla sua classe politica – che oramai ha imbastito un sistema che si auto-riproduce, al di fuori di qualsiasi rapporto con la società (questa si chiama cieca soggettività) – ma di conseguenza, anche da tutti gli altri politici stranieri che a quelli nostrani hanno chiesto di fare “questo e quello”, cioè di tutto, meno che l’interesse del proprio popolo.

 

Perché gli italiani non si sentono in guerra

Corriere della Sera, venerdì 11 dicembre 2015

«Siamo in guerra». «Chi, io?». Se qualcuno volesse capire come l’italiano medio viva l’attuale drammatica congiuntura internazionale troverebbe la risposta più confacente proprio in quell’interrogativo, che ben riassume una radicata estraneità alle tensioni belliche.  
C’è tutto l’italiano d’oggi, antico e postmoderno insieme, in quel dichiarare «non mi compete». C’è la quasi ingenua ammissione di non essere adeguatamente pugnace; c’è l’antica prudenza di star lontano, se possibile, dalla linea del fuoco; c’è la sottintesa cinica propensione al «se posso, svicolo»; c’è l’abitudine ad allontanare l’angoscia e il ricatto di chi fa dell’angoscia un’arma di guerra; c’è l’implicito trincerarsi nella quotidianità e nella costanza degli stili di vita; c’è la constatazione che è quasi impossibile decifrare e capire la complessità di quel che sta avvenendo; c’è la resistenza a farsi trascinare dalle altrui pulsioni (tutti ricordano che facemmo male a seguire Bush in Iraq e Sarkozy in Libia); e c’è in fondo un antico fatalismo verso gli eventi che non si possono dominare, magari con la riscoperta di un po’ di impaurita devozione creaturale (quante preghiere e quanti ex voto hanno costellato la nostra vita collettiva, dal ’40 al ’45!). 
Essere o non essere una nazione solida e determinata. Questo è sempre stato il nostro dilemma, cui si può attribuire la frequente non eroica resistenza al «prendere armi contro un mare di guai e, combattendo, por fine ad essi». Oggi quella resistenza ritorna, mettendo in ombra e forse sottovalutando guai che per alcuni sono inseriti in un epocale scontro di civiltà, così violento da chiamare a una mobilitazione di massa, al limite anche bellica. Ma non opera soltanto la tradizione storica sotto tale resistenza; opera anche, e forse specialmente, la specifica evoluzione strutturale degli ultimi settant’anni, durante i quali, complici silenziosi la pace e la democrazia, siamo diventati una società ad alta, anzi altissima soggettività, dove ogni problematica viene ricondotta all’io individuale (mia è l’azienda, mio è il tempo, mio è il lavoro, mio il figlio, mio il corpo, mia addirittura la morte) in una grande frammentazione molecolare dei sentimenti e anche degli interessi. E a tale coazione egocentrica non può sfuggire un evento come la guerra (è difficile pensare un italiano che dica «la mia guerra»). 
Se si pone attenzione a ciò, si capiscono facilmente le difficoltà che incontra la politica, stretta fra quella necessità di un collettivo noi (la nazione, l’Europa, l’Occidente) che è indispensabile per gestire i conflitti internazionali e la necessità di un consenso interno tutto condizionato dall’imperante soggettività dell’«io che c’entro?». Stretta, in altre parole, fra le spinte a schierarsi con alleati vecchi o nuovi e la vocazione a navigare prudentemente nei flutti degli avvenimenti. Dio non voglia che arrivi il momento in cui dovremo schierarci; e più ancora che ci si schieri con l’avventatezza dell’ultimo momento. Di solito non ci riesce bene. 

Giuseppe De Rita

December 10, 2015

Lo chiamavano Jeeg Robot, primo lungometraggio di Gabriele Mainetti, scritto da Nicola Guaglianone e Menotti, e presentato alla Festa del cinema di Roma, trae spunto dai supereroi americani. Protagonista è Claudio Santamaria, nei panni di Enzo, un introverso e ombroso ladruncolo di borgata, che vive a Tor Bella Monaca. Il contatto accidentale con una sostanza radioattiva procura ad Enzo una forza sovraumana, che inizialmente vuole sfruttare per le sue quotidiane attività criminali. L’incontro con Alessia cambia radicalmente la sua vita e la sua prospettiva. Alessia, interpretata da Ilenia Pastorelli, è una ragazza fragile a causa di un passato difficile, che per sfuggire alla realtà si rifugia in un mondo fantastico, popolato di supereroi. Enzo con i suoi superpoteri si materializza così nel suo eroe preferito:Jeeg Robot d’acciaio. Con l’aiuto di Alessia, Enzo capisce come sfruttare al meglio le sue nuove facoltà, aiutando i più deboli. Ma ogni eroe che si rispetti ha il suo antieroe, che nel film è Lo Zingaro, interpretato da uno straordinario Luca Marinelli, che nell’impronta caricaturale rende credibile il personaggio: un piccolo boss di una banda con velleità da “Padrino”. Nel cast troviamo ancheStefano Ambrogi, Maurizio Tesei e Francesco Formichetti.

Un film originale, onesto, divertente e intelligente, sull’irrealtà del reale. Tra intrattenimento e azione, la storia si dipana in equilibrio lungo un filo sottile, dove l’assurdità diventa credibile.

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Claudio Santamaria

Senza falsi moralismi o ipocrisie, senza gli effetti speciali a cui ci ha abituato il cinema americano, ma concentrandosi e soffermandosi maggiormente sull’indagine introspettiva dei personaggi, la pellicola, attraverso un accurato lavoro di regia e una sceneggiatura mai banale, dipinge con fantasia e realismo il momento storico attuale, riuscendo a raccontarlo con leggerezza e profondità.

Dopo il successo ottenuto con il cortometraggio Tiger Boy, vincitore del Nastro D’Argento 2013, Gabriele Mainetti conferma il suo talento con un film dai connotati internazionali, ma al tempo stesso profondamente e orgogliosamente italiano.

Lo chiamavano Jeeg Robot uscirà nelle sale il 18 febbraio 2016.

December 06, 2015

Nel nome di Dio, il Clemente, il Misericordioso. A tutti i giovani delle nazioni occidentali. Gli avvenimenti amari che il terrorismo ha creato in Francia, mi hanno spinto ancora una volta a parlare con voi giovani. Per me e' rattristante che si debba parlare in una simile atmosfera, ma la verita' e' che se non correremo ai ripari in questa situazione dolorosa cercando una soluzione, i danni in futuro si potrebbero moltiplicare.

Il dolore di qualsiasi essere umano, in qualsiasi punto della Terra, e' in se e per se rattristante per gli altri uomini. L'immagine di un bambino che muore davanti ai suoi cari, una madre che vede trasmutata in lutto la gioia della sua famiglia, un uomo che porta in braccio il corpo esanime della propria consorte, o uno spettatore smarrito ripreso dalle telecamere e che non sa che quella sara' l'ultima scena della sua vita; non sono immagini che non sconvolgano i sentimenti umani.

Chiunque abbia un minimo di umanita' e di affetto, si rattrista per la visione di queste scene, siano esse in Francia, in Palestina, in Iraq, in Libano o in Siria.
E' fuor d'ogni dubbio che hanno lo stesso sentimento di sgomento e tristezza anche il miliardo e mezzo di musulmani sulla Terra ed e' chiaro che odiano gli autori di questi atti e che provano sdegno per loro.
La questione però e' che se i dolori del nostro oggi non verranno usati per costruire un domani migliore e più sicuro, le tragedie verificatesi rimarranno solo ricordi amari e senza esito.
Io credo che solo voi giovani potete costruire nuove strade per il futuro prendendo le giuste lezioni dalle avversità di oggi, cambiando il corso deviato che ha intrapreso oggi l'Occidente.
E' vero che oggi il terrorismo e' il problema comune tra noi e voi, ma e' bene puntualizzare che i dolori da voi sopportati sono differenti sotto due aspetti rispetto a quelli che in questi ultimi anni hanno sopportato le popolazioni di Iraq, Yemen, Siria e Afghanistan. In prima istanza, bisogna dire che il mondo islamico e' stato vittima della paura e della violenza su scala molto più ampia, con maggiore intensità e in un periodo molto più lungo; l'altra differenza e' che la violenza contro il mondo islamico, purtroppo, e' sempre stata sostenuta in diversi modi da alcune grandi potenze.
Oggi sono ben pochi coloro che non sono al corrente del ruolo che gli Stati Uniti hanno avuto nella creazione, il rafforzamento e l'armamento di Al Qaeda, dei Talebani e dei nefasti gruppi a loro collegati.
Accanto a questo sostegno diretto, i chiari e ben conosciuti sostenitori del terrorismo takfirita, pur avendo i regimi di governo più retrogradi del mondo, sono sempre figurati tra gli alleati dell'Occidente e ciò mentre i pensieri più illuminati e più democratici nella nostra regione sono sempre stati soppressi senza scrupolo. L'approccio ambiguo dell'Occidente con il fenomeno del risveglio islamico (primavera araba/ndr) e' l'esempio esplicito delle politiche paradossali dell'Occidente.
L'altro volto di questa dualità lo si può osservare nel sostegno al terrorismo di Stato di Israele. Il popolo sciagurato della Palestina da 60 anni a questa parte e' vittima del peggior tipo di terrorismo. Se ora i cittadini europei hanno paura e magari per qualche giorno non escono di casa o evitano di recarsi nei luoghi affollati, una famiglia palestinese da decenni non e' al sicuro nemmeno nella propria casa per via della macchina di distruzione e di morte del regime sionista. Sotto il profilo della crudeltà, quale tipo di violenza può essere paragonata a quella della costruzione degli insediamenti illegali?
Questo regime, senza essere mai richiamato seriamente dai propri potenti alleati o perlomeno essere criticato dagli enti internazionali apparentemente indipendenti, distrugge quotidianamente le case, i campi e le coltivazioni dei palestinesi, e lo fa' senza nemmeno dar loro il tempo di prendere la propria roba o di effettuare il raccolto agricolo; tutto ciò avviene di solito dinanzi agli occhi piangenti delle donne e dei bambini che assistono anche all'umiliazione dei propri mariti e padri e che talvolta li devono salutare per sempre, dato che vengono trasferiti in centri di tortura terrificanti. Conoscete forse, nel mondo di oggi, una crudeltà che sia paragonabile a questa per ampietà, dimensioni e durata temporale? Sparare ad una ragazza nel bel mezzo della strada solo per aver protestato contro un soldato armato fino ai denti, se non e' terrorismo, che cosa è?
Questa barbarie non deve essere definita fondamentalismo solo perchè a perpetuarla e' l'esercito di un governo di occupazione? Oppure le nostre coscienze si sono abituate a vedere queste scene perchè sono 60 anni che si ripetono?
Le campagne militari dell'Occidente nel mondo islamico negli ultimi anni, che hanno causato a loro volta innumerevoli vittime, sono un altro esempio del ragionamento paradossale dell'Occidente. I paesi aggrediti, oltre alle perdite umane ed ai danni alle infrastrutture economiche ed industriali, hanno patito una grave recessione ed in alcuni casi sono tornati indietro di decine di anni. Nonostante tutto, a loro viene imposto prepotentemente di non definirsi vittime. Ma come si fa a trasformare una nazione in un ammasso di macerie e a raderne al suolo città e villaggi e poi chiederle: "per favore non definirti vittima"!
Invece dell'invito a fingere di non capire o a dimenticare le tragedie, non sarebbe meglio chiedere sinceramente scusa? I dolori patiti dal mondo islamico in questi anni per l'ipocrisia degli aggressori, non sono minori a quelli causati dai danni materiali.
Cari giovani! Io ho una speranza; che nel presente o in futuro, voi riusciate a cambiare questo modo di pensare colorato di ipocrisia, una corrente che ha l'unica arte di mentire alla gente e di rendere belle alla vista dell'opinione pubblica le azioni più brutte.
Secondo me la prima fase nella creazione della sicurezza e della serenità, e' la correzione di questo modo di pensare violento.
Fino a quando i double standards domineranno la politica dell'Occidente, e fino a quando il terrorismo verrà classificato in terrorismo buono e terrorismo cattivo, e fino a quando gli interessi nazionali verranno ritenuti prioritari rispetto ai valori dell'umanità e dell'etica, non bisogna ricercare altrove le radici della violenza.
Purtroppo queste radici, nel corso di lunghi anni, sono penetrate piano piano negli strati più interni della politica culturale dell'Occidente dando vita ad una silenziosa dominazione.
Molte nazioni sono fiere della propria cultura nazionale; culture che si sviluppano e che per centinaia di anni hanno reso prospera la vita sulla Terra. Il mondo islamico non e' stato un'eccezione ed ha avuto il suo periodo aureo.
Nel periodo contemporaneo, però, il mondo occidentale insiste sull'omologazione e la mondializzazione culturale. Io ritengo molto dannoso il fatto che la cultura occidentale venga imposta agli altri popoli e che le tradizioni e le culture indipendenti vengano umiliate; questa e' una violenza silenziosa.
L'umiliazione di ricche culture umane e le reiterate offese alle loro sacralità avvengono mentre l'alternativa proposta dall'Occidente non e' affatto completa.
Per fare un esempio, i due fenomeni del "bullismo" e "dell'oscenità" sono divenuti, purtroppo, due pietre miliari della cultura occidentale; oggi gli stessi occidentali criticano questi fenomeni emersi dalla loro società.
La domanda che ora mi pongo e' questa: se noi non vogliamo una cultura aggressiva, oscena e superficiale, dobbiamo essere considerati peccatori? Se cerchiamo di ostacolare quell'alluvione distruttivo che viene propinato ai nostri giovani sottoforma di pseudo-prodotti culturali, dobbiamo essere considerati colpevoli? Io non rinnego l'importanza dei legami culturali. Io sono convinto che quando, in condizioni naturali e di rispetto reciproco, vengono stabiliti contatti culturali, questi non possono che creare dinamismo nella società e renderla ancora più ricca. D'altra parte, però, i legami imposti sono sempre stati di poco successo ed anzi controproducenti.
Con grande amarezza devo dire che gruppi ignobili come l'Isis sono esito del legame con culture importate. Se il problema fosse veramente inerente alla religione, avremmo dovuto avere movimenti simili anche prima del periodo coloniale, ma la storia ci dice che non è mai esistito nulla del genere. Evidenti documenti storici dimostrano che l'incrocio tra il colonialismo ed un pensiero deviato e isolato nel cuore di una tribù agli antipodi, hanno costituito il seme dell'integralismo nella regione. Altrimenti com'e' possibile che una delle dottrine più moraliste e umanistiche della storia che definisce l'assassinio di una sola persona grave quanto l'assassinio di tutti gli uomini, possa dare vita ad un'immondizia come l'Isis?
D'altro canto bisogna anche chiedersi perchè coloro che sono nati in Europa e sono cresciuti in quell'atmosfera spirituale e di pensiero, si uniscano a questo gruppo; dobbiamo credere al fatto che queste persone, con qualche viaggio nelle zone di guerra, diventino così integraliste da aprire il fuoco sui propri connazionali? Non bisogna ignorare l'effetto che per una vita ha avuto la cultura violenta dell'Occidente su queste persone. Bisognerebbe analizzare con realismo questo fenomeno e scoprire i lati oscuri di questa realtà. Queste persone provano odio profondo verso le società in cui sono cresciuti perchè sono stati vittima di discriminazioni? Ciò che hanno accumulato al loro interno si palesa così in certi casi in maniera folle?
Siete voi che dovete scoprire questi lati oscuri delle vostre società, dovete trovare le fonti dell'odio e prosciugarle; dovete liberare i nodi e risolvere i problemi.
Bisogna colmare le distanze, non incrementarle. Il grande errore nella lotta contro il terrorismo sono le reazioni affrettate che non fanno altro che aggravare la situazione. Ogni azione affrettata o basata sui sentimenti che crei isolamento, paura o preoccupazioni ai milioni di musulmani che vivono in Europa e che sono persone attive e responsabili, potrebbe allontanarli dalla società e quindi aumentare le distanze e l'odio.
Soprattutto se le discriminazioni e le azioni ingiuste ad-hoc, verranno trasformato in leggi, ciò potrà portare a maggiori polarizzazioni aprendo la strada a nuove crisi.
In base alle notizie pervenute, in alcuni paesi europei, sono state approvate leggi che apparentemente costringono i cittadini a spiare i musulmani. Questi comportamenti sono davvero ingiusti e sappiamo che il male, che a noi piaccia o meno, porta sempre altro male. Ed in aggiunta direi che i musulmani non si meritano un tale comportamento ingrato.
Il mondo occidentale conosce da secoli i musulmani. Sia in quei giorni in cui gli occidentali divennero ospiti dei musulmani e li depradarono delle loro ricchezze, sia in quei giorni in cui erano gli occidentali i padroni di casa ed hanno usufruito del lavoro e del pensiero dei musulmani, di solito hanno solo visto affetto e pazienza da parte degli islamici.
Per questo, io chiedo a voi giovani di basarvi su una conoscenza giusta e profonda, e di prendere le giuste lezioni dal nostro amaro presente, per porre le basi di una rapporto giusto e dignitoso con il mondo islamico.
In questo caso, vedrete che in un futuro non molto lontano, il monumento che avrete eretto su queste fondamenta, estenderà l'ombra della sicurezza e della serenità sul capo dei propri architetti, dando loro il calore della fiducia e accendendo in loro il lume della speranza in un mondo migliore.

 

Seyyed Alì Khamenei
29 Novembre 2015

Una bella pagina tra storia e leggenda

La leggenda di San Giuliano, originaria del Quarto Secolo, ma trasferita dalla penna di Gustave Flaubert nella Francia feudale, narra la storia di una curiosa conversione.


Giuliano è cacciatore sanguinario fin dall’adolescenza. È dedito allo sterminio sistematico di qualunque animale, e il bosco che circonda il castello si tinge del sangue dei suoi animali. Poi è la volta di altri boschi più lontani, di animali meno noti, fino a che il cavaliere non s’imbatte in una famiglia di cervi. Il cervo, nero e gigantesco, con la barba bianca, aveva otto ramificazioni per ogni corno. La cerva, bionda come le foglie secche, brucava l’erba, e il cerbiatto dal pellame picchiettato le si attaccava alle mammelle senza impedirle di avanzare. Ancora una volta fischiò la balestra; prima stramazzò ucciso il cerbiatto e la madre, alzando gli occhî al cielo, emise un gemito profondo, straziante, umano. Giuliano la stese a terra con un colpo in pieno petto. Il grande cervo con un balzo gli mosse incontro, ma egli scagliò l’ultima freccia, che gli si conficcò nella fronte. Parve non accorgersene neppure e, scavalcando i due corpi abbattuti, l’animale avanzava sempre e stava per buttarglisi addosso e sventrarlo. Giuliano indietreggiava preso da un terribile spavento, quando il cervo prodigioso si fermò, solenne come un patriarca, come un vendicatore, con gli occhî fiammeggianti e, mentre una campana rintoccava lontano, ripeté tre volte: «Maledetto, maledetto, maledetto! Verrà un giorno, o cuore crudele, che tu ucciderai tuo padre e tua madre!» Poi piegò le ginocchia, chiuse lentamente gli occhî e spirò.» Giuliano, atterrito e tremante, sudato e sporco, si abbandonò al pianto.


Giuliano, rientrato smarrito al castello, è ossessionato dalla funesta profezia del cervo parlante. Non mangia, non dorme, non sorride, fugge tutto e tutti, per primi i proprî genitori onde evitare di arrecare loro del male.
Un giorno, mentre il giovane sta pulendo un trofeo d’armi attaccato al muro, l’aguzza spada si stacca e va a piantarsi a un millimetro dal vecchio padre che regge la scala al figlio: primo segnale.
Un altro giorno a Giuliano par di vedere, oltre un muro divisorio del cortile, volare una colomba; arma l’arco e veloce scocca. Un urlo! La colomba non era altro che il velame del copricapo della madre, scampata fortunatamente alla morte. Giuliano non ha bisogno d’altro: lascia il castello e si fa cavaliere di ventura; erra di corte in corte, combattendo ora per l’uno ora per l’altro signore.


«Soffrí la fame, la sete, la febbre, i pidocchî. Si abituò al clamore delle mischie, all’angoscia dei moribondi. Sconfisse tutti coloro che osarono sfidarlo in lizza. Giuliano proteggeva il clero, gli orfani, le vedove e soprattutto i vecchi. Schiavi in fuga, contadini in rivolta, bastardi privi di tutto, fegatacci d’ogni risma accorsero sotto le sue bandiere. Ne formò un esercito. Di volta in volta, soccorse il Delfino di Francia e il Re d’Inghilterra, i Templari di Gerusalemme e l’imperatore di Calcutta. Combatté contro gli Scandinavi ricoperti di squame di pesce, contro i Negri dagli scudi rotondi di pelle d’ippopotamo e montati su asini rossi, contro gli Indiani color dell’oro che, alte sopra i loro diademi, brandivano larghe sciabole lucenti come specchi. Sconfisse i Trogloditi e gli Antropofagi. Fu richiesto il suo coraggio da repubbliche in difficoltà. Donava l’indipendenza ai popoli, liberava le regine imprigionate nelle torri. Grandi successi per Giuliano che, cacciando i Mori dall’Occetania, si conquista la gratitudine del re cristiano che gli offre la figlia in sposa. Nuova vita, residenza sfarzosa, un esercito di servitori, una sposa dolcissima.


Giuliano aveva smesso di guerreggiare. Riposava attorniato da un popolo mansueto. Ma anche la caccia ha il suo demone e la sua divinità che esige continui sacrifici. Lo assaliva il desiderio di inseguire nel deserto le gazzelle e gli struzzi, di nascondersi tra i bambú per spiare il passaggio dei leopardi, di attraversare foreste infestate dai rinoceronti, di salire in cima alle montagne più impervie per prendere meglio di mira le aquile, e di affrontare gli orsi bianchi sui bastioni ghiacciati del mare.


I sogni contengono sempre però nel loro nocciolo l’incubo, e le prede della caccia erano sempre associate, nella sua mente, all’oscura profezia del cervo e alla morte dei suoi genitori. Partito Giuliano in spedizione venatoria, giunsero al castello una coppia di anziani coniugi che poi si qualificarono alla giovane donna come i genitori di Giuliano, che da anni vagavano per il mondo alla ricerca del figli cosí misteriosamente fuggito. La moglie di Giuliano li accolse regalmente, li fece rifocillare, e diede loro la propria stanza nuziale.


Intanto per Giuliano nel cuore del bosco si appresta una strana caccia: gli animali senza paura escono dalle loro tane, dai nascondigli, e una forza soprannaturale impedisce al cacciatore di colpirli e rende lievi come piume le sue frecce. Fu sopraffatto dalla vergogna. Un potere soprannaturale annientava le sue forze, e rientrò dalla foresta per tornare al castello. Ed ecco ricomparire tutti gli animali che egli aveva cacciato, e stringersi in cerchio attorno a lui. Alcuni seduti sulle natiche, altri ritti sulle zampe. Stava in mezzo al cerchio, agghiacciato dal terrore, incapace di fare il piú piccolo movimento! Le iene lo precedevano, il lupo e il cinghiale lo seguivano. Alla sua destra il bufalo avanzava dondolando il testone, e alla sua sinistra il serpente si snodava nell’erba, mentre la pantera arcuando la schiena muoveva i suoi passi di velluto. Egli rallentava piú che poteva per non irritarli; e intanto vedeva sbucare fuori dal fitto dei cespugli porcospini, volpi, vipere, orsi e sciacalli. Il corteo lo accompagna minaccioso, finché Giuliano non rientra trafelato e sconvolto al castello. Va, brancolando al buio, verso il talamo, sente a tentoni la barba di un uomo, un uomo che giace in letto con sua moglie! In preda al delirio afferra la spada e uccide orribilmente gli anziani ospiti, i suoi genitori. La moglie accorre e urla inorridita, rivelandogli la vera identità dei due vecchi. Quando, alla luce delle fiaccole, Giuliano riconosce i genitori, la profezia del cervo si è tragicamente avverata. Annichilito, abbandona tutto, moglie, castello, per condurre una vita da romito e mendicante, fino alle peggiori umiliazioni dell’altrui pietà e disprezzo per espiare la colpa dell’orribile delitto. Si tortura con aguzzi cilici, cerca la morte nel tentativo di salvare altre vite, si sottopone a tutte le fatiche fisiche.
Dopo aver cacciato animali e uomini, ora Giuliano è a caccia di Dio. E quel Dio, comparsogli prima come cervo minacciosamente profetico, ora gli si rivela come l’ultimo dei reietti: il lebbroso che ha bisogno di cibo, di cure, di calore, a cui Giuliano dà ospitalità nella sua capanna. Mentre lo assiste, il lebbroso gli si rivela in tutto lo splendore divino.

Frammenti che orbitano qua e là, individuati, carpiti; li commento e condivido con voi.

01 Cover Logo 1280x400 OKL’Expo è terminato. (finalmente. ndr)

Chiusi i battenti dell’Expo gli organizzatori tirano le somme che, comunque le “girino e rigirino”, non tornano. Siamo oltre un mese dalla chiusura e il silenzio, direi tombale, avvolge il tutto. Vuoi vedere che…quanto da noi previsto e preventivato…Ne sentiremo parlare. Tempo al tempo.

Frammento n. 1(ultim’ora)

Mercato dei Vini dei Vignaioli Indipendenti (Fivi)

logo fiviSabato 28 e Domenica 29 Novembre a Piacenza Expo si è svolto il Mercato dei Vini dei Vignaioli indipendenti aderenti alla FIVI (Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti). La quinta edizione di questa mostra-mercato, ancora una volta, ha centrato i suoi “ambiziosi traguardi”. Ottima l’affluenza del pubblico, trecentotrenta le aziende “ a conduzione familiare” presenti, molto seguite le degustazioni programmate. Cerimonia d’apertura sobria ed essenziale (come nello spirito della Fivi, senza tanti fronzoli), organizzazione dell’evento sostanziale. Riconoscimento dei punti d’affezione (enoteche e ristoranti che propongono, in tutta Italia, i vini di questi vignaioli esponendo lo stemma dell’Associazione. Mostra-Mercato ovvero immergersi nell’Italia vinicola attraverso l’incontro diretto con chi coltiva l’uva e produce personalmente il vino. Vignaioli che, con il proprio lavoro, sono divenuti custodi del territorio e oggi ne sono narratori appassionati ed autentici.

Frammento n. 2

SAM 2260Tenuta di Fiorano. Il Principe Alessandrojacopo Boncompagni ne ha parlato a Firenze.

Location ideale, aristocratica, così come si conviene per la presentazione delle nuove annate e della linea aziendale della “rinata” Tenuta di Fiorano: il Ristorante La Leggenda dei Frati a Villa Bardini. Il Principe Alessandrojacopo Boncompagni, il nuovo principe del vino romano, racconta la storia veramente singolare di un mito che fu degli anni ‘60, la scelta di reimpiantare la storica vigna di famiglia sull’Appia Antica. Ne è uscita rafforzata la leggenda di questi vini riproposti in veste modificata, in particolare nei bianchi, inserendo alcune tipologie di vitigni adatti all Habitat come grechetto e viognier. Passione e precisione nelle parole del Principe. Direi un’ottima partenza.  

Frammento n. 3

i42cimgpsh orig11Vinexpo Hong Kong mette l’Italia al posto d’onore.

Se ne è parlato recentemente a Firenze con Monsieur Guillame Deglise, Direttore Generale di Vinexpo Bordeaux. “Il Salone Internazionale Vinexpo Hong Kong mette l’Italia al posto d’onore nella sua prossima edizione che si svolgerà presso il Convention end Exhibition Centre e rappresenterà il fil-rouge grazie a numerosi eventi, conferenze, degustazioni, animazioni”. Inizia così l’intervista con Mr Deglise. Ma perché proprio l’Italia come ospite d’onore ad un evento francese? “Rendere alla produzione italiana quell’omaggio per aiutarla ad accrescere la sua notorietà e le sue vendite in Asia”. Sbalorditivo direi. Pensierino: il Vinitaly farebbe altrettanto? Ne dubito.

Frammento n. 4

010246 fierautunno bolzanoFiera d’Autunno 2015. L’Alto Adige in vetrina. Nutrisan e Biolife.

500 espositori dislocati su una superficie di 25.000 metri quadri con un ricco programma di eventi e seminari. Questo il segreto del successo della fiera campionaria altoatesina che si è svolta a Bolzano nel mese di novembre. Definita Madre di tutte le fiere regionali è stata sicuramente il centro della pluralità e varietà dell’offerta dando l’occasione ai visitatori di informarsi e fare acquisti di vari prodotti tipici locali, tradizionali ed innovativi su buona parte di settori merceologici. Perla della Manifestazione è stata Nutrisan, il Salone nel Salone delle intolleranze alimentari e della corretta alimentazione. A latere anche Biolife, l’eccellenza regionale biologica del Trentino-Alto Adige.

MaurizioDanese 2Frammento n. 5

L’assemblea dei Soci dell’Ente VeronaFiere ha eletto Maurizio Danese nuovo Presidente per il triennio 2015-2018. “Ringrazio i soci e le istituzioni per la fiducia. Sarà ben corrisposta”. Così ha dichiarato il nuovo Presidente e noi di flipnews gli auguriamo Buon Lavoro! (ed attendiamo i cambiamenti necessari perché, alla fine, questo è ciò che conta).

Osservo, scruto, assaggio e…penso. (urano cupisti)

L'album d'esordio in tutti i digital store e nei negozi di dischi
dal 27 novembre

 

Ad un anno dal lancio della sua prima canzone “Il mio domani”, Marco Rotelli esce con l'album d'esordio dall'omonimo titolo Il mio domani.
Sono dieci le canzoni presenti, quattro delle quali -PARLAMI CERCAMI, VIVI, FERMEREMO IL TEMPO- già conosciute dal pubblico e proposte in radio nel corso di questo intenso anno di lavoro e 6 nuovi brani. Tra questi
MILLE VOLTE MEsarà il singolo che accompagnerà l'uscita e la promozione dell'album. La scelta di questo brano, più spavaldo musicalmente dei precedenti conosciuti è proprio perché Marco Rotelli ci tiene a mostrare tutta la sua grinta e determinazione. Ascoltare l’album di Marco Rotelli significa entrare completamente nel suo mondo di adolescente prima e di ragazzo dopo. Marco è autore e compositore delle sue canzoni, seppur sempre con ausilio di altri autori e musicisti che lo hanno affiancato nella produzione, alcune delle quali erano tali prima ancora che lui stesso se ne rendesse conto.

Il lavoro di produzione è stato seguito dall'arrangiatore M° Mario Natale e nei brani hanno suonato musicisti d'eccezione come Stef Burns, Nicola Oliva, Paolo Petrini, Francesco Corvino, Giorgio Cocilovo, Diego Corradin, Rossano Eleuteri, Antonio Petruzzelli e Paola Caridi.


 

In occasione dei festeggiamenti del cinquecentenario della nascita di S. Teresa d'Avila, è stato restaurato il capolavoro del Bernini, l'Estasi di S. Teresa. In realtà, l'intera Cappella Cornaro nella chiesa di S. Maria della Vittoria, è stata oggetto dell'intervento, conclusosi a giugno, ma inaugurato ora, in prossimità dell'inizio del Giubileo straordinario della Misericordia il prossimo 8 dicembre.

La conferenza stampa si è aperta con i saluti delle autorità religiose e laiche. I padri Carmelitani, che ne hanno commissionato la costruzione a Carlo Maderno nel 1608, officiano la chiesa che fa parte del Fondo Edifici di Culto. Ente nato a seguito della soppressione delle proprietà ecclesiastiche nella seconda metà del 1800 e che si occupa della tutela, della valorizzazione, della conservazione e del restauro di più di settecento chiese distribuite sul territorio nazionale.

Daniela Porro, passata dalla direzione della Soprintendenza del Polo museale romano a quella del Segretariato regionale del Ministero per i Beni Culturali, ha riassunto la storia della chiesa e dell'opera.

Padre Rocco Visca, rettore della chiesa, ha completato l'introduzione sull'edificio. Inizialmente dedicato a San Paolo apostolo, ma a seguito della battaglia della Montagna Bianca presso Praga, nel 1620, che vide la vittoria dei cattolici sui protestanti, intitolato all'immagine mariana, considerata vera responsabile del successo. Il carmelitano padre Domenico di Gesù e Maria, cappellano e combattente, portò a Roma l'immagine di "Maria in adorazione del Bambino" che, tuttora campeggia sull'altare centrale della chiesa di cui ha improntato la decorazione. Padre Rocco ha poi condotto l'uditorio verso una dimensione più spirituale, illustrando la figura e le opere di Santa Teresa. Attraverso gli scritti, citando in particolare Il Castello Interiore, ma anche attraverso la vita, come fondatrice di ordini e mistica, ma anche donna pratica, alle prese con problemi reali. È stata definita "la più santa tra le donne e la più donna tra le sante". La sua stessa descrizione dell'estasi mistica è stata materialmente raffigurata dal Bernini nel capolavoro oggetto del restauro: “Gli vedevo nelle mani un lungo dardo d'oro, che sulla punta di ferro mi sembrava avere un po' di fuoco. Pareva che me lo configgesse a più riprese nel cuore, così profondamente che mi giungeva fino alle viscere, e quando lo estraeva sembrava portarselo via lasciandomi tutta infiammata di grande amore di Dio”.

La parola è passata poi ai restauratori che hanno operato nei loro interventi quella fusione tra materiale e spirituale, che rende un'opera d'arte, un'esperienza personale e interiore.

Il restauro è sempre un'occasione di studio. Uno dei frutti più ghiotti è stato, come descritto da Lia Di Giacomo, che ha diretto i lavori, la scoperta che il banco di nuvole che sostiene la Santa non era interrotto in origine dalla cornice, ma era connesso al piedistallo in travertino (nel muro esterno della chiesa è possibile vedere il blocco su cui poggia il gruppo marmoreo inserito nel testo murario). La “continuità” della nuvola, conferma il collegamento del gruppo della Santa e dell'Angelo con tutto l'impianto decorativo della cappella, come interpretato dal maggiore studioso del Bernini Irving Lavin.

Il restauratore Giuseppe Mantella ha descritto il lavoro fatto, reso necessario, anche e soprattutto, dall'inquinamento atmosferico prodotto dal semaforo all'angolo della chiesa (che già a pochi mesi dalla fine del restauro, ha determinato di nuovo il deposito di polveri grasse sulle superfici).

Le tecniche diagnostiche hanno evidenziato la presenza di sostanze (paraloid) di un precedente restauro (circa 20 anni fa) e l'infiltrazione di resine nel marmo quando è stata realizzata la decorazione dorata della volta. Sono inoltre stati trovati frammenti del vetro giallo della finestra ellittica, che fa entrare dall'altro la luce sul monumento. La campagna fotografica ha documentato anche la tecnica dell'artista: gli strumenti utilizzati, le superfici nascoste lasciate non finite, non levigate, con la traccia, appunto, degli strumenti incisori; i frammenti di marmo aggiunti, una mano, un lembo della veste. Ma anche il lavoro sul fianco dell'angelo per rendere il vento del movimento, che gli scompiglia anche i capelli. La storia ha modificato l'opera originale. La nuvola è stata "trasformata" in cornice, probabilmente, quando il bronzo dorato dei raggi della grazia divina e quello del dardo dell'angelo (di cui una foto mostra il foro di fissaggio) sono stati rimossi in epoca napoleonica, a seguito del trattato di Tolentino del 1797.

Il paliotto d’altare, che passa solitamente inosservato, è, invece, non solo parte integrante, ma determinante e fondante del senso compiuto e del programma iconografico dell'intera cappella.

Sante Guido, che lo ha restaurato, ne ha illustrato le caratteristiche. Vi è raffigurata l’Ultima cena in bronzo dorato su fondo lapislazzuli. La mano anonima dell'esecutore è stata inserita in un contesto che vede un nesso con la decorazione della cappella Raimondi di S. Pietro in Montorio (sempre Bernini 1640 ca, con Estasi di S. Francesco sull'altare e bassorilievi con volatili e rose nelle mura laterali); l'altare del Santissimo Sacramento di S. Giovanni in Laterano (Ultima cena in alto, in nesso con la reliquia del legno della tavola). Ma anche con il bassorilievo nella cappella Paolina di Santa Maria Maggiore, in cui è raffigurato papa Liberio che traccia il perimetro di fondazione della basilica. Un'altro altare condurrebbe a Malta. Infine anche all'ambito di Camillo Mariani, il cui capolavoro (sculture di santi) si trova nella vicina chiesa di S. Bernardo alle terme.

Il programma decorativo descrive un duplice percorso: dall'alto verso il basso, con la presenza della colomba simbolo dello Spirito Santo negli affreschi dell’Abbatini. La luce che dall'oculo sopra la Santa e l'Angelo scende insieme ai raggi dorati è figura di Dio Padre. Il Figlio è presente nell'Ultima cena, come punto di arrivo di questo movimento che dall'alto passa attraverso la Transverberazione di Santa Teresa, modello e culmine dell'esperienza mistica. L'ultima cena è, però, anche il punto di partenza del moto ascensionale che, dal pavimento in cui le tarsie di marmi (provenienti da Villa Adriana a Tivoli), raffigurano scheletri emergenti, prosegue in alto con la Santa Teresa, alla cui estasi assistono i membri della famiglia Cornaro affacciati ai coretti. Vivi, come a teatro, perché l'eucarestia e la fede, li hanno condotti alla vita eterna, più in alto, negli affreschi, la Gloria dello Spirito Santo.

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