L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni.

Kaleidoscope (1345)

Free Lance International Press

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September 07, 2015

Dopo il grande successo del debutto nel 2013 al Théâtre du Châtelet di Parigi, arriva al Teatro dell’Opera di Roma in Prima Nazionale: I was Looking at the Ceiling and Then I Saw the Sky (Stavo guardando il soffitto e all’improvviso ho visto il cielo), “song play” in due atti del noto compositore statunitense vincitore del Premio Pulitzer, John Adams, su libretto di June Jordan. Un’opera rock contemporanea con tre tastiere, chitarra e basso elettrico, sax, clarinetto e batteria, composta da elementi dell’Orchestra del Teatro dell’Opera e diretta dal  02 corsettiMaestro australiano Alexander Briger, con la regia di Giorgio Barberio Corsetti. Uno spettacolo brillante dalla raffinata

Giorgio Barberio Corsetti 

originalità in cui confluiscono differenti generi musicali, dal rock al jazz, passando in rassegna Stan Getz, Miles Davis, John Coltrane, Pink Floyd e Michael Jackson, in linea con lo stile complesso di Adams che “misura la potenza espressiva e l’autenticità paradossale delle musiche commerciali”.

“I was Looking at the Ceiling and Then I Saw the Sky – spiega il compositore Adams – è la frase pronunciata da uno dei sopravvissuti al terremoto di Northridge del 1994, una catastrofe che ha devastato un’ampia parte del nord di Los Angeles. La lesse il librettista June Jordan sul Los Angeles Times e mi offrì il titolo perfetto per quello che volevo fosse uno spettacolo stile Broadway”.

Definito “un dramma sullo sfondo di un cielo blu”, racconta l’intensa e commovente storia di sette giovani ventenni di Los Angeles, diversi per etnia ed estrazione sociale, le cui vite cambieranno radicalmente all’indomani del devastante terremoto. Sette giovani adulti che si interrogano sull’amore e sul senso della vita, tra desideri, john adamspulsioni e paure vengono affrontati temi molto attuali come il

 John Adams

conflitto razziale, i rapporti con la polizia e l’autorità, la persecuzione degli immigrati e l’identità sessuale. “Sulla scena saranno presenti quattro parallelepipedi – afferma il regista Giorgio Barberio Corsetti - come fossero quadri in movimento raffiguranti luoghi e città in cui confluiscono le aspirazioni dei vari personaggi, che si sviluppano con dinamismo e in sintonia con le parole e la musica”. Interpreti internazionali per questa avvincente storia d’amore “polifonica” dallo stile shakespeariano: Daniel Keeling (Dewain); Jeanine De Bique (Consuelo); Joel O’Cangha (David); Janinah Burnett (Leila); Grant Doyle (Mike); Patrick Jeremy (Rick); Wallis Giunta (Tiffany).

I was Looking at the Ceiling and Then I Saw the Sky sarà al Teatro dell’Opera di Roma dall’11 al 17 Settembre 2015.

Maggiori informazioni su www.operaroma.it

September 07, 2015

La Mostra del Cinema quest’anno si apre il 2 settembre e si concluderà il 12. In programma 21 film in Concorso, 16 Fuori Concorso e 18 nella sezione “Orizzonti”. Le opere prime sono 23, di cui due di registi italiani: Piero Messina, con il film “L’attesa” (in Concorso) e Alberto Caviglia con “Pecore in erba” (sezione Orizzonti). I film italiani in Concorso sono 4: “Sangue del mio sangue”, di Marco Bellocchio (vincitore del Leone d’oro alla Carriera e del Premio Speciale della Giuria), “Per amor vostro”, di Giuseppe M. Gaudino, “A bigger splash”, di Luca Guadagnino e “L’attesa”, di Piero Messina.

Le sale di proiezione, le   tecnologie e la logistica sono state rinnovate, e lo spazio adiacente al Casinò è stato migliorato con una nuova comoda struttura che permette di raggiungere più velocemente tutti i punti principali del villaggio.

Film di apertura è ” Everest” , del regista islandese Baltasar Kormàkur. La pellicola, che fa parte della sezione “fuori concorso”, è prodotta in Gran Bretagna e racconta la storia vera di due spedizioni di scalatori intenzionati a sfidare la montagna più alta del modo. Attingendo alle varie memorie dei sopravvissuti, il regista ricostruisce i fatti riguardanti due spedizioni del 1996 che non ebbero la fortuna sperata perché molti di loro furono travolti da una violenta ed improvvisa bufera.

La tensione e l’emozione sono sempre alti, anche per il merito del 3D, che ravvicina le maestose creste innevate e le imponenti stalagmiti di un paesaggio mozzafiato. L’entusiasmo, la passione e il coraggio dei protagonisti si trasformeranno poi in una strenua lotta per la sopravvivenza. E qualcuno non ce la farà.

Il regista ha voluto girare il film senza troppi effetti speciali e la scelta è stata ottima perché tutte le scene sono già cariche di emotività. Girato in parte in Nepal ed in parte in Alto Adige (le bellissime Dolomiti della Val Senales), il film riesce a ricreare le ovattate atmosfere dell’altitudine: l’aria rarefatta, i crepacci, i precipizi profondissimi. Gli attori principali sono: Jason Clarke (nella parte di Rob Hall, capo spedizione), Jake Gyllenhaal (nella parte di Scott Fischer, altro capo spedizione), Josh Brolin (Beck Weathers), John Hawkes (Doug Hansen). Nonostante l’avventura presenti diversi ostacoli, la gioia degli scalatori non viene mai meno e il senso del gruppo si fa sempre più forte. Ma sulla via del ritorno una catastrofica tempesta di neve ed una roboante valanga provocano un lungo fragore assordante mescolandosi alle urla degli scalatori travolti. E poi il silenzio: la neve ricopre tutto. Avvincente, avventuroso, emozionante. Gli attori tutti molto bravi e il film non manca dell’effetto thriller.

Apre la sezione Orizzonti il film messicano “Un monstruo de mil cabezas” (Un mostro dalle mille teste), del regista Rodrigo Plà. E’ un adattamento del romanzo di Laura Santullo e racconta la storia di una donna che è costretta ad affrontare numerose peripezie contro una compagnia assicurativa negligente e corrotta, per ottenere una cura vitale per suo marito, malato terminale di cancro. Il film, lontano da ogni intento patetico, ma veloce, intrigante e con una buona dose di suspence, è interpretato dall’attrice Jana Raluy (nella parte della protagonista Sonia Bonet). Praticamente è lei la figura portante della storia, una donna che viene esasperata dalle infinite complicazioni burocratiche che le crea la compagnia che assicurava le spese per la salute di suo marito. Praticamente la compagnia non intende pagare alcun risarcimento: anzi, Sonia scopre che la dirigenza seguiva la strategia di eliminare senza scrupoli una certa percentuale di polizze dal diritto di risarcimento. Disperata per il peggioramento della malattia del marito, Sonia si chiede per quale motivo il medico dell’assicurazione non prescrive una cura più efficace (e probabilmente più costosa) e non si fa mai trovare, e perché è impossibile ottenere un appuntamento. Ma Sonia, con decisa ostinazione e con una pistola tra le mani, è disposta a cercare e rincorrere a tutti i costi i responsabili di queste negligenze, che hanno praticamente portato suo marito vicino alla morte. Tutto diventa una sfiancante corsa contro il tempo, e Sonia, con estrema determinazione, riesce a farsi consegnare i documenti che le servono per fare causa alla compagnia assicurativa. Ma il “mostro” non ha una sola testa, ne ha … mille, ed una ennesima complicazione dell’ultimo minuto, creata da una socia proprietaria della compagnia, attira la polizia. Sonia, ferita nella sparatoria, finisce in ospedale e quando si riprende non trova più la sua cartellina dove teneva tutti i preziosi documenti. Morale? Vince il male. La sopraffazione delle grosse società nei confronti della gente comune è una cosa molto frequente ed abominevole, soprattutto se si tratta della vita di una persona. Ottima l’interpretazione di Jana Raluy, protagonista che si presenta dignitosa nella sua presenza ma semplice e con poco trucco in viso, preoccupata solo della vita di suo marito e di scoprire le ingiustizie. In molti punti il regista sceglie di non far vedere allo spettatore la scena in sé ma di farla immaginare attraverso un ambiente esterno. Ed il risultato è molto interessante e ben riuscito. L’espressività degli attori è grande, ma è avvincente anche il solo sentire le parole, senza vedere la scena. Film da non perdere.

 

Jolanda Dolce

September 07, 2015

Attrice di origini marchigiane, da anni impegnata nel sociale, Chiara Pavoni spazia dal teatro al cinema, dalla televisione alla fotografia come modella, con disinvoltura e professionalità. Dopo un percorso iniziale nella danza studia recitazione, canto e percussioni fino a diventare un’icona del cinema thriller. Da oltre un anno è in scena con un monologo contro la violenza sulle donne “Tragicamente rosso”, diretto da Giuseppe Lorin e sta lavorando a nuovi progetti rivolti a sensibilizzare l’opinione pubblica.

Dare voce ad una tematica come il femminicidio attraverso il teatro che cosa comporta nel panorama culturale attuale?

 

“Nonostante la sempre più evidente espansione di altre forme di comunicazione che hanno generato i media cine-televisivi e l’universo del web, un immenso mare di immagini e messaggi in cui spesso si perde la concretezza e l’emozione artistica, il teatro ha un ruolo ancora molto importante nella società, poiché è tuttora in grado di suggestionare ed plasmare emotivamente ogni anima del pubblico.”

Come viene recepita la violenza dagli spettatori?

“In questo anno in cui le repliche di Tragicamente Rosso si sono susseguite in giro per l’Italia grazie alla bellezza del testo e alla sapiente regia di Giuseppe Lorin ho avuto la possibilità di raccontare una storia verosimile e toccante che sempre ha raggiunto l’anima degli spettatori facendoli commuovere e riflettere su questo tema tanto tragico, scottante e attuale.”

Il mondo femminile raccontato attraverso l’arte. Saranno sempre le donne al centro dei tuoi prossimi spettacoli? Qualche anticipazione.

 

“Prevalentemente mi piace raccontare attraverso il teatro il mondo femminile e nei prossimi mesi continuerò a portare in scena storie di donne, ad ottobre sarò ospite del Premio Italia Diritti Umani della Free Lance International Press e avrò modo di dare voce con l’arte a tematiche delicate, come la violenza e i diritti negati. Continueremo a girare l’Italia con Tragicamente rosso e chissà magari arriveremo anche ad Ischia!”

Michela Zanarella

September 04, 2015

Conversazione con Francesco Pugliese*, su guerra e pacifismo: per non consegnarci all’oblìo …

 

di Roberto Fantini

 

   Il 24 marzo del 1999 ebbero inizio i bombardamenti in terra jugoslava da parte di una NATO oramai trasformata in strumento globale dell’ordine “occidentale”. Abili raffiche di perfide invenzioni linguistiche (da “guerra umanitaria” a “danni collaterali”), accompagnate da una tambureggiante retorica interventista, riuscirono, perlopiù, a far scivolare in secondo piano il volto tragico di un conflitto quasi tutto rovesciato sui civili. L’articolo 11 della nostra Costituzione venne palesemente rinnegato, gettando il nostro Paese, nelle vesti di attore protagonista, all’interno di un conflitto su ampia scala. Le tante voci della galassia pacifista-nonviolenta furono ignorate, irrise, zittite. Ma in molti continuarono a dire che un’altra via esisteva, che esiste sempre un’altra via opposta alla logica violenta delle armi.

Su tutto questo (e tanto altro ancora) Francesco Pugliese ha scritto un libro bellissimo, vero scrigno prezioso di informazioni indispensabili per provare a capire quanto veramente accaduto e, soprattutto, fonte inesauribile di messaggi carichi di pensiero positivo, di volontà di riflessione e di saggia voglia di continuare a sperare in un mondo meno malato.

Insieme a lui, abbiamo condotto la conversazione che segue.

-       Francesco, sono arciconvinto che tu ci abbia regalato uno splendido lavoro, utilissimo per cercare di impedire che nella nostra memoria collettiva scenda definitivamente l’oblìo in merito agli orrori della tragedia jugoslava dell’ultimo decennio del XX secolo e, soprattutto, alle reali responsabilità di tali avvenimenti.

Quando e come è nato, in te, il progetto di questo libro?

   Roberto, ti ringrazio per l’apprezzamento e spero anch’io possa essere davvero così: che serva almeno un poco “per cercare di impedire che nella nostra memoria collettiva scenda definitivamente l’oblìo in merito agli orrori della tragedia jugoslava”. Anche per contribuire a non farci dimenticare cos’è in concreto la guerra, oggi che questa dimenticanza tende purtroppo ad allargarsi e per non smettere di pensare quanto sia banalmente semplice la strada per giungere alla violenza e quanto terribilmente difficile poi tornare al lume della ragione e alla pace.

Il libro è frutto di un intreccio tra attività didattica, attivismo e studio dei movimenti contro la guerra. All’inizio un contributo richiesto da una collega per un progetto didattico sulla tragedia jugoslava; quindi la ricerca si è estesa alle attività e al ruolo dei movimenti e delle organizzazioni pacifiste, anche perché all’epoca stavo già lavorando alle ricerche che hanno portato alla Mostra Abbasso la guerra e al libro omonimo. Poi, grazie a varie sollecitazioni, è maturata l’idea di ampliare ancora e quindi la proposta di pubblicazione dell’editore.

-       Tu, molto giustamente, affermi che “il mondo del pacifismo ha tenuto viva l’opposizione alla guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali e ha contrastato la violenza come strumento di risoluzione dei conflitti. Ha sostenuto le ragioni della nonviolenza. E’ riuscito in gran parte a resistere alle seduzioni dell’interventismo umanitario e unilaterale ed ha denunciato i più o meno sofisticati aggiramenti del dettato dell’art. 11 della Costituzione e le giustificazioni sulla partecipazione italiana alla guerra del 1999 (pag. 66).

Non credi, però, che la vicenda jugoslava abbia rappresentato, nel bilancio complessivo, una sconfitta pressoché totale di tale mondo, sconfitta ulteriormente aggravata dai fatti di Genova 2001 e dall’avvento della cosiddetta “guerra al terrorismo”?

   Hai fatto bene a riprendere gli elementi di positività delle esperienze e dell’impegno di quegli anni. E farlo non è secondario, né di poca importanza. E’ necessario per la verità storica. Perché ci aiuta a capire la complessità dell’impegno contro la guerra e la forza mostruosa dei guerrafondai e della cultura della guerra nella politica, nel linguaggio, nella quotidianità.

E poi io penso un’altra cosa: mi lascia molto perplesso il ragionare con la logica vittoria/sconfitta. A parte il lessico, lo trovo riduttivo e fuorviante. Certo che è stato sconfitto (ma ha perso?), poteva vincere viste le forze in campo? Viviamo in un mondo dove la coscienza e l’impegno contro la soluzione guerra è così presente, diffusa, forte da riuscire ad impedire una guerra? Sono domande che mi pongo. E la risposta è purtroppo negativa. Ci sono ancora fatiche titaniche per cacciare la guerra dalla storia; per fare della guerra un tabù (Zanotelli).

Ciò detto, le esperienze, l’impegno, le elaborazioni del variegato mondo del pacifismo nel decennio del disastro jugoslavo sono state utili a questa finalità, a questa utopia? Penso di sì, sicuramente. Penso che questo mondo deve saper meglio rivendicare le sue ragioni, la sua storia, i suoi contributi, i risultati concreti. Chi aveva ragione? Chi aveva ragione sul disastro Iraq? Aveva ragione chi contrastava i bombardamenti in Libia nel 2011?

Certamente la vicenda jugoslava può ancora insegnare molto. Ha ribadito quanto è complesso e difficile il ruolo dei costruttori di pace e del pacifismo e quanto sia decisiva la sua capacità di allargare il fronte, di coinvolgere e attivizzare sempre più persone, di mobilitare le coscienze e sostenere pratiche profondamente democratiche e partecipative. E certo fosse stata più ampia la presenza dell’opinione pubblica e dei ceti politici europei i risultati avrebbero potuto essere maggiori e migliori.

-       La cosa che più ho apprezzato, fra i numerosi pregi del tuo libro, è la tua chiara volontà di conferire massimo rilievo all’impegno di tanti individui che, in differenti contesti e con diverse metodologie, hanno cercato (prima, durante e dopo il conflitto) di continuare a farsi costruttori di pace. Non ti sembra che la situazione internazionale determinatasi in questi ultimi anni abbia reso e stia rendendo sempre più difficile il riproporsi di simili iniziative?

   Il mondo, questo nostro mondo, ha bisogno urgente di costruttori di pace, come non mai. Il mondo dei costruttori di pace è di mille colori, è come un fiume carsico. Ma non basta. La bestia feroce e subdola della guerra è ancora presente e attiva in molte parti del mondo e gli scenari geopolitici planetari non lasciano certo tranquilli gli amanti della pace. C’è bisogno di una lotta per la pace più forte, più estesa, più creativa.

E soprattutto capace di coinvolgere altre persone, di creare consapevolezza e responsabilità, di produrre elaborazioni e culture di pace. Non solo per la ripulsa morale contro la guerra, per la pace come progetto politico, anche più conveniente economicamente.

Sottolineo due cose spesso dimenticate: nel settembre 2013 gli Usa hanno rinunciato all’attacco in Siria perché l’ opinione pubblica era ostile e per la mobilitazione promossa da Papa Francesco.

Certo è urgente il potenziamento dell’impegno pacifista: “ognuno può fare qualcosa” come diceva la parola d’ordine di una marcia Perugia – Assisi. Così si può superare la crisi che dura ormai da troppi anni dei movimenti pacifisti. Dobbiamo puntare sull’impegno dal basso che si deve organizzare e coordinare; non possiamo contare sull’impegno dei partiti politici che spesso hanno strumentalizzato l’impegno popolare contro la guerra o non sono stati poi coerenti soprattutto nelle votazioni in Parlamento. Preoccupa molto l’affievolirsi del ripudio della guerra scritto nella Costituzione italiana e in quella giapponese dopo la seconda guerra mondiale, che si accompagna alla crisi delle Nazioni Unite per la cui emarginazione il decennio della ex Jugoslavia è stato decisivo.

E indubbiamente anche nelle società il no alla guerra pare affievolito. Ed è pure allarmante a parer mio l’assenza pressoché totale del mondo della cultura e dell’università sulle questione del no alla guerra e della costruzione di una cultura di pace.

E’ fondamentale il rilancio dell’impegno pacifista dal basso. C’è da arginare il ritorno delle culture guerresche e l’escalation delle spese militari; una nuova corsa agli armamenti è in atto nel silenzio pressoché generale e non può che alimentare guerre e pericoli di guerra. Anche l’Italia vi partecipa (non solo gli F35) in modo massiccio, con enormi risorse che potrebbero essere destinate a soddisfare ben altri bisogni del Paese.

Insomma le urgenze non mancano certo, dobbiamo impegnarci per un rinnovato impegno di massa su questi temi e così rilanciare la lotta per l’abolizione della guerra. Voglio ricordare che, proprio 50 anni fa, nel celebre Manifesto Einstein e Russell si rivolgevano ai governanti e ai popoli: “è il problema che vi poniamo davanti, reale, terribile, non eludibile: dobbiamo mettere fine alla razza umana oppure l’umanità deve rinunciare alla guerra?”.

L’abolizione della guerra, ha detto Gino Strada, “è la prima garanzia di futuro per l’umanità e per il pianeta. Finché la guerra resterà tra le ‘opzioni possibili’ di fronte a problemi anche gravi, ci sarà sempre chi – per una ragione o per l’altra – finirà col ricorrervi”.

Una utopia, certamente. Ma non dimentichiamo che utopia nei secoli passati erano l’abolizione della schiavitù o del vaiolo o anche il pensare ad un’Europa non perennemente in guerra, il pensare al ripudio della guerra scritto nella Costituzione.

Un’utopia che l’uomo – se davvero tale - non può non perseguire come la cosa più bella, più razionale e più intelligente da realizzare. Più creativa, perché la guerra è il solito schema violento che si ripete da millenni.

Io credo allora che quanti si impegnarono sul fronte della pace anche durante il decennio in Jugoslavia hanno comminato in questa direzione e dato un contributo fondamentale; sebbene sconfitti, per la storia ufficiale.

FRANCESCO PUGLIESE

CAROVANE PER SARAJEVO

Promemoria sulle guerre contro i civili, la dissoluzione della ex Jugoslavia, i pacifisti, l’Onu (1990-1999)

MIMESIS, 2015

www.mimesisedizioni.it

Francesco Pugliese, docente e pubblicista, si occupa di ambientalismo e storia dei movimenti pacifisti e di opposizione popolare alla guerra. Tra le sue ricerche: I giorni dell’arcobaleno. Diario-cronologia del movimento per la pace, settembre 2002 - giugno 2003, Prefazione di Alex Zanotelli, Trento, 2004; Per Eirene. Percorsi bibliografici su pace e guerra, diritti umani, economia sociale, Forum trentino per la pace e i diritti umani, Trento, 2007; Il movimento dei Partigiani della pace e le sue manifestazioni in Umbria; numero speciale curato da Luciano Capuccelli, Per la Pace. Movimenti, culture, esperienze in Umbria 1950-2011, Perugia, 2012; In cammino per la pace. Persone e movimenti contro la guerra, Provincia Autonoma di Trento, 2013; Abbasso la guerra. Persone e movimenti per la pace dall’800 ad oggi, Trento, 2013; con la Mostra omonima itinerante, Manifesti raccontano… le molte vie per chiudere con la guerra (con Vittorio Pallotti), Prefazione di Peter van Den Dungen e Joyce Apsel, Trento, 2014.

riflessioni su di una storica visita alla Glashütte Riedel a Kufstein

Di Urano Cupisti

 

1ovvero esaltare le qualità organolettiche specifiche di ciascun vitigno con calici studiati nella forma in una concezione stilistica raffinata ma essenziale. L’intuizione di Claus Riedel, “attizza il fuoco e non salvare le ceneri”. Siamo nel 1961, Claus rappresenta la 9° generazione, viene stampato il primo catalogo di quei calici che segnarono e segnano attualmente la cultura mondiale di “come bere il vino”.

Nel 1973 il lancio di Sommeliers , la vera svolta, il trionfo del concetto “rendere giustizia al vitigno con un calice adeguato”.

Quando Christoph Riedel nacque nel paesino boemo di Neuschloss, siamo nel 1678, nessuno avrebbe potuto prevedere che in quell’anno sarebbe nata la dinastia dei Riedel, la stirpe della più grande azienda produttrice di cristallo al mondo dedicato al Vino (calici e decanter)”.

Rileggendo gli appunti presi nell’incontro con Maximilian Riedel (11° generazione) avvenuto quest’estate presso la Glashütte di Kufstein, nell’Alto Tirolo austriaco, emergono tre elementi “portanti” che identificano il Marchio e la Presenza Riedel nel mondo: “le radici”, “l’imprenditorialità”, “lo stile”.

Le Radici. Storia scritta e narrata da quel lontano 1678 ad oggi attraverso fughe dalle guerre, costruzioni di fabbriche e testimoni delle loro distruzioni, fughe dai vari regimi fino all’incontro con la Famiglia Swarovski: l’inizio della storia della Glashütte di Kufstein.

L’Imprenditorialità. D7eterminazione, spirito innovativo, abnegazione, lungimiranza, successo. Fiutare al momento giusto (oggi diremmo investimenti nelle nuove tecnologie) il grande potenziale della soffiatura del vetro a macchina. Acquisire realtà produttive come la Spiegelau e la Nachtmann e precorrere i tempi.

Lo Stile. Quello inconfondibile Riedel. Eleganza e allo stesso tempo sostanzialità, concisione, essenzialità. E nello stile il viaggiare in tutto il mondo a tenere banchi-laboratori di degustazione con sommeliers ed intenditori di fama internazionale per dare origine e vita ai calici e decanter Riedel. Unici.

Unici come “superleggero” l’ultimo nato: inatteso incontro, eccitazione nel toccarlo, emozione nell’usarlo. E mai come in quell’istante le parole di Maximilian sono echeggiate nella loro veridicità:

Per esprimere al meglio ogni stile di vino un unico calice non basta. Il bouquet, il sapore, l’equilibrio e il finale di un vino sono tutti sensibili alla forma del calice in cui il vino viene servito. Lo stile delle forme dei calici Riedel è mirato ad esaltare il profilo aromatico d’insieme di uno specifico stile di vino, valorizzandone le qualità organolettiche”.

Oggi nella Glashütte di Kufstein c’è una capacità produttiva di 250.000 pezzi all’anno. Rappresenta la tradizione 2(soffiatura a bocca), l’artigianalità, la storia. La sua visita, a partire dalla idilliaca cittadina di confine Kufstein con la sua fortezza che predomina su una piccola altura “la perla del tirolo” (grazie ad una canzone tedesca dedicata alla città. Ma questa è un’altra storia) ti lascia qualcosa dentro che porti con te nei ricordi. Consapevoli che tutto è reso posiibile (economicamente parlando) dalla notevole rimanente produzione assestata intorno ai 55 milioni di pezzi annui che escono dalle tre glashütte bavaresi di Frauenau, Amberg, Weiden.

Nella sala di rappresentanza, mentre Maximilian Riedel parla, osservo, scruto, penso. Una cattiva notizia mi coinvolge: il tempo a disposizione è terminato. Troppo in fretta?. La buona notizia viene in soccorso: ho acquisito il suo valore nell’impiegarlo. Grazie Maximilian.

   Il Sig. Maxmillian Riedel  

 

 

di Franco Libero Manco

 

Credo che il mangiar carne sia la prova del fuoco per chiunque parli di giustizia sociale, di solidarietà, di pace, di amore per il prossimo, di

tutela dell’ambiente, di economia, di in un mondo senza soprusi, egoismi, malattie, violenza, miseria… Se questa persona usa mangiare la carne per solo piacere gastronomico, questa vive una tremenda contraddizione perché causa i problemi che teoricamente vorrebbe abolire.

 

Immaginiamo i personaggi più noti: il Papa, il Presidente della Repubblica, del Consiglio, esponenti politici, presidenti Ong, opinionisti televisivi, direttori di giornali ecc. mentre in televisione elargiscono consigli su come rendere più giusta la società. Se questi considerano lecito e giusto mangiare il corpo di animali allevati per essere uccisi per il piacere del loro palato allora, oltre ad evidenziare la loro  incoerenza, si riduce drammaticamente il loro spessore morale e la loro sfera percettiva. Se sono consapevoli degli effetti prodotti allora sono persone insensibili alla sofferenza che producono e quindi inadatte a cariche pubbliche; se invece non sono consapevoli dei danni causati da questa scellerata scelta alimentare, che causa malattie, inquinamento, distruzione dell’ambiente, fame nel mondo… allora la mancanza di conoscenza non li rende idonei ad essere leader.

 

Questi personaggi, ai quali sembra stia a cuore il bene del popolo, si ritroveranno a cena con nel piatto le spoglie di un agnello, vitello, pollo o aragosta: animali sacrificati per deliziare il loro palato, diversi da noi solo nella forma; per cui masticare le loro parti anatomiche è un pò come mangiare un nostro simile. Questi personaggi ai quali sicuramente scarseggia la sensibilità umana, il senso della giustizia, la capacità di comprenderne gli effetti prodotti, non possono essere considerati adatti a ricoprire il loro ruolo.

 

Ma la coerenza è prerogativa dei grandi spiriti. E un leader incoerente non può mai essere affidabile. La coerenza vorrebbe che chi ritiene giusto mangiare la carne uccidesse con le proprie mani l’animale (immaginare uno di questi personaggi sporchi di sangue perché intenti ad uccidere un vitellino, un maiale o un pollo sarebbe una dimostrazione di coerenza). Se invece rifiuta l’operazione ritenendo sia un’azione crudele, raccapricciante, ripugnante, e delega altri a commettere ciò che in prima persona non ha il coraggio di compiere, allora è persona pavida, ipocrita perché accetta gli effetti di un atto che condanna, solo perché questo gli procura piacere.

Il magistrato, il giudice che fa della giustizia il suo vessillo, se mangia la carne causa ad un essere innocente l’ingiustizia suprema della violenza e della morte e quindi non può essere adatto al suo ruolo, dal momento che l’ingiustizia e la sofferenza non varia a seconda della vittima. Se non considera la vita dell’animale che ha nel piatto, se non dà valore alla sofferenza causata, se usa differenziare vita da vita, dolore da dolore, ingiustizia da ingiustizia non è in grado di capire che è proprio questo ciò che inclina l’essere umano ad ogni violenza e ad ogni ingiustizia nei confronti dell’uomo.

 

Il politico che legifera per la buona economia e mangia prodotti animali ha percezioni limitate se non si accorge che l’alimentazione carnea triplica il costo della vita dei cittadini; che il pericolo maggiore non viene dalla disoccupazione o dall’evasione delle tasse ma di ciò che porta a tavola la popolazione. Se non sa vedere l’impatto devastante degli allevamenti di animali da macello sulla vita personale collettiva, se non è a conoscenza che per produrre 1 kg di carne di manzo sono necessari 50.000 litri di acqua, 9 litri di petrolio, 15 kg di cereali e che occorre sacrificare 12 mq di foresta e che questo kg di carne di manzo genear 36 kg di anidrite carbonica, se non tiene conto di tutto questo non è adatto al suo ruolo.

Il prete che giustifica la supremazia dell’uomo sul creato, che trascura il dolore degli altri esseri viventi, che benedice la strage di animali, che sale sull’altare con nello stomaco i resti di un animale ucciso per il piacere del suo palato, non è adatto al mondo dello spirito. Il prete che tanto generosamente si presta ad aiutare i poveri dando loro da mangiare i corpi di animali assassinati ha la vista corta se non si accorge che è proprio da questa indifferenza verso le creature innocenti, che urlano inascoltate, che si genera la miseria morale e la fame sul pianeta. Come può la Chiesa pensare di liberare il genere umano dalla violenza se autorizza gli uomini ad esercitare ogni forma di crudeltà nei confronti di miliardi di animali innocenti? Come può lottare contro la fame nel mondo se sono proprio gli allevamenti di animali e la produzione di mangimi i massimi responsabili di tale flagello?

Ne hanno fatta di strada i tre tenori de “Il volo” da quando sono saliti sul palco di “Ti lascio una canzone” il programma condotto da Antonella Clerici, che li ha resi noti al pubblico televisivo e non solo. Gianluca Ginoble, Ignazio Boschetto e Piero Barone sono ormai un trio consolidato amato ed apprezzato in tutto il mondo e dopo la vittoria al Festival di Sanremo 2015, hanno visto crescere la loro popolarità in modo vertiginoso. A conferma del grande successo il doppio platino dell’album Sanremo Grande Amore, il platino del singolo stesso, i sold out del tour estivo e la conquista delle prime posizioni nelle classifiche. E’ prevista per il 25 settembre l’uscita dell’album “L’amore si muove” che sarà anticipata dal singolo omonimo proprio in questi giorni di fine agosto.Nel 2016 i ragazzi de Il Volosaranno impegnati con il tour “IL VOLO 2016 LIVE NEI PALASPORT”. Tra le tappe già confermate il 15 gennaio al Nelson Mandela Forum di Firenze, il 16 gennaio al Palalottomatica di Roma, il 20 gennaio al Pala Maggiò di Caserta, il 21 gennaio al Pala Florio di Bari, il 23 gennaio al Palasport di Acireale (CT), il 26 gennaio all’Unipol Arena di Bologna, il 27 gennaio al Pala Alpitour di Torino e il 29 gennaio al Mediolanum Forum di Milano. I tre giovani talenti in questi ultimi anni si sono esibiti in tutto il mondo, acclamati negli Stati Uniti, hanno cantato con star internazionali come Quincy Jones, Celine Dion, BarbraStreisand per citarne alcuni. Con il nuovo progetto discografico tornano a raccontare l’amore, un amore che si muove e che sembra essere la chiave di un nuovo ed importante successo di respiro internazionale.

Michela Zanarella

August 29, 2015

Il consociativismo regna indisturbato dal dopo guerra in poi né, a tutt’oggi, si intravedono cambiamenti. Mandarinati della politica c’erano allora, mandarinati ci sono ora, cambiano le facce, per via dell’età, ma il minuetto e i giri di valzer sono sempre gli stessi. Si litiga per finta in pubblico e ci si accorda in privato: una poltrona a me, una a te, una all’amico degli amici e tutti vissero felici e contenti. Il meccanismo è talmente ben organizzato, oliato, strutturato e consolidato che risulta quasi impossibile cambiarlo. I comitati d’affari dietro le sbandierate ideologie prosperano oggi, come allora, e di soldi ne scorrono tanti, peccato siano i nostri. Una scarpa prima e una dopo il voto, parodiava il buon Totò: sanno bene che quelle scarpe li eleva dai miseri mortali. I tempi sono cambiati e oggi per appartenere alla casta ci vuole ben altro: posti di lavoro fittizzi, scatole vuote per sistemare elettori fedeli, parenti, bisogna concedere affitti di beni pubblici a prezzi irrisori, e chi più ne ha più ne metta. A destra è di moda la promessa di far pagare meno tasse, parola magica. Oramai però la coperta è corta, tanti soldi non ce ne sono più e mentre s’ingozzano a noi miseri promettono, promettono, promettono …: pontificano, i media fanno da eco, e noi inseguiamo nei sogni le loro promesse.

 

Intanto il popolo piange, cerca di salvarsi: non è vero che si vota in base all’ideologia, si vota in base al proprio tornaconto, un esempio per tutti: il comune di Roma ha 42 mila alloggi dati in affitto che molte volte non si riesce a capire neanche a chi, dato che l’intestatario potrebbe abitare in una casa di proprietà della o del consorte e subaffittare a prezzi, questa volta di mercato, l’appartamento assegnato. Ebbene, il prezzo medio percepito dal comune di Roma per ognuno dei suoi 42 mila alloggi è, in media, 7 euro al mese, si, avete letto bene, 7 euro. Ecco uno dei tanti sistemi per comperate i voti. Immigrati, appalti, costruzioni faraoniche, consulenze truffa, tutto è utile pur di mantenere e incrementare l’apparato di partito, sono arrivati al punto di mettere mafiosi nella commissione che dovrebbe indagare sulla mafia, l’antimafia, inutile dilungarsi, tant’è l’evidenza. Destra o sinistra, non ha importanza chi governa, un accordo (dicono per il bene del Paese) per mantenere poltrone e privilegi lo si trova sempre.

 

Come dicevamo, la coperta è corta, non ce n’è più per tutti, hanno divorato tutto, quindi, o il popolo o i sedicenti onorevoli dovrebbero rinunciare a qualcosa. Il popolo ha già dato e non può più dare, la classe politica che dovrebbe dare a sua volta fa finta di non capire, continua a parlare in nome di un popolo che non si sente più rappresentato, anzi preso per i fondelli. Continuano a farlo con le poltrone incollate, forti che le leggi le fanno loro,  perfino ad personam, si sentono in trincea, boia chi molla, i privilegi sono una loro conquista. Sarebbero guai se il popolo si accorgesse del teatrino che inscenano da più di mezzo secolo, il guaio è che la gente se n’è accorta; Renzi , l’affabulatore, è una delle ultime carte rimastegli per salvare il salvabile (dal loro punto di vista); gli apparati di partito sono macchine voraci di danaro, se finissero in bancarotta crollerebbe il sistema, dovrebbero fare le valige. Caro Renzi, caro Berlusconi, caro Alfano, caro Salvini, e cari tutti, cari maghi delle parole e delle promesse mancate, se vogliamo giocare a fare sul serio incominciate a mandare a casa i pupazzetti della massoneria, dell’Opus Dei, delle multinazionali, degli ordini professionali, della Compagnia delle Opere, del Bilderberg, della Nato, delle banche, della mafia, della camorra, dei sindacati, ammesso che non siate voi stessi messi lì come pupazzi pompati da chi sa chi (noi una mezza idea ce l’abbiamo), incominciamo a togliere i finanziamenti all’editoria, ai vostri servi,   e lasciate fare informazione ai veri servitori della società civile. Credo non vi convenga, sparireste subito dalla circolazione.

 

Virgilio Violo

 

Frammenti che orbitano qua e là, individuati, carpiti; li commento e condivido con voi.

Riflessioni

Non tutti gli Italiani lo sanno

La carne bianca contiene poco ferro. Uno dei tanti luoghi comuni secondo cui è il colore della carne a determinare la quantità di ferro e proteine e di conseguenza solo le carni rosse ne hanno in abbondanza. Nella realtà le carni di pollo e tacchino contengono ferro e R 136279120 pollo arrostoproteine quanto quelle “rosse”. La differenza è data solo dalla presenza della “mioglobina” che incide dal punto di vista cromatico e non nutrizionale. Il Prof. Giorgio Calabrese, docente universitario ben conosciuto dagli Italiani per le sue continue apparizioni in TV, recentemente ha emesso la sentenza: Non esistono differenze dal punto del contenuto in proteine o in ferro che possono far preferire un tipo di carne ad un’altra. Il ferro c’è in tutte le carni, il colore non centra niente. E allora “POLLO E TACCHINO A VOLONTÀ e mi raccomando “non lavateli” prima di cucinarli; quello che conta è cuocerli bene perché è la cottura che elimina tutti i microorganismi che possono causare problemi alla nostra salute.

Frammento n. 1

urano alois 1Degustare e Acquistare in cantina: l’enoturismo risolve in parte la crisi delle vendite.

Il rapporto diretto con il produttore, capirne il lavoro e la passione che stanno dietro ad ogni bottiglia di vino, sta diventando sempre più importante nelle scelte di acquisto del wine lover. È quanto è emerso da una indagine di “wine2wine”, l’osservatorio di Vinitaly. Sei cantine su dieci si dichiarano soddisfatte di questo canale di vendita. Se poi aggiungiamo che oggi le Aziende Vinicole di tutte le dimensioni offrono anche l’offerta di Agriturismo eccellente il risultato non può che essere più che soddisfacente. La sfida è fidelizzare; mantenere il contatto facendolo diventare un motore di promozione. Internet, con i giusti strumenti, è il “grande alleato”. “Spazio senza confini”, fatto di commenti da stimolare e a cui rispondere. E il cerchio si allarga con i Blog per le ricerche in rete degli enoappassionati. (fonte Vinitaly wine2winw)

Frammento n. 2

oktoberfest festa birraBirra tra successi e preoccupazioni.

Nel 2014 la birra ha registrato un +2% rispetto al 2013 in termini di produzione. Questo il successo.

Il contesto fiscale non favorevole la preoccupazione.

Il settore può tornare ad investire solo in presenza di un cambio di rotta tendente a diminuire le accise. La forte spinta data dai micro birrifici artigianali negli anni passati si sta esaurendo sotto i colpi dei sempre più alti livelli di tassazione. Non solo minore occupazione nel settore ma, ciò che più spaventa, è la “normalizzazione” nella qualità. Birre sempre più uguali tra loro, senza anima.

Frammento n. 3

Lo Scalogno di Romagna? Ne aglio ne cipolla.

Inserto Scalogno 2015La Fiera dello Scologno IGP di Romagna si è tenuta nel mese di luglio nel centro di Riolo Terme con tutti i contenuti di una Fiera di settore: la presenza dei produttori, i ristoratori che hanno proposto pietanze a base di Scologno e la Pro Loco a promuovere il “piccolo bulbo”. E a contorno non sono mancati musica, spettacoli e intrattenimenti. Fiera a 360°.

Ne aglio ne cipolla, solo Scalogno. Questo il messaggio della comunicazione. Mai così azzeccato, parola di Chef. Quel bulbo di piccole dimensioni, appartenente (per la cronaca) alla famiglia delle “liliacee”, dal colore violaceo, avvolto da una pellicola esterna con diverso colore che va dal ramato al rossastro, il “solo” protagonista sacrificato nella quattro giorni delle Terre di Faenza, per impreziosire il risotto, i tagliolini, le frittate e nella funzione di aromatizzatore degli arrosti.

Frammento n. 4

IT footerVino a Taste of Italy all’Expo. Il Golosario

Dal momento che dovrò ri-tornarci cercherò qualcosa che mi incuriosirà. L’Eretico del Vino alla ricerca del cambiamento, dell’innovazione del bere bene. Ed allora avanti con il Stupujtime (ovvero di stappare!), il format innovativo inventato dall’Architetto Stefano Boschini. Si tratta di un modello “enoico-itinerante”, un vero e proprio assaggio diffuso, composto da una serie di appuntamenti dedicati alle eccellenze del territorio. Milanoland mi ri-attende per la visita alla “giostra” dei Wine bar. Quale scegliere tra coloro che magari hanno pagato “uno stonfo” per essere presenti e partecipi al “confronto con il problema del nutrimento dell’uomo e della terra, il grande tema portante dell’Expo?”. MILANOLAND mi ri-attende; ri-andrò!

Osservo, scruto, assaggio e…penso. (urano cupisti)

August 12, 2015

In un paese dominato ormai da caos, criminalità, disoccupazione e incertezze, almeno un punto fermo lo abbiamo: in Italia i soldi ci sono, e anche parecchi. Ma sono distribuiti male. Quando non sono in mano alle mafie (ogni giorno vengono sequestrate decine di milioni di euro a boss, politici collusi e criminali), quando non vengono gettati dalla finestra per finanziare appalti truccati o opere inutili (tanto per dirne una: costato finora 470 mln, l’assurdo resort in Sardegna, che avrebbe dovuto ospitare il G8 prima che un Berlusconi già allora in preda al delirio decidesse di spostare tutto all’Aquila, sta ancora lì a marcire).

Per fortuna talvolta salta fuori una voce dal coro, in questo caso Fausto Scandola ha deciso di andare controcorrente, contro l’omertà e l’inerzia tipiche del nostro Paese, e ha iniziato a indicare la luna, anche se poi quasi tutti sono rimasti intontiti a fissare il dito. Già tra i dirigenti della Cisl, Scandola ha rivelato la settimana scorsa un dossier con le esatte cifre degli stipendi delle teste coronate del sindacato: nomi, cognomi e numeri che hanno scosso il popolo e i dirigenti della Cisl, facendo parecchio incavolare il primo e indignare i secondi. Per inviare il dossier, Scandola ha utilizzato delle mail, troppe mail, talmente tante che ai piani alti della Cisl sono caduti dalle nuvole e hanno reagito nel modo tipico delle lobby nostrane: allontanando il sindacalista.

Nell’Italia della disoccupazione e della crisi, Scandola ha pubblicato dei dati che, se non fossero offensivi nei confronti degli italiani che la crisi la sentono eccome, sarebbero quasi tragicomici. Si va da Valeriano Canepari, ex presidente CISL Caf Nazionale, che nel solo 2013 ha preso circa 97 mila euro di pensione. Di pensione, non di stipendio, e visto che non erano sufficienti per affrontare le spese quotidiane ci si aggiungevano i 192 mila euro della Usr Cisl Emilia Romagna, sfiorando in tal modo i 300 mila euro. Passando per Ermenegildo Bonfanti, segretario nazionale Fnp Cisl, che si mette in tasca 225 mila euro in un anno, dei quali 143 mila di sola pensione. Fino ad Antonino Sorgi, presidente nazionale dell’Inas Cisl, che solo lo scorso anno si è preso 78 mila euro di pensione, 100 mila di compenso Inas e 77 mila come compenso di Inas Immobiliare, superando nell’insieme i 250 mila euro. Il tutto da un sindacato che pretende di farsi portavoce dei diritti dei lavoratori, degli immigrati, degli artigiani, della gente comune, e che già in passato aveva dato prova di non essere un ritrovo di santi. Raffaele Bonanni, ex segretario generale della Cisl, lasciò infatti l’incarico tra numerose critiche: sembra si fosse dato una ritoccata allo stipendio poco prima di ritirarsi, allo scopo di far lievitare l’assegno di pensione. Una storia che allora mise la pulce nell’orecchio di Scandola e che, unita alle segnalazioni anonime di alcune persone e al fatto che molti sindacalisti aderiscono al Cnel (dove i redditi sono pubblici), lo ha portato oggi a scoperchiare il vaso di Pandora dei mega stipendi dei colleghi.

Una volta svegliati dal torpore istituzionale grazie alle rivelazioni di Scandola (che nel frattempo ha preso le vie legali contro la sua espulsione), i pezzi grossi della Cisl, visti intaccati i loro privilegi, hanno immediatamente reagito nel modo più elegante e consono alla casta: espellendo il sindacalista, ma anche provando in qualche modo a giustificare gli stipendi. Qualcuno (Canepari) ha anche candidamente affermato che il suo compenso era da considerarsi solo come il costo aziendale finale, che assestava il suo stipendio, poverino, alla pur dignitosa cifra di 5800 euro mensili. La stessa Annamaria Furlan, attuale segretario generale del ritrovo di santi, non ne è uscita indenne: già nel 2008 si portava a casa 99 mila euro l’anno, che ora potrebbero arrivare a un tetto massimo di 114 mila, ai quali si aggiunge, per le spese extra, un 30% di indennità varie. Parliamo della stessa Furlan che sulle pagine de «La Nazione» affermava, in un esercizio di (speriamo involontaria) comicità, che «Per recuperare i livelli occupazionali antecrisi di questo passo impiegheremo almeno vent’anni». Almeno, ma forse anche trenta, o quarant’anni, o forse non ne usciremo mai, finché certa gente continuerà a prendere stipendi tali ai cui nemmeno Barack Obama arriva.

Emiliano Federico Caruso

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