L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni.

Kaleidoscope (1389)

Free Lance International Press

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Non v’è nutrizionista che in televisione non esalti e raccomandi l’adozione della dieta mediterranea come la più salutare che ha collocato al secondo o terzo posto l’Italia per longevità (che non sempre è sinonimo di benessere). L’elenco delle sostanze alimentari considerate sono: frutta, verdura, cereali, legumi e pesce. E considerando che il pesce non è un alimento necessario alla salute umana (come testimonia l’eccellente salute dei vegetariani), e considerato che le stesse popolazioni mediterranee ne facevano un uso relativo, praticamente quando si parla di benefici della dieta mediterranea implicitamente si sta parlando di dieta vegetariana; ma certi nutrizionisti se ne guardano bene dal farsi fautori di tale dieta, dal momento che considerano i prodotti animali come necessari alla salute umana.

Ma anche il saltuario consumo di prodotti di derivazione animale (in tempi in cui era già tanto riuscire a sfamarsi), incideva (ed incide) negativamente sulla salute umana, anche se i prodotti erano genuini, per il semplice fatto che restano pur sempre prodotti incompatibili con la nostra natura. I benefici della cosiddetta dieta mediterranea derivano dalla riduzione del consumo di prodotti animali secondo la regola inversamente proporzionale: meno se ne usano e più aumenta la salute.

Inoltre, quella comunemente considerata dieta mediterranea non è mai stata la dieta dei popoli contadini perché oltre a frutta, verdura, cereali, legumi e pesce hanno sempre consumato anche uova da cortile, latte delle pecore o mucche e formaggio. La carne era relegata a ricorrenze festive. Ma i nutrizionisti, oltre alla frutta, verdura, cereali, legumi e pesce raccomandano sempre anche un “moderato” consumo di carne, di formaggi e naturalmente di uova. Praticamente nella sostanza propongono la solita dieta convenzionale la cui unica raccomandazione è appunto la riduzione della sempre accusata carne, nonostante la nostra televisione di Stato la pubblicizzi giornalmente e inviti al consumo.

Tutto questo genera confusione nella popolazione sempre più confusa in fatto alimentare. Ma, si sa, l’intento è sempre quello di non turbare il sonno della popolazione che non intende rinunciare al piacere gastronomico anche a costo di gravi patologie correlate al consumo di prodotti animali, ma soprattutto perché questo metterebbe in pericolo i guadagni delle lobby zootecniche, degli allevatori e macellatori che devono pur lavorare, anche a costo di una pandemia planetaria.

Giugno 2013, Vinexpo di Bordeaux. Il mio primo approccio con l’allora progetto “La Cité des Civilitation du Vin” come “Città di Civiltà”. Un plastico in esposizione all’ingresso mi incuriosì, mi conquistò ancor prima di affascinarmi. Quella costruzione a “decanter” sulla riva gauche della Garonne, là all’entrata des Bassins, il porto vecchio di Bordeaux.

Scrissi allora, al ritorno dalla Esposizione bordolese:” Ne museo ne parco a tema ma un luogo da vivere in una continua scoperta culturale, scientifica e intrattenimento educativo. Il Vino come elemento magico, mitologico, sacro. Simbolo di ospitalità e, allo stesso tempo, di condivisione: l’incontro di civiltà”.

PontonA corredo del plastico i tempi di realizzazione. Inizio lavori 2011 (progetto, acquisizione dei terreni, inizio costruzione), consegna fine marzo 2016. Il ritardo sui tempi previsti sarà di 60 giorni. Infatti il 1 giugno 2016 ci sarà l’inaugurazione alla presenza delle più alte cariche dello Stato francese, Presidente della Repubblica compreso.

Scrissi allora:” Le note dei due architetti, Anoux Legendre e Nicolas Desmazières, descrivono l’opera partendo da due elementi precisi: un ceppo di vite e il movimento del vino all’interno di un calice da degustazione. L’incontro di questi due elementi in un abbraccio dalle curve arrondies (arrotondate). Una rievocazione non del vino ma della sua anima”.

Gloria, gloria a Dionisio! Una Menade nuda (baccante del Dio greco) ci ricorderà “la frenesia estatica e invasata”. Mito, leggenda, tradizione. La Città delle civilizzazioni del Vino. Un percorso nel tempo fino alla realtà dei nostri giorni.

162 ettari ricavati all’ingresso dei “Bassins à flots”, tutto inserito in un più vasto progetto urbanistico definito “Eco-Quartier résidentiel”.

55 metri d’altezza con all’estremità superiore un “ristorante” belvedere a 360° dove ammirare, in senso orario, la Garonne, la Città di Bordeaux e tante tante vigne dell’Haut-Medoc.

Una costruzione di vetro e alluminio che rifletterà il cielo, le acque della Garonne e la Città di Bordeaux. Tutt’intorno alberi a ricordare la cultura della vinificazione, dei tonneaux, delle barriques. Ed infine una grande vigna “selvaggia” per ricordare le origini.Tour du monde des vignobles CREDITS Casson Mann Agency Cité des civilisations du vin

Universalità la parola d’ordine. Concerti, incontri, dibattiti in un Auditorium di 750 mq per 250 posti a sedere, sei sale di degustazione e ambienti ludici per adulti e bambini.

Non solo cultura e vini francesi ma porte aperte a tutte le regioni vinicole del Mondo.

Ma soprattutto quell’accesso multimodale previsto lungo la Garonne che permetterà, vista la posizione strategica, una interazione con le zone vinicole dell’area Bordeaux.

Sautèrnes, Graves, Medoc, Saint-Émilion, Pomerol, Entre-deux-Mers saranno raggiungibili con navette fluviali che risaliranno la Garonne, la Gironde e la Dordogne per una interazione con le più conosciute aree vitivinicole.

Il costo dell’intera opera si aggira intorno a 83 milioni di Euro principalmente forniti dalla Municipalità di Bordeaux (38%), dall’Unione Europea (15%), Comunità urbana di Bordeaux (10%), Consiglio dei Vini di Bordeaux (7%) ed il resto dai più grandi Châteaux della zona.

Sono previsti 450.000 visitatori all’anno per incrementare il turismo enologico che già conta numeri da capogiro. Basti pensare che nell’ormai lontano anno 2000 si contarono visitatori pari a 2.000.000 (duemilioni) saliti nel 2015 a 6.000.000 (seimilioni) con benefici per tutta la Regione Aquitania.

“ Con la Città del Vino vogliamo attirare ancor più visitatori. Siamo consapevoli che, per raggiungere questo successo, necessitano interventi e grandi progetti in appoggio per lo sviluppo del turismo del Vino” Parole di Alain Juppé, Sindaco di Bordeaux.

Non un Museo; sarà una città di attività culturali.

Il piano terra sarà l’occasione per fare un giro del mondo tra i vigneti esistenti utilizzando schermi giganti. Un grande tavolo touch-screen presenterà una cinquantina di vignerons che lavorano in dieci regioni del mondo.

Al primo piano mostre temporanee di opere d’arte e una galleria delle civilizzazioni del vino con documenti a partire dall’Antico Egitto, attraverso l’Antica Grecia arrivando alla fine del XVIII secolo.

Uno spazio sarà dedicato all’abuso dell’alcool. I dati invitano alla prudenza e “bere consapevole” è la parola d’ordine.

Appuntamento al 1 Giugno 2016 per l’inaugurazione della Cité du Vin e la consacrazione della città di Bordeaux come Capitale Culturale Mondiale del Vino.

 

March 05, 2016

Informazione a servizio della casta. Sono anni che denunziamo lo “scempio” che viene fatto dell’informazione in Italia. In una corretta democrazia l’informazione dovrebbe essere libera, al servizio dei cittadini, non controllabile tranne che dal codice penale: da noi avviene esattamente il contrario. In Italia non c’è mai stata libertà di informazione. I finanziamenti pubblici allettano gli editori, e pure tanto, specialmente quando di milioni ne vengono sganciati a piene mani. I politici lo sanno, sanno che sono la loro sopravvivenza, e da compassati maestri ne promettono e danno tanti, devi essere però amico dell’amico altrimenti “niet”, non se ne parla proprio, sono in gioco il tenore di vita, i privilegi, le amanti ed il potere. Chi potrebbe avallare tutto ciò se non l’informazione?

Grazie ai soldi del 'nuovo' canone Rai, si finanziano anche gli editori. Un disegno di legge rivede i criteri di finanziamenti pubblici destinati al settore editoriale, inserendovi anche i proventi dell'imposta/canone Rai. Per ora l'uovo e' stato preparato alla Camera, poi passerà al Senato e, per certe cose -si sa- i tempi sono spediti.

In un’audizione alla commissione Cultura della Camera, lo scorso 26 gennaio, il direttore della Fieg (Federazione Italiana Editori Giornali) aveva espresso parere positivo sul Fondo per il pluralismo e l'innovazione dell'informazione e le deleghe al governo per la ridefinizione del sostegno pubblico all'editoria (più soldi nostri per i loro associati); ed aveva chiesto che una quota delle maggiori entrate che si dovessero verificare dal pagamento del canone Rai in bolletta elettrica sarebbero dovute andare all'editoria, cioè anche alla carta stampata, nell'ottica del pluralismo dell'informazione.

C’era da scommettere che il disegno di legge venisse subito approvato! Anche perchè grossi appuntamenti elettorali bussano alla porta. Tra le varie fonti dei fondi per finanziare il tutto, e' prevista una quota, sino ad un massimo di cento milioni, delle eventuali maggiori entrate versate per il canone tv (maggiori rispetto alla cifra fissata -1,7 miliardi all'anno per il periodo 2016-18- che il Governo ha previsto... lasciando un “buco” per il dopo). Così, grazie ai soldi del 'nuovo' canone Rai, si finanziano anche i 'nemici'.

Esclusi da questi benefici i giornali di partito e sindacali (non ci crediamo!), nonché quelli quotati in Borsa e quelli di carattere tecnico, aziendale e scientifico. L'aspetto più interessante e sintomatico è quello dei beneficiari, incluse le testate online, che potranno continuare a campare anche se sono letti e seguiti dai loro “intimi”: imprese con prevalenza di capitale di cooperative; fondazioni o enti no-profit; giornali di minorane linguistiche o in italiano diffuse all'estero: giornali per nonvedenti e, -potevano mancare?- i giornali delle associazioni di consumatori iscritte in apposito elenco (immaginiamo sia il CNCU - Consiglio nazionale consumatori e utenti, istituito presso il ministero dello Sviluppo Economico e a cui sono iscritte la quasi totalità delle associazioni che, di riffa o di raffa, prendono soldi dallo Stato eccezion fatta per L’ADUC che per sua scelta ha deciso di non prendere soldi). Associazioni che proprio in questi giorni, in passato -e presumiamo anche in futuro- “tuonano” contro l'imposta/canone, alcune addirittura vaneggiando di impossibili class action (le class action non si possono fare in materia fiscale) per non pagarlo.
Cosa c'è di meglio -nella logica e nel diritto- che farsi pagare per parlare male del tuo pagatore: si vuole che così sia per garantire quello che viene chiamato pluralismo... basta che sia fine a se stesso e non dia fastidio al “manovratore”.

Gabriele Garagnani, associato Flip, appassionato di arte contemporanea, in occasione del temporaneo ritorno della Madonna della Cintola di Benozzo Gozzoli a Montefalco (PG), “debutta” con l’arte antica. Oltre all’articolo sulla mostra, ne ha realizzato un video. Protagonisti, naturalmente, Montefalco e i dipinti di Gozzoli, la pala raffigurante la Vergine e gli affreschi della chiesa di S. Francesco, sede del complesso museale.


Nel video, con la consueta maestria e disponibilità, il Professore Antonio Paolucci, Direttore dei Musei Vaticani, dove la pala è solitamente conservata, ne illustra le immagini. Intervento d’eccezione, sempre nello stesso video, quello del Sindaco di Montefalco, Donatella Tesei.
Il girato, prodotto con le più moderne tecnologie in alta definizione, è stato presentato ad una ristretta cerchia di addetti ai lavori e autorità. Oltre al

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 Foto Egisto Catalani

Professor Paolucci e al Sindaco Tesei con il suo staff, erano presenti la restauratrice della pala del Gozzoli, dottoressa Adele Breda, la dottoressa Lucina Vattuone, responsabile dell’Ufficio Stampa dei Musei Vaticani, la direttrice del Museo di Montefalco Serena Marinelli con lo staff, il Direttore del Museo Diocesano di Terni, don Claudio Bosi e il Presidente della Free Lance International Press, Virgilio Violo.


Alla presentazione è seguito il brindisi con buffet di dolci, della squisita accoglienza si è occupata la Signora Gianna Garagnani insieme alle figlie Letizia e Maria Gabriella.

Numa nasce a Firenze nel 1982, muove i primi passi nella musica a otto anni. Da sempre affascinato da Freddie Mercury, sceglie di unire alle sue esibizioni una teatralità che lo distingue, oltre alla voce, è il corpo a diventare elemento fondamentale per trasmettere emozioni. I movimenti e le espressioni sono la chiave di un linguaggio artistico che si completa nella musica. La sua prima esperienza come cantante risale al 1999, il suo animo rock prevale a tal punto da portarlo a far parte di una delle band più in voga nel Mugello, gli SHEAKERMAKERS, un’esperienza di cinque anni che ha contribuito alla sua crescita artistica, tra live, ospitate in radio e tv. Dal 2002 comincia a frequentare l’Accademia Musicale di Firenze prendendo lezioni di canto Jazz e moderno, entra successivamente a far parte di diverse compagnie teatrali e si esibisce in diversi spettacoli e musical. Nel 2009 esce il suo primo progetto discografico ‘Nel mio sguardo’, un lavoro molto apprezzato dalla critica, seguirà un secondo album “POUT/POURROCK!”. Nel 2012 viene nominato miglior Cantante Rock dell’importante evento mediatico SANREMO MUSIC AWARDS. Nel marzo 2015 esce il suo terzo disco ‘Il periodo’, un progetto molto più maturo, dai toni forti, tipici dell’hard rock, dove prevalgono atmosfere dark, e l’artista si trasforma attraverso trucchi appariscenti che lasciano il segno. Considerato uno sperimentatore, dopo anni di duro lavoro, Numa è riuscito a farsi apprezzare per lo stile particolare nel suo genere. Lo incontriamo per una breve intervista.

Emanuele Nardoni in arte Numa, cantautore, insegnante di canto, performer in musical, musicista ecclettico ed anticonformista. Sei considerato unico nel tuo genere, perché riesci ad unire all’hard rock la teatralità, in cosa consiste il tuo fare musica?

“Non so se ce la faccio davvero, considerato che non ho un numero di seguaci così elevato, penso che posso fare molto di più, lavoro ogni giorno per migliorare sia l'uomo che l'artista che è in me.

In ogni caso il pacchetto che ne è esce è l'insieme di tutte le esperienze che ho fatto fino ad ora e la musica che mi piace ascoltare di più, non mi sono mai limitato a seguire un solo percorso, ma mi sono sempre buttato in tutte le esperienze che mi sono state proposte durante il mio percorso, quindi la mia testa si è riempita di tante cose che stanno costruendo pian piano un mio stile. Cerco di conoscermi meglio attraverso la musica.”

Quali sono state le tappe più significative del tuo percorso artistico e che cosa ti ha portato verso questo genere musicale?

“Le tappe più significative, direi senza dubbio il mio primo gruppo rock che mi ha fatto capire che stare su un palco a divertirsi davanti alle persone era una cosa che mi faceva sentire utile e allora ho deciso di provare a farlo ancora, ancora e ancora.

E poi la mia prima esperienza teatrale nel 2006, il primo musical, lì ho cominciato a capire il controllo del corpo e mi sono appassionato alla recitazione e poi ovviamente i vari studi nella scuola di musica. La musica che mi è piaciuta fin da subito, già da bambino amavo il pop/rock, poi la vita diciamo ti consuma sotto tanti aspetti, allora si decide di ribellarsi e sfogarsi, quindi il mio pop/rock è diventato sempre più duro, non abbandonando mai il linguaggio del corpo sul palco.”

Il tuo ultimo album ‘Il periodo’ contiene dieci brani in italiano che ci proiettano dentro al tuo mondo, che cosa è racchiuso in questo progetto discografico?

“Nove canzoni in italiano e una in inglese, questo album ho deciso di farlo così perché uno dei periodi più duri della mia vita è trascorso in parallelo con l'avvicinamento alla musica metal, per frequentazioni anche di ambienti dove si fa metal, e quindi è stato quasi naturale, penso sempre di più che niente avviene per caso...mi guardo indietro e torna tutto.”

Miles Davis disse: “La vera musica è il silenzio. Tutte le note non fanno che incorniciare il silenzio.” Il tuo secondo singolo si riferisce proprio al silenzio. Che significato ha per te?

“Vuol dire che se qualcuno ti guarda senza parlarti non vuol dire sempre che non ha niente da dirti, ma che lo emozioni troppo da lasciarlo senza parole...grosso modo è questo diciamo!”

Divertenti - più che stimolanti – si sono concluse le pur sempre turbolente “giornate di Milano” dedicate alla moda femminile. Su passerelle ed elitari rendez-vous sono state presentate le immagini e i suggerimenti che grandi e piccoli stilisti impongono alla più raffinata eleganza delle fashion victimes del prossimo inverno 2015/2016.
Cosa andrà e cosa non andrà? “In” e “aut” non esistono più: tutto fa moda. Il corto e il lungo, le spumeggianti trasparenze del licenzioso stile malandrino caro alle raffinate cocotte che, attorno agli anni Venti. popolavano quelle famose Case più o meno “chiuse”. Ma tira molto anche lo stile puritano anni Quaranta. Quella moda tristemente autarchica con gonne di stoffa pizzicosa mestamente lunghe alla caviglia e l’orlo a sfiorare

Dsquared women A I 2015 2016 
 Dsquared women

tondeggianti scarponcini con suole carrarmato...


E i tessuti ? Mammamia che confusione ! Certo non sono più per nulla “pizzicosi” : anzi più morbidi e preziosi di così sembra impossibile trovarne! Ma i colori ? E le fantasie ? Da perderne occhi e sentimenti. Le strisce, i triangoli e le righe “(tutto fa brodo!” diceva una vecchia pubblicità televisiva) ma nel “brodo” della moda dell’anno che verrà c’entrano anche i cerchi, i quadrati e persino la cybernetica e le onde gravitazionali che hanno confermato, dopo 100 anni dalla grande intuizione di Einstein sulla Teoria della Relatività, come tutto sia effettivamente “relativo”. Anche sotto il profilo estetico, e del buon gusto, della moda. Oggi non è lo stile a segnare il tempo : è il tempo a segnare lo stile. I tempi che andiamo vivendo sono balordi ? Non ci meravigliamo, quindi, se lo stile e la moda sono altrettanto balordi. Ma dove vanno quelle giovanissime fanciulle in passerella con gonne-slip e corpo in trasparenze che non lasciano neanche un piccolo spazio alla fantasia ? E quando veramente indossano un vestito o presunto tale (tagli da sarta, rifiniture e drittofilo chi sà più che cosa sono?) si fanno trafiggere da fantasie impensabili, con sovrapposizioni e accostamenti stridenti, che fanno girare gli occhi e la testa come trottole.
Eppure questa moda a diversi livelli di osservatori piace. Altroché. Basta leggere, su quotidiani e riviste specializzate, le lodi sperticate – su tutto e tutti – di una grande parte di “severe” critiche di moda che spesso - ahinoi – fanno fatica a distinguere un calzino da una liseuse.


 leonardo di caprio credits steve granitz
 Leonardo Di Caprio veste Armani

Quindi: pollice verso per le passerelle milanesi ? Manco per niente! Per fortuna ci sono ancora (e speriamo durino a lungo) i “grandi” del settore. In grado, anche nelle turbolenze odierne, di fare un cenno o dire una parola che possa fare testo e confermare il ruolo senza uguali che la moda italiana ha nel mondo. Giusto è non fare nomi: né negativi, né positivi. Il consumatore italiano ha gli occhi aperti e il senso dell’estetica ben sviluppato. Quindi sa fare le sue scelte e premiare il merito. In armonia con il successo mondiale della nostra moda. Tipo quella firmata “Giorgio Armani” che ieri sera, nella serata degli Oscar, ha vestito gran parte dei premiati.

Il 29 febbraio prossimo sarà la giornata di celebrazione delle “Malattie rare nel mondo”- “The Rare Disease day”- come accade ormai di consueto da alcuni anni, l’ultimo giorno del mese di febbraio. L’ evento che si celebrerà ovunque nel mondo viene promosso da EURORDIS, una federazione di associazioni non governativa incentrata sui malati che rappresenta 705 organizzazioni di malati in 63 paesi, coprendo almeno 4000 malattie (www.eurordis.org).

I numeri delle “ malattie rare” sono incredibili: 27-36 milioni di persone in Europa e circa 1-2 milioni in Italia. Per rara -lo ricordiamo- si definisce in Europa una malattia che colpisce non più di cinque pazienti su 10.000 abitanti.

Questi i valori numerici che ci danno chiarezza del fenomeno: grave, di nicchia e talvolta- va detto- si verificano casi senza alcuna diagnosi e terapia.

Tra le malattie rare occupano un posto piuttosto importante le immunodeficienze primitive -quasi sempre su base genetica- in cui il sistema immunitario dei malati presenta alcuni difetti degli elementi cellulari o proteici che intervengono nei meccanismi di controllo delle infezioni.

Una malattia tra le più temute tra le immunodeficienze primitive è la SCID (Severe Combined Immunodeficiency Disease): una malattia importante che se diagnosticata in tempo è curabile grazie ad un trapianto di midollo osseo.

Il fattore TEMPO è determinante per questo tipo di malattie: la riconoscibilità immediata della patologia da parte dei medici che possa portare subito ad una diagnosi e poi, alla terapia immediata è fondamentale.

Purtroppo, a causa della difficile individuazione- sono circa 6000 e molte di esse di natura genetica- non sono visibili a tutti.

Alle volte passa molto tempo, anche decenni, per alcuni pazienti e sopravvengono compromissioni pericolose per la salute, talvolta irreversibili.

Individuarle significa fare investimenti nella ricerca e incrementare una cultura dell’informazione.

Su ciò il nostro Paese è ampiamente in ritardo. Le “rare” sono un fenomeno di nicchia, riguardano una percentuale di nicchia di persone e di famiglie e come tale viene trattato dalla politica. Un problema di pochi e per un piccolo bacino di voti.

Nel paese, quindi, si può passare da un’immagine forte e chiara come quella di Theleton al dramma del caso Stamina.

E qui c’è di nuovo un problema tutto italiano: basti pensare ai “farmaci orfani” che sono deputati al trattamento delle patologie rare o orfane.

A dispetto di quel che si pensa non sono orfani di interesse da parte della farmaceutica e della ricerca ma basta ricordare che in Italia la spesa per i farmaci orfani è circa del 5% della spesa farmaceutica complessiva e meno del 1% della spesa sanitaria complessiva.

C’è molto da fare in questo campo, e di risorse da impiegare poiché la spesa sanitaria italiana è tra le più alte in Europa e il sistema al collasso. Secondo il dott. Alessandro Capone, medico ed esperto di Economia sanitaria e Ricerca “per contrastare la crescita della spesa sarebbe utile realizzare un sistema avanzato di generazione e analisi di dati sanitari qualificati”.

Questo significa, tradotto in sintesi: più investimento, più ricerca e più innovazione per governare e rendere più efficiente la spesa sanitaria e migliorare la domanda di salute dei pazienti.

Ho conosciuto da vicino un caso di malattia rara: esplosivo, debilitante, ma fortunatamente guaribile e debellabile anche se con prognosi lunghissima come accade in tutte le malattie rare.

Chi conosce da vicino pazienti e famiglie coinvolte può toccare con mano il dramma che sconvolge e irrompe nella loro vita: lunga ospedalizzazione, sofferenza per il malato, terapie (se si è fortunati e ci sono) azzeramento della propria vita lavorativa o scolastica e una vita nuova e diversa, quella che si avrà dopo la malattia.

In questo, lo diciamo, l’associazionismo familiare italiano non ha concorrenti nel mondo: la rete dei pazienti e delle loro famiglie sono fonte di sapere e di aiuto e di sostegno collaborativo senza confini.

Pensiamo alla rete UNIAMO che è la federazione italiana malattie rare onlus e ai tanti medici e infermieri che nelle grandi strutture ospedaliere pubbliche italiane lavorano con scrupolo e abnegazione colmando le inefficienze di un sistema sanitario italiano al collasso.

A chi va il nostro pensiero alla fine di queste riflessioni? Purtroppo, non può che andare alla politica di questo paese.

Scopriamo ad esempio che L’onorevole Reguzzoni della Lega Nord (nel 2012) ha sommerso il Miur e il Ministero della Salute ed ancora quello degli Affari regionali e degli Affari Europei e di tutti i ministeri di competenza di interrogazioni per la maggior parte simili e volte in primis ad avere informative sulla ricerca scientifica e i trial clinici per le malattie rare. Con una particolarità: Reguzzoni ha scelto di fare singole interrogazioni per ciascuna singola malattia, un lavoro enorme (dalla malattia di Stargardt, alla sindrome di Turner, alla porpora di Schonlein Henoch, alla malattia di Kawasaki...etc.).

Che fine ha fatto questo lavoro? Che esito ha avuto? Può il lavoro di questo onorevole sollevare le coscienze e l’interesse del nostro governo?

Non lo sappiamo, ma le interrogazioni come queste sullo stato della ricerca sono una richiesta chiara di quale sia l’impegno pubblico italiano in materia. Richiedono delle risposte e un impegno da parte della politica.

La domanda della Salute resta un bene primario per tutti noi cittadini e nella lotta alle malattie rare l’impegno non può che essere di Tutti. Dai governanti ai volontari, dai medici ai familiari fino ai pazienti.

Perché nessuno di loro possa mai sentirsi solo. Che sia il 29 febbraio “The Rare Disease Day” o meno.

http://www.rarediseaseday.org/videos

Dopo le allarmanti dichiarazioni degli ultimi tempi da parte dell’OMS sulla cancerogenicità della carne molti probabilmente si verseranno sul consumo di pesce, convinti che questo sia meno dannoso della carne. Ma è interessante sapere che il pesce è carne grassa come ogni altra carne di animale, che i pesci contengono grassi saturi in quantità anche maggiore della stessa carne; che il grasso del pesce fa ingrassare allo stesso modo della carne di maiale;  che il pesce contiene molto colesterolo (gamberi e crostacei ne contengono quasi il doppio rispetto alla carne di manzo), che il pesce per motivi di sicurezza e gusto deve essere cotto e la cottura denatura gli Omega 3, oltre ad inattivare gli enzimi digestivi, che il 70% del pesce consumato in Italia viene dall’estero e che il 40% è da allevamenti intensivi che contengono enormi quantità di additivi chimici, di farmaci ormoni, antibiotici e varie altre sostanze chimiche e che si ritrovano poi nelle carni del pesce e che entrano nel metabolismo di coloro che se ne nutrono;  ma occorre anche sapere che per 10 kg di spigole di allevamento occorre sacrificare 100 kg di sardine catturate in mare, che ogni 10 pesci catturati 8 vengono ributtati in mare, morti o agonizzanti, ritenuti non commestibili; occorre sapere che tra non molto non vi sarà più pesce da pescare perché i grandi pescherecci distruggono i fondali e la predazione sistematica lascia gli oceani senza vita, distruggono l’ habitat marino per l’azoto degli scarichi degli allevamenti con la conseguente anomala crescita delle alghe.

Poi ci sono le immense quantità di mercurio che le industrie scaricano nel mare (circa 10.000 tonnellate all’anno) che passa facilmente dal pesce nell’organismo umano. E’ utile ricordare la strage di Minamota (Giappone) del 1952 nella quale morirono 77 persone ed altre 360 rimasero invalide per aver mangiato pesce ricco di mercurio. Nei pesci sono state trovate quantità enormi di pesticidi e di metalli pesanti, come: piombo, mercurio, cadmio, oltre residui di scarichi industriali che finiscono in mare, nei laghi e nei fiumi.

Il mercurio è una potente neurotossina in grado di interferire nello sviluppo del cervello riducendo l’intelligenza specialmente dei bambini e che provoca danni al sistema nervoso. Secondo la Food and Drug Administration il mercurio contenuto nel grasso può causare malformazione nei neonati, danni renali, deficienza mentale, cancro.

Il cadmio può comportare disfunzioni renali e sessuali, decalcificazione ossea, cancro.

Lo zinco può procurare effetti dannosi alla circolazione sanguigna, all’apparato digerente, ai reni, ai polmoni, al pancreas e al sistema riproduttivo.

Il piombo oltre ad ostacolare lo sviluppo dell’intelligenza nei bambini, negli adulti può causare ipertensione, malattie cardiovascolari, cancro ai polmoni, stomaco, cervello.

Poi c’è il pericolo di intossicazione anisakis, piccoli vermi che si trovano nell’intestino di molti pesci, come aringhe, sgombri, merluzzi, acciughe, pesce sciabola, pagello, nasello, totani, rana pescatrice, pagaro, pagello, il San Pietro e in alcune specie di pesce azzurro.

Eticamente è molto più grave consumare del pesce che carne di animali terricoli. Mentre con la carne di una mucca o di un maiale si nutrono centinaia di individui per il pesce è necessario sacrificare molti animali e il valore di un animale non si valuta in base alla sua dimensione corporea.

Le raccomandazioni dei nutrizionisti di consumare pesce almeno 2-3 volte a settimana per garantirsi l’Omega 3 non è sufficiente ad assicurare il quantitativo necessario. Solo alcuni tipi di pesce contengono modeste quantità di Omega 3 e solo se i pesci sono selvatici o da acquicoltura con pesci che si nutrono di pesci che mangiano alghe da dove traggono l’Omega 3. I benefici per la salute umana non sono dimostrati o al limite sono trascurabili, per contro i danni alla salute per il consumo di pesce e i disastri ambientali causati dalla pesca sono ben documentabili.

February 22, 2016

Il Teatro è nell’atto, cioè nell’immediato, in quello che un filosofo chiamò l’immediato svanire, la presenza e al tempo stesso, assenza. Questo è il superamento del grande attore” (Carmelo Bene).

Solare, dinamica e determinata, Eleonora Ivone è un’attrice completa che spazia con disinvoltura dalla tv al cinema e al teatro. Dagli esordi nel mondo della moda, per grandi firme come Valentino e Jean Paul Gaultier, approda sul grande schermo. Uomini senza donne di Angelo Longoni segna il suo debutto al cinema. Dal 2000 si susseguono interpretazioni teatrali e partecipazioni in diversi film per la tv, tra cui: Le madri, L’ultimo rigore, Tutto in quella notte, Part-time, Un anno a primavera e Un amore di strega. Nel 2011 partecipa al film per il piccolo schermo: Tiberio Mitri, il campione e la Miss. Tra i ruoli di maggiori rilievo quello di Chiara nel film Non aver pauradiAngelo Longoni, affianco di Laura Morante e Alessio Boni. A teatro tra i lavori più significativi: I tre Operai, Una volta nella vita, Il Muro e Ospiti.

Incontriamo Eleonora Ivone a Roma dove è in scena con la commedia, scritta e diretta da Angelo Longoni, L’Amore migliora la vita, con Ettore Bassi, Gaia De Laurentiis e Giorgio Borghetti. Reduce dal successo di pubblico e critica al Sala Umberto di Roma, lo spettacolo si sposta al Teatro Nino Manfredi di Ostia, dal 23 Febbraio al 6 Marzo.

Quando hai capito che avresti voluto recitare?

Ho cominciato a lavorare da giovanissima come modella un po’ per gioco, un po’ per guadagnare qualcosa ed essere indipendente. Ma l’ambiente della moda era troppo duro e frustrante, bisognava essere sempre perfette e io non lo ero…troppi denti, troppo bassa, troppi nei, troppo grassa…un inferno!

Così dopo la maturità ho cominciato a fare provini anche per la pubblicità, mi sentivo più a mio agio e mi divertivo, mettendomi in discussione anche su altre potenzialità. Mi sono accorta che funzionava, così ho approfondito e mi sono resa conto che dovevo seguire la strada della recitazione, frequentando la scuola di Beatrice Bracco, ma anche stage di recitazione con insegnanti sia russi che americani.

Nella tua scelta sei stata incoraggiata o osteggiata dalla tua famiglia?

Mah! Sicuramente mio padre mi ha sempre incoraggiata e sostenuta. Mia madre forse avrebbe preferito un percorso più classico, tipo laurea e posto fisso…ma alla fine credo siano contenti!

Avevi miti di riferimento?

Ero affascinata dalle grandi attrici di un tempo come Rita Hayworth, Bette Davis, Audrey Hepburn, ma anche da quelle più vicine a noi, come Meryl Streep.

Ti sei cimentata sia al cinema che in tv e in teatro, in quali di questi mezzi ti senti più realizzata?

  MG 4862 photo gianluca mosti bw mail
 Eleonora Ivone

Quando mi fanno questa domanda rispondo sempre che sicuramente, se potessi, alternerei in egual misura tutti e tre i mezzi…ma non rinuncerei mai al teatro!

C’è un personaggio che ti piacerebbe interpretare a teatro?

Sicuramente MEDEA, il primo grande personaggio che ho visto a teatro da bambina, all’età di 11 anni, che in quell’occasione era interpretata dall’immensa Mariangela Melato. Mi piacerebbe farla in chiave moderna, ma usando il testo di Euripide.

Che ne pensi della frase di Eduardo “Gli esami non finiscono mai”?

Frase sempre attuale e vera. Essere continuamente sotto esame è stressante, ma anche uno stimolo a migliorarsi e a non accontentarsi, dimostrando a se stessi che le sfide sono un importante strumento di crescita individuale!

Attualmente sei in scena con la commedia, scritta e diretta da Angelo Longoni, “L’amore migliora la vita”, insieme a Ettore Bassi, Gaia De Laurentiis e Giorgio Borghetti. Quanto ti assomiglia il personaggio che interpreti?

Allora…direi che ad un primo impatto mi sembrava che “Silvia” non avesse niente in comune con me, poi approfondendo mi sono resa conto che in ogni personaggio c’è una parte di noi stessi, un lato nascosto e profondo della personalità che emerge inaspettatamente.

Durante il tuo percorso artistico hai affiancato colleghi importanti, con quali hai trovato maggiore affinità?

Si è vero, ho incontrato tanti talenti sulla mia strada, ma quelli con cui ho trovato maggiori affinità sono Alessio Boni, Ettore Bassi e Gaia de Laurentiis.

Il tuo è un lavoro molto impegnativo, come riesci a conciliare vita privata e professione?

Mi impegno tantissimo, come tutte le mamme e le mogli che lavorano.

Quando e se hai del tempo libero, come ti piace impegnarlo?

Naturalmente con la mia famiglia, con le mie tre figlie. Poi, dopo le tournée, riprendo ritmi di vita normali: vado in palestra, al cinema e a teatro.

Progetti futuri?

Finita la tournée, sarò a teatro con nuovo spettacolo e poi in televisione.

La capitale sempre più multietnica

Ieri sera, a Roma, in un’accoglientissima location situata nella zona fra due dei simboli sacri della romanità, il Colosseo e la Basilica di San Giovanni, si è svolta una conferenza degna di una città multietnica e d’avanguardia. I gestori di “Riccio Capriccio Eco-parrucchieri” (in via di San Giovanni in Laterano), da sempre molto più di un semplice coiffeur e una realtà attenta alle tematiche sociali e dei diritti delle minoranze, hanno organizzato una conferenza sul tema del velo islamico. Takoua Ben Mohamed (illustratrice e autrice di Fumetto Intercultura), Hind Lafram (stilista di moda islamica), Sabika Shah Povia (giornalista), Renata Pepicelli (docente Università LUISS e autrice di “Il velo nell’Islam. Storia, politica, estetica”, Carocci 2012), Francesca Caferri (giornalista di Repubblica e autrice di “Il paradiso ai piedi delle donne.

Le donne e il futuro del mondo musulmano”, Mondadori 2012) hanno dibattuto sul valore estetico, religioso e politico di questo indumento che come si è ironicamente ricordato: “copre la testa, non il cervello!”L’argomento dell’hijab, sia nei paesi a maggioranza musulmana che in quelli occidentali, generalmente spacca l’opinione pubblica fra chi lo ritiene espressione di un’identità religiosa e culturale e chi lo considera la prova del diffondersi di un Islamismo oscurantista e misogino. Pochi sono però coloro che si aprono a un confronto diretto con le donne che lo portano. Quanti occidentali ricordano che fra le donne islamiche vi sono autrici di fumetti o stiliste creatrici di brands o giornaliste?

Le donne velate e non, islamiche e non che, da diverse prospettive, hanno partecipato al dibattito, hanno dimostrato quanto la questione sia aperta e vada trattata senza pregiudizi e lontano dagli stereotipi. Molte sono le donne migranti che cominciano a indossarlo per libera scelta solo una volta stabilitesi nel paese ospitante (emblematico il caso di molte bangladesi) e fra le giovani islamiche della generazione 2.0, in bilico fra diverse culture, quelle che portano il velo sono in aumento.

Prima di giungere ad affrettate conclusioni è utile ricordare che le ragioni sono molteplicie innanzitutto personali per ciascuna e che, seppur accomunate da una stessa Fede religiosa, dietro ognuna di esse c’è una storia e un bagaglio culturale differente. Il velo che più ci divide dal mondo esterno è quello dell’ignoranza. La chiave per capire meglioè sempre: l’apertura verso l’altro, in questo caso l’“altra”, vista come un’occasione di arricchimento del nostro orizzonte.

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