L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni.

Kaleidoscope (1368)

Free Lance International Press

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March 20, 2016

All'indomani dell'accordo con Bruxelles sui rifugiati, Ankara non cambia atteggiamento: repressione delle minoranze e dei dissensi interni e interventi “indiretti” nel Kurdistan siriano

 

Mentre l'Unione Europea conclude con la Turchia un accordo su rifugiati e migranti, Ankara continua le sue operazioni militari nelle regioni sud-orientali, a maggioranza curda. Dal fallimento del cessate il fuoco con il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), gli sfollati interni sono oltre 350mila, ma il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan continua a mettere in atto la sua linea dura, forte della maggioranza assoluta in Parlamento (ottenuta lo scorso novembre, al secondo tentativo di elezioni parlamentari nel paese) e del tacito assenso della comunità internazionale. Ponendo sullo stesso piano quelli che ufficialmente ha individuato come “nemici”, il PKK e i cartelli del jihad del cosiddetto “Stato islamico” (Daech), Ankara aveva già lanciato un chiaro messaggio: nessuno si intrometta nella questione kurda. Così, nessuna istituzione sovranazionale ha avuto alcunché da obiettare sul sostegno turco ai Nipoti di Saladino, formazione armata curda integrata nell'Esercito siriano libero (ESL).


Una qualsiasi forma di autonomia nelle regioni curde siriane è, dal punto di vista del governo turco, una minaccia alla propria integrità territoriale, da scongiurare ad ogni costo. Un atteggiamento analogo a quello mostrato nei confronti della minoranza politica, in occasione dell'ingresso in Parlamento di rappresentanti del Partito democratico dei popoli (HDP, partito moderato filocurdo), a seguito del quale tutte le trattative per un governo di coalizione sono fallite. Se all'interno, anche nei confronti del dissenso, Ankara sceglie la linea della repressione, al di fuori dei suoi confini predilige l'intervento indiretto. In Turchia, infatti, hanno il loro quartier generale i Nipoti di Saladino, potenziali fattori di indebolimento del PYD e di destabilizzazione di un'eventuale regione autonoma curda in Siria. Il paradosso è che Mahmoud Abou Hamza, comandante dei Nipoti di Saladino ha dichiarato ultimamente che la sua organizzazione gode del sostegno degli Stati Uniti: “La Turchia non ci sostiene con le armi. Le nostre armi sono americane”.

Dunque, gli USA, che sostengono il PYD elogiandone i successi contro Daech, sono al contempo alleati di una fazione curda costituita per combattere il PYD e le sue Unità di difesa popolare (YPG): “Loro sono contro i Curdi. Questi gruppi tentano di scatenare una guerra settaria tra Arabi e Kurdi … Se non si ritirano da Tal Rafat e dalla base aerea di Menagh, noi li combatteremo nell'area tra Jarablus e Azaz”, una zona attualmente controllata dai cartelli del jihad. Come sulla questione rifugiati, anche sulla guerra in Siria (che ne è la causa) la comunità internazionale si limita a fornire aiuti ad alcune parti in causa, che non sempre sono in accordo tra loro. Il risultato è lo stesso degli ultimi decenni: intervenire nei conflitti presenti seminando conflitti futuri.

Il Salone Internazionale del Vino e dei Distillati si presenta

 

Presentato a Roma nei giorni scorsi presso il Congress Center del Roma Eventi Piazza di Spagna la 50° Edizione del Vinitaly, il Salone Internazionale dei Vini e Distillati al cui interno trovano spazio Sol&Agrifood (Salone dell’Olio e prodotti agricoli) e Enolitech (il reparto sempre più visitato delle tecniche ed attrezzature al servizio dell’Aziende vitivinicole). La Manifestazione che si svolgerà a Verona dal 10 al 13 Aprile apre da quest’anno ad iniziative che porteranno a cambiamenti importanti tendenti a superare problematiche dovute alla crescita stessa negli anni. Già la decisione di ridurre da cinque a quattro le giornate di fiera, avvenuta alcuni anni indietro, unitamente al rilascio dei biglietti nominativi, restringere il consegnare dei biglietti a SAM 3043riduzione, dovrebbe arginare il fenomeno della presenza dei Wine Lover troppo Lover.

Per l’edizione del cinquantesimo sono previsti investimenti sostanziosi per incoming, strutture, servizi, servizi alle aziende e agli operatori professionali provenienti da ben 141 paesi.

Ma la novità portante di questa edizione è: i Buyer in Fiera e i Wine Lover nel fuori-salone in città.

Duplice scopo: favorire meglio gli incontri d’affari e far vivere la magia del Vinitaly ai numerosi Wine Lover in uno spazio a loro dedicato nel centro storico di Verona con un ricco programma di degustazioni ed eventi nel fuori-salone Vinitaly and the City.

Aumentano le presenze estere nel padiglione Vininternational. Sarà la Spagna la Nazione protagonista con 18 cantine a rappresentare tutti i suoi territori vinicoli.

Francia, Svizzera, Australia, Portogallo, Argentina, Serbia insieme a Regno Unito, Georgia, Azerbaijan e per la prima volta la Cina.

Maurizio Danese, Presidente di VeronaFiere, nel ricordare i numeri dell’export vinicolo italiano ed indicando l’obiettivo di raggiungere i 7,5 miliardi di euro di esportazioni da qui al 2020, ha spiegato e rammentato che:” Per raggiungere questo risultato è necessario che tutti gli attori agiscano in una logica di rete”. Un impegno che ha inizio proprio da questa edizione con molte novità come la netta divisione tra b2b, acronimo che significia business-to-business (commercio internazionale) e b2c, business-to-consumer (relazione tra imprese e la clientela).

Giovanni Mantovani, Direttore Generale di VeronaFiere, ha ricordato che “ per il 2016 VeronaFiere ha investito 8 milioni di euro per aumentare il già alto tasso di internazionalità di Vinitaly con 55mila operatori stranieri in rappresentanza di 141 nazioni e 1.000 buyer selezionati in più all’estero.

Ma Vinitaly non è e non può essere solo business internazionale.

Vinitaly International Accademy continuerà a promuovere su tutti i mercati la forza espressiva del Vigneto Italia. “ La più grande biodiversità al mondo (oltre 500 varietà autoctone) va anche spiegata, per non ingenerare confusione in un importatore o in un consumatore straniero. Ad oggi – ha affermato Ian d’Agata direttore scientifico- abbiamo certificato, tre esperti e 29 ambasciatori del Vino Italiano, che contribuiranno a creare attorno al Vinitaly una vera community globale”.

Senza dimenticare il mercato interno, altrettanto importante al quale bisogna riconoscere di aver accompagnato Vinitaly in questi cinquant’anni facendone la Storia.

Non solo le 48 aziende della prima edizione, 1967 Le Giornate del Vino Italiano – Verona, ma anche tutte le altre che, dal 1971la manifestazione

SAM 3057 
 Urano Cupisti

diventa Vinitaly, occupano sempre più numerose i 18 padiglioni del quartiere fieristico.

Cinquant’anni di storia del vino italiano, cinquant’anni di Vinitaly

Per ultimo un accenno alla logistica più volte ricordata dal sottoscritto nelle passate edizioni come deficitaria.

“Siamo intervenuti anche sulla logistica del quartiere fieristico. Abbiamo predisposto il rafforzamento della copertura wi-fi in grado di garantire ora il 30% di connessioni in più” parola di Gianni Bruno, area manager wine&food di VeronaFiera. Tutti noi restiamo fiduciosi di questa affermazione. Speriamo anche che la Polizia Locale di Verona abbia in serbo un Piano per la circolazione intorno al Quartiere fieristico da rendere maggiormente facile e fruibile l’accesso e l’uscita dai vari Parking per non registrare e narrare le dolenti note di tutti gli anni unite alle scene raccapriccianti che ne conseguono.

Gli animali da compagnia sono protagonisti, nel bene e nel male, del nostro quotidiano. I più fortunati godono delle stesse attenzioni di cura e bellezza riservate, di solito, agli esseri umani. Attenzioni in vita e in morte, con l’allestimento di cimiteri dedicati.

È di moda far ritrarre il proprio cane o gatto. Ma in realtà non è una nuova tendenza, sopratutto nel mondo anglosassone, c’era e c’è la tradizione di far immortalare in dipinti di artisti, più o meno famosi, alcuni addirittura specializzati nel genere, il proprio cavallo o cane. Anche in altri paesi ed epoche gli animali sono stati ritratti. Del resto il fascino di queste creature, ha fatto sì, che trovassero posto nel Paradiso Terrestre e addirittura nel pantheon di religioni pagane, come divinità. Nei bestiari medievali, vizi e virtù umane, prendevano forme animali
.

Fino al 31 marzo presso la filiale Vertecchi di via Pietro da Cortona a Roma, è allestita la mostra di Alice Fois. Sono soprattutto i cani, i protagonisti degli acrilici su tela, ma anche qualche gatto e una giraffa. Sono soprattutto le teste, frontali o di profilo, ad essere indagate con cura, per rendere nei particolari le espressioni, che, a loro volta, mostrano il carattere dell’animale. Lo sfondo è colorato, ma privo di particolari descrittivi, serve ad esaltare l’animale, su cui tutto è focalizzato. Solo uno dei ritratti in esposizione è polimaterico e presenta un collare decorato, in rilievo. Come le espressioni e le inquadrature sono “umane”, così il collare è come un gioiello, a ribadire la “nobiltà”, anche un po’ snob, del protagonista.

March 19, 2016

In un paese dove vigono ancora le corporazioni medievali tutto tende a perpetuarsi. Questa volta è il caso dell’ordine dei giornalisti nostrano, unico al mondo. Circa un anno e mezzo fa, lancia in spalla il presidente, Enzo Jacopino, aveva denunziato la conduttrice televisiva Barbara D’Urso per “abuso di professione giornalistica”, reato che lo stesso ordine vuole punito con il carcere fino a 2 anni.

la colpa della presentatrice di Mediaset era quella di trattare casi di cronaca nera senza “rispondere a quelle regole deontologiche che impongono precisi doveri ai giornalisti”. Ma il caso vuole che la D’Urso non sia mai stata iscritta all’ordine dei giornalisti per stessa ammissione dell’Ordine, e quindi non si possa accusare di aver violato regole imposte ai giornalisti: un totale controsenso col solo obiettivo di far condannare una persona che svolgeva e svolge il suo lavoro ed esprime le sue opinioni. Ancora una volta il carattere autoritario, corporativo e illiberale di un Ordine che dovrebbe vedere la difesa del diritto alla libertà di espressione e di parola come un valore assoluto,articolo 21 della Costituzione, è esploso virulento, ma ha fatto cilecca: il giudice di Monza ha buttato nel cestino la denuncia contro Barbara D’Urso, accusata di abuso della professione giornalistica. Il gip del tribunale di Monza Giovanni Gerosa, richiamando altre sentenze della Corte Costituzionale, ha deciso per l’archiviazione, richiesta dallo stesso pm, Walter Mapelli, “in ragione della tutela dei diritti fondamentali, quali quello di libertà di manifestazione del pensiero”, articolo 21 della Costituzione. Allora, però, ora si pone un altro quesito: a cosa serve tenere in piedi un Ordine dei giornalisti se è una minaccia alla libertà d’espressione? Non è che basti e avanzi il nostro codice penale per tutelarci dagli abusi di questa?

AL DIRETTORE DE IL FOGLIO, CLAUDIO CERASA

 

Un vergognoso articolo in prima pagina sul “Il Foglio” di sabato 12 e domenica 13 marzo a firma di Camillo Langone il quale condanna aspramente la

scelta vegan come una tendenza che mette in pericolo le tradizioni culinarie. Per Langone la carne è libertà di espressione, è tradizione e cultura e ognuno deve essere libero di mangiare quello che vuole (ammesso che riesca a mettere da parte la sua coscienza e dimostrare di conoscere gli effetti prodotti di tale primordiale, cruenta, disumana e lesiva abitudine).

In simili reazioni c’è la palese paura che qualcosa o qualcuno possa influire sulle innovazioni fino a rischiare di sottrarre un piacere al quale non si vorrebbe rinunciare, a costo di un cancro, quando non c’è la pressione delle lobby agro zootecniche alimentari di veder ridotti i loro lucrosi guadagni; senza pensare che ad ogni eventuale macelleria che chiude si apre inevitabilmente un negozio di frutta e verdura, a beneficio non solo della salute umana, degli animali, della coscienza, dell’ambiente, dell’economia e, non per ultimo, della fame nel mondo.

Ma si sa, la cultura vegan è per menti più aperte, è per coscienze più vaste, responsabili e lungimiranti, non è per i nostalgici della violenza, del sangue e dei campi di sterminio (leggi mattatoi).

Dopo la dichiarazione di cancerogenicità della carne da parte dell’OMS sostenere, invogliare a consumare carne ci si rende responsabili di tentato  genocidio. Ma si rassegni Camillo Langone, la sua visione delle cose appartiene allo stato di primordiale esistenza dell’umano, il tempo in cui per vivere si imitavano gli animali predatori, uno stato di necessità che però ha reso l’animo umano insensibile al dolore del prossimo, che lo ha abituato alla  soppressione dell’altro, all’indifferenza verso la sofferenza altrui, al disprezzo della vita in senso lato: da allora gli umani pagano le terribile conseguenze con la violenza, le guerre, le malattie. Si rassegni Langone, l’evoluzione dell’intelligenza e dalla coscienza umana è una realtà inarrestabile e tra non molto, tutti guarderanno con orrore a chi considerava normale, giusto e lecito uccidere animali e mangiarseli cucinati.

Langone è tra quelli che prendono dalla Bibbia solo ciò che serve a giustificare le proprie visioni (ed è per questo che nel corso della storia la religione cattolica si è macchiata di crimini inenarrabili) tralasciando, per es. il fatto che in Gen. 1,29 Dio dà un preciso comando ad essere vegetariani: “Ecco, io vi do ogni erba che produce seme e ogni albero in cui è frutto…saranno il vostro cibo…” e che Gesù nell’Evangelo della Pace secondo l’apostolo Giovanni delle chiese cristiane d’Oriente (originale in aramaico del 3° sec. d.C. Bibl. Vat. 156-P) afferma: “Io in verità colui che uccide uccide se stesso e colui che mangia la carne degli animali abbattuti mangia un corpo di morte. Io vi chiederò conto del loro sangue spumeggiante, il loro sangue nel quale dimora l’anima. Io vi chiederò conto di ogni animale ucciso”. Dimentica che il Padreterno, deluso della malvagità umana, autorizza gli umani non solo a mangiare animali ma a scannarsi a vicenda nelle successive guerre di conquista. Dimentica che probabilmente alcune parti dei Vangeli non riportano il vero pensiero di Cristo dal momento che “…non ciò che entra nella bocca contamina l’uomo…” contamina è come l’uomo dal momento che contamina non solo il suo corpo ma la sua mente e la sua coscienza. Ma lui si sente cristiano perché la sua religione lo autorizza e lo assolve da qualunque violenza nei confronti del mondo animale.

Ci ripensi il Direttore a dare spazio nel suo Giornale ad articoli così insensati e contro l’evoluzione civile, morale e spirituale delle nuove generazioni. E in attesa di un contro/ articolo, se non altro per spirito di democrazia e par condition da parte della cultura vegan, mi asterrò di acquistare il suo giornale e inviterò amici e parenti a fare altrettanto.

 

Franco Libero Manco

 

Giù le mani dal mio piatto! Manifesto della libertà di alimentazione

 

Ogni persona mangiando esprime quello che è e ciò a cui appartiene. Dobbiamo difenderci dallo stato dietista che vieta cibi per compiacere vegani,  animalisti e burocrati di Bruxelles: c’è in gioco la nostra libertà di <http://www.ilfoglio.it/camillo-langone___3-f-fa-46_c150.htm> Camillo

Langone | 12 Marzo 2016 ore 06:18

 

La libertà di alimentazione è il pezzo più gustoso della libertà di espressione. Io mangiando l’agnello pasquale esprimo il mio essere cristiano, mangiando pesto di cavallo esprimo il mio essere parmigiano, bevendo vino esprimo il mio legame con la terra che prima di chiamarsi Italia si chiamò Enotria, e   quando riesco a mettere le mani su una bottiglia di vero assenzio ecco che posso esprimere appieno il mio discepolato verso Baudelaire. E’ un discorso che vale per millanta ingredienti e tante appartenenze: chi mangia tofu esprime il suo vegetarianesimo, chi compra cibi halal esprime il suo islamismo, chi beve il caffé del commercio equosolidale esprime il suo comunismo, chi ordina Martini Cocktail esprime il suo bondismo, e potrei andare avanti a lungo. Dispensa e frigorifero mi descrivono quanto la libreria, fra gli scaffali di cucina e quelli dello studio ci sono nessi evidenti, lì c’è il Lambrusco e qui  Guareschi, lì la ricotta forte e qui Scotellaro, lì i ceci e qui Orazio, lì la piadina e qui Pascoli, lì il foie gras e qui Dumas… Mettere all’indice un cibo equivale a

mettere all’indice un libro con la differenza che di libri proibiti quasi non ne esistono più (in Germania hanno appena rimesso in circolazione il “Mein kampf”) mentre la lista dei cibi ufficialmente o ufficiosamente vietati si allunga di continuo.

Dei tanti elementi che costituiscono la libertà di espressione, la libertà di alimentazione è l’unico universalmente accessibile: pochi sono capaci di scrivere un romanzo, di dipingere un quadro, di comporre una canzone, di girare un film, tutti invece sono capaci di mangiare. Pertanto i continui attentati alla libertà di alimentazione sono perfino più gravi di quelli alla libertà di espressione comunemente intesa. Sono più classisti: un colto può consolarsi  leggendo Grimod de La Reynière o Anthony Bourdain, un ricco può prendere l’aereo e cenare in un paese libero anche dal punto di vista alimentare, ad esempio il Giappone, mentre chi non possiede né soldi né cultura deve adattarsi senza fiatare ai cibi permessi dallo stato dietista.

C’è in giro voglia di stato impiccione, di stato etico, seguendo una parabola che va da Hegel a Debora Serracchiani, dal filosofo per cui “lo Stato è la realtà dell’idea etica, i singoli hanno il dovere supremo di appartenere allo Stato” alla presidentessa secondo la quale “noi non possiamo pensare solo all’economia ma abbiamo il dovere morale di pensare anche alla crescita morale di questo paese”. Alle menti servili non dispiace, anzi, che conti correnti e menù vengano monitorati dall’alto, e le menti servili pullulano ovunque, come si evince dal fatto che la censura alimentare non conosce destra e sinistra: la lunga, ingombrante presenza nel partito berlusconiano della pasionaria animalista Michela Vittoria Brambilla, nemica della ricerca scientifica e autrice di proposte di legge per vietare il consumo di cavallo e coniglio (due anni di carcere ai trasgressori), dimostra che la libertà non è di questo liberalismo.

 

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<http://www.ilfoglio.it/articoli/2016/03/08/nella-mente-a-km-zero___1-v-1391 90-rubriche_c301.htm> Nella mente a km zero <http://www.ilfoglio.it/scienza/2016/03/11/vegani-evolvetevi-uno-studio-di-nature-spiega-che-senza-carne-siamo-scimmie___1-v-139283-rubriche_c122.htm>

Vegani, evolvetevi! Uno studio di Nature spiega che senza carne siamo scimmie. La libertà di alimentazione è un pezzo della libertà di cultura, proibire un ingrediente per compiacere le signore vegane o i burocrati di Bruxelles è come coprire una statua classica per compiacere un teocrate iraniano. Un  grande critico gastronomico spagnolo, Rafael García Santos, ha colto nel segno con questa doppia, felice definizione: “L’alta cucina è arte creativa e la cucina tradizionale è cultura”. Entrambe le facce della medaglia gastronomica meritano pertanto di essere difese dai braghettoni, dai liberticidi, e nelle costituzioni di tutto il mondo abbondano gli articoli che sembrano scritti all’uopo. Ma la Carta non serve finché non diventa carne. Secondo la Costituzione italiana “l’arte e la scienza sono libere”, inoltre “la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura”, e sono espressioni finanche eccessive perché  basterebbe che la Repubblica non ostacolasse coi suoi innumerevoli lacci e lacciuoli il lavoro dei produttori e dei ristoratori, e che non omettesse di difendere dalla violenza animalista i cuochi come Cracco che insistono a cucinare il piccione. Si capisce che i proibizionisti alimentari non minano soltanto la tradizione, il patrimonio identitario costituito da ricette avite e riti della tavola, ma pure l’innovazione. Quando Bottura tirò fuori dal cilindro le uova

embrionali ebbi paura per lui, temetti una visita dei Nas che poi arrivarono davvero anche se per altro motivo: i carabinieri del Nucleo antisofisticazioni, che forse avevano perso gli indirizzi dei ristoranti cinesi, proprio da lui cercarono additivi venefici. Naturalmente non trovarono nessun veleno e non riuscirono a multarlo ma intanto avevano scatenato le televisioni e i coglioni: Bottura usa additivi! Certo, usava e probabilmente usa ancora l’agar agar, addensante ricavato dalle alghe, più pacifico della colla di pesce usata dalla nonna per rendere consistente la panna cotta.

La libertà di alimentazione è ovviamente un pezzo della libertà di culto, non esiste religione vecchia o nuova che non si nutra di prescrizioni alimentari, salvo l’unica vera religione il cui fondatore così parlò: “Non ciò che entra nella bocca rende impuro l’uomo; ciò che esce dalla bocca, questo rende impuro l’uomo!”. Impuri sono dunque i moralismi vegani a cui nessun cristiano deve piegarsi perché Cristo, modello perfetto, era onnivoro: a Pasqua mangiò agnello e dopo la resurrezione, a Emmaus, ebbe voglia di pesce arrosto. Impuri e impostori, come scrive san Paolo nella prima lettera a Timoteo:  “Impostori imporranno di astenersi da alcuni cibi che Dio ha creato per essere mangiati. Tutto ciò che è stato creato da Dio è buono e nulla è da scartarsi”. L’ortoressia, che è l’ossessione, ammalante, per il nutrizionalmente corretto, occupa gli spazi lasciati vuoti dall’ortodossia. Colpa dei preti che parlano di tutto l’opinabile ma non dell’indiscutibile liberazione dai tabù alimentari realizzata da Cristo, e molto di rado ricordano l’oppressione che il cristianesimo subisce nei paesi dove i proibizionisti alimentari hanno il potere assoluto, come l’Arabia Saudita in cui il possesso di vino implica arresti e frustate e dunque l’eucarestia è illegale. Non lo dicono i preti, non lo dice nessuno, bisogna pertanto dirlo qui: animalisti e wahabiti hanno qualcosa in comune, il medesimo vizio di mettere le mani nel piatto e nel bicchiere altrui.

La libertà prima che un diritto è un dovere, ci ha insegnato Oriana Fallaci, quindi abbiamo il dovere di non sottometterci ai politici e ai fanatici che vogliono imporci il loro credo alimentare. L’inviolabilità del domicilio fissata nell’articolo 14 della Costituzione va estesa al frigorifero, a tavola ogni uomo dev’essere libero di ubbidire a Dio (“Quanto si muove e ha vita vi servirà di cibo”, Genesi 9,3) o al proprio edonismo, e se la gola è un vizio va considerata materia di confessione e non di legislazione.

Resistere ai proibizionisti alimentari è indispensabile per salvare la tradizione dalla completa distruzione e l’innovazione dalla metastasi normativa, per difendere gli artigiani, gli agricoltori, i distillatori, gli allevatori, le identità nazionali, regionali e comunali, gli orti, i macelli, le cantine, le malghe, le trattorie, i laboratori, la varietà dei sapori e dei piaceri, la dignità e lo statuto dell’uomo.

March 18, 2016


Migliaia di profughi siriani arrivano ogni giorno in Grecia. Nonostante le difficoltà economiche, grande è la solidarietà del popolo greco.

 

Sono migliaia i profughi siriani che arrivano in Grecia. Centinaia ogni giorno. Il flusso è continuo da mesi, arrivano con barconi più o meno sgangherati, ma anche con enormi gommoni dal valore di migliaia di euro. Alcuni hanno il salvagente. Non tutti possono permetterselo economicamente. Un salvagente arriva a costare anche cinquecento euro, ma in molti casi può salvare la vita dei propri figli. Molte famiglie che arriva sulle coste greche sono state vittime dell'ignobile tratta dei profughi che avviene in maniera organizzata sulle coste turche. I profughi vengono concentrati, organizzati e in molti casi costretti a partire da chi ogni giorno diventa sempre più ricco sfruttando la disgrazia altrui. Una solo una piccola parte di loro può comprarsi un gommone e sceglie se e quando affrontare il viaggio.
La stragrande maggioranza sono nuclei familiari, uomini e donne con i propri figli. Arrivano sulle coste delle isole greche più vicine alla Turchia. Le  immagini che ogni giorno arrivano nelle case di tutta la Grecia tramite la televisione sono agghiaccianti e eloquenti del dramma che in migliaia stanno vivendo grazie all'idiozia della guerra.

Sono tantissime le persone ammassate nei porti, nelle piazze e nei giardini delle piccole cittadine delle isole. Non hanno niente con se. Ma se pur liberati di tutti quei particolari e oggetti che immediatamente ci comunicano lo stato sociale e culturale di una persona, guardandoli, ci si può immediatamente rendere conto che non sono per niente diversi da noi.
L'unica differenza è il foulard che copre la testa delle donne. Non stanno arrivando sulle coste europee per per motivi economici o per trovare un futuro migliore di quello che pensavano di avere in Siria in un recente passato. Fuggono dalle bombe. Sono persone di ogni genere. Ingegneri, dottori,   insegnanti, commercianti, tecnici, operai, impiegati, agricoltori etc.. tutta gente che un lavoro ce l'aveva. Questo lo si capisce immediatamente con uno rapido sguardo, in molti, non potendosi portare con se altro, hanno con se il proprio smartphone, come a voler tenere stretta a se l'ultima particella di una normalità che si sono lasciati alle spalle.

Appena arrivati sulle coste greche trovano la solidarietà di molte centinaia di volontari che da mesi si alternano sulle isole più esposte all'arrivo dei profughi, offrendo soccorso e logistica per organizzare nella maniera migliore le centinaia di persone che ogni giorno arrivano. È un lavoro difficile, tutti devono mangiare, devono bere, devono dormire, e devono avere dei servizi igenico sanitari di base. Tutto questo in uno spazio limitato e  geograficamente isolato come le isole dove le strutture sanitarie e di emergenza sono piccole e a misura di una popolazione che spesso conta solo poche centinaia di persone.
In genere i profughi passano sulle isole solo pochi giorni e poi vengono imbarcati sui traghetti e portati sulla terra ferma.
Questi che sono arrivati sui barconi al freddo e alle intemperie, che sono rimasti accampati per alcuni giorni sulla banchina del porto in tende di fortuna, che sono riusciti a restare uniti ai propri figli, questi sono i "fortunati". Per altri, molti altri, questa "fortuna" non c'è stata.
Sono centinai i morti annegati, in maggioranza sono bambini. Sono strazianti le immagini delle loro salme allineate sulle spiagge. Ancora più straziante sono le immagini dei loro genitori li a piangerli.

In tanti hanno perso un pezzo della propria famiglia. Sono centinaia i bambini orfani o non accompagnati che si contano nei centri di accoglienza gestiti dalle varie organizzazioni non governative in azione sul territorio greco. Questa è un'enorme tragedia nella tragedia.
Pescatori, nonnine e semplici persone delle isole sono diventati eroi di tutti i giorni offrendo soccorso e ospitalità ai profughi. Le storie che conosciamo ci arrivano tramite la televisione, sono storie emozionanti e commoventi, a raccontarle sono le stesse persone che le hanno vissute.

Si ascoltano con un nodo alla gola che spesso tarda ad andarsene e che per alcuni minuti ti costringe a stare in silenzio. È un silenzio rispettoso verso la figura di un pescatore con il viso bruciato dal sole che racconta di aver salvato con la sua piccola barca decine di persone in mezzo al mare, che piange ricordando di aver fatto il possibile, senza riuscirci, per salvare un bambino assiderato dal freddo, oppure il racconto di una vecchietta vestita di  nero che tiene in braccio un bambino piccolo, lo nutre con un biberon mentre ci racconta che è l'unico superstite della sua famiglia. Anche questa vecchietta piange raccontando la storia di questo neonato, piange pensando a come la disgrazia dell'umanità non finisce mai e si ripete in maniera perpetua, la tragedia della fame e delle mille sofferenze che lei stessa ha vissuto durante la sua infanzia nella seconda guerra mondiale e poi nella guerra civile si ripete nella tragedia del popolo siriano.

Ogni giorno migliaia di profughi raggiungono Atene e da li, fino a pochi giorni fa, si mettevano in cammino per arrivare alla frontiera. Pochi vogliono restare in Grecia, quasi tutti sono decisi a proseguire il proprio viaggio verso altri paesi. Adesso i confini sono chiusi, ma sono in molti a non saperlo, non è facile far arrivare l'informazione a tutti. È così che molti affrontano il viaggio a piedi, dirigendosi comunque verso il confine nord. Gruppi composti da
numerose persone, con bambini di ogni età al seguito, avanzano a passo d'uomo.
Al ridosso della linea di confine sbarrata si è formata una tendopoli di migliaia di persone che aspetta in vano la possibilità di continuare il proprio viaggio. Vivono in tende di ogni tipo e negli ultimi dieci giorni hanno dovuto sopportare piogge battenti e basse temperature. Molti bambini sono malati, con febbre e raffreddore.
Si calcola che, dall'inizio dell'ondata di profughi, hanno attraversato la Grecia più di 900.000 persone. Sono tanti, sono tanti soprattutto se pensiamo che la Grecia è un paese in crisi e con limitatissime possibilità. Ma la solidarietà non si ferma. In ogni città vengono raccolti generi di prima necessità come cibo in scatola, frutta secca, biscotti, latte UHT, latte in polvere, carta igienica, sacchi a pelo, medicinali etc.. I generi raccolti devono avere un alto  contenuto calorico ed essere confezionati in maniera singola, devono essere in poche parole adatti a condizioni di sopravvivenza, perché proprio queste sono le condizioni che affrontano le famiglie ammassate ai confini da giorni.
L'Europa che spesso si è riempita la bocca con parole di civiltà, che si è presa la briga di andare a ristabilire con guerre e con missioni militari i diritti umani di questo o di quell'altro paese, che si vanta di essere un baluardo in difesa di democrazia e giustizia e contro la barbarie. Adesso che potrebbe   dimostrarlo concretamente il proprio attaccamento ad una cultura che mette al centro l'uomo e l'umanità e che ha radici nella storia più remota, cosa
fa? Chiude le frontiere.
Sembra che i confini della Grecia non siano i confini dell'Europa.
eereIl problema causato dall'arrivo dei profughi viene usato in Europa come ennesimo attrezzo di pressione e ricatto economico per estorcere il più possibile alla Grecia.
Per un lungo periodo l'Unione Europea ha cercato di convincere il governo greco che la soluzione migliore per arginare l'ondata dei profughi era quello di respingere le loro imbarcazioni. Questo, che non è stato accettato dal governo, come potete immaginare avrebbe causato la morte di un numero enorme di persone. Infatti è impensabile respingere un'imbarcazione con bambini, specialmente dopo un viaggio ai limiti della sopportazione umana. Intanto, gli stessi che proponevano di applicare questa barbarie ai danni dei profughi siriani, hanno versato ragguardevoli somme di denaro alla Turchia per la gestione dei profughi siriani, profughi che in parte la Turchia stessa produce appoggiando economicamente lo Stato Islamico e bombardando le  postazioni Kurde che di fatto sono l'unica vera resistenza sul campo contro l'Isis.

Il ministro dell'economia tedesco Schäuble ha dichiarato meno di una settimana: "la Grecia non deve usare la questione profughi come scusa per ritardare la valutazione sulle riforme".
Altri ministri dei "nuovi" membri dell'Unione Europea hanno spudoratamente intimato alla Grecia di tenersi i profughi in cambio di una revisione del debito. È grande la fiera delle atrocità dette da primi ministri e vari di tutta Europa sulla questione profughi.
Il governo greco ha provveduto fino ad oggi a fornire almeno tre pasti al giorno a tutti.
Lunghe file di persone aspettano pazientemente il proprio turno ai punti di ristoro organizzati dal governo e dai volontari. I rifornimenti che vengono comprati dalle varie organizzazioni e destinati ai profughi sono stati esentati dalla tassa dell'IVA e un listino prezzi speciale con prezzi ribassati è stato imposto dal governo a tutti gli autogrill che si trovano sul percorso da Atene alla frontiera nord della Grecia, questo per evitare sciacallaggi commerciali ai danni dei profughi siriani.


Verranno dati dei contributi economici dal governo a coloro che decideranno di ospitare famiglie con bambini a casa propria. Il contributo varia a seconda dei casi e può arrivare fino a 800 euro al mese.
Su tutto il territorio greco sono in funzione degli hot spot ovvero dei centri di accoglienza dove i profughi possano stazionare in condizioni meno precarie. Ogni giorno migliaia di profughi vengono invitati a soggiornare nei centri di raccolta dislocati su tutto il territorio greco.
Se da una parte la reazione xenofoba dell'Europa è disarmante, anche all'interno della Grecia si ascoltano proposte deliranti. Il nuovo leader di Nea Dimokratia, Kiriakos Mitsotakis ha proposto che gli hot spot siano di tipo chiuso, ovvero una sorta di lager da dove i profughi non possano uscire e contemporaneamente vede la risoluzione del problema nel cambio di definizione e quindi del loro trattamento. Da profughi come vengono accolti e definiti adesso a clandestini illegali, con il trattamento che ne consegue. Ancora peggio è la soluzione proposta da Chrisi Avghi, il partito nazista greco che sempre di più sembra essere in buona compagnia in Europa. Loro hanno proposto la chiusura forzata dei profughi in campi di concentramento, come Nea Dimokratia, con la differenza dell'obbligo dei lavori forzati. Questo per ripagare "l'ospitalità". Per il momento la solidarietà del popolo greco verso i profughi è più forte. Questo, secondo me, per due ragioni fondamentali.
La prima è che le famiglie di profughi siriani assomigliano in maniera perfetta alle famiglie greche, sia somaticamente che nel modo di vestirsi, a parte il particolare del foulard in testa alle donne.
Nel loro esodo dalle coste turche il popolo greco rivede in qualche maniera la propria storia, rivive l'esodo dei greci dall'Asia Minore avvenuto nel 1922, quando intere famiglie di greci furono allontanate in massa dalle coste turche dell'Egeo dove vivevano da sempre.
Venne cioè fatta una pulizia etnica che coinvolse milioni di grecofoni. Questi bambini in braccio ai propri genitori che sbarcano sulle isole greche sono drammaticamente uguali alle foto in bianco e nero dei libri di storia, l'unica differenza è l'abbigliamento moderno, le facce sono le solite.
Penso che se le stesse scene di sbarchi fossero con famiglie dell'Africa nera la reazione sarebbe ben diversa. Sarebbero in molti meno a immedesimarsi con quelle famiglie, con quei bambini.
La seconda ragione è il lavoro ottimo che sta facendo la televisione di stato ERT, ripristinata da pochi mesi dopo la chiusura forzata da parte dell'ex governo di Nea Dimokratia.
Ogni giorno viene fatto il punto della situazione sia in TV che via radio e le raccolte di generi alimentari e il lavoro dei volontari vengono coordinati in maniera organizzata da uno speciale notiziario che va in onda più volte al giorno. I profughi sono descritti per ciò che sono, cioè come profughi e non come clandestini. Vengono descritte le loro condizioni precarie e le difficoltà che ne derivano. Vengono raccontare le loro storie. Il tentativo della televisione di stato è mirato ad abbassare il sentimento fisiologico di insicurezza che un popolo ha rispetto all'invasione di migliaia di persone straniere che avviene ogni giorno. Non voglio neanche immaginare ciò che sarebbe successo se la gestione mediatica fosse stata monopolizzata dalle tv private, sicuramente ci sarebbero già stati atti tremendi di razzismo.
In Italia, da una ricerca veloce che ho fatto prima di scrivere questo articolo, il problema profughi siriani sembra non esistere. In alcuni articoli vengono addirittura descritti come dei benestanti che arrivano alle 11 di mattina con i gommoni nei porticcioli delle isole greche e la prima cosa che fanno è andare a cercare un bar per connettersi a internet con il proprio smart phone e magari farsi un selfie davanti al molo.
Dell'apocalisse che migliaia di famiglie vivono per mare e per terra non vi è traccia o quasi.

Quando ho visto la notizia che, nel 2015, la popolazione residente italiana è diminuita di 139 mila unità, ho capito subito che era successo qualcosa di inedito su entrambi i fronti che determinano in larga parte questo saldo e, cioè, il numero dei nati che si portano al di sotto della soglia psicologica delle 500 mila unità e quello dei decessi, il cosiddetto saldo naturale che si porta sempre nel 2015 a 165 mila unità, un numero che ha fatto dire a molti commentatori che si tratta di valori compatibili con una guerra ed è su questo ultimo dato che soffermerò la mia attenzione in quanto si tratta del dato più strutturale, in quanto è la maggiore determinante del fatto che la popolazione di cittadinanza italiana si è portata l'anno scorso a 55,6 milioni, con una perdita di 179 mila residenti.

La determinante maggiore dell'incremento dello sbilancio del saldo naturale è dato dal numero dei decessi che sono stati 653 mila, con una crescita di poco inferiore al 10 per cento rispetto al 2014, un numero che porta il tasso di mortalità al 10,7 per mille che, come nota il comunicato ufficiale dell'ISTAT, è il più alto dal secondo dopoguerra in poi, con l'aumento di mortalità che risulta concentrato nelle classi di età molto anziane (75-95 anni).
Nello stesso tempo continua il fenomeno dello sciopero delle culle con i nati che si portano al di sotto della soglia psicologica delle 500 mila unità, 15 mila in meno del 2014 e che si porta a 488 mila unità, un nuovo minimo storico dall'Unità d'Italia, un valore su cui si potrebbe ragionare per diverse puntate del diario, ma che qui viene trattato solo di striscio.
Ma il capitolo più interessante è quello dell'inversione di tendenza nell'aspettativa di vita che perde due mesi per gli uomini e tre mesi per le donne, un dato che mette in crisi il continuo allungamento dell'età necessaria per andare in pensione, anche se ho qualche dubbio che verrà preso correttamente in esame.

Ma quello che più preoccupa è il crollo dell'aspettativa di vita in salute che a partire dal 2007, secondo dati EUROSTAT, ha registrato un vero e proprio crollo passando da valori superiori ai 70 anni sia per gli uomini che per le donne a dati che superano di pochissimo i 60, con un sorpasso degli uomini sulle donne che è davvero stupefacente, un crollo questo che gli istituti di statistica non sanno spiegarsi, così come nessuno sa dire perché in un anno climaticamente normale ci siano stati 54 mila decessi in più!

Non v’è nutrizionista che in televisione non esalti e raccomandi l’adozione della dieta mediterranea come la più salutare che ha collocato al secondo o terzo posto l’Italia per longevità (che non sempre è sinonimo di benessere). L’elenco delle sostanze alimentari considerate sono: frutta, verdura, cereali, legumi e pesce. E considerando che il pesce non è un alimento necessario alla salute umana (come testimonia l’eccellente salute dei vegetariani), e considerato che le stesse popolazioni mediterranee ne facevano un uso relativo, praticamente quando si parla di benefici della dieta mediterranea implicitamente si sta parlando di dieta vegetariana; ma certi nutrizionisti se ne guardano bene dal farsi fautori di tale dieta, dal momento che considerano i prodotti animali come necessari alla salute umana.

Ma anche il saltuario consumo di prodotti di derivazione animale (in tempi in cui era già tanto riuscire a sfamarsi), incideva (ed incide) negativamente sulla salute umana, anche se i prodotti erano genuini, per il semplice fatto che restano pur sempre prodotti incompatibili con la nostra natura. I benefici della cosiddetta dieta mediterranea derivano dalla riduzione del consumo di prodotti animali secondo la regola inversamente proporzionale: meno se ne usano e più aumenta la salute.

Inoltre, quella comunemente considerata dieta mediterranea non è mai stata la dieta dei popoli contadini perché oltre a frutta, verdura, cereali, legumi e pesce hanno sempre consumato anche uova da cortile, latte delle pecore o mucche e formaggio. La carne era relegata a ricorrenze festive. Ma i nutrizionisti, oltre alla frutta, verdura, cereali, legumi e pesce raccomandano sempre anche un “moderato” consumo di carne, di formaggi e naturalmente di uova. Praticamente nella sostanza propongono la solita dieta convenzionale la cui unica raccomandazione è appunto la riduzione della sempre accusata carne, nonostante la nostra televisione di Stato la pubblicizzi giornalmente e inviti al consumo.

Tutto questo genera confusione nella popolazione sempre più confusa in fatto alimentare. Ma, si sa, l’intento è sempre quello di non turbare il sonno della popolazione che non intende rinunciare al piacere gastronomico anche a costo di gravi patologie correlate al consumo di prodotti animali, ma soprattutto perché questo metterebbe in pericolo i guadagni delle lobby zootecniche, degli allevatori e macellatori che devono pur lavorare, anche a costo di una pandemia planetaria.

Giugno 2013, Vinexpo di Bordeaux. Il mio primo approccio con l’allora progetto “La Cité des Civilitation du Vin” come “Città di Civiltà”. Un plastico in esposizione all’ingresso mi incuriosì, mi conquistò ancor prima di affascinarmi. Quella costruzione a “decanter” sulla riva gauche della Garonne, là all’entrata des Bassins, il porto vecchio di Bordeaux.

Scrissi allora, al ritorno dalla Esposizione bordolese:” Ne museo ne parco a tema ma un luogo da vivere in una continua scoperta culturale, scientifica e intrattenimento educativo. Il Vino come elemento magico, mitologico, sacro. Simbolo di ospitalità e, allo stesso tempo, di condivisione: l’incontro di civiltà”.

PontonA corredo del plastico i tempi di realizzazione. Inizio lavori 2011 (progetto, acquisizione dei terreni, inizio costruzione), consegna fine marzo 2016. Il ritardo sui tempi previsti sarà di 60 giorni. Infatti il 1 giugno 2016 ci sarà l’inaugurazione alla presenza delle più alte cariche dello Stato francese, Presidente della Repubblica compreso.

Scrissi allora:” Le note dei due architetti, Anoux Legendre e Nicolas Desmazières, descrivono l’opera partendo da due elementi precisi: un ceppo di vite e il movimento del vino all’interno di un calice da degustazione. L’incontro di questi due elementi in un abbraccio dalle curve arrondies (arrotondate). Una rievocazione non del vino ma della sua anima”.

Gloria, gloria a Dionisio! Una Menade nuda (baccante del Dio greco) ci ricorderà “la frenesia estatica e invasata”. Mito, leggenda, tradizione. La Città delle civilizzazioni del Vino. Un percorso nel tempo fino alla realtà dei nostri giorni.

162 ettari ricavati all’ingresso dei “Bassins à flots”, tutto inserito in un più vasto progetto urbanistico definito “Eco-Quartier résidentiel”.

55 metri d’altezza con all’estremità superiore un “ristorante” belvedere a 360° dove ammirare, in senso orario, la Garonne, la Città di Bordeaux e tante tante vigne dell’Haut-Medoc.

Una costruzione di vetro e alluminio che rifletterà il cielo, le acque della Garonne e la Città di Bordeaux. Tutt’intorno alberi a ricordare la cultura della vinificazione, dei tonneaux, delle barriques. Ed infine una grande vigna “selvaggia” per ricordare le origini.Tour du monde des vignobles CREDITS Casson Mann Agency Cité des civilisations du vin

Universalità la parola d’ordine. Concerti, incontri, dibattiti in un Auditorium di 750 mq per 250 posti a sedere, sei sale di degustazione e ambienti ludici per adulti e bambini.

Non solo cultura e vini francesi ma porte aperte a tutte le regioni vinicole del Mondo.

Ma soprattutto quell’accesso multimodale previsto lungo la Garonne che permetterà, vista la posizione strategica, una interazione con le zone vinicole dell’area Bordeaux.

Sautèrnes, Graves, Medoc, Saint-Émilion, Pomerol, Entre-deux-Mers saranno raggiungibili con navette fluviali che risaliranno la Garonne, la Gironde e la Dordogne per una interazione con le più conosciute aree vitivinicole.

Il costo dell’intera opera si aggira intorno a 83 milioni di Euro principalmente forniti dalla Municipalità di Bordeaux (38%), dall’Unione Europea (15%), Comunità urbana di Bordeaux (10%), Consiglio dei Vini di Bordeaux (7%) ed il resto dai più grandi Châteaux della zona.

Sono previsti 450.000 visitatori all’anno per incrementare il turismo enologico che già conta numeri da capogiro. Basti pensare che nell’ormai lontano anno 2000 si contarono visitatori pari a 2.000.000 (duemilioni) saliti nel 2015 a 6.000.000 (seimilioni) con benefici per tutta la Regione Aquitania.

“ Con la Città del Vino vogliamo attirare ancor più visitatori. Siamo consapevoli che, per raggiungere questo successo, necessitano interventi e grandi progetti in appoggio per lo sviluppo del turismo del Vino” Parole di Alain Juppé, Sindaco di Bordeaux.

Non un Museo; sarà una città di attività culturali.

Il piano terra sarà l’occasione per fare un giro del mondo tra i vigneti esistenti utilizzando schermi giganti. Un grande tavolo touch-screen presenterà una cinquantina di vignerons che lavorano in dieci regioni del mondo.

Al primo piano mostre temporanee di opere d’arte e una galleria delle civilizzazioni del vino con documenti a partire dall’Antico Egitto, attraverso l’Antica Grecia arrivando alla fine del XVIII secolo.

Uno spazio sarà dedicato all’abuso dell’alcool. I dati invitano alla prudenza e “bere consapevole” è la parola d’ordine.

Appuntamento al 1 Giugno 2016 per l’inaugurazione della Cité du Vin e la consacrazione della città di Bordeaux come Capitale Culturale Mondiale del Vino.

 

March 05, 2016

Informazione a servizio della casta. Sono anni che denunziamo lo “scempio” che viene fatto dell’informazione in Italia. In una corretta democrazia l’informazione dovrebbe essere libera, al servizio dei cittadini, non controllabile tranne che dal codice penale: da noi avviene esattamente il contrario. In Italia non c’è mai stata libertà di informazione. I finanziamenti pubblici allettano gli editori, e pure tanto, specialmente quando di milioni ne vengono sganciati a piene mani. I politici lo sanno, sanno che sono la loro sopravvivenza, e da compassati maestri ne promettono e danno tanti, devi essere però amico dell’amico altrimenti “niet”, non se ne parla proprio, sono in gioco il tenore di vita, i privilegi, le amanti ed il potere. Chi potrebbe avallare tutto ciò se non l’informazione?

Grazie ai soldi del 'nuovo' canone Rai, si finanziano anche gli editori. Un disegno di legge rivede i criteri di finanziamenti pubblici destinati al settore editoriale, inserendovi anche i proventi dell'imposta/canone Rai. Per ora l'uovo e' stato preparato alla Camera, poi passerà al Senato e, per certe cose -si sa- i tempi sono spediti.

In un’audizione alla commissione Cultura della Camera, lo scorso 26 gennaio, il direttore della Fieg (Federazione Italiana Editori Giornali) aveva espresso parere positivo sul Fondo per il pluralismo e l'innovazione dell'informazione e le deleghe al governo per la ridefinizione del sostegno pubblico all'editoria (più soldi nostri per i loro associati); ed aveva chiesto che una quota delle maggiori entrate che si dovessero verificare dal pagamento del canone Rai in bolletta elettrica sarebbero dovute andare all'editoria, cioè anche alla carta stampata, nell'ottica del pluralismo dell'informazione.

C’era da scommettere che il disegno di legge venisse subito approvato! Anche perchè grossi appuntamenti elettorali bussano alla porta. Tra le varie fonti dei fondi per finanziare il tutto, e' prevista una quota, sino ad un massimo di cento milioni, delle eventuali maggiori entrate versate per il canone tv (maggiori rispetto alla cifra fissata -1,7 miliardi all'anno per il periodo 2016-18- che il Governo ha previsto... lasciando un “buco” per il dopo). Così, grazie ai soldi del 'nuovo' canone Rai, si finanziano anche i 'nemici'.

Esclusi da questi benefici i giornali di partito e sindacali (non ci crediamo!), nonché quelli quotati in Borsa e quelli di carattere tecnico, aziendale e scientifico. L'aspetto più interessante e sintomatico è quello dei beneficiari, incluse le testate online, che potranno continuare a campare anche se sono letti e seguiti dai loro “intimi”: imprese con prevalenza di capitale di cooperative; fondazioni o enti no-profit; giornali di minorane linguistiche o in italiano diffuse all'estero: giornali per nonvedenti e, -potevano mancare?- i giornali delle associazioni di consumatori iscritte in apposito elenco (immaginiamo sia il CNCU - Consiglio nazionale consumatori e utenti, istituito presso il ministero dello Sviluppo Economico e a cui sono iscritte la quasi totalità delle associazioni che, di riffa o di raffa, prendono soldi dallo Stato eccezion fatta per L’ADUC che per sua scelta ha deciso di non prendere soldi). Associazioni che proprio in questi giorni, in passato -e presumiamo anche in futuro- “tuonano” contro l'imposta/canone, alcune addirittura vaneggiando di impossibili class action (le class action non si possono fare in materia fiscale) per non pagarlo.
Cosa c'è di meglio -nella logica e nel diritto- che farsi pagare per parlare male del tuo pagatore: si vuole che così sia per garantire quello che viene chiamato pluralismo... basta che sia fine a se stesso e non dia fastidio al “manovratore”.

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