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Determinazione, umiltà, coraggio, talento, tenacia, spontaneità. È quanto emerge dall’incontro con l’attore Fabrizio Colica, tra i protagonisti del film d’esordio di Ludovico Di Martino: “Il Nostro Ultimo”. Nato a Roma, classe 1991, Fabrizio ha sempre vissuto nella zona di Ponte Milvio, dove, come lui stesso ha precisato “chi vuol fare l'attore è una pecora nera”. Padre avvocato, frequenta per due anni e mezzo la facoltà di Giurisprudenza. Si accorge però che quella non è la sua strada. Decide così di iscriversi al Centro Sperimentale di Cinematografia, dove sta frequentando il terzo anno. Recentemente un video caricato sul web, in cui imita Alessandro Di Battista, insieme a Liliana Donna Fiorelli, che imita la neo eletta Sindaca Virginia Raggi, sta avendo moltissime visualizzazioni. (Link al video http://video.espresso.repubblica.it/tutti-i-video/dibba-e-virgy-la-coppia-piu-bella-del-mondo/8806/8898).
“Il Nostro Ultimo”, vincitore come Miglior Film al Ferrara Film Festival e Miglior Attore al Milan International Film Festival, racconta di due fratelli, Fabrizio e Guglielmo, che decidono di esaudire il desiderio espresso dalla madre prima di morire: partire per un’ultima vacanza insieme. Inizia così il viaggio verso la Sicilia, con la bara della madre legata al portapacchi di una vecchia utilitaria, che li porterà a confrontarsi con il
Fabrizio Colica |
passato e a vedere il futuro con occhi diversi.
Il mestiere dell’attore. Cosa ti ha spinto a scegliere questa strada?
Probabilmente lo sapevo sin da quando ero piccolo. A otto anni mi divertivo a osservare e imitare parenti, amici, compagni di classe e maestre. Addirittura riproducevo le "facce delle macchine": ero convinto che avessero un’espressione e la riproducevo fedelmente, qualsiasi modello, Fiat, Ford, Mercedes, Audi…tutte! Più che qualcosa che mi abbia spinto a fare questo mestiere, ci sono tante cose che mi spingono in continuazione a non farlo: paure, insicurezze, scelte universitarie sbagliate e frustrazione. Sono questi i veri ostacoli che si incontrano e, finora, devo dire, li sto affrontando tutti. È troppo bello questo lavoro per arrendersi così presto.
Come si diventa attori?
Ormai chiunque può diventare attore. Siamo in un periodo che chiamerei Neo-neorealismo. Al cinema vogliamo vedere rappresentata la verità, così com'è. Quindi per rappresentare la verità bisogna osservarla e riprodurla. Le scuole di recitazione possono farti conoscere metodi e tecniche per la riproduzione, ma per l'osservazione nessuno può insegnarci niente. Io spesso, in metro, sorpasso il limite dello stalking! Mi piace osservare le persone, immaginare cosa stiano pensando, cosa mangeranno la sera, che giornata hanno avuto...
Hai dei modelli di riferimento?
Continuando il discorso di prima, non ho modelli di riferimento tra gli attori famosi, bensì tra le persone. Quando leggo un copione o una sceneggiatura, mi ritrovo a figurarmi in testa tipologie di persone che conosco, che starebbero bene in quel ruolo. Ammiro tantissimi professionisti del passato e contemporanei. Tra questi ultimi, uno che mi stupisce sempre è Elio Germano. È un attore generoso, che si catapulta in un ruolo e ci mostra tutte le sfaccettature ogni volta in maniera diversa.
Parliamo del film che ti vede protagonista, “Il Nostro Ultimo” di Ludovico Di Martino. Come hai lavorato sul personaggio?
Il personaggio de “Il Nostro Ultimo” si chiama Fabrizio, come me. Ludovico l'ha scritto proprio su di me perché era sicuro, già prima di scriverlo, che quel ruolo l'avrei interpretato io. Me lo ha cucito addosso e l’estate in cui abbiamo girato, mi sono ritrovato ad affrontare tutte le situazioni che affrontava quel personaggio, non da attore, ma da persona. E quindi le domande che mi facevo erano: "cosa farei io qui?", "come reagirei a questa cosa?". Il personaggio di Fabrizio è Fabrizio Colica che si trova a fare cose che farebbe Ludovico Di Martino.
Il film è definito una commedia noir. Trovi che il noir sia il genere giusto per indagare l’universo dei sentimenti umani?
Effettivamente è un film noir per quanto riguarda l'atmosfera. C'è suspance, amarezza, dubbio. Per quanto riguarda il soggetto, però, ha poco di noir. L'importante (noir o non noir) è che siamo riusciti a indagare su questo universo dei sentimenti.
Nella storia c’è anche un messaggio positivo: a volte le disgrazie ci predispongono alla crescita e ci aiutano a rivalutare determinati valori.
È proprio così. Come diceva un poeta libanese: "Le anime più forti sono quelle temprate dalla sofferenza". Il personaggio di Fabrizio ha assorbito tutta la sofferenza della madre nella sua malattia, Guglielmo no. Questo rende Fabrizio molto più maturo del fratello, non solo per un fattore anagrafico. Il viaggio con la bara della mamma, fa maturare Guglielmo e alleggerisce Fabrizio dal senso di colpa con un conseguente scambio di valori tra i due.
Quali difficoltà e quali vantaggi ha comportato l’autoproduzione di quest’opera?
Devo dire che, da attore, non ho sentito per niente le difficoltà. Come dico sempre, i veri eroi di questo film, oltre a quelli che ci hanno creduto e hanno investito i soldi, sono gli assistenti, i macchinisti, i runner, quelli che fermavano le macchine sotto il caldo, quelli che ci portavano i cestini sul set e che hanno svolto questi compiti scomodi solamente per amore del set e per un progetto a cui credevano, senza che nessuno lo venisse a sapere e senza un nome in cartellone. Non avere molti soldi è stato anche più entusiasmante per tutti quanti, perché ci rendeva tutti coproduttori e quindi responsabili del risultato finale.
Cosa potrebbero fare le istituzioni per incoraggiare i giovani in questo settore?
Prima di parlare di istituzioni dovremmo parlare di addetti ai lavori e prima ancora di parlare degli addetti ai lavori dovremmo parlare di quelli che aspirano ad esserlo. A Ludovico va riconosciuto, oltre il talento, il coraggio. È stato coraggioso a girare, come opera prima, un lungometraggio che avesse come protagonisti due attori esordienti o, detto papale papale, due sconosciuti. Quello che noto anche al Centro Sperimentale di Cinematografia, che finirò di frequentare a dicembre, è che la maggior parte degli studenti di regia hanno paura di sperimentare. Per i loro corti di diploma o per le loro opere prime puntano sui nomi famosi, senza neanche informarsi se, nella stessa scuola, ci sia uno studente di recitazione talentuoso con cui poter lavorare. Neanche ci vengono a vedere quando facciamo delle prove aperte o gli spettacoli di fine trimestre. Prima di parlare di cosa non funzioni ai piani alti, vorrei capire perché i giovani abbiano paura di sperimentare.
Un cast fatto di attori emergenti e professionisti, che atmosfera si respirava sul set? Vuoi raccontarci qualche aneddoto durante le riprese?
L'atmosfera che si respirava sul set era di profonda responsabilità, ma nello stesso tempo si giocava in continuazione. Ogni reparto era concentrato a dare il meglio di sé nel modo più professionale possibile, in un clima di rispetto e fiducia. Nei momenti di pausa o a fine set sembravamo una classe in gita scolastica. Durante le cene si cantava, si urlava, si scherzava. Gli abitanti dei paesini in cui giravamo erano in subuglio, non solo perché vedevano passare una macchina con una bara, ma anche perché la nostra allegria non passava inosservata. Anche i professionisti che si trovavano a girare una o due giornate con noi rimanevano colpiti dal clima che c'era sul set. In particolare, Giobbe Covatta ci ha mandato un bellissimo messaggio dopo aver girato con noi. Sembrava che fossimo stati noi a dare qualcosa a lui e non il contrario. Anche con Pietro De Silva siamo rimasti in buonissimi rapporti e ogni volta che mi vede, oltre a dirmi che assomiglio a Gigi Proietti, mi ripete quanto si sia divertito a girare insieme a noi.
Progetti futuri?
Ho ripreso da poco a scrivere e, insieme a mio fratello, stiamo mettendo su una serie sulla vita di un aspirante attore. L'idea nasceva da momenti di frustrazione in cui io e mio fratello Claudio (anche lui attore e autore) ci trovavamo in camera a lamentarci delle nostre carriere e dei personaggi che si incontrano in questo stravagante ambiente. Questi personaggi sono stati riportati in chiave comica in piccoli episodi che gireremo ad agosto. È la prima volta che "uniamo le forze" seriamente e sono sicuro che usciranno grandi cose.
“Il Nostro Ultimo” sarà proiettato sabato 9 Luglio alle ore 22:30 al Parco degli Acquedotti (ingresso altezza Subaugusta). Sarà presente parte del cast. L'ingresso è gratuito.
Le affermazioni del pentito Nuredin Atta Wehabrebi a proposito della rete di trafficanti di uomini e organi umani sono l'ennesimo sintomo delle difficoltà nella gestione dei fenomeni migratori causati dai conflitti e, in generale, del disagio sociale
L'inchiesta che ha portato al fermo di 38 persone in diverse città italiane è partita dalle dichiarazioni di un pentito. Si tratta di Nuredin Atta Wehabrebi, di nazionalità eritrea, primo ex-trafficante collaboratore di giustizia, arrestato nel 2014 e condannato lo scorso febbraio a 5 anni di carcere. Avrebbe deciso di uscire dall'organizzazione e rivelarne struttura e movimenti “perché ci sono stati troppi morti in mare”. Le sue affermazioni, considerate attendibili, hanno consentito di ricostruire dettagliatamente le attività di una rete criminale, con “cellule” in Africa Settentrionale e in Italia e la “base finanziaria” a Roma, in una profumeria di via Volturno, il cui gestore, Solomon, consegnava ogni sabato tra i 280mila e i 300mila euro a un complice, Gebremeskel Mikiele. Solomon avrebbe avuto un ruolo importante nei trasferimenti di denaro dai parenti dei migranti (attraverso il sistema Hawala) alla rete criminale, aiutato da un fratello in Israele, da un conoscente a Dubai, e, sempre secondo Wehabrebi, da italiani in viaggio a Dubai e in Israele. La polizia italiana sta ora cercando di identificare gli imprenditori italiani coinvolti nel traffico, mentre i fogli su cui venivano appuntate le “transazioni finanziarie”, sequestrati il 13 giugno, sono ancora oggetto di analisi. Diversi dunque i paesi in cui questa rete operava, compresa la Libia, base degli scafisti che dovevano portare i migranti in Italia, ed Egitto. Qui, ha dichiarato Wehabrebi, la “cellula egiziana” della rete di trafficanti portava i migranti che non potevano pagare il viaggio, ai quali venivano espiantati gli organi che in seguito venivano rivenduti per 15mila dollari circa.
Commerci illegali come quello di organi umani, di migranti, spesso minori non accompagnati, o di donne trovano terreno fertile in zone e tempi di crisi e conflitti, ossia quando l'emergenza economica pone in secondo piano la considerazione di sé come soggetto di diritti. Come di recente ha osservato Viviana Valastro di Save the Children molti ragazzi, in particolare egiziani, che tentano di approdare in Europa via mare, appena arrivano hanno l'urgenza di ripagare i debiti contratti con i trafficanti e per loro “è difficile capire il concetto di sfruttamento”: “a casa loro lavorano e sono pagati anche meno, per loro non è un problema lavorare per pochi soldi... è molto difficile far loro accettare che l'istruzione e la formazione potrebbero offrire una vita migliore”. Anche perché, nell'Europa colpita dalla crisi finanziaria, ciò non è sempre vero. Si aggiungono così alle sacche di disagio sociale, facile preda della criminalità organizzata. Nel giugno 2015, ad esempio, le autorità italiane hanno scoperto un giro di prostituzione minorile e traffico di stupefacenti nei pressi della stazione Termini di Roma. Uno dei ragazzi coinvolti, molti dei quali egiziani (migliaia sono i bambini egiziani dichiarati scomparsi all'arrivo in Italia), intervistato dal quotidiano italiano La Repubblica, ha spiegato: “i nostri genitori hanno speso tanto per mandarci qui e dobbiamo ripagarli”. Secondo le stime dell'Europol, i minori non accompagnati scomparsi in Europa nel 2015 sono circa diecimila. Ma non sono i soli a finire nelle maglie dello sfruttamento.
Nel 2012, il quotidiano statunitense New York Times (http://www.nytimes.com/2012/06/01/world/europe/european-crisis-bolsters-illegal-sales-of-body-parts.html?_r=0) ha pubblicato un'inchiesta in cui si rilevava un aumento del mercato illegale di organi umani nell'Europa colpita dalla crisi finanziaria. Persone in difficoltà economica e senza molte speranze di uscirne, soprattutto nei paesi balcanici usciti da conflitti (Serbia, Kosovo) e in Europa orientale (come la Russia e, in generale, i paesi dell'ex blocco sovietico), ma anche in Grecia, Spagna e Italia (si veda in proposito http://www.repubblica.it/2009/06/sezioni/cronaca/traffico-organi/traffico-organi/traffico-organi.html), cercano di vendere reni, polmoni, midollo osseo o cornee attraverso internet, alcuni ingaggiando addirittura investigatori privati alla ricerca di “acquirenti”. Simili “episodi”, in precedenza, erano stati documentati in molti paesi asiatici, come India, Nepal, Pakistan, Afghanistan, Bangladesh, Cambogia, Vietnam, Laos, Filippine e Cina, ma anche in Brasile: tutti paesi in cui il mercato della prostituzione, in particolare minorile, fa prosperare le finanze delle reti criminali. Secondo il New York Times, in Europa dell'Est il mercato di esseri umani e organi si sarebbe sviluppato nel periodo successivo alla dissoluzione dell'Unione Sovietica.
Lo sfruttamento di esseri umani ai fini del profitto non riguarda solo gli ultimi difficili decenni di riorganizzazione dell'assetto geopolitico (quindi anche economico) mondiale. Si pensi alle attestazioni letterarie, tra gli ultimi decenni dell'800 e l'inizio del '900, della dura vita dei carusi (Rosso Malpelo di Giovani Verga; Ciaula scopre la luna di Luigi Pirandello), o alle poesie di William Blake sulle sofferenze dei bambini spazzacamini nella Londra di fine '700. Periodi di transizione, di “rivoluzioni industriali”, durante i quali cambiamenti nei meccanismi di produzione hanno avuto drammatici impatti sociali. A proposito di crisi legate a fenomeni migratori, si può citare Ammiano Marcellino, storico romano del IV secolo d.C., che ha dedicato un celebre passo dei suoi Rerum gestarum libri al “turpe commercio” organizzato dai due generali romani Lupicino e Massimo, ai danni dei rifugiati goti che, a seguito delle scorrerie degli Unni, avevano ottenuto asilo dall'imperatore Valente. Anche i profughi di allora, stremati dalla fame, vendevano schiavi (spesso bambini) in cambio di carne di cane. Come oggi, corruzione e crimine proliferavano in contesti di crisi sociale ed economica. Come allora, per debellarle, o almeno ridurne la portata, si potrebbe uscire dall'ottica dei “provvedimenti di emergenza” e affrontare il problema del disagio sociale (che non ha nazionalità) in una prospettiva di giustizia ed equilibrio.
Champagne e Ostriche ricordano lusso e lussuria e abbinarli è un classico.
…ma per gli appassionati, esperti e degustatori, tecnicamente è “totalmente sbagliato”.
Lo zinco presente nelle bivalve, in contrapposizione all’acidità e alla carbonica dello champagne, produce quei fastidiosi sentori metallici (sali di zingo) aumentando a dismisura i “forti sentori salmastri”, creando un disequilibrio gustativo, annullando l’armonia dell’abbinamento. Parola dei “francesi e particolarmente dei parigini”.
Cerchiamo di conoscere le ostriche e la loro provenienza.
Si trovano e sono coltivate in tutto il mondo. I Francesi, abili comunicatori, cercano di difendere con tutti i mezzi di divulgazione e diffusione la paternità dei migliori allevamenti di questo mollusco arrivando ad abbinarlo, pur essendone decisamente contrari, al loro vino più famoso nel mondo: lo champagne.
Le ostriche sono versatili: i loro allevamenti ecosostenibili. Importante fonte di zinco, ferro e calcio. I valori nutrizionali più marcanti sono: 51 kcal, 5,71 gr di proteine, 1,71 gr di grassi e una buona quantità di acidi grassi polinsaturi. Il tutto riferito a 100 gr di prodotto.
Molti le consumano, tantissimi le ritengono sgradevoli perché viscide, scivolose, appiccicose o per il loro sapore di “pesce”. Buona parte degli scettici evitano di mangiarle perché devono essere consumate “crude e vive”.
L’educazione al consumo di ostriche comincia con consumarle cotte condite con alcuni ingredienti familiari come aglio e rosmarino, prendendo confidenza con i sapori di questo mollusco e arrivare alla “conversione” al crudo; efficace percorso per giungere al delizioso, fantastico, saporito gusto “dell’Ostrica cruda e viva”. E ricordiamoci: l’ostrica cruda e viva va consumata senza condimento. Niente limone per favore! Va sorseggiata e pregustata con il liquido salato del suo interno e procedere a masticarla dolcemente e lentamente. La temperatura è importante: dai 4° a 8° C. Servire in tavola in un plateau con ghiaccio fine.
Ho parlato di allevamenti ecosostenibili. È uno dei metodi di produzione di cibo più sostenibile al mondo. Ogni bivalva riesce a filtrare le acque fino a 220 litri al giorno, migliorandone la qualità e aiutando la riproduzione di altre specie marine. Ma soprattutto non serve fornire loro mangimi o pastoie. Si nutrono dei residui dell’opera di filtraggio continuo.
“Come i vigneti hanno i Terroir le ostriche hanno i Merroir”. Qui si evidenziano le differenze. Mari diversi, foci di fiumi diseguali, ambienti naturali dissimili. Merroir come fattore ambientale che influenza dimensione, qualità, gusto e sapore dei frutti di mare. In questo caso “Oyster Merroir”
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Quanti tipi di ostriche esistono? Tantissime, più o meno pregiate. Ne cito alcune allevate in Francia e i cui nomi spesso troviamo ad identificarle:
- Ostrica Fines de Claire Marennes Oleron (Crassostrea angulata). Vengono affinate nei Clair, bacini salmastri più stagnanti che donano dolcezza e carnosità, nella Regione Marennes-Oleron, il più importante luogo di allevamento francese posto a Nord di Bordeaux nella Charente.
- Ostrica Pousses en Claire “Label Rouge” (Crassostrea angulata). Concava, orgoglio dei produttori del Marennes-Oleron. Le loro “Cru”
- Ostrica Bèlon(Ostrea edulis). Bretagna, foce del fiume Belon. Le ostriche più pregiate. Le piatte, Belon de Belon, sono le più ricercate. Un gusto inconfondibile grazie al suo Merroir
- Ostrica Gauloise (Crassostrea angulata). La Gallica. Sempre proveniente dalla foce del Belon ma diversa. Una “chicca”.
Ed infine cito una particolare, non francese.
- Ostrica Speciale d’Irlande de Donegal (Crassostrea angulata). Affinate nei Clairs che guardano l’ovest. Ostrica che si qualifica come speciale e gli Irlandesi consumano con Birra Stout Guiness e Whisky.
A questo punto mi sembra doveroso indicare, suggerire gli abbinamenti che vanno oltre l’immaginario collettivo Ostriche & Champagne.
- Muscadet sur lie da Sevre-et-Maine, (ovest della Loira), vitigno Melon de Bourgogne. Fresco e agrumato riesce nell’abbinamento proprio là dove lo Champagne non arriva. Chapeau!
- Chablis, vitigno chardonnay de chablis, per il suo legame con i molluschi e ostriche in particolare. Ricordate il “kimmeridge”, il suolo dello Chablis, ricco di fossili marini tra cui spiccano les coquilles d’huitres? Legame di parentela.
- Riesling Renano. Se poi è un Auslese le nozze sono le migliori.
“Per chi vuole farlo strano” suggerisco un rosso giovane che viene prodotto nel Beaujolais, che non è solo la patria del Novello. Morgon, un piccolo paesino della parte settentrionale di quest’area borgognotta (ci troviamo all’estremo sud della Regione Bourgogne), produce un Gamay particolare che ben si addice ad ogni tipo d’ostrica. Provare per credere.
E poi posso citare un Rosè del Tavel, un Friulano e perché no, un Albarola della Riviera ligure di Levante,. L’ho provato recentemente con le Ostriche del Parco Naturale Golfo dei Poeti, il vino del territorio, la scelta che non tradisce mai.
Come non dimenticare qualcosa di più alcolico:
- Sherry Fino. Amplifica i sentori del mollusco.
- Whisky. Unico problema è “reggerlo”. Se siete capaci cercate un prodotto delle isole. Un suggerimento? Senza fare pubblicità indico l’isola di provenienza: Skye Island (Scozia)
Sono riuscito a convincervi? Ritenete comunque che il miglior abbinamento sia con lo Champagne? Non volete percorrere altre vie, accettare le regole dell’abbinamento, recepire consigli?
Con l’arrivo dell’Estate ha avuto inizio la stagione di maggior consumo di Ostriche e allora “Buon Ostriche a Tutti”. Per gli abbinamenti? “De gustibus non disputandum est”.
Urano Cupisti
Fino a quando gli esseri umani si nutriranno come le belve si comporteranno come le belve.
I continui episodi di improvvisa violenza che si stanno verificando in Italia, e non solo, non hanno precedenti nella storia recente. Non passa giorno che non si registri una esplosione di follia con efferati omicidi di cui le vittime sono quasi sempre le donne e i minori.
Questa lunga catena di delitti, in apparenza inspiegabili, riconduce il problema al fenomeno di pochi anni fa della cosiddetta mucca pazza diventata tale perché alimentata con residui di carnami contrari alla sua natura di animale erbivoro. L’identico effetto non lo si può non associare all’essere umano per sua natura frugivoro. Mai l’umanità ha consumato quantitativi di carne come in questo periodo storico. E siccome la carne è un alimento adatto agli animali predatori, serve a dar loro la necessaria aggressività per uccidere la vittima: la logica vuole che se gli umani consumano questa sostanza (incompatibile con la loro struttura anatomica) è probabile che si verifichino i medesimi effetti e di conseguenza avranno di un comportamento aggressivo e violento.
Se una persona si nutre di alimenti scarsi di un determinato principio nutritivo, (per esempio di piante coltivate su un terreno povero di un certo minerale), anche il suo organismo accuserà la stessa carenza e questa si riflette inevitabilmente sulle funzioni del suo organismo. Ogni nutriente può far funzionare meglio o peggio un organo del corpo e di conseguenza l’intero organismo. Il nostro cervello è una macchina che funziona prevalentemente a glucosio, se manca tale nutriente funzionerà male, con le conseguenze che si immaginano.
Vi sono aminoacidi (come la tirosina, di cui sono ricchi i prodotti animali) che favoriscono la concentrazione nel cervello dei neurotrasmettitori dopamina e adrenalina i quali inclinano l’individuo alla competizione, alla litigiosità, all’aggressione, alla violenza (gli yogi indiani sostengono che i carnivori non possono mai raggiungere l’estasi). Anche la fenilalanina, di cui sono ricchi le carni, i formaggi ed anche i legumi, e un eccesso di zuccheri e di colesterolo nel sangue risultano essere tra i maggiori imputati.
Per contro altri principi nutritivi presenti principalmente nei prodotti vegetali, in virtù del loro altro contenuto in amidi e fibra consentono la concentrazione di triptofano nel cervello consentendone la trasformazione in serotonina, neurotrasmettitore che favorisce uno stato di calma, di serenità, di socievolezza la di empatia, di disponibilità verso gli altri.
Anche l’ossitocina, ormone dell’amore, predispone all’ empatia, alla fiducia negli altri. In sostanza, è possibile aumentare o diminuire certe funzioni cerebrali, introducendo con la dieta certi aminoacidi in misura maggiore o minore di altri.
E’ documentato che grassi di origine animale, zuccheri e carboidrati raffinati compromettono la salute del cervello, mentre una dieta vegana svolge un’azione protettiva. Due importanti cardiologi (Michael Cooper e Michael Agent) hanno dimostrato come la meditazione è in grado di abbassare di un terzo il livello di colesterolo nel sangue: e se la mente è in grado di condizionare la materia allo stesso modo la materia (il cibo) è in grado di condizionare il pensiero e di conseguenza la condotta dell’individuo. In sostanza, siccome ogni cibo entra in relazione con la nostra coscienza e con la nostra mente, modificando la dieta si influisce anche sulle emozioni e sul comportamento della persona.
La cattiva alimentazione impoverisce le facoltà cognitive e favorisce la demenza. La droga rende apatici, assenti, modifica il pensiero e il comportamento delle persone. Il profumo inebria, calma e rilassa. Traumi in specifiche zone del cervello ledono specifiche funzioni. Certi settori del cervello coinvolti in processi emotivi lo sono anche nella elaborazione dei pensieri. Differenti emozioni attivano differenti zone del cervello e viceversa.
Studiosi dell’University of California hanno dimostrato che anche i batteri presenti nell’intestino possono modificare alcune funzioni psichiche; in sostanza si può modificare lo stato psichico dell’uomo utilizzando specifici alimenti (intuizioni che risalgono ad Ippocrate). Modificando la flora batterica intestinale si possono influenzare le risposte psichiche, e con esse migliorare o peggiorare determinati comportamenti.
Anche gli stati d’animo e le emozioni si riflettono su tutte le cellule e le funzioni del corpo. Le emozioni negative generano disarmonia nelle funzioni fisiche e alterano i battiti cardiaci. Sentimenti come l’odio, la gelosia, la paura se persistono possono arrivare a provocare dei cambiamenti organici e quindi delle vere malattie. I capelli di una donna belga condannata a morte dai tedeschi divennero improvvisamente bianchi nella notte precedente l’esecuzione. Non solo la mente ma anche la coscienza umana è un’energia capace di modificare il mondo fisico.
La meditazione, la preghiera, giocano ruoli determinanti nei processi di guarigione. La mente ha il potere di attivare le difese immunitarie dell’organismo ed operare la guarigione. Un terzo delle persone guarisce attivando il potere della mente. Un atteggiamento attivo nei confronti della malattia influenza pesantemente il decorso. Anche l’ipnosi risulta essere un potente mezzo di guarigione. Gli esperimenti placebo sono una realtà riconosciuta anche dalla medicina ufficiale. Addirittura mente e cuore possono interagire al di fuori della dimensione spazio e tempo.
Seneca faceva notare che tra i mangiatori di carne si trovano i tiranni, gli organizzatori di eccidi, di faide e di guerre fratricide, i mandanti di assassinii, gli schiavisti, mentre coloro che si nutrono dei frutti della terra sono caratterizzati da comportamenti miti e socievoli. E Porfirio scriveva: “Non è tra i mangiatori di vegetali ma tra i mangiatori di carne che si trovano gli assassini, i ladri, i tiranni. Il regime vegetali più di ogni altro è adatto a dare una salute perfetta e una mente riflessiva e filosofica”. Rousseau: “Comunque si voglia spiegare il fenomeno, è certo che i mangiatori di carne sono in genere feroci e crudeli più degli altri uomini. E’ quindi necessario non abituare i bambini a nutrirsi di carne, se non per la loro salute almeno per il loro carattere”. Lamartine: “Sonoconvinto che uccidere gli animali per nutrirsi della loro carne sia una delle disgrazie della razza umana. Io credo che queste immolazioni questo appetito di sangue, questa vista di carni palpitanti, siano fatti per rendere il cuore più duro e brutale”.Questo l’aveva intuito già Platone, vegetariano, che consentiva il consumo di carne solo ai soldati che partivano per la guerra.
Le popolazioni, o le comunità più pacifiche e miti, sono quelle che hanno escluso la carne dalla loro dieta, come gli Hunza del Kashmir, i russi del Caucaso, gli indiani del Toda e dello Yucatan (centro America), i Vilcabamba nell’antico Perù, gli indigeni del Monte Hagen nella Nuova Guinea, i Carani Guaranti dell’America del Sud, certe tribù dell’Africa o gruppi di Indios del Brasile nord-occidentale o gli Indios Piaroa in Venezuela. In questi non c’è traccia di aggressività e di violenza e l’odio è sconosciuto.
Si grida allo scandalo quando un bambino di genitori vegani(?) viene ricoverato per ragioni di salute, dimenticando che in Italia ogni anno circa 2400 bambini (cioè circa 500 mila bambini) figli di genitori onnivori muoiono ogni anno per infezioni, malattie varie, traumi, violenza, maltrattamento ecc. Naturalmente di questo nessuno ne parla.
Quei genitori che fanno ammalare i loro bambini a causa di una cattiva o inappropriata alimentazione non centrano nulla con la cultura vegan: sono solo degli elementi anomali che non hanno raggiunto la maturità necessaria che richiede la conoscenza scientifica delle necessità nutrizionali dell’adulto e del bambino. La dieta vegetale è in grado di assicurare tutti i nutrienti necessari, come confermato dalla stessa American Dietitic Association: “Tutte le diete vegetariane, comprese quelle vegane, correttamente pianificate sono salutari, adeguate dal punto di vista nutrizionale e possono apportare benefici nella prevenzione e nel trattamento di alcune patologie.”.
Diversamente occorrerebbe dimostrare che la malattia è correlabile alla mancanza di nutrienti reperibili solo nei prodotti carnei. La carenza di vitamina B12 è la sola che può costituire pericolo, ma facilmente arginabile attraverso integratori, senza incorrere agli effetti collaterali dei prodotti carnei.
Alcuni ritengono ingiusto imporre al bambino una dieta vegan; noi riteniamo ingiusto e irresponsabile imporre l’alimentazione onnivora ai bambini. Noi portiamo la testimonianza di molti bambini e adolescenti, nati da genitori vegan, che godono ottima salute, e questo ci spinge a dare ai nostri bambini l’alimentazione prevista dalla natura per noi frugivori come la più adatta a garantire loro una vita sana e felice.
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I MIRACOLI DELLA DIETA VEGAN
Uno studio della Oxford University pubblicato dalla rivista Pnas, ha calcolato i benefici della dieta vegan, in termini di salute e di economia.
E’ emerso che se tutto il mondo adottasse una dieta strettamente vegana si risparmierebbero 8,1 milioni di morti premature da qui al 2050, dovute soprattutto alle minori malattie cardiovascolari, ma anche a tumori e patologie correlate all’obesità. I benefici economici (solo) per i sistemi sanitari, poi, andrebbero da 700 a 1000 miliardi di dollari l’anno.
(Dalla rivista Optima Salute, mensile diffuso in farmacia nel giugno 2016)
I fuochi d'artificio che la sera del 29 giugno celebrano la festa dei patroni di Roma, i Santi Pietro e Paolo, si trasferiscono quest'anno a piazza del Popolo. Non si tratta di uno stravolgimento moderno o di una decisione arbitrariamente originale. Già nel XVI secolo, infatti, tale spostamento era stato fatto a seguito dei lavori per la costruzione dell'attuale basilica di San Pietro. Tutti i solenni riti pontifici vi furono trasferiti, probabilmente perché la chiesa di Santa Maria del popolo, era la prima che si incontrava entrando in città provenendo da nord. Bramante ne avrebbe per l'occasione ingrandito il presbiterio, decorato poi dal Pinturicchio.
La tradizione vuole che il nome della piazza sia dovuto al fatto che papa Pasquale II (+1118) avesse fatto realizzare, a spese del popolo romano, la cappella dedicata alla Madonna, addossata alle mura urbiche e in prossimità della porta, da cui ebbe origine la chiesa. L'aspetto attuale della piazza fu determinato dalla sistemazione per l'ingresso in città della regina Cristina di Svezia nel XVII secolo, poi completato dall'intervento del Valadier nel XIX.
I giardini e la terrazza del Pincio, uno dei punti panoramici più belli di Roma, saranno un fondale meraviglioso per lo spettacolo di luce che, anche quest'anno, sarà enfatizzato dalla musica. Accompagnamento musicale che pure ha antiche tradizioni, tra i più celebri componimenti, quelli di Händel per i Reali fuochi di artificio, commissionati da Giorgio II di Gran Bretagna.
Componimenti ad hoc, furono composti per gli altri fuochi artificiali che si tenevano a Roma, sempre il 29 giugno per i Santi Pietro e Paolo, a conclusione della festa della Chinea.
I fuochi, anche nel passato, costituivano il culmine e la conclusione dei festeggiamenti, ne rimaneva il ricordo e ne assicurava la diffusione, la copiosa tiratura di stampe. Numerosi anche i dipinti, frutto dell'impressione suscitata negli animi degli artisti nei secoli. La nascita della fotografia ha poi modificato ulteriormente il modo di conservarne traccia nella memoria.
L'origine dei fuochi d'artificio si perde nel tempo e nei luoghi, forse in Cina o in India. In Italia arrivano già nel XIV secolo portati forse dai crociati o dai pellegrini e da qui, poi, diffusi al resto d'Europa. Il fascino ammaliatore che li contraddistingue è forse dovuto a quel misto di arte e guerra che li connota. Così come la somiglianza con gli eventi naturali piroclastici che caratterizzano l'attività eruttiva dei vulcani, che scatenano quel sentimento del sublime, codificato nel Romanticismo.
Comunque sia la prima Girandola, tradizionalmente, viene fatta risalire al 1481 e alla celebrazione del l'anniversario dell'elezione di Sisto IV della Rovere, il papa che costruisce la Sistina e che, nel 1471, con la restituzione dei bronzi romani tra cui la lupa, fonda il primo nucleo dei Musei Capitolini al Campidoglio.
Lo spettacolo si teneva non solo per la festa dei patroni di Roma, ma anche per celebrare l'incoronazione dei papi, i successivi anniversari della stessa e la visita di sovrani stranieri.
La presentazione di un libro, da sempre, mi attrae, affascina, strega, conquista. Qualsiasi sia l’argomento. Premessa quanto mai necessaria per descrivere la presentazione di un Libro Speciale. Non un romanzo, un saggio o d’opinione. Un libro speciale la cui essenza è: Il Gusto di Stare Insieme.
Vinitaly 2016, stand Azienda Vinicola Ruffino. Presentazione del libro La Toscana di Ruffino di Francesco Sorelli.
Sfoglio le prime pagine e da subito capisco la sostanza, l’essenzialità. Lo scrittore che ringrazia le mamme, le nonne, le zie, i figli che hanno prestato aiuto, suggerito i piatti, cucinato insieme a lui e, nel ricordo, ispirato nuove storie e le parole del Libro.
Già, le parole. Il loro legame con i luoghi e le genti. Il Desinare, il Pane Sciocco, i Dolci fatti in Casa, il Profumo dei Giaggioli, la Merenda, l’Olio Novo, il Quinto Quarto, dal Pizzicagnolo, il Panino col Lampredotto e la Domenica “a il Mare”. E giù storie, leggende e ricette che hanno fatto della tavola toscana un credo, una filosofia ancor più che una religione.
Un libro di ricette? Direi meglio con le parole di Stefano Caffarri nell’introduzione sapienze e saggezze recuperate da una tradizione incredibilmente vergata a mano. Frammenti di vita conviviale che via via si intagliano nel paesaggio toscano. E le istantanee che hanno ritratto autentici momenti gastronomici tratti dal vivo delle nostre vite, a casa, con i nostri familiari o amici.
L’ideatore del progetto nonché autore dei testi è Francesco Sorelli, scrittore e comunicatore. Dal 2007 è il responsabile delle relazioni pubbliche dell’Azienda vinicola Ruffino. Visibilmente emozionato si intrattiene con tutti gli ospiti sfogliando il volume e soffermandosi su quella ricetta o foto che ricorda la ricetta fatta nelle dolci mura di casa dalla mamma o dalla nonna.
Il desinare il pasto sostanzioso e più importante del giorno consumato allo scoccare del mezzogiorno. La scoperta della pasta matta ripiena, il minestrone povero, la frittata con gli avanzi, la pappa al pomodoro, la ribollita, le patate mascè, le pappardelle alla lepre e la mitica merenda, la fettunta, pane sciocco pomodoro strusciato olio e sale. Senza dimenticare la bistecca alla fiorentina, il cinghiale alla cacciatora, il cacciucco alla livornese, il coniglio in umido, il peposo. E a Firenze la trippa, il cibreo, il lampredotto e le varie frattaglie. E per finire il panforte di Siena e le varie schiacciate (focacce) tra le quali quella con l’uva e la mitica cecina. L’eccellenza della grande cucina domestica toscana ricordata e raccontata da Francesco Sorelli.
Nel 1887 a Pontassieve, il borgo nato intorno ad un Ponte sul fiume Sieve, nacque l’Azienda vinicola Ruffino. Sarà la Famiglia Folonari, che acquistò l’azienda alla fine dell’800, a dare un’impronta internazionale tale da considerare il Chianti Ruffino il vino italiano più importante. E le leggende, come sempre miste a storie vere, ci raccontano di un medicinale “antistress” che si vendeva nelle Farmacie americane durante il “proibizionismo”; altro non era che il Chianti Ruffino. E non puoi parlare di Chianti Ruffino se non citi il “mitico fiasco” con quella forma panciuta avvolta nella paglia con la sua storia che affonda le radici nel tardo cinquecento. Testimonianze che si possono ammirare nei quadri rinascimentali di Botticelli e Ghirlandaio.
Il fiasco in casa Ruffino non è solo tradizione ma, come chiameremmo oggi, indotto. La vetreria di Pontassieve e la manovalanza femminile nel raggio di 50 chilometri a intrecciare la paglia per ricoprire la pancia.
Oggi l’Azienda ha nuovi proprietari, nuove strategie di mercato, ma come allora, il bere un calice di Riserva Ducale Ruffino rilascia sempre le emozioni del buon vino.
Se qualcuno pensa che questo libro sia un’azione pubblicitaria e di marketing si sbaglia di grosso. È la testimonianza dello scorrere del tempo con aneddoti, fatti, pensieri che ruotano attorno al nucleo vivente della famiglia e della società e la Ruffino che ha voluto legare la sua Storia alla Regione di appartenenza: la Toscana. Il Gusto di stare insieme.
La Toscana di Ruffino di Francesco Sorelli, ricette e foto di Sandra Pilacchi. Ruffino s.r.l. © 2016
Tra i maggiori errori delle istituzioni europee e sovra-nazionali c'è la preferenza accordata alla “strategia delle emergenze”, che scavalca i meccanismi di base della democrazia e non è in grado di elaborare soluzioni a lungo termine.
Nella retorica che ha accompagnato le varie fasi del referendum del 23 giugno in Regno Unito, emergono almeno due questioni. Anzitutto, se nella maggior parte dei paesi membri una cospicua fetta di opinione pubblica guarda all'UE come a una struttura burocratica incomprensibile e repressiva, capace di defenestrare governi democraticamente eletti, urge una riflessione sul modo stesso in cui l'Europa unita è stata concepita o almeno su come quel progetto è stato realizzato, in particolare dopo la fine della guerra fredda. In secondo luogo, e più in generale, sarebbe opportuna una considerazione critica sulle moderne democrazie liberali e sull'assetto mondiale che sono andate delineando negli ultimi decenni.
Lo storico greco Senofonte, nel raccontare l'annuncio ad Atene della sconfitta definitiva nella guerra del Peloponneso, scrive: quella notte nessuno dormì; tutti piangevano non solo i caduti, ma ancor più se stessi, prevedendo di dover subire la sorte che gli Ateniesi avevano inflitto agli abitanti di Melo... e ancora agli abitanti di Istiea, di Scione, di Torone, di Egina e di molte altre popolazioni della Grecia (Elleniche II, 2, 3). Parafrasando, si potrebbe dire che i mercati finanziari europei, all'annuncio dei risultati del referendum del Regno Unito, hanno reagito con il sacro terrore di “fare la fine” della Grecia, che essi stessi, all'incirca un anno prima, hanno ridotto alla fame, calpestandone volontà e diritti. Quanto alla diffusione dell'ostilità anti-europea tra le opinioni pubbliche dei paesi membri, ci si potrebbe interrogare su chi vorrebbe vivere in un sistema che, secondo le sue necessità e i suoi profitti, impone misure economiche socialmente distruttive e persino cambiamenti di governo. Un sistema in cui la rappresentanza democratica è ridotta al minimo (alla formalità) e le decisioni sono, di fatto, appannaggio delle oligarchie finanziarie. Se la principale argomentazione contro la cosiddetta Brexit (uscita della Gran Bretagna dall'UE) è che il sistema si può riformare dall'interno, occorre tuttavia osservare che la volontà di cambiamento, o anche solo di autocritica, finora ha sfiorato lo zero assoluto. Se le istituzioni europee avessero mostrato maggiore disponibilità al dialogo democratico probabilmente non si sarebbe arrivati al riemergere dei particolarismi, tra muri e velleità di un ripristino della sovranità nazionale. Un concetto, quest'ultimo, accantonato da decenni in nome di organismi sovra-nazionali che teoricamente avrebbero dovuto impedire nuovi conflitti (dopo le due guerre mondiali e la successiva guerra fredda), ma che hanno scelto di farlo in modo tanto brutale quanto inefficace.
E qui veniamo alla seconda questione. Nell'illusione che il capitalismo, in quanto trionfo della libertà economica, dopo la fine dei totalitarismi, sarebbe stato l'antidoto a qualsiasi possibile deriva autoritaria, si è attribuito a esso il ruolo di motore inamovibile del nuovo sistema mondiale finalmente (in teoria) al riparo da conflitti. È lo spirito che ha animato la globalizzazione, che, con l'obiettivo di creare un mercato globale uniformando gli standard commerciali, è divenuta strumento di omologazione violenta, in spregio delle particolarità culturali locali (un po' quello che è stato la perdita di biodiversità nel settore agricolo). Dunque, come sottolinea l'ex ministro delle finanze greco Yanis Varoufakis: una sfera economica separata da quella politica, ma concepita secondo il principio per cui il fine giustifica i mezzi, che Machiavelli circa mezzo secolo fa ha posto a fondamento dell'arte politica separata dalla morale. Di conseguenza, è l'economia, il mercato, a imporre regole e tempi di attuazione che, invece di essere controllato da uno Stato (quindi dalla politica, ritenuta dalla vulgata ufficiale “dei vincitori” fonte di ogni conflitto e totalitarismo) garante della giustizia sociale, ne prende esso stesso le redini schiacciandolo tra i propri ingranaggi. Peraltro, la globalizzazione è andata di pari passo con la transizione dal capitalismo produttivo (economia reale) al capitalismo finanziario (economia “virtuale”), che ha privato ancor più le società civili della possibilità di avere voce in capitolo. Mentre la produzione è fondata sul lavoro, e quindi assegna peso alle “masse”, le speculazioni finanziarie sono processi ad appannaggio esclusivo delle oligarchie della finanza, incomprensibili e inaccessibili ai più. Il risultato è stato un aumento dei conflitti, acuiti dall'ingiustizia sociale e dal deterioramento delle istituzioni democratiche.
Secondo Varoufakis esiste una differenza fondamentale tra la democrazia ateniese del V secolo a.C e le moderne democrazie liberali: mentre la prima rendeva “il povero”, “il nullatenente”, partecipe e quasi protagonista della scena politica (anche perché sui rematori nullatenenti era fondata la potenza navale, quindi l'imperialismo economico-militare, di Atene), le attuali democrazie hanno le loro radici nella Magna Carta Libertatum (1215), che contiene le concessioni del re d'Inghilterra Giovanni Senzaterra ai baroni inglesi, quindi è centrata sugli interessi dell'aristocrazia dei possidenti. In comune con l'Atene di Pericle, sia pure con le dovute differenze storiche, invece, le moderne democrazie hanno una politica estera imperialista e aggressiva, portata avanti grazie a un'Alleanza atlantica (NATO) priva da decenni di una controparte che ne ridimensioni la volontà di potenza. Non a caso il Patto di Varsavia è stato sciolto nel 1991, anno in cui sono iniziati conflitti sanguinosi come quello della ex Jugoslavia o quello nel Nagorno Karabakh (evocato ultimamente da papa Francesco durante la sua visita ufficiale in Armenia).
In un sistema mondiale, non solo europeo, calibrato sugli interessi dei grandi istituti finanziari e delle multinazionali, le forze populiste trovano terreno fertile per far emergere i particolarismi, come la via più facile per uscirne recuperando la propria “identità” e con essa il proprio peso politico. È questa la risposta che molti danno alla distopia di un ordine mondiale che Varoufakis ha accostato allo scenario rappresentato nel film Matrix. Quanto alla Gran Bretagna, ad esempio, invece di centrare l'attenzione sul fatto che, come ha di recente spiegato Roberto Saviano di fronte al parlamento britannico, la City di Londra e Wall Street sono la principale “lavanderia dei clan del narcotraffico” (un fenomeno del quale i più sono all'oscuro), la destra ha preferito sfruttare l'insofferenza delle classi medio-basse imputandola alla permanenza nell'UE. Anche se, occorre ricordare, Londra è entrata e rimasta nell'Unione con varie riserve e una significativa autonomia. Un esempio del deterioramento delle istituzioni democratiche su scala mondiale è invece la questione della diffusione delle armi negli Stati Uniti, dove neanche tutte le stragi degli ultimi decenni hanno potuto scalfire il potere delle lobby dei produttori di armi. Persino il presidente Barack Obama di fronte a queste ultime è impotente, il che significa che il suo potere come capo di stato eletto dalla volontà popolare è limitato da un'oligarchia economica che, non dovendo rispondere agli elettori, agisce “liberamente” (e impunemente) per tutelare i propri profitti.
In tale quadro, è inutile appellarsi di continuo alla strategia delle emergenze da affrontare (emergenza migranti, emergenza crisi, emergenza terrorismo, emergenza brexit), di breve respiro ma inefficace a lungo termine. Se vi sono tante emergenze, d'altra parte, significa che il sistema stesso andrebbe messo in discussione. Ma ciò è possibile solo ricorrendo alla dialettica democratica, quindi aumentando il livello di democratizzazione anziché ridurlo in favore dei potentati economici.
Gli animali sono da sempre i migliori amici dell’uomo ma quest’ultimo non sempre è loro amico e ne tanto meno dell’ambiente. Mentre gli animalisti italiani e del resto del mondo si stanno battendo con “unghie e con denti“, per strappare ai cinesi, in occasione della loro festa annuale, l’ulteriore sterminio di cani e gatti, a casa nostra intanto, nella Calabria del terzo millennio succede qualcosa di peggio. La locale sezione Enpa (Ente Nazionale Protezione Animali) da mesi chiede al Sindaco di Gioia Tauro, Pedà, in vista dell’estate, di disporre di un sito cittadino (come prevede la legge) per approntare un canile (finanziato anche da privati) onde mettere in sicurezza i cittadini dagli animali randagi ma anche far cessare un vero e proprio massacro degli stessi che, nel migliore delle ipotesi, se non muoiono investiti, vengono uccisi a bastonate da sadici individui, divertiti dalla mattanza. Per non parlare di altri che muoiono avvelenati dopo ore ed ore di terribile agonia.
In tutto questo il sindaco Pedà ha risposto con un’ordinanza che impone ai cittadini di raccogliere le deiezioni dei propri animali e se questi ultimi, sono di grossa taglia imporre loro la museruola anche se tenuti al guinzaglio. Museruola d’estate .....? Ma lo sanno anche i più sprovveduti che i cani respirano con la lingua, quindi la museruola li renderebbe nervosi se non addirittura inferociti. Ma che belle delibere si emettono dal sindaco Pedà a Gioia Tauro ! Si perché, l’illustre primo cittadino (sic!) non se l’è presa mica solo con i cani .... !
C’è un’altra interessante disposizione infatti, che colpisce i cittadini della Marina di Gioia, esattamente quelli denominati “del fiume”, che fiume non è, bensì, lo scarico a mare dell’ultimo tratto della “fogna a cielo aperto”. A costoro, che da vent’anni si ammalano di cancro per l’adiacente discarica e per il “fiume”, verrà dai vigili urbani, distaccata l’acqua potabile (anche questa nella calda estate!) per morosità. Morosità impostasi da loro stessi, i cittadini direttamente, non per indigenza, ma per protestare contro gli sperperi del comune, invece rimasto insensibile, per vent’anni, a questo vero dramma degli abitanti gravemente ammalati. Ora c’è solo da sperare che il Sindaco nell’”erigendo” canile non ci rinchiuda i cittadini morosi, così da risolvere con “un colpo” unico due bei problemi ! La politica, lo si sa, di questi tempi e in quasi tutt’Italia, si è ancor più dimostrata capace di scelte veramente “stupefacenti” !
*Per la crudezza delle immagini evitiamo di pubblicare i resti di un cane prima ucciso a bastonate e poi gettato morente sotto il treno in arrivo.
Frammenti che orbitano qua e là, individuati, carpiti; li commento e condivido con voi.
VINEXPO HONG KONG.
Vinexpo, il Salone Internazionale leader dei vini e distillati, che si svolge a Bordeaux e che alterna l’esposizione francese con quella di Hong Kong, nell’edizione 2016 conclusasi da poco, ha messo l’Italia al posto d’onore. Non solo. Ha riservato al nostro paese un posizionamento privilegiato ponendolo al centro del Salone. Collocando l’Italia sotto i riflettori, Vinexpo ha garantito alla produzione italiana una risonanza mediatica e una visibilità supplementare per guadagnare quote di mercato. Il tutto nell’ottica delle strategie francesi di fare “gruppo” insieme alle Nazioni vitivinicole più importanti europee per “aggredire i mercati” e “non farci trovare impreparati”. Mi domando: “e le nostre strategie?”. Chapeau! (fonte: ufficio stampa Vinexpo)
Frammento n. 1
In Francia si chiamano Maîtres Tailleurs de Vigne
Nel mondo del Vino arrivano ancora primi. Non c’è battaglia. Ancora una volta i nostri cugini francesi battono il passo anticipando esigenze e richieste di sempre maggiori professionalità non solo nelle cantine (enologi) ma anche nelle vigne (agronomi). È notizia di questi giorni che all’ISVV – Institut des Sciences dela Vigne et du Vin de l’Université de Bordeaux – è stato istituito un corso di potatura e preparatori d’uva che vedrà come accademici gli italiani Marco Simonit e Pierpaolo Sirch. Agli studenti verrà insegnato, forbici alla mano, come eseguire al meglio la potatura sguendo i flussi delle linfe vitali. I luoghi della pratica saranno il Medoc, il Sauternes, Saint-Émilion e le Grave. Al termine del Corso, dopo il superamento degli esami, verrà rilasciato un Diploma Universitario unico nel suo genere, il primo al Mondo: DUTE – Diplôme Universitaire de Taille ed d’Epamprage. Una riflessione: gli insegnanti saranno italiani; occorre andare in Francia? (fonte: Cibo e Vino)
Frammento n. 2
Limited Edition Allegrini: La Grola 2013 incontra Kandinsky.
Un Vino (La Grola 2013) e l’arte astratta di Kandinsky. Il fortunato progetto delle edizioni limitate di bottiglie di alcuni vini dell’Azienda Allegrini affrescate da etichette di Grandi Artisti. “Quando l’Hermitage mi propose Composition VI di Kandinsky, l’emozione fu davvero grandissima. Mi si consentiva di associare il dipinto di uno dei più grandi artisti russi del novecento a la Grola, vino simbolo della Valpolicella”. Così Marilisa Allegrini, Presidente dell’Azienda Allegrini di Fiumane (Vr). (fonte: ufficio stampa Allegrini)
Frammento n. 3
ISLA de RUM. Italian Rum Festival, quarta edizione, il 2–3 ottobre al Lifestyle Hotel di Roma
È italiano uno dei maggiori esperti di Rum. Si chiama Leonardo Pinto e lavora in Italia ed all’estero come consulente e trainer per il mercato del Rum a tutti i livelli (brand building, import/export, consulente di marketing, per imbottigliatori e brokers). Unico membro italiano del International RumXP Panel. Fondatore e Direttore di ShowRUM – Italian Rum Festival e della relativa S.T.C. – ShowRUM Tasting Competition. Dal 2012 ha sviluppato un piano di formazione dal titolo RUM MASTER comprensivo di un livello avanzato in cui viene approfondita la parte della degustazione e della valutazione. I Rum dei Caraibi non hanno più segreti. (fonte: Isla de Rum)
Frammento n. 4
Una disfida birraria all’ultima Pinta.
Confederation Beer 2016: al Braumeister di Firenze la IV edizione della divertente disfida birraria all’ultima pinta. Italia, Regno Unito, Belgio e Germania le nazioni in gara. Mercoledì 6, 13 e 20 luglio, dalle 19 a chiusura, le nazioni presenti scenderanno in campo nella disfida. Divertente e popolare. Basti pensare che con solo 12 euro chiunque sarà investito nel ruolo di giudice di gara. Un modo per assaggiare ben 6 pinte di birra (tre per nazione). Ma non finisce qui. Allo scoccare della mezzanotte, fra tutti i votanti, ci sarà l’estrazione di una magnum. Prosit. Info Braumeister Firenze. (fonte: Studio Umami)
Frammento n. 5
Conosciamo i cibi e i sapori della Repubblica Dominicana?
Santo Domingo è una delle mete più gettonate dai turisti italiani. Oltre al mare, al paesaggio caraibico, all’ottimo clima, il turista italiano non rimarrà deluso neanche dai cibi. Donato Sinigaglia, su Cibo e Vino, ci porta alla scoperta dei piatti migliori, dei locali da non perdere. Tra i piatti principali c’è il sancocho, una zuppa a base di carne, patate, banane e altri aromi. La bandera è un piatto semplice composto di riso bianco, fagioli e carne. Il moro un insieme di fagioli, riso e carne con moro de grandules con coco. Non possiamo dimenticare le banane fritte, tostones, e l’indimenticabile dessert dulce de coco. Tre indirizzi da non mancare: Travesias a Santo Domingo Sud, Buche Berico e Jalao. Non resta che prendere nota e l’aereo. (fonte Cibo e Vino)
Osservo, scruto, assaggio e…penso. (urano cupisti)
Le organizzazioni non governative denunciano le brutalità del regime di Manama: dagli esili forzati alle torture in carcere, fino alla chiusura del principale partito di opposizione, al-Wefaq; quasi inesistente la reazione della comunità internazionale
Nelle ultime settimane, le autorità del Bahrein hanno inasprito i meccanismi di repressione del dissenso politico, arrestando e costringendo all'esilio diversi esponenti di spicco dell'opposizione. Il culmine si è registrato il 13 giugno, quando il tribunale di Manama ha ordinato la sospensione delle attività e la chiusura delle sedi di al-Wefaq, la più grande forza politica di opposizione, che durante le proteste del 2011 si è fatta portavoce del malcontento della maggioranza sciita emarginata dalla scena politica e, in generale, delle richieste di un vero progresso in direzione della democrazia e dei diritti. Secondo il ministro della giustizia si è trattato di una misura volta a “salvaguardare la sicurezza del regno”, mentre l'unica timida reazione della comunità internazionale sono state le generiche espressioni di “preoccupazione” del Dipartimento di Stato statunitense. Come nel 2011, quando le manifestazioni vennero soffocate dall'intervento saudita, ufficialmente sotto l'egida del Consiglio di Cooperazione del Golfo (CCG), gli organismi sovranazionali si sono dimostrati ancora una volta inefficaci, sia nel promuovere la democrazia e il rispetto dei diritti umani, sia nel proporre soluzioni valide ai conflitti. Se di quest'ultimo fallimento si possono citare come esempi Libia, Iraq e Siria, per il primo spicca l'impunità di cui godono l'Arabia Saudita e i regimi satelliti nel Golfo, Bahrein e Yemen in primis.
La sentenza del tribunale amministrativo di Manama è in realtà solo l'atto conclusivo di una serie di azioni repressive ai danni di al-Wefaq, che il prossimo 6 ottobre affronterà l'udienza sul suo scioglimento definitivo. Tra i capi d'accusa, “incitamento alla violenza settaria” e coinvolgimento in una “rete politica internazionale”. Un riferimento, quest'ultimo, non troppo velato a presunti tentativi di ingerenza da parte di Tehran, sbandierati dal regime come pretesto per la repressione. Il 13 giugno, il giorno prima della sentenza, la polizia di Manama aveva arrestato Nabil Rajab, attivista per i diritti umani più volte detenuto per il suo impegno civile, recentemente liberato da un provvedimento di grazia “concesso” dal re Hamad bin Isa Al Khalifa. Ufficialmente le autorità vogliono interrogarlo sulla presunta “diffusione di false notizie”, ma il suo arresto, insieme a quello di altri attivisti, immediatamente prima della 32esima sessione del Consiglio delle Nazioni Unite per i diritti umani, lascia intendere che il vero scopo è impedire qualsiasi espressione di dissenso, soprattutto in sedi internazionali. A maggio di quest'anno, Amnesty International aveva denunciato la revoca della cittadinanza e il conseguente rischio di espulsione di Tarimoor Karimi, l'avvocato e attivista che nel 2011 aveva preso parte alle proteste: provvedimenti che violano esplicitamente le leggi internazionali, ma vengono ripetutamente utilizzate contro gli oppositori alla monarchia assoluta. Il meccanismo è quasi sempre lo stesso: revoca della cittadinanza (che rende illegale la permanenza in territorio bahreinita) ed esilio forzato. Negli stessi giorni, la corte d'appello di Manama aveva portato da 4 a 9 anni di reclusione la condanna della guida di a-Wefaq, Ali Salman, accusato di istigazione alla violenza e all'odio contro il governo e tentativo di colpo di stato. Quanto a un'altra attivista, Zainab al-Khawaja, cittadina danese-bahreinita, uscita dal carcere a maggio per motivi umanitari (era stata arrestata a marzo per aver strappato una foto del re), all'inizio di giugno ha scelto di autoesiliarsi in Danimarca: in un'intervista ha spiegato che le autorità di Manama avevano avvertito l'ambasciata danese del rischio di un nuovo arresto.
Che in Bahrein non esistano garanzie di rappresentanza democratica non è una novità. La monarchia assoluta degli Al Khalifa, di religione sunnita (con posizioni simili a quelle della dinastia regnante saudita), governa con il pugno di ferro un paese a maggioranza sciita, in un piccolo ma strategico arcipelago del Golfo Persico. Basti pensare che degli 80 seggi totali del parlamento, i 40 della camera alta sono di nomina regia, mentre il potere legislativo dei 40 della camera bassa, eletti dalla popolazione, è limitato dall'arbitrio del re. Ma per Riyadh la posta in gioco è troppo alta: da un lato considera Manama un prezioso baluardo contro l'influenza iraniana sulle comunità sciite della Penisola Araba, dall'altro teme che eventuali conquiste sul piano dei diritti da parte della popolazione sciita in Bahrein possano incoraggiare la sua minoranza sciita ad avanzare rivendicazioni simili (in Arabia Saudita gli sciiti non possono esercitare professioni come quella di insegnante o magistrato e vivono, di fatto, come cittadini di secondo ordine). D'altro canto, a interessarsi della posizione strategica di questo arcipelago non è solo Riyadh: il porto di Mina Salman ospita un'importante base della marina militare statunitense, la Naval Support Activity, mentre nella capitale Manama si trova il quartier generale della V flotta. Inoltre, nel novembre 2015, la Royal Navy britannica ha avviato i lavori di costruzione di un'importante base, la prima nel Golfo Persico dal 1971, con il compito di “garantire e preservare la sicurezza regionale”.
Una risposta ai dubbi d’amore negli insediamenti alpini può darla il lancio di una cidulina ardente, un rituale la cui origine si vuole fare risalire al culto per il dio Beleno, una divinità celtica assimilabile ad Apollo. Secondo quanto risulta dalle fonti letterarie ed epigrafiche, Beleno era venerato in Carnia e in Venezia Giulia nel III secolo dopo Cristo.
Nelle località nelle quali il rituale è in uso le ciduline assumono denominazioni diverse: pirulas in Val d’Incarojo, cidules nel resto della Carnia, fideles nel Cadore, scheiben-schagen nel Tirolo.
Le ciduline sono sezioni di ramo (o di tronco non sviluppato) di circa 10 cm, con un buco praticato al centro. Lo spessore della cidula è di circa 1 cm al centro e di 5 mm ai lati. Il legno usato è prevalentemente il faggio, perché è leggero, di facile intaglio e una volta acceso mantiene a lungo la brace. A officiare il rito in passato era prerogativa dei coscritti. Al momento, come conseguenza dello spopolamento degli insediamenti alpini, al lancio provvedono le persone di buona volontà, sempre, comunque, di sesso maschile.
In date stabilite le ciduline vengono gettate un po’ alla volta su un fuoco di sterpaglie appositamente acceso. Il luogo scelto per questo falò è solitamente uno spiazzo ubicato su una altura che sovrasta l’abitato, in maniera che lo spettacolo sia ben visibile.
Le fiamme non consumano i dischi di legno ma li trasformano in palle di fuoco. A questo punto le ciduline vengono prese con un’asta flessibile, di solito un bastone di nocciolo, che in Val d’Incarojo è denominato sdombli, e, dopo essere roteate con moto vorticoso, vengono lanciate giù per il pendio. Questo avviene perché l’operatore sbatte l’asta su una tavola inclinata in modo tale che la palla di fuoco si stacca dal bastone ed inizia la sua traiettoria. L’operazione si svolge dopo il tramonto, quando le ciduline incandescenti nell’oscurità risultano ben visibili.
Quando il dischetto infuocato inizia il suo volo il lanciatore grida la dedica, che può riguardare, al primo lancio, il santo patrono (“par un pin e par un pan, angna kest an è la vea di San Giuan", par un pin e par un pan, anche quest’anno è la veglia di San Giovanni) e nei successivi qualche volta (ma sempre più raramente) le autorità del posto e cioè il sindaco e il parroco. Quando, come nei casi che ci interessano, la motivazione del lancio è di natura sentimentale, l’operatore grida il nome della donna amata o della coppia per la quale si fa l’accertamento. Con le ciduline l’accertamento sentimentale si può infatti condurre in conto proprio o in conto terzi.
Naturalmente possono variare, secondo disponibilità, da località a località, il tipo di legno, la forma, la tecnica usata per il lancio: a Cercivento la cidula viene lanciata con una mazza, come fosse una palla di golf. Quando l’operazione non è promossa a fini turistici, identica è invece la funzione rituale svolta, l’accertamento cioè di un amore.
Il lancio delle ciduline ha un suo calendario, e la motivazione del rito, pur avendo una costante, l’amore, presenta, una serie di varianti. A Cleulis il lancio intende prevalentemente accertare se l’unione del lanciatore con la donna amata sarà duratura, a Canali, Salârs e Zovello se l’amore è ricambiato.
A Paularo il lancio di una cidulina avviene, a discrezione dell’operatore, con varie finalità: con il lancio il giovane mira ad accertare:
- se quello dichiarato dalla propria fidanzata è un amore sincero;
- la consistenza dell’amore di una coppia amica;
- le prospettive dell’amore della coppia amica.
La risposta al quesito formulato la fornisce, dopo il lancio, il punto di arrivo della cidulina. Il lanciatore ad esempio può stabilire che la palla di fuoco arrivi a un determinato posto. Se la cidulina arriva lì, la risposta al quesito è positiva. Se la palla di fuoco non arriva lì, la risposta è negativa. Ma non è il caso di drammatizzare: la sentenza non è senza appello, il quesito si può ripresentare l’anno successivo.
Per una cognizione dei luoghi, ove non citati, cui vanno riferiti i comportamenti esposti vedasi pag 52 e segg. di “Il mondo magico dell’amore”, di Nino Modugno, La Mandragora, Imola.
Nino Modugno
È di questi giorni la notizia “Cercasi cibo da strada Italiano” diffusa e messa in risalto, tanto da essere ospitata nei Tg di prima sera, anche dai canali televisivi RAI.
L’invasione dei Kebab, Sushi, frutta esotica e perfino caldarroste congelate provenienti dai mercati asiatici, è sotto l’occhio di tutti. Tutto quanto permesso nella logica della globalizzazione e integrazione multirazziale.
Non è compito di questa pagina Food&Wine scendere in approfondimenti sociologici ma segnalare, comunicare, evidenziare e far conoscere quanto sta avvenendo, sicuramente sì.
Difendere il cibo da strada, autenticamente Made in Italy, non rappresenta non accettare il diverso, ma difendere l’identità alimentare nazionale che da sempre è presente nelle strade, fiere e sagre che rischia di sparire facendo perdere un patrimonio della nostra cultura.
Fuori il Pala Tiziano a Roma, migliaia di agricoltori della Coldiretti insieme agli ambulanti del Street Food, con i loro automezzi trasformati in cucine itineranti, hanno manifestato per evidenziare il problema che investe anche settori importanti come il turismo, il ritorno economico e occupazionale.
Non solo ambulanti. Nei centri storici di alcune città, particolarmente quelle battute dal grande movimento turistico, si è diffusa una serie di piccoli locali che preparano e vendono, take away, cibo da consumare per strada. Un mangiare più informale (informal food sector), più rapido e meno costoso (da non sottovalutare di questi tempi).
Il cibo da strada non ha limiti. Basta ricordare gli snack, gli spuntini, il fast-food, il pranzo a sacco senza dimenticarci i distributori automatici che garantiscono un servizio ininterrotto su 24 ore. La nostra e non solo nostra attenzione però è nella messa in gioco dei valori culturali ed identitari.
Lo Street Food italiano è rappresentativo della tradizione Regionale. Il panino di chianina umbra, le olive ripiene ascolane, gli arancini siciliani, gli arrosticini abruzzesi, i peperoni lucani, la pasta al dente, baccalà, trippa e lampredotto. Un trionfo di specialità, niente a che vedere con il Junk food, il cibo spazzatura.
Uno degli aspetti considerati di criticità è quello legato alla sicurezza e qualità nutrizionale. In Italia non si scherza; andate a domandarlo agli operatori su aree pubbliche, soggetti e sottoposti ai numerosi controlli da parte delle varie Asl locali e Nas dei Carabinieri, agli obblighi antincendio e conservazione dei cibi nonché preparazioni all’istante.
Un fenomeno sempre più in crescita è quello legato alla comunicazione ed informazione. Sono state pubblicate di recente delle vere e proprie Guide locali (in particolare nelle grandi città, Roma in testa) dove trovare i punti per consumare Street Food specializzato e di eccellenza. Ne cito alcuni della Capitale ormai arcinoti che rappresentano i luoghi per comprare e consumare per strada:Antico Forno Roscioli a Campo de’ Fiori dove la Pizza Bianca è un’istituzione.Dar Filettaro a Santa Barbara, Campo de’ Fiori dove trovi il baccalà in pastella, da consumare sotto il monumento di Giordano Bruno. Street Food al Testaccio, panini di ogni tipo e dove trovi la trippa alla toscana.
E quando parli di Trippa non puoi fare a meno di ricordare i Trippai Fiorentini, già corporazione importante eletta a rango gentilizio nel ‘500. Trippa e Lampredotto nel mercato centrale di San Lorenzo, imperdibile in una visita della città.
Lo stret food cammina su ruote. Piccoli furgoncini, Ape car, o automezzi trasformati, Food Truck, che ammiriamo per la loro grandezza e funzionalità in particolare nelle Sagre e Fiere. Brigidinai (dolciumi), porchettai, girarrosti: dispensatori di cibi regionali e tradizioni paesane. Famiglie che si tramandano il mestiere e provvedono alla ricerca della materia prima come la Famiglia Chiarello della Val di Nievole (Pt) , i porchettai maggiormente famosi e presenti nelle Sagre e Fiere più importanti italiane. E il Food Truck di Alessandro Vecchio che gira dalle parti di Fiumicino che prepara all’istante “la pasta come se fosse a casa”.
Percorri la Riviera Marchigiana e ti imbatti in un chiosco itinerante dall’apparenza futuristica, inventiva, genio in pieno stile street food, frutto di un investimento non di poco conto. E soprattutto crederci. Capire che esiste un’altra cucina e le “stelle” possono scendere in strada a premiare l’amore per quella di tutti i giorni: piatti tradizionali cucinati con l’attenzione di un grande chef stellato: Mauro Uliassi a Senigallia.
Infine non dimentichiamoci di organizzare un week-End ad Assisi per il Festival del Cibo da Strada. Oltre 20 food truck provenienti da tutta Italia per contendersi “Assisi Food Truck Award” e partecipare così al prestigioso Stree Food Festival di Parigi.
Altro che Kebab!
Ama Fabio Concato e questa affinità si percepisce ascoltandolo. I suoi testi parlano di vita vera, di storie e realtà che appartengono a molti. Alfredo Tagliavia è un giovane cantautore, musicista e insegnante. Guarda il mondo e lo racconta in modo semplice ma diretto. Da anni si esibisce nei locali romani portando in giro le sue canzoni. Nel 2013 ha pubblicato il cd autoprodotto "Sogni di carta" che ha presentato in diversi centri culturali e biblioteche di Roma e Napoli. E’ uscito nel 2015 il secondo album “Frammenti di versi”. Lo incontriamo per una breve intervista.
Un progetto discografico che fonde musica e poesia, perché Frammenti di versi?
In realtà dietro al titolo del cd c’è un aneddoto personale. “Frammenti di versi” era il nome di un gruppo musicale che avevo da adolescente o poco più con quattro amici del quartiere, il primo in cui mi sono cimentato con musica cantautorale di mia composizione. Posso dire quindi che è un titolo “nostalgico”, un po’ come le atmosfere di tutto il cd.
Nel brano “Sprazzi di campagna” diventi un attento osservatore degli angoli della città e descrivi minuziosamente il tuo quartiere, come è nata questa canzone?
Dico spesso che non scrivo le canzoni, sono le canzoni che “mi scrivono”. Le mie canzoni sono piccoli segnali inconsapevoli che arrivano all’improvviso, dopo una giornata particolare, un giro in macchina al mare o, appunto, una passeggiata nelle strade che percorro da quando sono nato. Spesso arrivano già pronte, con parole e musica fatte, come se qualcuno me le avesse suggerite.
Stai promuovendo il cd in diversi locali di Roma, come vivi il contatto con il pubblico?
Non sono certo un animale da palcoscenico. Ho cominciato a suonare dal vivo le mie canzoni più di dieci anni dopo che ho cominciato a scriverle. Mi trovo bene nei luoghi piccoli e “culturali” : biblioteche, associazioni, piccoli teatri, ecc., dove trovo il pubblico più attento. Non mi piace invece la dimensione del pub, che considero dispersiva e poco indicata per chi vuole ascoltare attivamente la musica (anche se non si può generalizzare).
Per un artista oggi è fondamentale farsi conoscere anche attraverso i social, è così?
Credo che i social network abbiano più effetti collaterali che lati positivi. L’unico lato positivo che trovo nei social (e non dico che sia poco) è la comodità nel poter pubblicizzare i propri eventi a tante persone contemporaneamente. Il rischio maggiore è la sopravvalutazione dell’immagine di un artista a discapito dell’essenza della sua arte.
Da cantautore, che significato ha per te interpretare il testo che scrivi?
Mi ritengo, più che un poeta, un “canzonettaro”, e non credo di essere in grado di lanciare messaggi precisi attraverso le mie canzoni. Forse è così anche perché prima di diventare cantautore sono stato chitarrista per tanti anni, quindi valorizzo molto l’aspetto musicale delle mie creazioni, a volte magari curandolo anche un po’ più delle parole, che arrivano sempre di getto e che nemmeno io so facilmente interpretare.
Quali sono stati gli artisti di riferimento per il tuo percorso musicale?
I cantautori che apprezzo di più e che più mi hanno influenzato sono Fabio Concato, Pino Daniele e Samuele Bersani. Mi piacciono moltissimo anche l’autore brasiliano Joao Gilberto, inventore della bossa nova, e il chitarrista jazz americano Pat Metheny. Adoro anche le colonne sonore di Nicola Piovani.
Ambizioni e progetti per il futuro.
Il cd “Frammenti di versi” verrà presentato alla fine del mese a Napoli e a luglio un’altra volta a Roma. Parallelamente porto avanti il progetto “Cantautori tra Italia e Brasile”, insieme ad amici musicisti con i quali cerchiamo di far incontrare la tradizione cantautorale italiana e quella sudamericana. In futuro mi piacerebbe realizzare un nuovo cd in uno studio di registrazione di alto livello, magari anche con un’etichetta, ma c’è ancora tempo per scrivere e per pensarci su.