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Il digiuno, da sempre è stato praticato fin dagli albori della storia da tutti i popoli della terra allo scopo di purificare il corpo, la mente o per penitenza nei percorsi spirituali, per auto-disciplina, per scopi politici o come mezzo di guarigione.
Per i Veda e per la tradizione yogica era un mezzo di elevazione spirituale.
Nelle religioni primitive per propiziarsi la divinità, o per prepararsi a certi cerimoniali. Era usato dagli antichi greci, prima della consultazione degli oracoli, dagli sciamani africani per contattare gli spiriti, dagli indiani d’America per acquisire il proprio animale totemico, dai fenici, dagli egizi, gli assiri, dai babilonesi, dai druidi celtici e in tutti i paesi del Mediterraneo; i farisei erano noti per il loro digiuno. La legge mosaica ordinava agli ebrei il digiuno una volta l‘anno; i primi cristiani lo praticavano con riferimento a Gesù che digiunò per 40 giorni prima della sua missione; veniva consigliato dai medici arabi. In Italia i medici napoletani, fino a circa 150 anni fa erano soliti utilizzare il digiuno che a volte durava 40 giorni nei casi di febbre. All’inizio dell’Ottocento il digiuno venne praticato come terapia per guarire diverse malattie.
La storia del digiuno annovera molti santi: Benedetto, Francesco d’Assisi, Francesco di Paola, Caterina da Genova, Bernardo di Chiaravalle, Romualdo dei Camaldolesi, Tommaso d’Aquino, Ignazio di Loiola, Francesco di Sales e altri. In tempi più recenti sono noti i digiuni di Gandhi, Aurobindo, Krishnamurti.
In particolare i musulmani digiunano per tutto il mese del Ramadan, cioè il 9° mese del calendario lunare, perché celebra la rivelazione dei primi versetti del Corano, che consiste nell’astenersi, dall’alba al tramonto, dal mangiare, bere, fumare o praticare sesso. Il motivo è sostanzialmente l’autocontrollo per liberare l’anima dai desideri in modo da elevarsi verso Dio. Ma aiuta a comprendere il valore dei doni di Dio e permette di aprirsi con più compassione verso i bisognosi.
Per l’ebraismo il digiuno, in vari periodi di digiuno, ha lo scopo di espiare i peccati o innalzare le suppliche a Dio. Durante questo digiuno è proibito lavarsi, indossare scarpe di cuoio, usare oli, acque profumate, o avere rapporti sessuali.
Anche nell’induismo il digiuno è un sistema di purificazione che serve a riappropriarsi di tutta l’energia necessaria per cercare la vicinanza con la divinità.
Nel buddismo, la frugalità, l’essenzialità, la moderazione, l’austerità della vita, ha lo scopo di purificazione del corpo per raggiungere la chiarezza mentale, i poteri nascosti nella mente, la saggezza, e così liberarsi dal karma negativo.
Gandhi praticò innumerevoli digiuni a scopo politico-sociale, per fermare le violenze degli inglesi contro gli indiani, i massacri fra indù e musulmani: se il corpo si poteva depurare con il digiuno anche il corpo della nazione poteva essere liberata tramite lo stesso meccanismo. Per Gandhi il digiuno era una specie di preghiera intensa, slancio dell’anima.
Nel mondo animale gli animali digiunano quando sono feriti, ammalati, nel periodo di ibernazione o di letargo, alcuni digiunano durante il periodo di accoppiamento o di allattamento, durante i periodi di siccità, di nevicate, di freddo intenso, o quando c’è carenza di cibo. Alcuni uccelli digiunano mentre covano le uova, altri subito dopo la nascita.
Ma il vero fondatore della moderna digiunoterapia è l’americano di origine tedesca Herbert M. Schelton, autore di decine di libri, che ha seguito direttamente 45.000 digiuni ed è testimone della guarigione di moltissime patologie attraverso tale pratica.
L’organismo privato dal consueto apporto di alimenti è costretto con il digiuno ad assorbire e smaltire i residui incamerati, liberando l’organismo da scorie, pus, cellule morte, cisti ed anche tumori. Il digiuno costringe il corpo a consumare (per mezzo dell’autolisi) tutti i tessuti superflui e le scorte nutritive: le tossine accumulate vengono immesse nella circolazione per essere portate agli organi escretori e quindi eliminate. Le cellule subiscono una purificazione ed avviene la rimozione dal protoplasma delle sostanze estranee accumulate, le cellule si ringiovaniscono e svolgono le loro funzioni più efficacemente. Non esiste niente altro al pari del digiuno in grado di eliminare le sostanze di rifiuto accumulate nel sangue e nei tessuti e depurare l’organismo consentendogli di recuperare la salute.
Quando si inizia un digiuno ci si astiene dal fare uso di tè, caffè, alcol, sigarette, bevande gasate, condimenti, spezie, additivi alimentari, conservanti, integratori sintetici, medicine ecc., praticamente si interrompe l’abitudine di avvelenarsi. Vi sono testimonianze molto importanti in merito all’efficacia del digiuno attraverso il quale alcune persone hanno vinto anche mali incurabili.
In questi giorni ci siamo “saziati” di Stelle. Abbiamo cominciato con quelle vere; mi correggo, con il nostro satellite, la Luna, fantastica, splendida, straordinaria che ci ha rilasciato emozione, commozione e turbamento nel senso dello smarrimento cosmico. E poi ci sono state quelle “inventate” dall’uomo nel goffo tentativo di paragonarle all’immensità.
Possiamo parlarne per ore, giorni, mesi ed anni senza trovare un punto d’incontro se non nell’oggettività delle nostre abitudini. Detto in termini più semplici “non se ne può fare a meno”.
Mi riferisco a quel “librettino rosso” che ci accompagna nelle scelte dei Ristoranti e non solo quando viaggiamo per lavoro o turismo. E nel “meglio seguire le indicazioni evitando così brutte sorprese” corriamo nelle librerie, edicole ad acquistarne una copia appena uscita. Sto parlando della Guida delle Guide gastronomiche: La Guida Michelin.
Dicendo tutta la verità, oggi se ne acquista meno copie ma si consulta di più la Guida on-line scaricando le pagine che servono al momento. Poi con gli smartphone delle ultime generazioni non serve più nemmeno scaricare; si consulta all’istante e…via.
È di questi giorni la presentazione ufficiale della Guida Michelin 2017 avvenuta a Parma. E via alla corsa per conoscere tutti gli “stellati italiani”, a far tifo per questo o quello o a polemizzare per la mancata assegnazione a qualche ristoratore sponsorizzato durante tutto l’anno.
Che “giramento” di…stelle!
Per la cronaca 8 (otto) i confermati tristellati , 5 (cinque) le new entry con 2 (due) stelle e ben 31 (trentuno) le novità con 1 (una) stella per un totale di 294 (duecentonovantaquattro) 1 stella, 41 (quarantuno) 2 stelle e, come detto, le 8 riconfermate 3 stelle. Il firmamento della cucina premiata del nostro paese conta ben 343 ristoratori e/o ristoranti stellati dalla guida rossa. Se poi ci aggiungiamo i piatti, le forchette, i cucchiai e i baci utilizzati da altre guide superiamo quanto osserviamo ad occhio nudo nel cielo.
È il Lazio la regione che conta maggiori segnalazioni con più di nove stelle grazie ai nuovi stellati della Capitale. A seguire la Lombardia. Evidente la maggiore scelta là dove c’è più richiesta.
Nello scorrere la lista risalta il via vai dei locali che hanno cambiato lo chef, altri che hanno acquisito i già stellati ed infine quelli definitivamente chiusi e sostituiti dalle new entry.
A volte è successo di trovare nell’elenco locali chiusi da alcuni mesi. Possibile per causa della tempistica. Eccellente durante “la visita e prova “ degli ispettori, chiusura del locale prima della stampa della Guida. Comprensibile l’affidarci alla versione on-line.
Un dato significativo e concreto è che “le stelle” attirano turismo. È stato calcolato che il giro d’affari (conto del ristorante escluso) ruota intorno alla rispettabile cifra di circa 300 milioni di euro annui e gli americani made in Usa risultano i principali fruitori della cucina stellata italiana seguiti da inglesi (i lord sì che se ne intendono) e, udite udite, i cugini d’oltralpe a studiarci per capire il fenomeno Made in Italy.
La fonte è autorevole: studio “Taste Tourism” condotto da JFC nel 2016.
Insomma a dirla con le parole del capo-redattore della Guida Michelin, Sergio Lovrinovich, Le stelle della Guida Michelin portano turismo.
Mi sovvien una risposta che un ristoratore, alcuni anni fa, mi diede ad una precisa domanda sulla scelta del locale giusto per un buongustaio. Mi rispose: “Il buongustaio guidato è colui che trova, quello appassionato è colui che cerca.
Facciamocene una ragione!
Frammenti che orbitano qua e là, individuati, carpiti; li commento e condivido con voi.
Ripropongo un mio pensiero già pubblicato che sarà da guida, viste le notizie che circolano con insistenza in questi giorni e suffragate (non ne possono fare a meno) dai vari Tg superextraallineati, per il prossimo futuro.
“EXPO. Due frammenti fa scrissi: Expo, i conti non tornano. E terminai con “la verità prima o poi verrà a galla? Basta crederci, come atto di fede”. Sono di questi giorni le notizie che la Magistratura ha ripreso il lavoro “interrotto” due anni fa. Ricordo quella conferenza-stampa di presentazione dell’Expo a Roma e quella domanda di un collega, diretta al Ministro Martina, per avere delucidazioni circa le voci circolanti di appalti truccati, mafia, ‘ndrangheta ecc… La risposta fu:” adesso dobbiamo pensare a salvare la Manifestazione, ne va del prestigio di tutti, dell’Italia nel Mondo”. Vero. La Magistratura fece la sua parte per l’onore dell’Italia. Ma non dimenticò ne dimentica oggi. Ed ecco che riprende il via l’azione sulle responsabilità. Avvisi di garanzia a raffica, arresti importanti. “Milanoland” vacilla nella sua credibilità e il Cibo e il Vino ringraziano (a parte tutto il resto)”.
Integro con le ultime nuove.
Expo, gli imprenditori siciliani attendono ancora i loro soldi: ma il conto è sempre bloccato. Cronache di Gusto l’11 novembre u.s. ha pubblicato: uno dei paradossi dell’Expo e quello dei produttori siciliani che hanno preso parte all’evento milanese. Hanno pagato per essere presenti, hanno messo a disposizione prodotti, uomini e competenze, il tutto da retribuire come concordato e tutt’oggi sono sempre in aspettativa di saldo. Storia che vede coinvolti la Regione Sicilia, il commissario nominato per l’Expo, un conto specifico congelato per mancanza (così dicono loro) di una analisi della solita commissione che non arriva mai. E intanto circa trecento imprenditori siciliani attendono la bellezza di 2,6 milioni di euro e la Magistratura indaga!
Frammento n. 1
In Francia la vendemmia più scarsa degli ultimi 30 anni!
Quella del 2016, causa gelo, grandine, incendi e marciume sarà ricordata in Francia come una delle peggiori vendemmie degli ultimi trent’anni. Non si tratta di diffondere allarmismi. La fonte è quella ufficiale: Ministero dell’Agricoltura francese. È vero che il mosaico di situazioni nell’intero paese ci dona condizioni e contesti diversi tra loro. La Borgogna denuncia la peggiore vendemmia dal 1981 mentre nel Bordeaux è dato di credere ad un incremento della produzione del 7% rispetto al 2015. Champagne e Loira, causa le gelate nella tarda primavera, accusano il colpo. I misteri del clima. Le bottiglie racconteranno! (Fonte: Cronache di Gusto)
Frammento n. 2
Lo Sparkle Day 2017: la Guida al Bere Spumante!
Ormai, nella Capitale, è definito il giorno più spumeggiante dell’anno. Sabato 3 Dicembre 2016 nelle eleganti sale dell’Hotel Westin Excelsior, in via Veneto, oltre 70 aziende provenienti da ogni angolo della Penisola, proporranno in degustazione ben 350 etichette. “Sono passati già 15 anni quando proponemmo la prima edizione di Sparkle, allora si chiamava Bere Spumante e in questo lasso di tempo molte cose sono cambiate” così si è espresso Francesco D’Agostino, direttore di Cucina&Vino. Il vino spumante italiano allora era un prodotto di nicchia, con pochi veri amatori e noi abbiamo dato visibilità a quel mondo che stava per esplodere contro ogni previsione”.
Frammento n. 3
Trentodoc, bollicine sulla città.
Eventi ed incontri per scoprire il primo metodo classico italiano. Torna per il dodicesimo anno consecutivo Trentodoc, bollicine sulla città, che animerà la città di Trento dal 18 novembre all’11 dicembre. Per l’occasione le case spumantistiche trentine apriranno le parti delle proprie cantine per scoprire dove nasce Trentodoc.
Frammento n. 4
Life of Wine: le Vecchie Annate di scena a Roma
A Roma la quinta edizione di un evento unico nel Mondo del Vino interamente dedicato alle vecchie annate. Nell’ambito di Life of Wine, evento ideato e curato da Studio Umami, il giorno 20 novembre nelle accoglienti sale dell’Hotel Radisson Blu, di fronte alla Stazione Termini, oltre sessanta grandi cantine italiane porteranno all’assaggio l’ultima annata in commercio insieme a due vecchie annate della loro etichetta più significativa. Bottiglie spesso introvabili sul mercato per esplorare l’evoluzione del Vino nel tempo. Assaggi aperti e fruibili dalle 11,30 alle 19,30. (Fonte: Studio Umami)
Frammento n. 5
Sangue Blu, quando il sangue nobilita la cucina.
Come disse Plinio”…da nessun altro animale si trae maggior materia per la ghiottoneria cha dal maiale. La carne del maiale dà quasi 50 sapori diversi mentre per gli altri animali il sapore è unico”. Un fine settimana “in odor di sangue”. In concomitanza con la 46° Mostra Mercato del Tartufo Bianco di San Miniato (Pisa), l’Associazione dei Sanguinacci, in collaborazione con Slow Food e il Comune di San Miniato, organizza “Sangue Blu” 2° rassegna nazionale dei Salumi di Sangue (unica rassegna di questo genere in Italia). Mallegato, il più famoso, chiamato anche Sanguinaccio e/o Biroldo inserito nel presidio di tutela costituito da Slow Food. E come potevano mancare chef internazionali come Paolo Fiaschi, Gilberto Rossi, Stefano Pinciaroli a creare piatti ispirati dai salumi di sangue? Sabato 26 e Domenica 27 sotto i loggiati di San Domenico a San Miniato (Pisa). (Fonte: CeG Maxicom Milano)
Frammento n. 6
Ozio Gastronomico: “Qui troverete l’essenza del buon cibo”
Palermo, via Libertà ang. Via Di Blasi. Dario Genova, uno dei più bravi e quotati pizzaioli si è svelato, nei giorni scorsi, nella sua essenza di luogo nel quale gustare del buon cibo in relax. Un aspetto minimal ma con tutti gli elementi essenziali al loro posto. Agli ospiti l’eclettico pizzaiolo proporrà piatti pensati come variazioni su specifici temi: dalle alici alla bruschetta, alle frittelle di farina di ceci, peperoncini ripieni, pane di tumminia e un susseguirsi di pizze sfornate a rotazione. Il tutto innaffiato con spumante siciliano di Tasca d’Almerita. La novità che differenzia questo “strano” locale? Si potranno consumare colazioni mattutine come si faceva una volta, con prodotti da forno preparati all’istante; insomma pane, burro e marmellata. Parlano gli architetti che hanno progettato il locale: Un percorso di comodità incrementale, una via dell’ozio. Si parte in piedi, poi si passa agli sgabelli, per continuare nelle panche, poi finalmente alle sedie ed alla fine nell’ultima stanza, alle poltrone. Un gran piacere parlare di nuove iniziative provenienti dal Sud. Una storia appena iniziata con tante pagine da scrivere. (Fonte: Cronache di Gusto)
Osservo, scruto, assaggio e…penso.
DOPO IL PUNTO VENDITA PARIGINO, INAUGURATO QUELLO MILANESE
Spirito d’avanguardia, giovane e raffinato, alla costante ricerca “del più” : questi i segni caratteristici delle “emozioni” di Claudia Oddi
Emozioni? Sì, gioielli come emozioni : vissute, filtrate e trasformate in realtà - nella puntigliosa conquista della perfezione - da Claudia Oddi. Nata e vissuta sino a 17 anni a New York, poi alcuni anni a Roma e da decenni tornata a Parma (terra dei suoi avi) Claudia Oddi è una creatrice di gioielli, una designer che le grandi firme del settore da tempo si contendono : grazie alla sua elegante e duttile creatività ha realizzato per loro, nel corso degli anni, molti pezzi di grande successo.
Oggi, in un momento in cui, purtroppo, molte imprese sono costrette a ridimensionare i propri confini, Claudia partita tempo fa, sulle ali del web, ha conquistato i più esigenti mercati mondiali con una linea di gioielli che porta il suo nome. Nel suo sito Internet si possono visionare , e acquistare i suoi splendidi gioielli anche on line. Non solo in Italia ma in ogni Paese del mondo collegato alla Rete.
A Parigi, dal 2014, i gioielli di Claudia Oddi, adorati dalla raffinata clientela francese, splendono nello spazio espositivo di Rue Saint Honoré 316,(boutique Mad Lord) rinomato luogo di incontro di celebrità internazionali.
Da novembre 2016, il grande debutto a Milano con uno punto vendita di alta classe. Nella capitale lombarda Claudia Oddi presenta le sue preziose creazioni in uno spazio espositivo posto nel cuore del prestigioso quadrilatero della moda : in via della Spiga 34.
Le collezioni presentate nello spazio milanese sono talmente “affascinanti” da lasciarci cuore e sentimenti. Creatività allo stato puro che ci coinvolge sino dalla prima occhiata, avvolti nel fiotto di luce che ci accoglie. Metti, ad esempio, la parure “Princess” pensata e disegnata per una donna regale .. ma dallo spirito attuale, che vive con classe la contemporaneità. Eppoi la linea “Rainbow” : un’ esplosione di pietre preziose dai mille riflessi arcobaleno, uniti e “accarezzati” nello splendore di metalli preziosi…
Qual è il segreto di tanta bellezza ?
L’abbiamo chiesto alla giovane creatrice, incontrata nei giorni scorsi nel suo primo negozio diventato a Parma un punto di riferimento per chi desidera un gioiello “unico” al di sopra di immagini, regole e canoni scontati.
“Creare un gioiello – ci ha spiegato Claudia – è quasi come vedere la nascita, e la crescita, di un figlio. Questa mia grande passione, noti bene, non è un “retaggio di famiglia” (i miei si occupavano di ben diversi settori) ma piuttosto un dono inaspettato che, già da quando ero solo una ragazzina, mi ha indicato la mia via. Ora, dopo anni di lavoro come designeri ho lo sguardo puntato al futuro, ai traguardi che sono sicura di raggiungere perché credo e amo fermamente ciò che faccio : è la mia forza e la mia passione.
“Perché – afferma Claudia Oddi – desidero creare collezioni che soddisfino tutte le donne. Collezioni: raffinate, preziose ma soprattutto “duttili”affinché, con lo “spirito” giusto, un mio gioiello si possa indossare sia al mattino per sbrigare le normali commissioni sia alla sera per partecipare ad una cena o ad una Prima importante : è solo questione di stile…”.
Infatti, per avere successo ci vuole l’idea buona e per cogliere l’idea buona si deve saper filtrare gli umori del tempo. E i gioielli di Claudia Oddi precorrono, dominano e danno forma agli umori del tempo. Una sfida vincente nell’elitario mondo della gioielleria.
Se ci si interroga su quanto gli stati esistenti tutelino i diritti fondamentali degli individui e delle collettività, si può osservare quanto le loro strutture siano macchine burocratiche al servizio delle oligarchie finanziarie
Secondo il poeta britannico Percy Bisshe Shelley, il governo è un male, sono solo la sconsideratezza e i vizi degli uomini che ne fanno un male necessario: necessario per evitare l'esplosione di conflitti che metterebbero a rischio la sopravvivenza del genere umano, ma come si può realizzare questo obiettivo se non garantendo a ciascun individuo i diritti inalienabili, e, realizzata questa premessa indispensabile, stabilendo un limite alla libertà individuale per evitare soprusi? Il fatto che, finora, il rispetto di questi diritti non sia stato garantito ha prodotto nel tempo movimenti di riforma che hanno esercitato pressioni interne e movimenti migratori che hanno esercitato pressioni esterne sui singoli sistemi statali. Le spinte dei movimenti di riforma, quando hanno raggiunto le classi dirigenti influenzandone le scelte, hanno diminuito in misura variabile (a seconda dei contesti) le diseguaglianze economiche, sociali e politiche, ma, quando sono state ignorate o represse, hanno causato movimenti regressivi che hanno condotto le società verso diseguaglianze più profonde.
Quando il disagio sociale induce una parte sempre più cospicua di cittadini a disperare di un miglioramento delle proprie condizioni, le istanze individuali tendono a prevalere sull'interesse comune: perché un cittadino relegato ai margini della società dalle difficoltà economiche dovrebbe contribuire al progresso di una società, con un buon margine di probabilità di restarne escluso? Il concetto di stato-nazione si è affermato appunto, oltre che sull'onda della delusione rispetto ai capisaldi del riformismo illuminista, cosmopolita e universale, con il diffondersi dell'idea che una classe dirigente che abbia la stessa identità (lingua, tradizioni, religione, o più in generale cultura) del popolo governato sia più propensa a tutelarne i diritti. In seguito, all'interno dei singoli stati sono emerse fazioni, delle quali alcune rappresentavano gli interessi delle classi “alte”, mentre altre chiedevano maggiore uguaglianza o, almeno, una minore diseguaglianza. Chi sosteneva queste ultime si aspettava che, una volta al governo, esse avrebbero mantenuto i loro propositi dichiarati, vedendo così deluse le proprie attese, a causa di una qualche vera o presunta vis maior, o per mala fede o incompetenza delle classi politiche. Le forze progressiste hanno quindi abdicato al loro impegno, perdendo credibilità e il malcontento dei cittadini non ha trovato altri rappresentanti che demagoghi tanto carismatici quanto privi di spessore politico.
L'elezione di Donald Trump alla Presidenza degli Stati Uniti è sintomo di una tendenza in crescita nell'ultimo ventennio, ma che affonda le sue radici nella visione politica ed economica di un suo predecessore, Ronald Reagan. Una competitività demenziale, che, facendo della concorrenza sfrenata un dogma non solo economico ma anche etico, ha reso la competizione l'unico paradigma “vincente” di ogni relazione tra individui. Nessuna solidarietà, solo una religione del successo personale da realizzarsi anche a discapito dell'utilità comune. Una volta sradicati i movimenti di protesta degli anni '60 e '70 e crollato il blocco sovietico, le “democrazie” non più liberali ma solo liberiste hanno probabilmente sottovalutato un elemento: in periodi di crisi economica, l'imperativo sii vincente rischia di essere un'arma a doppio taglio, poiché chi non riesce ad attuarlo tende a sentirsi emarginato dalla società, maturando nei confronti di essa sentimenti negativi. Il pericolo maggiore, dunque, non sono più solo i populismi di stampo patriottico o, persino, xenofobo. Nei discorsi dei demagoghi (che non possono fare altro che favorire gli interessi speculativi delle oligarchie finanziarie, ormai le uniche strutture a dettar legge a livello nazionale e sovranazionale) emergono progressivamente forme di populismo che fanno capo a figure carismatiche, che spesso dal nulla hanno raggiunto quel successo economico che per decenni è stato presentato dalle non-culture di regime come l'unica possibilità di realizzazione esistenziale. Si tratta, il più delle volte, di imprenditori che si mostrano vincenti perché disposti a tutto pur di ottenere il successo, ma che offrono di sé un'immagine distorta, come il Trimalcione del Satyricon dello scrittore latino Petronio: un parvenu arricchito che fa di tutto per sembrare un aristocratico dell'élite dirigente.
Non sembra abbastanza diffusa fra gli italiani la sensazione che le riforme costituzionali, destinate, secondo i promotori del SÌ, ad agevolare e semplificare le procedure di piena attuazione di uno Stato democratico, produrranno precisamente l’effetto opposto. Non occorre essere allarmisti, per convincersi che la vittoria dei “SÌ” al Referendum del 4 dicembre, con le conseguenze a latere, non certo evidenziate nella legge Renzi-Boschi, permetterà la concentrazione di ulteriori, rilevanti poteri nell’Esecutivo, limiterà l’esclusiva facoltà di rappresentanza popolare del Parlamento, consentendo di operare facilmente, in breve tempo, la prevista svolta autoritaria del governo nel nostro Paese.
Preoccupazione legittima e giustificata da fatti che evidenziano, sul piano formale e sostanziale, l’intento propagandistico di un governo, alla ricerca del consenso popolare e della legittimazione di una riforma della Costituzione, che gli consentirà di acquisire un’autorità aggiunta, assolutamente contraria alle fondamentali norme, contenute nella Carta del 1948. Infatti, se osserviamo il testo del quesito referendario, che così recita:
« Approvate il testo della legge costituzionale concernente“disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del Cnel e la revisione del Titolo V della parte II della Costituzione”, approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 88 del 15 aprile 2016? »
ci rendiamo immediatamente conto dell’intento demagogico dell’estensore di un quesito referendario, che definire disomogeneo sembra troppo garbato. In modo tutt’altro che imparziale, questo non si limita a formulare una domanda, ma invita l’elettore ad approvare “la legge costituzionale, con il “SÌ”, perché così potrà “beneficiare” del “contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni”e della “soppressione del CNEL” (nelle sedi opportune è stata accertata l’esistenza dei presupposti per considerare ingannevole il testo del quesito e illegittimo il conseguente, implicito invito a votare “SÌ”, contenuto nella pubblicità trasmessa dalle emittenti TV nazionali).
Fatta questa doverosa premessa, si dovrebbe presumere che l’elettore medio conosca non solo il testo della legge costituzionale che dovrebbe approvare, con un SÌ, oppure respingere, con un NO, ma sia anche consapevole dei motivi che hanno indotto 126 deputati a richiedere di sottoporre a Referendum la legge di riforma costituzionale “Renzi – Boschi”, approvata con la maggioranza assoluta delle due Camere, ma non con la maggioranza qualificata dei due terzi dei componenti della Camera e del Senato, cosa che ha reso possibile il Referendum stesso (come disposto dall’articolo 87 della Costituzione). Se così non fosse, la formulazione e il contenuto del quesito referendario, in cui si chiede all’elettore di approvare il testo di una legge costituzionale, approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, risulterebbero senza dubbio imprecisi e fuorvianti per l’uomo comune, non sufficientemente edotto in materia, e potrebbero indurre lo stesso elettore, disattento e disinformato, ad optare per il “SÌ”, perché ignora che il Parlamento, cui si fa riferimento nel quesito, è stato eletto, secondo i criteri di una legge elettorale (il “Porcellum”), dichiarata incostituzionale dalla Consulta con sentenza 1/2014. La “porcata” (così ha definito questa legge, proprio colui che ne fu estensore e proponente, cioè, l’onorevole Calderola), ha continuato tuttavia a rilasciare i suoi sconcertanti effetti, derivanti dall’accertata impossibilità di stabilire il giusto rapporto di rappresentanza tra elettori ed eletti, in un Parlamento, per questa ragione, illegittimo, eppure ancora in grado di svolgere il suo ruolo “istituzionale”, con l’approvazione della stessa Consulta, in virtù dell’applicazione del principio di “continuità dello Stato”, che ha permesso alla maggioranza di governo, cui fu concessa la fiducia da un Parlamento illegittimo, di trasformarsi in “maggioranza costituente”, per elaborare il progetto di riforma della Costituzione.
Per meglio chiarire, osserviamo quanto dispone la legge elettorale ordinaria 270/2005, detta anche “Porcellum” (grazie all’ironico e vano eufemismo di Giovanni Sartori):
La Corte Costituzionale, con sentenza 1/2014, ha dichiarato anticostituzionale il Porcellum, con le seguenti motivazioni: legge che…(relativamente all’elezione della Camera)…”non subordinando l’attribuzione del premio di maggioranza al raggiungimento di una soglia minima di voti” trasforma una minoranza in maggioranza con un meccanismo di attribuzione del premio “manifestamente irragionevole” e tale da costituire una grave alterazione della rappresentanza democratica” che è base e fondamento della Costituzione della Repubblica Italiana.
Relativamente all’elezione del Senato, la stessa Corte ha sentenziato l’anticostituzionalità della legge Porcellum, poiché: “stabilendo che l’attribuzione del premio di maggioranza è su scala regionale, produce l’effetto che la maggioranza in seno all’assemblea del Senato sia il risultato casuale di una somma di premi regionali, che può finire per rovesciare il risultato ottenuto dalle liste o coalizioni di liste su base nazionale, favorendo la formazione di maggioranze parlamentari non coincidenti nei due rami del Parlamento”.
Il criterio delle “liste bloccate” obbliga gli elettori a votare solo un partito e a non esprimere alcuna preferenza.
Risultano quindi eletti i candidati che venivano, dai partiti, posizionati nei primi posti della lista.
La Corte Costituzionale ha precisato che:
“il cittadino è chiamato a determinare l’elezione di tutti i deputati e di tutti senatori, votando un elenco spesso assai lungo (nelle circoscrizioni più popolose) di candidati, che difficilmente conosce. Questi, invero, sono individuati sulla base di scelte operate dai partiti, che si riflettono nell’ordine di presentazione, sì che anche l’aspettativa relativa all’elezione in riferimento allo stesso ordine di lista può essere delusa, tenuto conto della possibilità di candidature multiple e della facoltà dell’eletto di optare per altre circoscrizioni sulla base delle indicazioni del partito”.
Le condizioni indicate dal “Porcellum” sono state, dunque, dalla Corte definite:
“tali da alterare per l’intero complesso dei parlamentari il rapporto di rappresentanza fra elettori ed eletti”, condizioni che impediscono questo rapporto e “coartano la libertà di scelta degli elettori nell’elezione dei propri rappresentanti in Parlamento, che costituisce una delle principali espressioni della sovranità popolare, e pertanto contraddicono il principio democratico, incidendo sulla stessa libertà del voto di cui all’art. 48 della Costituzione”.
La Corte, tuttavia, ha sostenuto che gli atti di questo Parlamento sono validi e lo saranno anche in materia di leggi elettorali”, disponendo l’applicazione del “principio della continuità dello Stato” che consentirebbe all’attuale Parlamento di continuare a svolgere il suo ruolo “istituzionale” a condizione che ciò avvenga entro i limiti stabiliti dal principio stesso e si adottino soluzioni idonee alla creazione di un sistema elettorale che non sia, come il “Porcellum”, in contrasto con la Costituzione. Condizioni disattese, poiché questo Parlamento, creato per mezzo di una legge elettorale, dichiarata anticostituzionale, ha approvato il testo della legge costituzionale per la riforma della Costituzione (ben 47 articoli!) (vedi Gazzetta Ufficiale n.88 del 15 aprile 2016).
Evidenti le contraddizioni! Basterebbero queste a convincere il cittadino italiano, onesto e informato, a votare per un deciso NO, al Referendum del prossimo 4 dicembre!
Evitando così di essere vittima di un inganno ben congegnato e nascosto dalle troppe chiacchiere renziane, recitate ad arte dall’attuale premier, discepolo obbediente della potentissima e semi segreta “Accademia del Potere” made in USA, che si chiama Council On Foreign Relations, e pronto ad eseguire gli ordini che gli pervengono dall’altrettanto potente organismo bancario, JPMorgan, severo controllore degli sviluppi economici e politici dell’Unione Europea e in particolare dell’Italia.
Ma proseguiamo con la nostra analisi, osservando che l’articolo 138 della nostra Costituzione (la sfrontatezza dei “deformatori” non è giunta al punto di proporne la modifica, perché sarebbe risultata impopolare e …anticostituzionale) dispone quanto segue:
“Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione [cfr. art.72 c.4].
Le leggi stesse sono sottoposte areferendumpopolare [cfr. art.87 c.6] quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. La legge sottoposta areferendumnon è promulgata [cfr. artt.73 c.1, 87 c.5 ], se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi.
Non si fa luogo areferendumse la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti”.
Dunque il Referendum costituzionale (detto impropriamente “confermativo”, che è stato richiesto da un quinto dei componenti della Camera - 126 su 630 - entro i termini stabiliti, poiché nella seconda votazione la legge non è stata approvata da ciascuna Camera con la maggioranza, qualificata, di due terzi dei suoi componenti), offrirà al cittadino elettore la facoltà di scegliere tra l’inizio della fine della democrazia in Italia, con il suo SÌ, e il miglioramento delle garanzie costituzionali che tutelano il sacrosanto diritto di ogni elettore di essere ancora democraticamente rappresentato dai suoi eletti, votando NO.
Ma, attenzione! Il Referemdum costituzionale non prevede alcun “quorum” (il raggiungimento della percentuale minima degli aventi diritto al voto), ma dà luogo alla promulgazione della legge, se è approvata dalla maggioranza dei voti validi.
È dunque indispensabile la grande partecipazione al voto referendario di tutti i cittadini responsabili che intendano salvaguardare la Costituzione e i fondamentali diritti che ancora essa garantisce, votando NO. No alle riforme scriteriate e illiberali, no alla concentrazione dei poteri nel governo, no allo smantellamento del sistema bicamerale perfetto, no alla rinuncia alla piena partecipazione dei cittadini all’elezione del Parlamento.
Thomas Jefferson, terzo Presidente degli Stati Uniti d’America, sosteneva che “The best government is that which governs least”. (Il miglior governo è quello che governa meno”).
Intendendo con questo che ogni limitazione del diritto del popolo di essere rappresentato attraverso l’organo istituzionale che lo garantisce, cioè il Parlamento, privilegiando la crescente autorità del potere Esecutivo, è chiara prova di un’azione tesa a creare, aldilà delle apparenze, un governo autoritario.
Ma procediamo nella nostra analisi, osservando che la nuova legge elettorale ordinaria n. 15/2015, in vigore dal 1 luglio 2016, detta anche “Italicum” è perfettamente funzionale ai meccanismi, previsti dalla legge di riforma della Costituzione, sottoposta al Referendum. Quanto al nome attribuito alla legge elettorale, “Italicum”, ci sarebbe da chiedersi se è solo casuale il fatto che i “Think Tank” nazionali, istruiti dai loro omologhi d’Oltreoceano, dopo l’evidente tentativo di “brain washing”, contenuto nel quesito referendario, hanno inteso risvegliare il patriottismo degli elettori, per convincerli, con giochetti tipicamente “yankee”, che il loro SÌ sarà per il bene della Nostra Italia.
Infatti, la legge di riforma costituzionale, sottoposta a Referendum, prevede, fra l’altro, “il superamento del bicameralismo paritario e la riduzione del numero dei Parlamentari” e, qualora prevalessero i “SÌ”, l’Italicum dovrebbe quindi regolare l’elezione della Camera dei Deputati, che sarà la sola ad essere elettiva e ad avere facoltà di dare fiducia al governo, pur permanendo, nel nuovo schema costituzionale, il Parlamento bicamerale. Per il Senato non è prevista l’elezione diretta, poiché la legge costituzionale Boschi-Renzi dispone che i Senatori, il cui numero sarà ridotto da 315 a 100, saranno nominati dai consigli regionali e potranno in sostanza rappresentare soltanto le forze politiche che in questi prevalgono e non le istituzioni, né il popolo sovrano (vedi art. 67 e 121 della Costituzione, in merito al “vincolo di mandato” e ai limiti di rappresentanza dei Senatori).
Ma osserviamo quanto l’Italicum dispone per l’elezione della Camera. Esso prevede il sistema proporzionale e assegna il premio di maggioranza alla lista che raggiunge la soglia del 40% dei voti; qualora questa percentuale non sia raggiunta, si va al ballottaggio, che assegnerà il premio di maggioranza alla lista che prevale, cioè, in pratica, alla lista (non alla coalizione) che ha ottenuto un solo voto in più, rispetto alle altre. Nell’attuale quadro politico si prevede che il ricorso al ballottaggio sarà necessario nel novanta per cento dei casi. Ora, occorre ricordare che al ballottaggio, in cui non è previsto il raggiungimento di una soglia minima di voti (quorum), né una soglia di sbarramento, la percentuale dei votanti scende in modo rilevante. E può, quindi, facilmente accadere che una lista che rappresenta un’esigua parte dell’elettorato, ottenga la maggioranza dei seggi alla Camera (lo stesso paradosso creato dal Porcellum, dichiarato anticostituzionale). Da notare comunque che anche nel caso in cui una lista raggiunga, al primo turno, il 40% dei voti, otterrà il premio di maggioranza, pari a 340 seggi, che non saranno interamente occupati da Deputati, liberamente eletti dal popolo, poiché ben 109 di essi saranno “nominati” dalle forze politiche dei cento collegi plurinominali, con capolista bloccato e dei nove collegi uninominali delle province autonome. Per la stessa ragione, qualora un partito riuscisse ad ottenere 100 seggi, questi sarebbero assegnati ad altrettanti Deputati, non eletti, ma nominati.
Ma non è tutto. Qualcuno ha riscontrato varie affinità tra la legge Italicum e le due leggi del ventennio fascista, una del 1923, nota come legge Acerbo, voluta da Mussolini per assicurare la maggioranza parlamentare al PNF. Questa legge assegnava un premio di maggioranza, pari a 2/3 dei seggi, al partito che avesse superato il quorum del 25%. L’altra legge è la n. 2263 del 24 dicembre 1925, che definendo le prerogative del Capo del Partito, lo trasformava automaticamente, una volta eletto, in Capo del Governo. Leggi che, in seguito, aprirono la strada alle cosiddette leggi fascistissime. Analogamente, l’Italicum dispone che le forze politiche, nel momento in cui presentano il loro programma e le liste devono indicare il “capo (sic) della forza politica”. Il giurista Zagrebelksky ci fa notare che l’Italia e l’Ungheria, in questo momento sono i soli paesi dell’Unione Europea che possono attribuire la maggioranza assoluta a un unico partito. Una legge elettorale ordinaria (l’Italicum), favorendo la concentrazione di poteri nell’Esecutivo, sta dunque trasformando l’Italia in una Repubblica Presidenziale o in un governo con poteri illimitati. L’esempio viene dagli Stati Uniti, dove il potere legislativo del Congresso continua a venir meno, poiché le decisioni politiche si prendono alla Casa Bianca, in cui opera da tempo la marionetta, cioè il Presidente USA, manovrata dall’Alto. Il signor Renzi non è stato in grado di spiegare come mai gli è sfuggita, nel suo disegno riformistico, la modifica dell’articolo 92 della Costituzione che attribuisce al Presidente della Repubblica l’esclusiva facoltà di nominare il Presidente del Consiglio.
Dunque:
“Prima ancora che incostituzionale l’Italicum è una legge irrazionale, insensata, contraddittoria e, essendo una legge elettorale e quindi fondamentale per gli equilibri democratici, intrinsecamente pericolosa, del tutto in linea con il disegno di accentramento al potere esecutivo e di depotenziamento del sistema parlamentare”.
La tanto propagandata riforma della Costituzione che il signor Renzi continua a dichiarare essenziale per il rinnovamento del nostro Paese, è quella che dovrebbe realizzare la semplificazione della funzione legislativa del nuovo Parlamento.
Ma se osserviamo le disposizioni in materia, previste dalla legge di riforma costituzionale, possiamo trarre, senza ombra di dubbio, le seguenti conclusioni: la legge di riforma Renzi – Boschi non semplifica un bel niente, ma complica l’iter legislativo in modo assai rilevante, rispetto a quanto prevede, in modo chiaro e forma concisa, la Costituzione del 1948; una verifica che ci consente di mettere in guardia l’elettore, ancora indeciso, invitandolo a non correre il rischio di cadere vittima dell’ennesimo raggiro. Rischio che può evitare, soltanto votando NO.
Entriamo brevemente nei dettagli e vediamo che cosa accadrebbe tra Montecitorio e Palazzo Madama, nel malaugurato caso in cui al Referendum prevalessero i “SÌ”.
Operato il superamento del bicameralismo paritario e ridotto il numero dei parlamentari,e dunque limitata sensibilmente la facoltà del Parlamento di svolgere il suo compito istituzionale, che è quello di rappresentare gli elettori e di estendere le possibilità della democrazia partecipativa, si beneficia dell’irrisorio contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni.
Deputati e Senatori si trovano di fronte all’articolo n. 70 riscritto nella Costituzione riformata che “semplifica” la funzione legislativa del nuovo Parlamento, disponendo ben quattro procedure diverse, cioè quattro modi diversi di fare le leggi (La costituzione del 1948 ne prevede uno solo, quello che risulta dalla funzione legislativa esercitata collettivamente dalle due camere, come recita l’articolo 70 non riscritto).
Ma la semplificazione si… complica, perché, secondo le quattro procedure, si fanno quattro leggi diverse, che nell’ordine sono:
1) leggi bicamerali;
2) leggi approvate dalla sola Camera, con possibile esame del
Senato entro dieci giorni;
3) leggi approvate dalla sola Camera, con necessario esame del
Senato entro dieci giorni;
4) leggi approvate dalla sola Camera, con necessario esame del
Senato entro quindici giorni.
Sentiamo in proposito il commento di Luca Benci, giurista, “Laboratorio politico - Per un’altra città” - Firenze:
Leggi bicamerali
“È la stessa procedura che da sempre conosciamo: stesso testo approvato da Camera e Senato. L’elenco delle leggi bicamerali è lungo ed è suddiviso per materia. Riguardano le leggi costituzionali e di revisione costituzionale, sulle minoranze linguistiche, sui referendum, su comuni e città metropolitane, sulla partecipazione e all’attuazione delle norme sull’unione europea, sull’eleggibilità dei senatori, sulla legge elettorale del senato, sulla ratifica dei trattati dell’unione europea, sull’ordinamento di Roma, sul regionalismo differenziato, sulla partecipazione delle regioni speciali alla formazione e all’attuazione di norme Ue, sulle intese internazionali delle regioni, sul patrimonio degli enti territoriali, sui principi della legge elettorali delle regioni ordinarie, sul passaggio di un comune da una regione all’altra”.
Leggi approvate dalla sola Camera, con possibile esame del Senato entro dieci giorni
“Il Senato, per tutte le leggi approvate dalla Camera e che non sono riportate nell’elenco delle leggi bicamerali (su cui ha piena potestà, come abbiamo visto), entro dieci giorni su richiesta di un terzo dei senatori, può esaminarle e proporre modifiche nel testo entro un termine di trenta giorni. Successivamente la Camera deciderà se accogliere o meno le modifiche”.
Leggi approvate dalla sola Camera, con necessario esame del Senato entro dieci giorni
“Ipotesi che si verifica quando la Camera vota sulle materie previste dall’articolo 117 della Costituzione che sono riservate alle Regioni e di cui lo Stato decide di intervenire scavalcando le competenze regionali: c.d. “clausola di supremazia statale”.
Lo Stato, cioè, invade le competenze regionali quando, su “proposta del Governo”, interviene su materie riservate alle Regioni.
La motivazione di detta invasione è relativa alla “tutela dell’unità giuridica o economica della repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale”. Lo chiede il Governo, la Camera approva la legge, ma in questo caso il Senato deve necessariamente esaminare la legge e la Camera – se sono proposte delle modifiche da parte del Senato – può disattendere le richieste del Senato solo pronunciandosi nella votazione finale a “maggioranza assoluta dei propri componenti”.
Leggi approvate dalla sola Camera, con necessario esame del Senato entro quindici giorni
“Questa ipotesi riguarda le leggi di bilancio e la legge di stabilità.
La più importante legge dello stato sarebbe quindi approvata dalla Camera, trasmessa obbligatoriamente al Senato che entro quindici giorni delibera le proposte di modifica. Su queste deciderà in via definitiva la Camera senza maggioranze particolari.
In sintesi quindi esisterebbero leggi approvate da entrambe le camere, leggi di cui il senato può chiedere le modifiche, leggi in cui il senato deve chiedere le modifiche.
Oltre a questi procedimenti – che potremo definire generali – vi sono altri sottoprocedimenti che rendono ancora più complicato il processo di produzione normativa. Ad esempio sulle leggi elettorali di camera e senato può essere chiesto il controllo preventivo di costituzionalità da parte di un quarto dei deputati e un terzo dei senatori. Il tutto entro dieci giorni dall’approvazione. Questa disposizione costituzionale appare, oggi, del tutto ragionevole visto quello che è successo con il Porcellum, ma con un legislatore assennato che non piega le leggi elettorali ai sondaggi del momento appare eccessiva. Procedimenti speciali ci sono per le leggi che sono state avviate prima in senato, per le leggi che il Governo dichiara essenziali all’attuazione del programma, le leggi dichiarate urgenti, le conversioni dei decreti legge, le leggi di iniziativa popolare. Alla fine si contano – tra procedimenti e sottoprocedimenti – dieci modi diversi di produrre atti normativi primari.
Il senato depotenziato dalla riforma trova però i suoi poteri aumentati con la elezione dei membri della corte costituzionale.
Nella Carta costituzionale vigente i cinque membri spettanti al Parlamento vengono eletti in seduta comune tra Camera e Senato. Il Senato della riforma renziana ne eleggerebbe ben due con soli cento senatori (la camera gli altri tre con seicentotrenta deputati).
Non sono rilievi di poco conto tenuto conto della funzione di garanzia che esercita la corte costituzionale e della strana composizione del ‘Senato delle regioni’ renziano”.
4. I rapporti tra Governo e Parlamento
Se al Referendum del prossimo 4 dicembre prevalgono i SÌ, dovremo assistere ad un vistoso squilibrio fra le facoltà attribuite al potere legislativo e quelle attribuite al potere esecutivo, il Governo, a tutto vantaggio di quest’ultimo e a detrimento sostanziale del primo (il Parlamento), che vedrà, con l’approvazione della legge di riforma della Costituzione, ulteriormente limitato il suo compito istituzionale, che è quello di rappresentare i cittadini elettori della Repubblica Parlamentare Italiana, garantendo la piena realizzazione della democrazia rappresentativa.
La legge elettorale ordinaria, Italicum, come abbiamo ricordato nei precedenti commenti, sembra fatta apposta per dare luogo a questo pericoloso squilibrio, rivelandosi “complementare” all’applicazione del disposto della legge di riforma costituzionale, poiché, consentendo ad un partito, che non ha ottenuto la maggioranza dei voti espressi, di ottenere invece la maggioranza in Parlamento (alla sola Camera, visto che il Senato non sarà più elettivo) e l’automatica elezione a Capo del Governo del “capo della forza politica” dal partito indicato, nonché l’inedito “diritto” di condizionare i lavori parlamentari, con l’istituzione del cosiddetto “voto a data certa”, in virtù del quale il Parlamento avrebbe l’obbligo di iscrivere un disegno di legge all’ordine del giorno, entro il termine di cinque giorni dal ricevimento (vedi art. 72 della Costituzione, sottoposto a riforma) potrebbe, non solo facilitare la ratifica e la conversione in legge di ddl ritenuti essenziali per l’attuazione del programma di governo (quale?), ma anche, e soprattutto,
determinare
le condizioni per il graduale smantellamento del nostro sistema democratico, favorendo la (evidentemente prevista) svolta autoritaria del governo del nostro Paese.
(ricordiamo i vari espedienti, ai quali è ricorso l’Esecutivo, per modificare a proprio vantaggio il testo legislativo, come i maxiemendamenti e i “canguri” cosiddetti ghigliottine).
Riferiamoci anche all’elezione del Presidente della Repubblica. Nella riforma di Renzi, solo i parlamentari sono grandi elettori, che si riuniscono per eleggere il Presidente. Sono previsti quattro scrutini, con un quorum pari a 2/3 dei voti espressi nell’Assemblea riunita, fra i quali sono determinanti quelli della Camera, in cui, grazie all’Italicum, prevale la maggioranza di un solo partito. Dal quarto scrutinio è sufficiente la maggioranza dei 3/5 dei votanti. Dunque il partito premiato dall’Italicum potrebbe da solo votare per eleggere il “suo” Presidente.
Osserviamo la riforma dello strumento di democrazia diretta, il Referendum, proposta con l’aumento a 800.000 firme di richiedenti, come soglia minima, affinché il Referendum possa essere indetto, invece delle 500.000 attualmente previste.
Nonché le proposte di legge di iniziativa popolare, previste dall’articolo 71 della Costituzione, che, riscritto, innalza il numero delle richieste da 50.000 a 150.000 quale soglia minima necessaria a sottoporre la proposta di legge popolare o petizione alla discussione e alla deliberazione parlamentare.
E infine, ricordiamo che la riforma permetterebbe ad un partito, minoritario nel Paese, e maggioritario alla Camera, grazie all’Italicum, di nominare oltre la metà dei membri della Corte Costituzionale.
Dunque, un NO forte e deciso, per garantire il rispetto del Nostro Popolo e salvaguardare quanto ancora rimane della Nostra Libertà.
“Se la legge non ammette ignoranza, l’ignoranza non ammette la legge” è il titolo dello spettacolo in due atti, diretto da Gisella Gobbi, andato in scena al Teatro Arciliuto di Roma dal 22 Ottobre al 6 Novembre. Irriverente, sarcastico, lo spettacolo mette a nudo l’Italia dei furbi, di quel popolo, come si legge nel comunicato, pavido e approfittatore. Una coppia di attori molto affiatata, Mimmo Mancini e Paolo De Vita, dà vita a due eccentrici e stravaganti personaggi: i fratelli Capitoni.
Carlo e Cosimo Capitoni, pugliesi, ultra cinquantenni, eternamente disoccupati, sono disposti a tutto pur di dare una svolta alla loro precaria esistenza, fino ad arrivare a portare in giudizio l’Italia intera, gli italiani, isole comprese, e loro stessi, in una fatiscente aula di tribunale, rivelando alla Corte di essere entrati in possesso di un archivio segreto che racchiude tutti i misteri italiani.
Aspettando una sentenza che non arriva, i due fratelli rievocano ricordi lontani, partendo dalla loro infanzia, fino ad essere coinvolti nei primi sbarchi degli albanesi o lottare contro una cartella pazza di Equitalia.
Due uomini in guerra continua per difendere i loro diritti di emarginati e riparare i torti subiti dal loro eterno nemico: “l’assessore”, incarnazione di tutti i mali di uno Stato assente, della mala politica e di tutto ciò che non funziona.
Tante risate al Teatro Arciliuto, provocate dal fare schietto e genuino dei due fratelli e dal dialetto con cui si esprimono. Un lavoro ben riuscito quello concepito da Mimmo Mancini e Paolo De Vita, autori e attori per la televisione, il cinema e la radio, che sotto gli occhi attenti dei presenti cercano un finale adeguato. E la storia finirà nell’unico modo possibile: all’italiana.
Un pubblico partecipe, anche per la struttura del teatro che annulla lo spazio tra palco e platea, segue il dialogo tra i due interpreti che, grazie a un ritmo serrato, riempiono la scena, dove è presente solo una scritta fatiscente che indica “La legge è uguale per tutti”, in un flusso continuo di parole, sketch divertenti e battute mai banali.
Due personaggi paradossali, a tratti rocamboleschi, che ritraggono efficacemente vizi e virtù degli italiani, laddove è possibile riconoscere e ridere amaramente del proprio lato oscuro.
Nessuna generazione preceduta è stata colpita da tante patologie come l’attuale. Sembra che più passa il tempo e più sia precaria la salute umana.
Oggi 1000 nuovi casi di tumore si registrano ogni giorno solo in Italia: complessivamente è vittima di 4000 diverse malattie. Antichi testi induisti dicono che prima che il popolo si nutrisse di carne vi erano solo 2 malattie, dopo ne scoppiarono 78. Il grande medico Ippocrate a suo tempo ne contava una cinquantina, alcuni secoli dopo Galeno ne annoverava 150.
Non vi è trasmissione televisiva in cui non si parli di alimentazione e malattie, in cui si esaltano i progressi della scienza nel combatterle, vantando nuovi ritrovati sempre più efficienti che consentono cure sempre più efficaci, ma mai risolutive. La scienza medica essenzialmente sintomatologica continua ciecamente a concentrarsi sulle capacità dei farmaci di arginare gli effetti prodotti, ma non indaga sulle cause che determinano le malattie: farmaci che facessero guarire dalle malattie farebbero fallire le industrie mediche e renderebbero inutili gli istituti di ricerca e gli stessi operatori sanitari. Un operaio che guadagna riparando calzature l’ultima cosa che aspirerebbe sarebbe quella dell’invenzione di calzature che non si logorano.
Da dove vengono le malattie? Perché gli animali che vivono in natura non si ammalano quasi mai, mentre l’essere umano, raramente gode ottima salute? Molto probabilmente perche vive contro natura, si nutre di alimenti privi o scarsi di sostanze necessarie al suo organismo.
Se si immagina riunita tutta la massa umana in una grande vallata, un numero impressionante di questa avrà difficoltà a muoversi, a correre; mentre tutti i rappresentanti di un’uguale massa di qualunque specie si muoverà veloce, agile, spedita, piena di energia e di vita.
La mia ipotesi in fatto di malattie umane è semplice: se una macchina ha i componenti adatti a funzionare con un suo specifico carburante, se questo non è quello previsto sarà inevitabilmente destinata a funzionare male, ad aver bisogno di interventi di riparazione e a durare meno del tempo previsto. Allo stesso modo, se la “macchina” umana è stata progettata per utilizzare come “carburante” alimenti vivi e genuini, cioè frutta, verdura e semi e a respirare aria salubre, bere acqua pulita e praticare il necessario movimento; se questo viene a mancare è facile dedurre che la nostra “macchina” non può funzionare a dovere, sarà soggetta a continue riparazioni e questo compromette le sue difese immunitarie, e quindi l’organismo resta preda di qualunque attacco batterico o virale che si manifesterà colpendo la parte geneticamente più debole: l’identico meccanismo di un palloncino gonfiato fino a scoppiare, la crepa si manifesterà nel punto più debole della sua struttura.
Se la causa della malattia è l’accumulo di tossine nell’organismo con il conseguente indebolimento delle difese immunitarie per un’innaturale stile di vita ed un’alimentazione inadatta, dannosa e priva di nutrienti necessari, la strategia per recuperare la salute non può che essere il rafforzamento del sistema immunitario attraverso un corretto stile vi vita, un’alimentazione adatta alla nostra “macchina”, il movimento, l’aria buona, acqua pulita e serenità d’animo.
In sostanza il segreto per debellare ogni malattia conosciuta è: dare al nostro organismo il “carburante” necessario, stabilito dalla natura. Da notare che tra gli animali carnivori si registrano più tumori che negli erbivori, a conferma che la carne fa male anche ai carnivori. Non un solo
beneficio può essere attribuito alla carne, mentre non vi è aspetto nutrizionale, protettivo, antiossidante di cui non sia dotato il mondo vegetale, esente, tra l’altro, da sostanze mutagene.
veri custodi del vino come espressione diretta del territorio e della sua cultura - Piacenza 26-27 Novembre 2016
FIVI acronimo di Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti.
Parlare bene di questa realtà mi mette a disagio perché, alla fine, risulto “parziale”, “di parte” per i numerosi amici viticoltori che ne fanno parte. Ma non ne posso fare a meno vuoi per le grandi qualità che questi vignaioli hanno, vuoi per la fierezza che traspare da ogni loro atteggiamento, vuoi per quella “indipendenza” che tramandano di generazione in generazione.
E sfatiamo un luogo comune. Vignaioli Fivi non significa essere “per forza” naturali, biologici e/o biodinamici anche se molti associati appartengono a queste dichiarate realtà.
“Il Vino prima di tutto deve essere buono”. Quanto mai vero.
“Il vignaiolo coltiva le sue vigne, imbottiglia il proprio vino, curando personalmente il proprio prodotto. Vende tutto o parte del suo raccolto in bottiglia, sotto la sua responsabilità, con il suo nome e la sua etichetta.
Il vignaiolo rinuncia all'acquisto dell'uva o del vino a fini commerciali. Comprerà uva soltanto per estreme esigenze di vinificazione, o nel caso di viticoltura di montagna per salvaguardare il proprio territorio agricolo, in conformità con le leggi in vigore.
Il vignaiolo rispetta le norme enologiche della professione, limitando l'uso di additivi inutili e costosi, concentrando la sua attenzione sulla produzione di uve sane che non hanno bisogno del maquillage
di cantina”. Ecco chi sono e come si comportano.
L'acquisto dei vini
È la visione del contadino al passo con i tempi, l’atra faccia della sana produzione vinicola, di coloro che decidono in piena autonomia per dare al vino la propria impronta personale.
Ma il vino non si produce e basta; bisogna anche difenderlo e venderlo. Di qui la necessità di fare squadra.
“La missione dei Vignaioli Indipendenti Italiani è:
Difendere gli interessi dei propri aderenti in ambito morale, tecnico, sociale economico e amministrativo.
Partecipare alle politiche di sviluppo viticolo a scala locale, nazionale ed europeo.
Proporre misure economiche e norme legislative nell'interesse dei Vignaioli Indipendenti.
Proporre e promuovere un'organizzazione economica del vino sostenibile e razionale.
Dialogare con i poteri pubblici con l'obiettivo di esprimere le problematiche specifiche dei Vignaioli Indipendenti.
Coordinare e rinforzare le azioni delle delegazioni locali attraverso il contributo dei delegati di zona e promuovere la creazione di nuove realtà territoriali”.
Tutto questo lo si può toccare con mano partecipando alla Mostra-Mercato che tutti gli anni si svolge, alla fine del mese di Novembre, a Piacenza, nell’area espositiva fieristica.
Giunta alla sua sesta edizione si presenta, di fatto (anche se gli organizzatori non vogliono questa etichetta), come alternativa al “mastodontico Vinitaly” e al “patinoso Merano Wine Festival”. Niente è scritto nei loro comunicati ma a un cronista di “vecchio pelo” o, come amo definirmi “eretico del vino”, non possono sfuggire gli atteggiamenti, il presentarsi, i comportamenti, i mezzi-sorrisi che compaiono sui loro volti al minimo accenno, al pronunciare Vinitaly e/o MWF.
Meno maliziosità e più concretezza.
È una manifestazione completamente diversa, la più grande di questo genere in Italia. A Piacenza infatti non solo si potranno conoscere più di quattrocento vignaioli, “sentire dalla loro viva voce racconti, storie dei territori di provenienza e degustarne i vini”, partecipare a degustazioni tematiche, conferenze, approfondimenti ma, con 400 carrelli predisposti dall’organizzazione, acquistare i vini direttamente agli stand dei produttori, “veri custodi del vino come espressione diretta del territorio e della sua cultura”.
Meno male che c’è la FIVI. Lunga vita alla FIVI.
I continui fallimenti diplomatici rendono sempre più difficile una conclusione del conflitto; ignorato, finora, l'esperimento della costituzione promulgata nel Rojava
Ammesso che ci sia ancora bisogno di dimostrazioni, gli oltre cinque anni di conflitto in Siria, come le guerre che si sono susseguite dalla metà del secolo scorso, hanno reso evidente che gli esiti degli interventi di una coalizione internazionale a guida unica non sono meno nefasti di quelli delle operazioni militari a più teste. Una delle principali ragioni di queste disfatte è la sistematica mancanza di considerazione degli interessi delle popolazioni coinvolte. Inoltre, rispetto al contesto monopolare a guida statunitense delle “guerre umanitarie”degli anni Novanta e Duemila, nell'ultimo decennio l'assetto mondiale sta mutando, lasciando emergere almeno altre due potenze concorrenti, ossia Cina e Russia. L'impossibilità di imporre un'unica visione del Medio Oriente è appunto una delle cause del protrarsi indefinito del conflitto in Siria, ma solo perché simili cambiamenti geopolitici, invece di favorire una democratizzazione dell'ordine mondiale, sono sfociati nello scontro di più pensieri unici.
Al contempo causa e conseguenza delle catastrofi delle “guerre umanitarie” o “preventive” è l'impotenza degli organismi sovranazionali come l'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), o l'Alleanza atlantica (NATO), anche perché sono espressione di un mondo “bipolare”, diviso nelle sfere di influenza di Stati Uniti e Unione Sovietica. Queste istituzioni, sorte alla fine della Seconda guerra mondiale, hanno una struttura intrinsecamente dialettica: possono esistere e svilupparsi solo se esistono due poli che si controllano a vicenda. Basti pensare all'atteggiamento della Turchia, in particolare dopo il “fallito golpe” di luglio: alle minime tensioni con Washington, il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha immediatamente ripristinato le relazioni diplomatiche ed economiche con Mosca. Considerando anche che la Turchia ha il secondo esercito nella NATO dopo quello degli USA, si può comprendere quanto timore abbia suscitato alla Casa Bianca la sua improvvisa “deviazione”. Occorre poi tener presente che gli USA e l'Unione Europea (come dimostra l'accordo su richiedenti asilo e migranti) contano da decenni sul baluardo turco in Medio Oriente e perderlo in un momento in cui diversi attori si contendono il ruolo di potenza egemone sarebbe un danno.
Tuttavia, una pacificazione stabile e duratura non può essere fondata sulla sottomissione delle popolazioni coinvolte agli interessi delle grandi potenze. È un po' come la storia del patto iniquo di cui scriveva il filosofo ginevrino Jean-Jacques Rousseau: voi avete bisogno di me perché io sono ricco e voi poveri; stipuliamo dunque un accordo tra noi: permetterò che abbiate l'onore di servirmi a patto che mi diate il poco che vi resta in cambio del disturbo che mi prenderò dandovi degli ordini. Secondo lo stesso Rousseau, un patto simile, ben lungi dal porre fine ai conflitti ne semina di nuovi, poiché ratifica una condizione di diseguaglianza e ingiustizia. Così, sulle spartizioni coloniali (i cui effetti deleteri sono ancora osservabili) se ne innestano altre più indirette, che rendono sempre più complicata una soluzione autentica. Eppure, nel 2014 le Regioni Autonome di Afrin, Jazira e Kobane, multietniche a maggioranza curda, si sono date una costituzione, sotto la guida del Partito dell'unione democratica (PYD, il principale partito curdo siriano). Questa costituzione è stata chiamata contratto sociale, proprio come quello che proponeva Rousseau nell'opera omonima, e i suoi principi fondamentali sono il diritto all'autodeterminazione, il municipalismo democratico e la pacifica coesistenza delle comunità, tra le quali viene sancita l'uguaglianza. Nel preambolo si legge che l'obiettivo è riconciliare il ricco mosaico siriano attraverso una fase transitoria dalla dittatura, dalla guerra civile e dalla distruzione, verso una nuova società democratica in cui saranno preservate la vita civile e la giustizia sociale.
Frammenti che orbitano qua e là, individuati, carpiti; li commento e condivido con voi.
Frammenti del
Merano Wine Festival edizione 2016.
Dal 4 all’8 novembre. 5 giorni di degustazioni esclusive ed eventi imperdibili. Venerdì 4 la rassegna consolidata dei bio&dynamica si arricchisce di una serie dedicata ai vini bio-dinamici internazionali. Sempre venerdì 4 la Gourmet Area, che ospita la selezione food Culinaria, Beer passion e Consortium, verrà aperta a buyers e addetti del settore a livello nazionale ed internazionale. Sabato 5 e Domenica 6, il tradizionale che da 25 anni riunisce a Merano le eccellenze italiane e non solo. Lunedì 7 novembre sarà la volta delle new Entries della Selezione Ufficiale e delle Vintage Collection dei produttori, un grande appuntamento con le “annate vecchie”. Martedì 8 torna, dopo il successo della prima edizione, Catwalk Champagne, l’appuntamento con gli importatori delle Grandi Maison, (Fonte: Stefania Gatta Gourmet’s International)
Raccolta di frammenti di Non solo Vino (Fonte: Stefania Gatta Gourmet’s International)
Frammento n. 1
Solidarietà al Centro Italia colpito dal terremoto
La Gourmet Arena è lo spazio in cui i visitatori del Merano Wine Festival trovano pane…e non solo per i loro denti. Il programma di quest’anno illumina le eccellenze del centro Italia in omaggio ai territori colpiti dai terremoti negli ultimi mesi. Accanto ai prodotti o meglio le eccellenze delle Marche, Abruzzo e Lazio, il territorio di Fermo sarà al centro dello showcooking di Alessandro Pazzaglia con i piatti della tradizione marchigiana. Ma sarà Sabato 5 l’evento più suggestivo: Alfonso Bucci dell’Hotel Roma di Amatrice preparerà l’originale ricetta degli spaghetti all’Amatriciana!
Frammento n. 2
Gourmet Arena for Professional Only
Iniziativa rivolta ai professionisti del settore food e alla stampa. Per la prima volta presenti oltre 100 aziende, tra artigiani del gusto, birrifici, distillati e liquori, servizi alla ristorazione che anticiperanno l’apertura a Venerdì 4, di pomeriggio ai professionisti del settore e alla stampa specializzata.
Frammento n. 3
Showcooking al femminile.
Venerdì pomeriggio, sempre nell’area della Gourmet Arena, lo show tutto “rosa”. Solo Chef donne tra cui Angela Marrocco e Mirella Crescenzi della federazione italiana Cuochi.
Frammento n. 4
Wagyu giapponese.
Il Merano Wine Festival è nato per stupire. Per i suoi 25 anni ha deciso di andare fino in Giappone per far assaggiare la carne migliore al mondo: il Wagyu. Ogni giorno, dal 5 al 7 alle ore 16, verrà cucinata questo tipo di carne per una esperienza sensoriale unica.
Frammento n. 5
Il focus Altoatesino
Immancabile il Focus Altoatesino con Cooking Farm, la sfida gastronomica tra giovani chef stellati e rappresentanti dell’Associazione Contadine dell’Alto Adige con la presenza delle special performance di Theodor Falser e Mattia Piffer.
Osservo, scruto, assaggio e…penso. (urano cupisti)
“Niente è come appare” al Palazzo Ducale di Massa dove, fino al 6 novembre, espongono Bertozzi & Casoni. Giampaolo Bertozzi (Borgo Tossignano, Bologna, 1957) e Stefano Dal Monte Casoni (Lugo di Romagna, Ravenna, 1961), artisti di fama internazionale portano avanti da tempo una ricerca finalizzata a riposizionare l’utilizzo della ceramica dandogli pari dignità degli altri mezzi espressivi utilizzati nell’arte contemporanea. Le loro opere, per autorevolezza esecutiva e ideativa, non temono, infatti, confronti né con le sofisticate esperienze contemporanee né con l’antico, utilizzando un linguaggio definito “pop concettuale”. Le mostra che fa parte del ciclo “Oltre l’immagine” organizzate dall’Associazione Quattro Coronati e dal Comune di Massa e curate da Mauro Daniele Lucchesi, presenta una serie di sculture realizzate in ceramica e maiolica in cui i due artisti riproducono con straordinaria abilità tecnica, acquisita in oltre trent’anni di “mestiere”, così com’era uso dire nelle botteghe rinascimentali, oggetti di utilizzo comune poi abbandonati ( bidoni per l’olio combustibile, cestini dei rifiuti, “sparecchiature”, scatole di detersivo), ai quali aggiungono animali bellissimi e coloratissimi ( pappagalli , coccinelle, camaleonti, iguane, ecc.). La bellezza della natura interagisce e, in qualche modo, assorbe e fa suoi i rifiuti dell’uomo, ne stravolge la percezione visiva eliminando il confine tra ciò che viene considerato bello, secondo i normali canoni della bellezza, e ciò che è considerato “spazzatura” e quindi brutto portando così a soluzioni creative che vanno “oltre l’immagine”. Bertozzi & Casoni, maestri indiscussi e consacrati, fin dagli anni Novanta hanno riscosso il consenso di critici d’arte contemporanea e l’interesse di gallerie d’arte nazionali e internazionali, di musei e collezionisti d’arte. Nel 2009 i loro lavori sono stati esposti al Padiglione Italia della Biennale di Venezia, nel 2010 alla All Visual Arts di Londra, alla Galleria Sperone Westwater di New York e alla Fondazione Arnaldo Pomodoro di Milano, nel 2011 al Padiglione Italia della Biennale di Venezia, nel 2013 al Museum Beelden aan Zee all’Aia, alla Galleria Beck Eggeling di Düsseldorf e nelle sale monumentali di Palazzo Te a Mantova, nel 2016 alla Galleria d’Arte Moderna di Palermo
Siamo oramai pervenuti nella nuova era, quella del pensare “globale” e del dialogo con il mondo. Se n’è già accorta la Corea del Sud, Paese all’avanguardia sia dal punto di vista tecnologico che culturale. Con il nostro Paese la Corea intrattiene un interscambio non indifferente. La Samsung, la nota marca di smartphone che usiamo tutti i giorni, da noi è di casa, e i meravigliosi abiti di seta della tradizione coreana fanno sognare agli italiani i fasti dell’ estremo Oriente. Del resto anche i coreani apprezzano la nostra cultura, ammirano il nostro “bel canto”, tant’è che numerosissimi giovani vengono in Italia per imparare e diffondere la nostra arte nel loro Paese, e altrettanti vengono a Maranello per
La nuova sede dell'istituto Culturale Coreano |
ammirare la nostra tecnologia.
Tanta ammirazione e stima reciproca non poteva sfociare che nell’inaugurazione avvenuta il 26 ottobre scorso del Centro di Cultura Coreano a Roma, una bellissima palazzina di stile liberty presso porta Pia, in via Nomentana al civico 10: circa 2.200 metri quadrati ristrutturata dallo studio di architettura Agazzi. L’Istituto è composto da due edifici, l’edificio centrale e la dependance, più uno spazio all’aperto, un giardino che sarà messo a disposizione anche per esposizioni d’opere d’arte. Park Eun-Sun, fra i maggiori artisti coreani contemporanei, che residente in Italia, espone a Roma in occasione dell’apertura dell’Istituto.
L’Istituto è il trentunesimo nel mondo e l’undicesimo in Europa.Esibizioni musicali e di danza moderna di alcuni, tra i più famosi gruppi coreani, hanno dato lustro all’inaugurazione.
Teatro, cinema, musica, arte, sport, beni culturali e ricerca universitaria sono stati coinvolti con l’entrata in vigore dell'ormai lontano Accordo Culturale del marzo 1965, mediate il quale si sono realizzati eventi e accordi che in questi decenni hanno rafforzato e intensificato i rapporti di cooperazione culturale fra i due Paesi.
Del complesso l’edificio centrale, di cinque piani, ospita la gran parte degli spazi che compongono l’istituto: attraverso diverse sale poste al piano terra si ripercorre, come fosse una piccola mostra permanente, la storia della Corea; dall’esposizione di oggetti realizzati da artigiani coreani, alla ricostruzione dell’interno di una casa tradizionale, fino alle più moderne e interattive opere di MediaArt coreane. Al primo piano sarà dato spazio anche alle esposizioni temporanee. Per ora,
Oggetti tradizionali |
fino al 18 novembre, sarà visitabile una mostra sull’artigianato contemporaneo coreano: “Fare è Pensare, è Fare”. All’edificio si abbinano la Biblioteca, per ora circa 2000 titoli fra pubblicazioni in coreano, italiano e inglese, le aule per la scuola di lingua coreana (Sejonghakdang) e un’ampia sala, di circa 130 posti, destinata a proiezioni, convegni e concerti.
Nella dependance, a fianco dell’edificio principale, troviamo uno studio d’arte che sarà messo a disposizione degli artisti italiani e coreani per la creazione di nuovi progetti, e un’ampia sala per lezioni di cucina coreana. Augurio del neodirettore, Soo Myoung Lee, è quello che, all’interno dell’istituto, artisti dei due Paesi possano conoscersi, entrare in sintonia e divenire pionieri di una nuova cultura, come i tempi richiedono.
Numerose le personalità: oltre all’Ambasciatore della Repubblica di Corea a Roma, Yong-joon Lee, il neodirettore del Centro culturale, Soo Myoung Lee, il Presidente del KCIS ( Korean Culture and Information Service), Gapsu Kim, hanno presenziato l'on. Ilaria Borletti Buitoni, sottosegretario del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del turismo, il cardinale Monterisi, numerose personalità del mondo politico italiano e rappresentanti del mondo imprenditoriale, sia coreano che italiano. Un folto pubblico ha fatto da cornice.
Le attività dell’istituto sono già iniziate: il 27 e 28 ottobre scorso, oltre alle lezioni di cucina coreana e alle mostre d’arte da visitare, per entrambe le giornate, dopo le 20.00, si è potuta ascoltare la voce della cantante Kang Hyo Ju, interprete del Sain Nori, particolare
Staza di una casa coreana |
canto proveniente dalla tradizione musicale di ispirazione sciamanica (in coreano Mudang) accompagnata da alcuni strumentisti coreani. A seguire la perfomance hip-hop proposta dai Gramblrez Grew, giovanissimo e fra i più affermati gruppi di break dance coreani.
Per i prossimi appuntamenti da segnalare, dal 21 al 26 novembre, la Korean Week ( la Settimana della Corea), che porterà in Italia artisti, musicisti, chef e atleti coreani per approfondire ogni giorno un tema diverso: la cucina (in collaborazione con Gambero Rosso), la cultura della bellezza, la musica jazz, l’arte marziale del taekwondo e ifine ci sarà una giornata dedicata all’hanji, la famosa carta coreana realizzata dalla corteccia di gelso. Nel mentre, fino al 6 novembre, nell’ambito delle celebrazioni per l’apertura dell’istituto, proseguono i concerti Nuovi Voci Coreane per il Bel Canto al Teatro Italia, sempre a Roma, con la Roma Sinfonietta.
I programmi di visita dell’Istituto, i corsi di lingua coreana, i corsi di calligrafia, i corsi di cucina, e lezioni di taekwondo, gratuiti e aperti al pubblico, prenderanno il via nel 2017. Fino alla fine del 2016, dietro iscrizione, si avvieranno corsi saltuari.
A trentent’anni dalla scomparsa il Comune di Sissa Trecasali promuove una mostra dedicata all’artista concittadino organizzata in collaborazione con la Pro Loco, il sostegno della Regione Emilia Romagna e il Patrocinio della Provincia di Parma. La mostra resterà aperta fino al 27 novembre.
Con sessanta opere di Bruno Zoni (Sissa 1911 - Parma 1986) esposte a Villa Marchi, Il comune di Sissa Trecasali celebra l’artista nel trentennale della morte. Tema della mostra è il paesaggio del Po e della Bassa, uno dei prediletti e più significativi nella lunga attività del pittore.
La mostra raccoglie dipinti su tela, su faesite e su carta dedicati al paesaggio della bassa e a tutto quanto nella pittura di Bruno Zoni (1911 - 1986) riprende i temi della tradizione paesaggistica e culturale del territorio. Nato a Coltaro di Sissa il 26 dicembre del 1911, Zoni ha sempre portato con sé memoria di questa terra concreta, contadina, e pur densa di suggestioni per quel paesaggio unico dove le nebbie invernali e le calure estive rendono ad ogni scorcio particolari colori, ed umori quasi tangibili. Immagini e fantasie che si sono radicate in un animo sensibile, dedito alla pittura, già racchiusa da Francesco Arcangeli nell’ambito del naturalismo informale padano.
La vita e l’arte
Trasferitosi a Parma bambino con la famiglia, Bruno Zoni studia all’Istituto d’arte Paolo Toschi e si diploma successivamente in scenografia all’Accademia di Brera, studiando contemporaneamente composizione musicale. A 27 anni è ammesso alla Quadriennale nazionale di Roma con l’opera «L’Appennino dopo la pioggia> che gli vale il Premio Bergamo nel 19.
In quegli anni si va profilando una brillante carriera con la chiamata in cattedra a Brera, condizionata però all’iscrizione al partito fascista a cui Zoni non aderisce. Si ritrova così ad insegnare in provincia di Piacenza nelle scuole medie: prima a Bobbio e poi a Castel San Giovanni. Ciò non gli impedisce di partecipare alle discussioni che animavano la pittura italiana con la nascita del gruppo di Corrente, aperto ad un rapporto intimo con la realtà quotidiana, che per Zoni significa il Po.Nel 1945 sposa Angiolina Gandini (dal matrimonio nascono Lina e Antonello) e inizia ad insegnare a Parma. Nel 1946 vince il premio Piacenza, nel 1947 il premio Modena e nel 1952 il premio Parma.
Sono questi anche gli anni in cui partecipa al dibattito che si forma attorno al realismo come impegno sociale che vuole il contenuto subordinato alla forma ma senza rinunciare alla propria personalità, alle proprie idee. I suoi paesaggi assumono strutture più marcate, quasi post-cubiste e tra i soggetti compaiono le fabbriche e i cantieri. Nel 1950 è invitato alla XXX Biennale di Venezia.
L’informale intanto inizia ad attirare diversi pittori e Zoni partecipa con Afro, Birolli, Vedova, Morlotti al «Gruppo degli otto», che propugna un linguaggio volto alle varie esperienze, compreso l’informale.
Dalla metà degli anni Cinquanta si libera infatti dal geometrismo di matrice cubista e nella sua pittura cominciano a trovar spazi sempre più ampi aria, luce, sensazioni, interpretate con segni cromatici brevi quanto intensi, lampi di sostanza poetica che vanno ampliandosi col tempo. Il suo rapporto con la natura non si esaurisce col paesaggio ma prosegue nelle «nature morte» dove scrive alcune delle pagine più significative di quegli anni. Bruno Zoni muore nel 1986, sulla soglia dei 75 anni.
La sua rilevanza nella pittura italiana lo vede ancor oggi protagonista del suo tempo, pittore il cui ricordo va rinnovato con la riproposizione delle opere. Hanno scritto di lui Guido Ballo, Luciano Caramel, Raffaele De Grada, Roberto Tassi, Arturo Carlo Quintavalle, Attilio Bertolucci, Gianni Cavazzini, Mario Penelope, Pier Paolo Mendogni, Gianni Cavazzini, Giovanni Riva. Opere di alto livello sono conservate in collezioni pubbliche e private, tra cui la Fondazione Cassa di Risparmio di Parma che gli dedica due monografiche, nel 1995 e nel 1999.
I dipinti scelti per questa esposizione provengono dalla famiglia che ne vuol così ripercorrere assieme al Comune di nascita la vita e l’opera inserendo il progetto nei percorsi culturali del territorio.
Bruno Zoni. Orizzonti Padani
A cura di Stefania Provinciali
Villa Marchi, Sissa (Parma)
Dal 4 novembre 2016 al 27 novembre 2016
Inaugurazione venerdì 4 novembre 2016, ore 16