L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni.

Publishing (168)

 

Andrea Signini
contatto
 
June 13, 2018

 L’Atlante delle guerre è all’ottava edizione e si presenta come uno strumento indispensabile per chi vuole studiare il fenomeno della guerra. Ma Atlante delle guerre non è solo un libro ma anche un sito (partner di Pressenza) e molte altre cose. Ne parliamo con Emanuele Giordana, che affianca, come direttore editoriale del sito, il lavoro dell’Associazione 46° Parallelo fondata e diretta da Raffaele Crocco che del quotidiano online è il direttore responsabile.

 

Non solo un atlante, puoi fare un quadro della vostra proposta globale?

L’Atlante cartaceo e il sito web atlanteguerre.it sono due facce della medesima medaglia. l’Atlante è uno strumento di studio e consultazione. Il sito, a parte la sezione che consente di leggere le vecchie edizioni cartacee in versione telematica, è un luogo di approfondimenti che, in un certo senso, aggiornano ogni giorno l’edizione cartacea che esce una volta all’anno. Il mondo, anche quello delle guerre, corre veloce e dunque era necessario accompagnarlo con un sito web, un quotidiano che stesse al passo con l’evoluzione dei conflitti e delle situazioni di crisi che possono trasformarsi in una guerra. In redazione ci sono Alice Pistolesi, che cura i dossier settimanali del martedi, e con Andrea Tomasi, che produce anche la trasmissione “Caravan”, gli aggiornamenti quotidiani. Beatrice Taddei Saltini, una delle colonne con Raffaele Crocco dell’intero progetto, è la persona che cura la relazione tra il cartaceo e il web. Giorgia Stefani ha un ruolo di coordinamento generale (e fondamentale) e Daniele Bellesi, che ha curato l’intera impostazione grafica sia dell’Atlante sia del sito, è la persona che è riuscita a tradurre graficamente un percorso di aggiornamento sui conflitti. Infine ci sono una serie di collaboratori fissi, giovani e pieni di idee: Elia Gerola e  Lucia Frigo – che seguono la parte social – Edward Cucek, Claudia Poscia e Teresa Di Mauro che sono in giro per il mondo… Li cito tutti perché il sito è un lavoro collettivo e non solo un insieme di collaborazioni. Quanto all’Atlante cartaceo, le schede sono invece affidate ad esperti d’area che comunque ci danno un contributo anche durante l’anno. Non credo di sbagliare se dico che attorno a questo progetto lavorano oltre cinquanta persone.

 

Un atlante della guerra per studiosi ma che prende posizione sui conflitti, come è nata questa iniziativa e come si è sviluppata?

Vorrei rispondere in breve con la frase che ci connota di più e che è il nostro chi siamo: “Noi rivendichiamo il diritto ad essere partigiani, cioè di parte. Siamo e saremo sempre contro la guerra”. In due parole volevamo fare una scelta di rigore professionale – ossia essere imparziali nel riferire le notizie – ma conservando il diritto di non essere neutrali. Di restare sempre dalla parte delle vittime.

 

Un’inziativa che parte dal basso e non conta su grandi finanziamenti istituzionali. Come funziona l’Atlante? Che si può fare per appoggiarlo?

Si possono fare dei versamenti individuali dal sito ma anche partecipare offrendo una collaborazione volontaria. Con fatica riusciamo ad ottenere alcuni finanziamenti a progetto ma è ovvio che i denari non bastano mai se uno cerca di lavorare con qualità e, appena ne ha la possibilità, di allargare il numero di collaboratori. Anche un versamento di 10 euro però può aiutarci ad andare avanti.

 

La sensazione è che ci sia uno stretto legame tra il fatturato dell’industri bellica e le guerre in corso: secondo te è possibile rintracciare questo legame?

Ci stiamo provando anche se è un lavoro complesso e non solo di natura industriale. E’ anche una questione culturale perché tanti sono ancora convinti che le guerre siano necessarie. Lavoriamo anche per cambiare quest’ottica.

 

A occuparsi delle guerre da un punto di vista pacifista si riesce a scorgere il momento in cui le guerre cesseranno di far parte del fare dell’Umanità?

E’ una marcia in salita inevitabilmente con un obiettivo lontano ma non impossibile. La guerra è ancora un fatto diffuso ma, fortunatamente, fa sempre meno vittime. E il movimento pacifista, comunque lo si intenda, è molto  più vasto di quanto non si creda. Non vedrò un mondo senza guerre molto probabilmente, ma sono certo che ogni cucchiaino che provi a svuotare il mare servirà persino in un’impresa che sembra impossibile. E che per adesso magari si limita solo a frenare la forza delle onde…

 

Recenti studi delle neuroscienze hanno escluso la  “naturalità” della violenza nell’essere umano: possiamo dare, anche dati alla mano, un messaggio di speranza alle nuove generazioni?

Il mito del guerriero è duro a morire così come l’ineguaglianza di fronte ai diritti universali, il limite all’accesso ai beni primari, l’ineguale distribuzione della ricchezza. Ma io vedo svilupparsi molte tendenze positive che dipendono da una maggior diffusione dell’informazione, da nuovi strumenti che consentono di organizzare lotte e proteste contro patenti ingiustizie,  dal fatto che oggi è più facile andare a scuola e dunque è più facile sviluppare un senso critico perché studiare significa conoscere ed avere più strumenti per capire, giudicare, reagire. Anche la nuova coscienza ambientalista va nelle direzione di un rispetto sempre maggiore non solo dell’uomo ma del mondo animale e di quello vegetale. Esistono guerre per l’acqua, contro lo sfruttamento dissennato della terra, per un maggior controllo della filiera alimentare e per una maggior attenzione a come vivono gli animali di cui (ancora) ci nutriamo. Sono segnali e che, alla fine, hanno sempre a che vedere coi conflitti. Superare la guerra come strumento di negoziato, richiederà anni ma questi segnali fanno ben sperare. L’uomo può vivere in pace, accogliere, condividere e lasciare la clava in cantina? Penso di si. Direi che ho una sorte di certezza di fondo che stiamo andando in quella direzione. Vedo un mondo dove la guerra sarà solo un fatto museale per ricordarci che un tempo, anziché parlarci, ci uccidevamo. Utopia? Le utopie cambiano il mondo. E non bisogna mai smettere di sognare.

 Per gentile concessione dell'agenzia di stampa Pressenza

May 26, 2018

 La figura di Anna è raccontata soltanto all'interno dei Vangeli apocrifi, nel Vangelo di Giacomo, la sua storia non compare nei testi canonici. Perché? Si chiede l'autrice e in questo libro prova a rispondere.

Il concepimento di Maria è un miracolo per Anna che è in età avanzata e da tempo desidera avere un figlio. Un Angelo le annuncia la maternità futura. A tre anni, Anna e Gioacchino, suo marito, tuttavia, lasciano la bambina al Tempio, e quando Maria diventerà donna è sempre l'Angelo a imporre ai vedovi di riunirsi, per scegliere a chi andrà in sposa. Dal bastone di Giuseppe si leva una colomba, segno che sarà lui lo sposo di Maria.

Da questo momento Anna e Gioacchino spariscono dalla scena per lasciare il posto ad altre narrazioni accettate.

Di Anna si tornerà a parlare solo durante la “caccia alle streghe” quando diverse leggende e riflessioni tornano a colmare le lacune sulla sua figura come faranno S. Brigida di Svezia, Maria de Agreda e Caterina Emmerick.

Il nome Anna è uno dei più diffusi nel mondo così come anche la sua devozione, dunque perché escluderla dai testi canonici?

È grazie alla figura di Anna e della sua trinità (Anna, Maria e Gesù bambino) che le popolazioni amerinde del Canada hanno abbracciato il culto cristiano, perché Anna aveva attributi simili a quelli di Nogami, la Nonna.

Lo studio di Nadia Lucchesi parte dalla controversa figura di Giacomo, autore del vangelo apocrifo. Il papa Benedetto XVI considera Giacomo il cugino di Gesù, ma per la tradizione ortodossa è il fratello del Cristo, figlio di un matrimonio precedente di Giuseppe. Eisemann porta avanti la tesi secondo la quale Giacomo il Giusto e i suoi seguaci erano in contrasto con Paolo e Pietro. “Giacomo è un personaggio scomodo: la visione del Cristianesimo che emerge dalla sua Lettera mette in primo piano l'importanza delle opere e della coerenza di vita nella realizzazione della fede, in una prospettiva di concretezza molto vicina al sentire e alle pratiche femminili della carità e della cura” (Cit.)

Anna ha un nome che rimanda alla dea celtica Ana, che significa “donna vecchia” ma anche ai culti di Anna Perenna, Annona, Angerona e Angitia, ma il nel suo nome riecheggia anche a Anat, Dea degli ugariti il cui nome antico era Iahu, la più antica divinità ebraica prima di Yaheweh.

Anna in sanscrito significa “nutrimento”, cibo. La veggente Caterina Emmerick sostenne che i genitori di Anna fossero Esseni, un gruppo di eremiti.

Da Ur parte il racconto di Abramo, gli ugariti veneravano Inanna/Ishtar, una delle Dee doppie, archetipo che viene affrontato da Viki Noble: la coppia Anna /Maria si pone dunque come speculare a molte dee doppie precedenti, tra cui ricordiamo, tra le più conosciute, Demetra e Kore.

Maria nasce l'8 di settembre alla settima ora. Otto è il numero di Maria, concepita l'8 dicembre, ma è anche il numero di Inanna e Ishtar, cui era associata la stella a 8 punte, che richiama il ciclo di 8 anni del piante Venere. 4 è la femminilità raddoppiata e l'8 apre all'infinito la spazialità del 4 (i punti cardinali, i 4 elementi..).

Perché dopo aver desiderato tanto la bambina Anna sceglie di affidarla spontaneamente a questo “collegio di vergini”? nelle religioni antiche le Dee preindoeuropee sono state tutte vittime di un Dio, mentre nella storia di Anna il divino torna nel mondo senza violenza, “rendendo sacri il concepimento, la nascita, la vita, la natura, il corpo” (Cit).

Maria scende i 15 gradini del Tempio, e anche 15 è un numero appartenente alle Dee antiche: la città di Ninive devota a Ishtar aveva 15 porte e 15 sacerdoti, 15 è il risultato del 7, numero umano più 8 numero divino; il rosario oggi si compone, infatti, di 15 Ave Maria.

Un testo essenziale per far luce sull'aspetto femminile insito nel Cristianesimo, aspetto che nonostante l'occultamento iniziale, è alla base del culto.

Ho scritto questo libro perché sono convinta sia necessario che ogni madre, carnale e spirituale, ritrovi il proprio valore e la consapevolezza che la sua integrità, la sua verginità, può essere trasmessa alle figlie, così che loro stesse conservino la relazione con le altre, ma soprattutto con gli altri”. (Cit.)

 

NADIA LUCCHESI:

ANNA. Una differente trinità

Luciana Tufani editrice

April 30, 2018

 

Erika Maderna, autrice di “Medichesse: la vocazione femminile alla cura” (edizioni Aboca) torna in libreria approfondendo un tema affascinante già iniziato nel libro sulla medicina delle donne: le guaritrici medievali e rinascimentali.

Il libro ripercorre l'origine della figura della strega, partendo dalla mitologia.

Santa o strega, un filo rosso lega queste due figure, un filo rosso che si innesta nella radice religiosa ma si dipana poi in direzioni opposte.

È Demetra la prima ad officiare riti che poi saranno appannaggio delle streghe, quando decide di donare l'immortalità a Demofonte ungendolo d'ambrosia, sussurrando incantesimi e purificando la sua parte mortale nel fuoco: unzione, soffio e parole magiche li ritroveremo anche nei verbali del Cinquecento. Ma la Dea delle streghe per eccellenza era Ecate, colei che assiste all'unione dell'anima col corpo durante il parto e all'ultimo respiro di vita, due momenti di passaggio presieduti da sempre dalla donna, sia essa ostetrica o accabadora.

Le attività femminili si intrecciano attorno alla Dea Iside: tessitura, ostetricia, conoscenza delle erbe e magia.

Circe e Medea gestiscono i “Farmakis” ma sono ricordate però solo come protostreghe.

Canidia, strega citata da Orazio nelle “Epodi” ha capelli simili a serpi, riecheggiano in lei gli attributi di Medusa, il poeta la descrive mentre officia al sacrificio di un infante mischiando erbe, uova di rospo, piume di civetta, ossa di cagna, tutti animali molto simbolici.

Apuleio descrive Panfile mentra si unge dell'unguento che la trasformerà in uccello per librarsi nel volo magico, altro elemento ricorrente nei processi alle streghe.  

“Herbae e cantus, carmina et venena” sono gli strumenti di chi opera la magia.

L'etimologia linguistica della strega, tuttavia, rimanda a caratteri di saggezza: witch in inglese deriva da wicca, saggia, mentre sorciere in francese rimanda a sortilega, colei che sa interpretare il destino. Saga in latino identificava la maga e l'indovina, mentre strix assume i caratteri nefasti dell'uccello rapace notturno.

Le donne sono sempre state curatrici, anche se la loro attività è stata spesso osteggiata, come ci ricorda Igino, quando narra l'episodio di Agnodice che celò la sua identità dietro abiti maschili, un'ostilità che si ritrova anche nel caso di Jacqueline Felicie de Almania nel 1322, processata perché sprovvista di licenza ma stimata da molti.

Nel Rinascimento, si ha l'inasprirsi delle condanne e delle torture, soprattutto nei confronti delle guaritrici, perché viene condannata la medicina popolare che si discostava dalla medicina ufficiale professata dai Dottori; molte donne, esperte nelle erbe, preferirono darsi la morte piuttosto che affrontare un ingiusto processo e torture indescrivibili.

L'ultima parte del libro si incentra sulle biografie di alcune guaritrici: ognuna di loro rivela particolari interessanti, come Gabrina, che stregò il poeta Ariosto, Benvegnuda Pincinella che univa preghiere cristiane a rituali con la ruta, Clara Botzi, levatrice che parlava con le piante...

A chiudere la trattazione alcune delle erbe che ricorrono nella medicina delle streghe come l'aconito, la cicuta, l'elleboro, la mandragora, ma anche piante meno pericolose come la camomilla, la malva, la menta, il finocchio.

Un libro che colma una lacuna bibliografica e che unisce l'immaginario antico a quello moderno, valorizzato anche dalle immagini di dipinti ed erbari antichi.

 

 

 

ERIKA MADERNA

“Per virtù d'erbe e d'incanti: la medicina delle streghe”

Aboca 2018

March 25, 2018

“Questo libro nasce come una lunga lettera d'amore” afferma l'autrice nella prefazione, una lettera d'amore verso Ildegarda ma ancor di più verso il potere di trasformazione declinato al femminile.
Parola chiave attorno a cui ruota il pensiero di Ildegarda è la viriditas, termine mutuato dalla botanica, è la forza che si cela nella pianta prima di diventare verde, “la viriditas è movimento, è parola, è sangue del sangue delle nostre madri e delle nostre nonne ”; è alla viriditas che dobbiamo e possiamo attingere per ritrovare la creatività e la guarigione.
Una verità verde, germogliante, desiderante, che troppo spesso viene soffocata da una orizzontalità narcisistica, da una “trama del pensiero unico” che appiattisce piuttosto che elogiare alla differenza: “abbiamo voltato le spalle al bosco per non sporcare un paio di scarpe nuove e stringate”.
Se si voltano le spalle alla viriditas ben presto busserà alla porta il sintomo, il “male a dire”, la malattia. Ma la stessa malattia può rivelarsi segno iniziatico, apertura di una via di conoscenza. Ildegarda, infatti, è ricordata anche per i suoi trattati di erboristeria e alimentazione, nei suoi trattati c'è un'attenzione alla cura nei suoi molteplici aspetti, un percorso di guarigione e consapevolezza indirizzato alla ricerca della causa primaria, anticipando le scoperte della psicosomatica.

Il libro tratteggia con affetto la figura di Ildegarda sin dalla giovinezza, ma amplia i resoconti con accostamenti unici e contemporanei: interessanti gli appunti sull'infanzia che spaziano da Dolto, alla pedagogia nera, passando per i costumi degli aborigeni australiani.

Nella ricerca del proprio “daimon” dobbiamo fare i conti anche con gli antenati,con il sistema familiare, con i nodi da sciogliere “mettendo in atto” i conflitti, così come accade nelle costellazioni familiari.

La scrittura per Ildegarda è autocoscienza, accesso ai propri mondi interiori e all'indicibile, la scrittura si fa alchimia , rito, “liturgia femminile di redenzione”. Oltre all'inchiostro, la liturgia femminile comprende l'erborizzazione, la raccolta delle piante curative, e Ildegarda usciva scalza per unire raccolta e preghiera.
“La scrittura e la pratica erboristica si nutrono degli stessi processi investigativi e immaginativi della composizione musicale e pittorica”: comporre una tisana è un atto di devozione personalizzato. Ma non solo dalle piante Ildegarda raccoglieva la forza vitale, nei suoi medicamenti erano compresi anche i minerali, i cristalli.

“Sibilla del Reno” così viene definita Ildegarda: ricerche etnologiche confermano una linea (anche geografica) che unisce i culti della Sibilla in Italia a quelli della Vergine: un inserto interessante che l'autrice indaga e amplia connettendosi al potere taumaturgico della parola che salva, quando viene tirata fuori dalle profondità :“parlare, pregare, sibilare i salmi significa dunque aprire le porte e le vie”, e Ildegarda si fa sibilla di se stessa.

“Aprire il cielo” richiama l'opera delle “segnatrici” galiziane, donne del popolo capaci di guarire attraverso gesti e invocazioni antiche dette appunto “aberturas”.

Un libro che sa accarezzarti come una poesia, ma anche scuoterti come una favola antica, e quando si chiude l'ultima pagina, si ha la consapevolezza che ogni passo futuro sia verso la viriditas, la forza che fa germogliare.

FRANCESCA SERRA
Le donne aprono il cielo
Sulle tracce di Ildegarda di Bingen
San Paolo 2018

March 03, 2018

Sulla figura e sull’opera di Martin Lutero, da sempre gli storici hanno formulato giudizi contrastanti: per alcuni avrebbe incarnato l’animo torbido della sua gente e della sua epoca e sarebbe stato vero e proprio figlio dell’angoscia teutonica di fronte al timore della fine della storia terrena; per alcuni (come il Denifle), poi, sarebbe stato un monaco abietto, fortemente passionale e presuntuosamente privo di umiltà, oppure un nevrotico, totalmente assorbito dalle sue imprese e incapace della più elementare pratica religiosa (Maritain e Grisar); per altri (Lortz e Adam), invece, la sua personalità sarebbe caratterizzata dal sentimento della propria nullità, da una sincera consapevolezza della realtà del peccato e da un forte senso della carità cristiana. Per altri ancora, sarebbe stato una sorta di superuomo, a seconda dei casi, protonazionalista o protomarxista, mentre per Giovanni Paolo II avrebbe fornito, grazie alla sua profonda religiosità e al suo bisogno di verità, un positivo contribuito al radicale cambiamento ecclesiale e secolare.

 

Sta di fatto, comunque, che, fino alle soglie del Concilio Vaticano II, nel mondo cattolico è prevalsa in maniera schiacciante l’immagine proposta da Leone X, quella del cinghiale, cioè, invasore e devastatore della vigna di Cristo, simbolo pertanto di eresia, di morbosità e di fanatica arroganza. Ma molto è cominciato a cambiare soltanto grazie alla Unitatis Redintegratio (Restaurazione dell'Unità), il decreto sull’Ecumenismo a firma di Paolo VI (1964), in cui si sostiene la necessità, da parte cattolica, di riconoscere e stimare i valori veramente cristiani presenti fra coloro che si inizierà, da lì in poi, a chiamare “fratelli separati”, quali, in particolar modo:

l’ anelito verso una religiosità più pura ed intima;
il senso del mistero davanti a Dio;
l’ austerità di vita, il culto e la frequente lettura della Scrittura;
l’ importanza attribuita alla grazia;
la partecipazione più attiva alla liturgia;
la maggiore coscienza del sacerdozio dei fedeli;
l’ incremento dato agli studi storici e della Scrittura.

 

E certamente di grande efficacia è risultata, nell’anno del cinquecentenario della nascita (1983), la copertina a lui dedicata dal Time, con la dicitura: “Lutero – un giovane di 500 anni”. Iniziativa salutata con compiaciuta soddisfazione da molti suoi estimatori, fra cui Paolo Ricca, il quale poté affermare che, dopo mezzo millennio sulle spalle, nessuno era ancora riuscito a relegare il monaco agostiniano “nel museo della storia.” Scomuniche, maledizioni ed anatemi abbattutisi per secoli su di lui, infatti, non lo hanno affatto indebolito. E la Chiesa, anzi, ha dovuto inesorabilmente arrendersi all’evidenza:
“Lutero non lo si può ridurre al silenzio con un atto d’autorità, e non basta censurarlo: con lui bisogna confrontarsi, quindi dialogare.” (Il Messaggero, 9 nov.1983).

 

Tant’è vero che, ad un Convegno promosso lo scorso anno dalla Pontificia Università Lateranense per celebrare l'anniversario dell’inizio della Riforma (1517-2017) , monsignor Galantino è giunto ad affermare che "La Riforma avviata da Martin Lutero 5 secoli fa è stata un evento dello Spirito Santo”! E papa Francesco, in più circostanze, ha avuto modo di pronunciare parole di elogio nei confronti del monaco ribelle, invitando tutti ad “abbandonare gli antichi pregiudizi” in nome di una maggiore onestà storica.
E proprio nello scorso anno non sono certo mancate le pubblicazioni in grado di favorire l’ auspicato punto di vista maggiormente povero di apriorismi faziosi e maggiormente ricco di conoscenza rigorosamente documentata. All’interno di questa vivace fioritura editoriale, merita senza alcun dubbio un posto di centrale rilevanza il Martin Lutero di Heinz Schilling, pubblicato dalla torinese Claudiana, una corposissima biografia edita in Germania nel 2012 (dove è già uscita in quarta edizione) e tradotta in molti paesi, frutto di lunghi anni di studi, efficacemente testimoniati dalla monumentale bibliografia di ben 31 pagine.
L’autore è un importante storico tedesco, già presidente del Verein ed editore dell’Archiv für Reformationsgeschichte (Archivio per la storia della Riforma) il quale, ad un’attenta e approfondita conoscenza degli scritti luterani (anche quelli meno conosciuti e celebrati) affianca una vasta ed ariosa conoscenza del mondo politico-sociale e dell’ambiente culturale dell’epoca in cui si è prodotta la straordinaria vicenda teorico-pratica della Riforma. Il carattere spiccatamente indipendente della sua ricerca e della sua scrittura (fermamente difeso da Schilling) fa di quest’ultimo suo lavoro (lontanissimo da sbavature ideologiche e da intenti di carattere apologetico) un’ opera di grande e indiscutibile pregio.

 

"Nel corso dei secoli - leggiamo, a questo proposito, nel Prologo - l'uomo di Wittenberg è stato ritratto come il precursore di ogni singola epoca e come l'antesignano dei tempi moderni. Negli anniversari del passato ogni generazione si creò il proprio Lutero: nel 1617, alla vigilia della Guerra dei trent'anni, emerse la figura del Lutero combattente, che doveva difendere il mondo protestante in pericolo contro la controrivoluzione dei «romanisti»; nel 1717, all'epoca della nascente tolleranza e del secolarismo dell'illuminismo, si impose assai più il Lutero mite e aperto al mondo; nel 1817 e 1917 il Lutero nazionale, eroe della grandezza religiosa dei tedeschi e scudo contro l'inforestierimento dell'Occidente da parte di una civiltà romana accusata di essere superficiale e scialba. Con la figura storica di Lutero tutto ciò ha ben poco a che fare: ciò che i comitati preposti a queste celebrazioni festeggiavano era lo «spirito dei tempi».
"È tempo di rompere questo culto della memoria e di rappresentare Martin Lutero, il suo pensiero e le sue azioni, così come quelle del suoi contemporanei, per ciò che esse sono, in primo luogo e soprattutto, per noi oggi testimoni «di un mondo, che abbiamo perduto» o, meglio, che non è più il nostro e che, perciò, ci obbliga a confrontarci con qualcosa che è estraneo e del tutto diverso. Lutero pensava e agiva come un «uomo tra Dio e il diavolo» ed è pertanto necessario renderlo comprensibile al mondo contemporaneo, che non conosce più il diavolo, e Dio soltanto (semmai) in immagini che sarebbero risultate incomprensibili all'uomo di Wìttenberg".

 

Schilling ha saputo donarci, quindi, un’opera capace di restituirci l’uomo Lutero nella sua piena e sfaccettata personalità, con i suoi dubbi, i suoi timori, le sue ansie, le sue passioni, i travagliati percorsi di maturazione del suo pensiero e le sue scelte teologiche e politiche. Il tutto con una pittorica abilità nel collocare sempre il suo cammino umano e speculativo all’interno dell’ingarbugliatissimo periodo storico, fatto di innumerevoli fratture, innovazioni ed immani tragedie.
Qualche critico ha ritenuto opportuno sottolineare che il suo finisce per essere molto più un libro di storia piuttosto che di teologia. Osservazione senz’altro sensata, ma non certamente da intendere come un difetto. Il ciclopico e drammatico affresco costruito da Schilling ha il pregio di riuscire a tuffarci, con grande passione e ricchezza di informazione, all’interno del mondo in cui Lutero ha portato avanti il suo progetto riformatore, permettendoci di scoprire, della sua personalità e della sua vita, una colorita gamma di aspetti assai poco noti. A chi volesse poi penetrare maggiormente nei meandri delle problematiche teologiche affrontate nel corso di un’intera vita, non resta che inoltrarsi nella lettura delle opere di Martin Lutero (a cominciare, direi, dalle Resolutiones*), oppure in quella di studi di carattere più specialistico, come, primo fra tutti, il brillantissimo saggio di James Atkinson, Lutero - la parola scatenata (Claudiana editrice, Torino 1982).
Degna di essere evidenziata, infine, è sicuramente la gradevole ed elegante veste grafica.

*http://www.flipnews.org/flipnews/index.php?option=com_k2&view=item&id=6081:le-resolutiones-il-commento-di-lutero-alle-95-tesi-di-wittenberg

 

Indice testuale:


Prologo


Parte prima. Infanzia, studio e primi anni di monastero (1483-1511)
1483. La cristianità in fermento
Infanzia e giovinezza
Crisi e rifugio in monastero
Parte seconda. Wittenberg e gli inizi della Riforma (1511-1525)
Wittenberg
Eleutherios – La nascita del Lutero libero
Il Riformatore L’autoaffermazione nei confronti di chiesa, imperatore e impero
Comincia il lavoro del carrettiere
La lotta in campo protestante per imporre l’autorità della propria interpretazione
Nel mondo: matrimonio, famiglia, gestione domestica
Parte terza. Tra coscienza profetica e fallimenti terreni (1525-1546)
Rinnovamento evangelico di chiesa e società
«Ma noi cristiani ci troviamo ad affrontare un’altra battaglia». Di fronte alle sfide del mondo
Emozioni in conflitto. Tra gioia di vivere sottomessa alla volontà di Dio e ansie apocalittiche
Morire in Cristo. «Siamo dei mendicanti. Questo è vero»


Epilogo
Lutero e l’Età moderna: la dialettica tra fallimento e successo

 

 

Martin Lutero

Ribelle in un’epoca di cambiamenti radicali

Heinz Schilling

pagg.608, € 39,50
Claudiana

www.claudiana.it

 

 

 

 

February 05, 2018

kfiuii“Nella vita di ogni essere umano è incorporato il modello materno dell'economia del dono”

Genevieve Vaughan, filosofa e femminista americana, autrice dei libri “Per-donare. Una critica femminista dello scambio(Meltemi, 2005) e di “The Gift in the Heart of Language: the maternal source of meaning” (Mimesis International, 2015) concentra in in questo saggio i passi essenziali del suo pensiero.

Il patriarcato soggiace ad atteggiamenti ripetuti che vengono ritenuti normali, atteggiamenti che si ritrovano nello stato, nella religione, nelle università, ma soprattutto nel mercato.

Al lato opposto del patri-mercato si colloca l'economia del dono: il dono non è una merce, pertanto non è investito di valore; il dono non è scambio perché lo scambio ha bloccato il dono unilaterale e ha aperto la porta verso la trasformazione dei doni in profitto: il dare per ricevere qualcosa in cambio, infatti, nasconde come unica mira il «dono di profitto». L'economia di scambio crea, dunque, mancanza di risorse e porta alla disuguaglianza.

La bestia imperialista occidentale ha predato e messo in vendita anche l' acqua, l'aria, i semi, i geni.

Da quale pulsione nasce questa predazione? Dal desiderio di essere il primo, l'uno, concetto estendibile anche alle nazioni. Una struttura piramidale che si delinea già nella famiglia patriarcale, dal padre si estende alle figure religiose e che ha come conseguenza l'atomismo sociale dell'homo economicus che dà senza donare.

“Come specie noi siamo homo donans, homo materno. Il patriarcato e il mercato sono state delle deviazioni antimaterne che attraverso la loro logica dannosa ci hanno portato fuori strada”.

Tuttavia frammenti di economia del dono sopravvivono e si ibridizzano nel contemporaneo: basta pensare alle forme di volontariato o di attivismo politico. (la stesa autrice ha dato vita alla “Foundation for a Compassionate Society” fondazione composta da donne che si è occupata di antinucleare, pace, antirazzismo...).

In principio c'era l'economia delle madri, gratuita e tesa a soddisfare bisogni, basata sul valore distributivo e qualitativo, un'economia relazionale che implica il valore dell'altro, una sfera economica che vive e struttura le prime fasi di vita del bambino.

Per secoli è stato l'ordine simbolico del padre a imperare mentre quello della madre non è stato elaborato collettivamente (in riferimento al libro da tempo fuori commercio di Luisa Muraro “L'ordine simbolico della madre”).

Uno spunto interessante si riferisce all'inclusione nella comunicazione verbale all'interno del sistema del dono materno:

Dal latino “munus”, dono, derivano sia “comunità” che “comunicazione”: che cosa mettiamo in atto quando comunichiamo? Doniamo parole e discorsi affinché altri possano riceverle. Chomsky aveva parlato di una “grammatica universale” data dai meccanismi di base del linguaggio che sono innati; tale linguaggio viene potenziato dalla comunicazione materna e dalle relazioni.

La cultura diventa natura: le cure materne sono incorporate nella fisiologia del cervello del bambino. Se alla base c'è il dono e la madre, conclude l'autrice, “le interazioni del dare e ricevere costituiscono il substrato per la nostra esperienza in generale”.

 

GENEVIEVE VAUGHAN
Economia del dono materno
Castelvecchi 2018

January 25, 2018

 igyiiuPensa a tutta la bellezza intorno a te, e sii felice!

                                                                                             Anna Frank

        Paola Giovetti, vulcanica indagatrice dei misteri dell’anima, dopo innumerevoli articoli e saggi dedicati ad una gamma vastissima di problematiche, che vanno dalle biografie dei grandi “Iniziati” alle esperienze in punto di morte, dagli studi sugli Angeli a quelle sullo sconfinato campo del paranormale, ecc., ci regala ora una Piccola antologia della felicità, un rilucente scrigno traboccante di tanti piccoli e grandi tesori di saggezza, una vera miniera di insegnamenti per leggere la nostra esistenza in maniera positiva e costruttiva, per affrontare i suoi ineliminabili scogli con la forza di un sorriso che nasce dal profondo. La sua è una antologia “piccola” sì, ma assai ricca e ben ragionata, che, prendendo le mosse dal mondo greco-romano (con particolare attenzione alla filosofia stoica ed epicurea), arriva ad abbracciare personaggi del mondo moderno e contemporaneo, come Pietro Verri e l’amatissimo Goethe *, Tolstoj e Maria Montessori (altro suo grande amore), chiamando in causa anche intellettuali del nostro XX secolo meno noti e ingiustamente trascurati e dimenticati, come Nino Salvaneschi e Angelo Fortunato Formiggini.

     Un itinerario filosofico, il suo, che non nasce certo da semplici intenti eruditi, bensì da un desiderio forte e sentito di offrire al lettore semi di luce e fiori di speranza, al fine di aiutare, attraverso le grandi esperienze spirituali del passato, a comprendere di più, a vedere più in profondità, ad elaborare salutari strategie per affrontare il “male di vivere” senza mai rinunciare alla dimensione della gioia, senza mai abbandonare la capacità di dare più sapore ai nostri giorni, senza mai perdere la fiducia nelle nostre reali possibilità di rendere migliori il nostro cuore e il cuore del mondo.

       “E’ vero - leggiamo alla fine della Premessa – che la vita riserva difficoltà e dolori che prima o poi colpiscono tutti, ma è anche vero che da ogni situazione c’è modo di emergere, che ogni condizione – anche la più umile – cela in sé aspetti apprezzabili, che la ricchezza interiore dell’essere umano è potenzialmente tale da renderlo capace di occuparsi sempre e comunque del benessere della propria anima e di quella del suo prossimo e, come diceva Epicuro, di far sua la felicità.” (p.10)

     Molte le pagine indimenticabili racchiuse in questa antologia. Molti i consigli e i suggerimenti preziosi, e molti gli aneddoti, le curiosità, le riflessioni gravide di una sapienza senza età, senza parrocchie e senza bandiere.

Bellissime, in particolare, le parole con cui si apre il capitolo dedicato a Maria Montessori, parole che credo esprimano in maniera efficacissima la sostanza profonda ed autentica della filosofia di vita di Paola Giovetti, infaticabile entusiasta ricercatrice che sempre continuerà ad amare e a far amare la vita, scandagliandone i suoi infiniti misteri:

    “Credo che non esista felicità maggiore di quella di chi sa di lavorare per un mondo migliore.” (p. 125)

Paola Giovetti

Piccola antologia della felicità

Edizioni Mediterranee

INDICE

Premessa

  • La felicità dei filosofi
  • La felicità dei popoli
  • La felicità dei consacrati
  • La felicità degli illuministi
  • La felicità dei pessimisti
  • Johann Wolfang Goethe: massime per essere felici
  • L'inno alla gioia: la felicità dell'artista
  • La felicità eroica
  • La felicità che libera dalla paura: il nome della rosa di Umberto Eco
  • La filosofia del ridere di Angelo Fortunato Formiggini, "uno dei meno noiosi uomini del suo tempo"
  • Maria Montessori: la felicità di lavorare per un mondo migliore
  • La felicità dei giovani e quella dei vecchi

Qualche parola di conclusione

Bibliografia

Autrice

Paola Giovetti, nata a Firenze, risiede a Modena. E' laureata in lettere ed ha svolto attività di insegnamento coltivando al tempo stesso l'interesse per le tematiche di confine. Da alcuni anni si dedica esclusivamente alla ricerca e alla divulgazione in questo campo. E' redattrice di "Luce e Ombra", la più antica rivista italiana di parapsicologia, e svolge anche su riviste a larga diffusione la sua attività giornalistica. Paola Giovetti ha partecipato a programmi radiofonici e televisivi e a numerosi congressi, sia in Italia che all'estero.

*http://www.flipnews.org/flipnews/index.php?option=com_k2&view=item&id=5765:g

January 15, 2018

e13895d662c3da6c0f371646a88bd086 SUn libro fumetto sulla vulva. Ebbene sì, la disegnatrice svedese femminista in questo libro affronta l' argomento da un punto di vista “nuovo” e irriverente.

La sua denuncia comincia proprio dagli uomini che si son dedicati (sin troppo) all'organo femminile, svalorizzandolo e penalizzandolo, come Kellogg (sì, l'inventore dei cornflakes), medico ossessionato dall'impedire la masturbazione femminile elencandone gli effetti patologici, passando per Sant'Agostino, fino ad arrivare a barone Cuvier con le sue teorie razziste sull'equivalenza tra grandi labbra e sessualità dirompente, quindi immoralità nefasta.

Uno spazio vuoto a forma di “V”: in questo modo la vulva è stata raffigurata. Un vuoto che nel tempo non poteva non traslarsi su un piano psicologico, andando ad avvalorare la tesi espressa nel prezioso libro di Marina Valcarenghi “L'aggressività femminile”: la donna che si sente “mancante” colma questo vuoto con l'aggressione (e non con l'aggressività, istinto naturale positivo).

Una confusione semantica ha attraversato i secoli: la vulva non è la vagina. La vulva è l'esterno dell'organo sessuale femminile, la vagina è l'interno. L'autrice sottolinea come si è sempre parlato di “vagina” dimenticando la parte esterna, la vulva, un'assenza non senza ripercussioni psicologiche come sottolinea la psicologa Harriet Lerner.

Ma “c'era una volta” un tempo che non nascondeva la vulva: così l'autrice ci accompagna nella scoperta del mito classico di Baubo o dei riti egizi in onore di Bastet, nei quali la vulva era investita da un ruolo magico e potente. Essa torna a mostrarsi nella scultura medievale proprio nelle chiese con funzione apotropaica, mentre, procedendo indietro nei secoli, arriviamo fino alle iconografie della cultura matrifocale catalogate e studiate da Marija Gimbutas.

Da una condizione di inferiorità dettata dall'assunto fisiologico del “buco” o del “pene mancato” la condizione della donna ha visto una eradicazione della sua sessualità: a farne le spese soprattutto la masturbazione, attività “inappropriata” per la donna adulta (ad essere determinante era solo l'orgasmo raggiunto con la penetrazione maschile). Tra il 1900 e il 1950, infatti, la parola “clitoride” fu nominata pochissimo e le dimensioni di quest'organo furono scoperte solo nel 1998.

Di forte oscurantismo è stato oggetto la mestruazione, tanto da essere diventata un tabù, e lo è tutt'ora (l'autrice elenca le parole usate nelle pubblicità degli assorbenti), mentre nell'antichità era un evento sacro in ogni suo aspetto.

L'ultima parte del libro prende in rassegna la fase pre-mestruale con annotazioni interessanti come: “l'antropologa Emily Martin ha mostrato come la discussione sulla sindrome premestruale sia diminuita nei periodi in cui la forza lavoro delle donne era necessaria, ad esempio durante le guerre, per poi tornare in voga nei periodi in cui voleva che le donne fossero casalinghe”. Insomma uno sguardo a parte merita il meta-discorso storico sugli aspetti del femminile, che è orientato sempre e comunque da obiettivi maschili.

Attraverso le illustrazioni (che richiamano la matita della Satrapi) l'autrice ci regala un libro molto utile (soprattutto alle adolescenti di oggi) e capace di legare aneddoti, storia e prese di posizione in modo mai scontato.

 

 

LIV STROMQUIST
IL FRUTTO DELLA CONOSCENZA
Fandango 2017

December 27, 2017

dfgdFilosofo e psicanalista di origine argentina, il libro di Benasayag non smette di essere attuale.

Edito in Francia nel 2003 il libro affronta la “crisi nelle crisi” : ovvero la crisi sociale nella quale si incastra e si alimenta la crisi personale dell'individuo con particolare attenzione all'età delle passioni, quella adolescenziale.

Il positivismo di fine Ottocento era animato da una sorta di messianesimo scientifico, che assicurava un domani luminoso e felice grazie ai progressi della scienza ; la rottura dello storicismo teleologico enfatizzata dal motto del “posso tutto” ha portato al crollo delle promesse e alla crisi del principio di autorità.

Non si crede più nel genitore, nel maestro, nel professore, un'autorità/ anteriorità ripudiata come valore,e percepita come limite.

La mancanza di un futuro come promessa non conferisce ai genitori e agli insegnanti l' autorità di indicare la strada.

Il desiderio si spegne in voglia, e il futuro da promessa si volge in minaccia.

Minaccia che si traduce già nel percorso scolastico in “se non ti impegni in un percorso di studi concreto non avrai lavoro”: l'utile soppianta il piacere, e il daimon, la vocazione,come la descrive Hillmann nel “Codice dell'anima” si nasconde nel corpo per farsi sintomo.

Come rapportarsi dunque ad un adolescente che in psicoterapia è un “produttore di sintomi”?

Cercando di non incasellarlo in griglie diagnostiche, attuando una “clinica della situazione” e andando a nutrire il desiderio, quella pulsione epistemofilica che sin dall'infanzia caratterizza il genere umano, pulsione di scoperta, ossigenata dalla curiosità e caratterizzata anche dal non sapere dove porterà il percorso.

Un testo essenziale per chiunque operi in ambito educativo, un punto di vista filosofico e psicologico per provare a recuperare la “passione gioiosa” della vita e della scoperta.

 

Miguel Benasayag e Gerard Schmit
“L'epoca delle passioni tristi”
Feltrinelli

November 21, 2017

NON SONO 007 la copertina nov 2017 جلد کتاب photo 2017 11 20 17 13 15Mercoledi 22 nov 2017. Non sono 007 – Le verità nascoste, è il titolo del libro verità di Alessandra Mulas, giornalista e scrittrice che ha raccolto la storia di Hamid Masoumi Nejad, giornalista iraniano, corrispondente della Radio Televisione iraniana Irib, arrestato in Italia nel 2010 con accuse gravissime. Hamid è un uomo molto riservato, convinto di riuscire subito a dimostrare la sua innocenza; passano  invece sette lunghi anni in cui comunque lui mantiene un “religioso” silenzio nel rispetto delle indagini da parte dell’apparato giudiziario dal quale spera di ottenere giustizia. L’autrice analizzando gli elementi sino ad allora conosciuti con sapiente attenzione è riuscita ad ottenere una intervista in esclusiva dalla quale emergono molti aspetti della vicenda che danno una visione nuova dei fatti.

«Ho ripercorso con lui quel lontano passato, rileggendo tutta la documentazione che lo riguarda circa le accuse che gli erano state attribuite, ossia di far parte di una organizzazione che aveva posto in essere una serie di fatti illeciti tra cui quella di spionaggio “di alto livello”». Dice l’autrice che su quest’ultimo aspetto riesce a costruire la trama reale di una storia che merita davvero di essere raccontata attraverso la lente specifica dell’accusato che, dopo essere stato arrestato e tenuto in isolamento ai limiti del rispetto dei diritti umani, per un tempo infinitamente lungo, ha elaborato pensieri ed emozioni che finalmente trovano spazio in questo libro, che evidenzia la tragedia di chi si sente innocente ed è costretto a misurarsi con la crudeltà di un carcere triste ed impietoso. Ancora oggi le ripercussioni di questa pendenza  producono effetti nella vita del reporter, il processo è ancora aperto e continua a essere rinviato adducendo ai più disparati motivi.

photo 2017 11 20 10 19 16 
 Hamid Masoumi Nejad

Tra le altre, poco tempo addietro, la unilaterale chiusura del suo conto  corrente storico, da parte della Banca Nazionale del Lavoro, senza evidenti motivi, mentre la Banca Popolare di Sondrio, che collabora con le Banche iraniane da tanti anni, gliene ha negato l’apertura di uno nuovo, per motivi che ad oggi nessuno ha saputo spiegargli.

Hamid Masoumi Nejad nonostante tutto è rimasto in Italia e continua a fare il suo lavoro di corrispondente, molto amato nel suo paese dove viene riconosciuto e trattato come una vera star. A dir il vero anche in Italia gode di una certa fama e trova il consenso di tanti colleghi della stampa italiana ed estera, come possiamo riscontrare in interventi che alcuni di loro si sono prestati a rilasciare per descrivere un personaggio dalla trama tanto complicata ed interessante allo stesso tempo.

Oltre all’intrigante e rocambolesco racconto del reporter all’interno di questo saggio ci si può inoltrare nelle vicende della Rivoluzione Islamica dell’Iran, guardandola per la prima volta attraverso gli occhi di una occidentale che photo 2017 11 20 10 18 56posiziona il suo obiettivo dalla parte del popolo che ha vissuto quello scorcio di storia e che, dopo circa quarant’anni, continua a tutelare la propria identità e a difenderne i valori che ne hanno ispirato i principi e che hanno poi portato alla fondazione della Repubblica Islamica come la conosciamo oggi.

Un libro completato da tante foto raccolte dall’autrice nel lungo periodo che ha dedicato alla ricerca e comprensione di una verità che però ancora attende di essere attestata dalla giustizia italiana.

© 2022 FlipNews All Rights Reserved