L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni. |
“Questo libro nasce come una lunga lettera d'amore” afferma l'autrice nella prefazione, una lettera d'amore verso Ildegarda ma ancor di più verso il potere di trasformazione declinato al femminile.
Parola chiave attorno a cui ruota il pensiero di Ildegarda è la viriditas, termine mutuato dalla botanica, è la forza che si cela nella pianta prima di diventare verde, “la viriditas è movimento, è parola, è sangue del sangue delle nostre madri e delle nostre nonne ”; è alla viriditas che dobbiamo e possiamo attingere per ritrovare la creatività e la guarigione.
Una verità verde, germogliante, desiderante, che troppo spesso viene soffocata da una orizzontalità narcisistica, da una “trama del pensiero unico” che appiattisce piuttosto che elogiare alla differenza: “abbiamo voltato le spalle al bosco per non sporcare un paio di scarpe nuove e stringate”.
Se si voltano le spalle alla viriditas ben presto busserà alla porta il sintomo, il “male a dire”, la malattia. Ma la stessa malattia può rivelarsi segno iniziatico, apertura di una via di conoscenza. Ildegarda, infatti, è ricordata anche per i suoi trattati di erboristeria e alimentazione, nei suoi trattati c'è un'attenzione alla cura nei suoi molteplici aspetti, un percorso di guarigione e consapevolezza indirizzato alla ricerca della causa primaria, anticipando le scoperte della psicosomatica.
Il libro tratteggia con affetto la figura di Ildegarda sin dalla giovinezza, ma amplia i resoconti con accostamenti unici e contemporanei: interessanti gli appunti sull'infanzia che spaziano da Dolto, alla pedagogia nera, passando per i costumi degli aborigeni australiani.
Nella ricerca del proprio “daimon” dobbiamo fare i conti anche con gli antenati,con il sistema familiare, con i nodi da sciogliere “mettendo in atto” i conflitti, così come accade nelle costellazioni familiari.
La scrittura per Ildegarda è autocoscienza, accesso ai propri mondi interiori e all'indicibile, la scrittura si fa alchimia , rito, “liturgia femminile di redenzione”. Oltre all'inchiostro, la liturgia femminile comprende l'erborizzazione, la raccolta delle piante curative, e Ildegarda usciva scalza per unire raccolta e preghiera.
“La scrittura e la pratica erboristica si nutrono degli stessi processi investigativi e immaginativi della composizione musicale e pittorica”: comporre una tisana è un atto di devozione personalizzato. Ma non solo dalle piante Ildegarda raccoglieva la forza vitale, nei suoi medicamenti erano compresi anche i minerali, i cristalli.
“Sibilla del Reno” così viene definita Ildegarda: ricerche etnologiche confermano una linea (anche geografica) che unisce i culti della Sibilla in Italia a quelli della Vergine: un inserto interessante che l'autrice indaga e amplia connettendosi al potere taumaturgico della parola che salva, quando viene tirata fuori dalle profondità :“parlare, pregare, sibilare i salmi significa dunque aprire le porte e le vie”, e Ildegarda si fa sibilla di se stessa.
“Aprire il cielo” richiama l'opera delle “segnatrici” galiziane, donne del popolo capaci di guarire attraverso gesti e invocazioni antiche dette appunto “aberturas”.
Un libro che sa accarezzarti come una poesia, ma anche scuoterti come una favola antica, e quando si chiude l'ultima pagina, si ha la consapevolezza che ogni passo futuro sia verso la viriditas, la forza che fa germogliare.
FRANCESCA SERRA
Le donne aprono il cielo
Sulle tracce di Ildegarda di Bingen
San Paolo 2018
Sulla figura e sull’opera di Martin Lutero, da sempre gli storici hanno formulato giudizi contrastanti: per alcuni avrebbe incarnato l’animo torbido della sua gente e della sua epoca e sarebbe stato vero e proprio figlio dell’angoscia teutonica di fronte al timore della fine della storia terrena; per alcuni (come il Denifle), poi, sarebbe stato un monaco abietto, fortemente passionale e presuntuosamente privo di umiltà, oppure un nevrotico, totalmente assorbito dalle sue imprese e incapace della più elementare pratica religiosa (Maritain e Grisar); per altri (Lortz e Adam), invece, la sua personalità sarebbe caratterizzata dal sentimento della propria nullità, da una sincera consapevolezza della realtà del peccato e da un forte senso della carità cristiana. Per altri ancora, sarebbe stato una sorta di superuomo, a seconda dei casi, protonazionalista o protomarxista, mentre per Giovanni Paolo II avrebbe fornito, grazie alla sua profonda religiosità e al suo bisogno di verità, un positivo contribuito al radicale cambiamento ecclesiale e secolare.
Sta di fatto, comunque, che, fino alle soglie del Concilio Vaticano II, nel mondo cattolico è prevalsa in maniera schiacciante l’immagine proposta da Leone X, quella del cinghiale, cioè, invasore e devastatore della vigna di Cristo, simbolo pertanto di eresia, di morbosità e di fanatica arroganza. Ma molto è cominciato a cambiare soltanto grazie alla Unitatis Redintegratio (Restaurazione dell'Unità), il decreto sull’Ecumenismo a firma di Paolo VI (1964), in cui si sostiene la necessità, da parte cattolica, di riconoscere e stimare i valori veramente cristiani presenti fra coloro che si inizierà, da lì in poi, a chiamare “fratelli separati”, quali, in particolar modo:
l’ anelito verso una religiosità più pura ed intima;
il senso del mistero davanti a Dio;
l’ austerità di vita, il culto e la frequente lettura della Scrittura;
l’ importanza attribuita alla grazia;
la partecipazione più attiva alla liturgia;
la maggiore coscienza del sacerdozio dei fedeli;
l’ incremento dato agli studi storici e della Scrittura.
E certamente di grande efficacia è risultata, nell’anno del cinquecentenario della nascita (1983), la copertina a lui dedicata dal Time, con la dicitura: “Lutero – un giovane di 500 anni”. Iniziativa salutata con compiaciuta soddisfazione da molti suoi estimatori, fra cui Paolo Ricca, il quale poté affermare che, dopo mezzo millennio sulle spalle, nessuno era ancora riuscito a relegare il monaco agostiniano “nel museo della storia.” Scomuniche, maledizioni ed anatemi abbattutisi per secoli su di lui, infatti, non lo hanno affatto indebolito. E la Chiesa, anzi, ha dovuto inesorabilmente arrendersi all’evidenza:
“Lutero non lo si può ridurre al silenzio con un atto d’autorità, e non basta censurarlo: con lui bisogna confrontarsi, quindi dialogare.” (Il Messaggero, 9 nov.1983).
Tant’è vero che, ad un Convegno promosso lo scorso anno dalla Pontificia Università Lateranense per celebrare l'anniversario dell’inizio della Riforma (1517-2017) , monsignor Galantino è giunto ad affermare che "La Riforma avviata da Martin Lutero 5 secoli fa è stata un evento dello Spirito Santo”! E papa Francesco, in più circostanze, ha avuto modo di pronunciare parole di elogio nei confronti del monaco ribelle, invitando tutti ad “abbandonare gli antichi pregiudizi” in nome di una maggiore onestà storica.
E proprio nello scorso anno non sono certo mancate le pubblicazioni in grado di favorire l’ auspicato punto di vista maggiormente povero di apriorismi faziosi e maggiormente ricco di conoscenza rigorosamente documentata. All’interno di questa vivace fioritura editoriale, merita senza alcun dubbio un posto di centrale rilevanza il Martin Lutero di Heinz Schilling, pubblicato dalla torinese Claudiana, una corposissima biografia edita in Germania nel 2012 (dove è già uscita in quarta edizione) e tradotta in molti paesi, frutto di lunghi anni di studi, efficacemente testimoniati dalla monumentale bibliografia di ben 31 pagine.
L’autore è un importante storico tedesco, già presidente del Verein ed editore dell’Archiv für Reformationsgeschichte (Archivio per la storia della Riforma) il quale, ad un’attenta e approfondita conoscenza degli scritti luterani (anche quelli meno conosciuti e celebrati) affianca una vasta ed ariosa conoscenza del mondo politico-sociale e dell’ambiente culturale dell’epoca in cui si è prodotta la straordinaria vicenda teorico-pratica della Riforma. Il carattere spiccatamente indipendente della sua ricerca e della sua scrittura (fermamente difeso da Schilling) fa di quest’ultimo suo lavoro (lontanissimo da sbavature ideologiche e da intenti di carattere apologetico) un’ opera di grande e indiscutibile pregio.
"Nel corso dei secoli - leggiamo, a questo proposito, nel Prologo - l'uomo di Wittenberg è stato ritratto come il precursore di ogni singola epoca e come l'antesignano dei tempi moderni. Negli anniversari del passato ogni generazione si creò il proprio Lutero: nel 1617, alla vigilia della Guerra dei trent'anni, emerse la figura del Lutero combattente, che doveva difendere il mondo protestante in pericolo contro la controrivoluzione dei «romanisti»; nel 1717, all'epoca della nascente tolleranza e del secolarismo dell'illuminismo, si impose assai più il Lutero mite e aperto al mondo; nel 1817 e 1917 il Lutero nazionale, eroe della grandezza religiosa dei tedeschi e scudo contro l'inforestierimento dell'Occidente da parte di una civiltà romana accusata di essere superficiale e scialba. Con la figura storica di Lutero tutto ciò ha ben poco a che fare: ciò che i comitati preposti a queste celebrazioni festeggiavano era lo «spirito dei tempi».
"È tempo di rompere questo culto della memoria e di rappresentare Martin Lutero, il suo pensiero e le sue azioni, così come quelle del suoi contemporanei, per ciò che esse sono, in primo luogo e soprattutto, per noi oggi testimoni «di un mondo, che abbiamo perduto» o, meglio, che non è più il nostro e che, perciò, ci obbliga a confrontarci con qualcosa che è estraneo e del tutto diverso. Lutero pensava e agiva come un «uomo tra Dio e il diavolo» ed è pertanto necessario renderlo comprensibile al mondo contemporaneo, che non conosce più il diavolo, e Dio soltanto (semmai) in immagini che sarebbero risultate incomprensibili all'uomo di Wìttenberg".
Schilling ha saputo donarci, quindi, un’opera capace di restituirci l’uomo Lutero nella sua piena e sfaccettata personalità, con i suoi dubbi, i suoi timori, le sue ansie, le sue passioni, i travagliati percorsi di maturazione del suo pensiero e le sue scelte teologiche e politiche. Il tutto con una pittorica abilità nel collocare sempre il suo cammino umano e speculativo all’interno dell’ingarbugliatissimo periodo storico, fatto di innumerevoli fratture, innovazioni ed immani tragedie.
Qualche critico ha ritenuto opportuno sottolineare che il suo finisce per essere molto più un libro di storia piuttosto che di teologia. Osservazione senz’altro sensata, ma non certamente da intendere come un difetto. Il ciclopico e drammatico affresco costruito da Schilling ha il pregio di riuscire a tuffarci, con grande passione e ricchezza di informazione, all’interno del mondo in cui Lutero ha portato avanti il suo progetto riformatore, permettendoci di scoprire, della sua personalità e della sua vita, una colorita gamma di aspetti assai poco noti. A chi volesse poi penetrare maggiormente nei meandri delle problematiche teologiche affrontate nel corso di un’intera vita, non resta che inoltrarsi nella lettura delle opere di Martin Lutero (a cominciare, direi, dalle Resolutiones*), oppure in quella di studi di carattere più specialistico, come, primo fra tutti, il brillantissimo saggio di James Atkinson, Lutero - la parola scatenata (Claudiana editrice, Torino 1982).
Degna di essere evidenziata, infine, è sicuramente la gradevole ed elegante veste grafica.
*http://www.flipnews.org/flipnews/index.php?option=com_k2&view=item&id=6081:le-resolutiones-il-commento-di-lutero-alle-95-tesi-di-wittenberg
Indice testuale:
Prologo
Parte prima. Infanzia, studio e primi anni di monastero (1483-1511)
1483. La cristianità in fermento
Infanzia e giovinezza
Crisi e rifugio in monastero
Parte seconda. Wittenberg e gli inizi della Riforma (1511-1525)
Wittenberg
Eleutherios – La nascita del Lutero libero
Il Riformatore L’autoaffermazione nei confronti di chiesa, imperatore e impero
Comincia il lavoro del carrettiere
La lotta in campo protestante per imporre l’autorità della propria interpretazione
Nel mondo: matrimonio, famiglia, gestione domestica
Parte terza. Tra coscienza profetica e fallimenti terreni (1525-1546)
Rinnovamento evangelico di chiesa e società
«Ma noi cristiani ci troviamo ad affrontare un’altra battaglia». Di fronte alle sfide del mondo
Emozioni in conflitto. Tra gioia di vivere sottomessa alla volontà di Dio e ansie apocalittiche
Morire in Cristo. «Siamo dei mendicanti. Questo è vero»
Epilogo
Lutero e l’Età moderna: la dialettica tra fallimento e successo
Martin Lutero
Ribelle in un’epoca di cambiamenti radicali
Heinz Schilling
pagg.608, € 39,50
Claudiana
www.claudiana.it
“Nella vita di ogni essere umano è incorporato il modello materno dell'economia del dono”
Genevieve Vaughan, filosofa e femminista americana, autrice dei libri “Per-donare. Una critica femminista dello scambio(Meltemi, 2005) e di “The Gift in the Heart of Language: the maternal source of meaning” (Mimesis International, 2015) concentra in in questo saggio i passi essenziali del suo pensiero.
Il patriarcato soggiace ad atteggiamenti ripetuti che vengono ritenuti normali, atteggiamenti che si ritrovano nello stato, nella religione, nelle università, ma soprattutto nel mercato.
Al lato opposto del patri-mercato si colloca l'economia del dono: il dono non è una merce, pertanto non è investito di valore; il dono non è scambio perché lo scambio ha bloccato il dono unilaterale e ha aperto la porta verso la trasformazione dei doni in profitto: il dare per ricevere qualcosa in cambio, infatti, nasconde come unica mira il «dono di profitto». L'economia di scambio crea, dunque, mancanza di risorse e porta alla disuguaglianza.
La bestia imperialista occidentale ha predato e messo in vendita anche l' acqua, l'aria, i semi, i geni.
Da quale pulsione nasce questa predazione? Dal desiderio di essere il primo, l'uno, concetto estendibile anche alle nazioni. Una struttura piramidale che si delinea già nella famiglia patriarcale, dal padre si estende alle figure religiose e che ha come conseguenza l'atomismo sociale dell'homo economicus che dà senza donare.
“Come specie noi siamo homo donans, homo materno. Il patriarcato e il mercato sono state delle deviazioni antimaterne che attraverso la loro logica dannosa ci hanno portato fuori strada”.
Tuttavia frammenti di economia del dono sopravvivono e si ibridizzano nel contemporaneo: basta pensare alle forme di volontariato o di attivismo politico. (la stesa autrice ha dato vita alla “Foundation for a Compassionate Society” fondazione composta da donne che si è occupata di antinucleare, pace, antirazzismo...).
In principio c'era l'economia delle madri, gratuita e tesa a soddisfare bisogni, basata sul valore distributivo e qualitativo, un'economia relazionale che implica il valore dell'altro, una sfera economica che vive e struttura le prime fasi di vita del bambino.
Per secoli è stato l'ordine simbolico del padre a imperare mentre quello della madre non è stato elaborato collettivamente (in riferimento al libro da tempo fuori commercio di Luisa Muraro “L'ordine simbolico della madre”).
Uno spunto interessante si riferisce all'inclusione nella comunicazione verbale all'interno del sistema del dono materno:
Dal latino “munus”, dono, derivano sia “comunità” che “comunicazione”: che cosa mettiamo in atto quando comunichiamo? Doniamo parole e discorsi affinché altri possano riceverle. Chomsky aveva parlato di una “grammatica universale” data dai meccanismi di base del linguaggio che sono innati; tale linguaggio viene potenziato dalla comunicazione materna e dalle relazioni.
La cultura diventa natura: le cure materne sono incorporate nella fisiologia del cervello del bambino. Se alla base c'è il dono e la madre, conclude l'autrice, “le interazioni del dare e ricevere costituiscono il substrato per la nostra esperienza in generale”.
GENEVIEVE VAUGHAN
Economia del dono materno
Castelvecchi 2018
Pensa a tutta la bellezza intorno a te, e sii felice!
Anna Frank
Paola Giovetti, vulcanica indagatrice dei misteri dell’anima, dopo innumerevoli articoli e saggi dedicati ad una gamma vastissima di problematiche, che vanno dalle biografie dei grandi “Iniziati” alle esperienze in punto di morte, dagli studi sugli Angeli a quelle sullo sconfinato campo del paranormale, ecc., ci regala ora una Piccola antologia della felicità, un rilucente scrigno traboccante di tanti piccoli e grandi tesori di saggezza, una vera miniera di insegnamenti per leggere la nostra esistenza in maniera positiva e costruttiva, per affrontare i suoi ineliminabili scogli con la forza di un sorriso che nasce dal profondo. La sua è una antologia “piccola” sì, ma assai ricca e ben ragionata, che, prendendo le mosse dal mondo greco-romano (con particolare attenzione alla filosofia stoica ed epicurea), arriva ad abbracciare personaggi del mondo moderno e contemporaneo, come Pietro Verri e l’amatissimo Goethe *, Tolstoj e Maria Montessori (altro suo grande amore), chiamando in causa anche intellettuali del nostro XX secolo meno noti e ingiustamente trascurati e dimenticati, come Nino Salvaneschi e Angelo Fortunato Formiggini.
Un itinerario filosofico, il suo, che non nasce certo da semplici intenti eruditi, bensì da un desiderio forte e sentito di offrire al lettore semi di luce e fiori di speranza, al fine di aiutare, attraverso le grandi esperienze spirituali del passato, a comprendere di più, a vedere più in profondità, ad elaborare salutari strategie per affrontare il “male di vivere” senza mai rinunciare alla dimensione della gioia, senza mai abbandonare la capacità di dare più sapore ai nostri giorni, senza mai perdere la fiducia nelle nostre reali possibilità di rendere migliori il nostro cuore e il cuore del mondo.
“E’ vero - leggiamo alla fine della Premessa – che la vita riserva difficoltà e dolori che prima o poi colpiscono tutti, ma è anche vero che da ogni situazione c’è modo di emergere, che ogni condizione – anche la più umile – cela in sé aspetti apprezzabili, che la ricchezza interiore dell’essere umano è potenzialmente tale da renderlo capace di occuparsi sempre e comunque del benessere della propria anima e di quella del suo prossimo e, come diceva Epicuro, di far sua la felicità.” (p.10)
Molte le pagine indimenticabili racchiuse in questa antologia. Molti i consigli e i suggerimenti preziosi, e molti gli aneddoti, le curiosità, le riflessioni gravide di una sapienza senza età, senza parrocchie e senza bandiere.
Bellissime, in particolare, le parole con cui si apre il capitolo dedicato a Maria Montessori, parole che credo esprimano in maniera efficacissima la sostanza profonda ed autentica della filosofia di vita di Paola Giovetti, infaticabile entusiasta ricercatrice che sempre continuerà ad amare e a far amare la vita, scandagliandone i suoi infiniti misteri:
“Credo che non esista felicità maggiore di quella di chi sa di lavorare per un mondo migliore.” (p. 125)
Paola Giovetti
Piccola antologia della felicità
Premessa
Qualche parola di conclusione
Bibliografia
Paola Giovetti, nata a Firenze, risiede a Modena. E' laureata in lettere ed ha svolto attività di insegnamento coltivando al tempo stesso l'interesse per le tematiche di confine. Da alcuni anni si dedica esclusivamente alla ricerca e alla divulgazione in questo campo. E' redattrice di "Luce e Ombra", la più antica rivista italiana di parapsicologia, e svolge anche su riviste a larga diffusione la sua attività giornalistica. Paola Giovetti ha partecipato a programmi radiofonici e televisivi e a numerosi congressi, sia in Italia che all'estero.
*http://www.flipnews.org/flipnews/index.php?option=com_k2&view=item&id=5765:g
Un libro fumetto sulla vulva. Ebbene sì, la disegnatrice svedese femminista in questo libro affronta l' argomento da un punto di vista “nuovo” e irriverente.
La sua denuncia comincia proprio dagli uomini che si son dedicati (sin troppo) all'organo femminile, svalorizzandolo e penalizzandolo, come Kellogg (sì, l'inventore dei cornflakes), medico ossessionato dall'impedire la masturbazione femminile elencandone gli effetti patologici, passando per Sant'Agostino, fino ad arrivare a barone Cuvier con le sue teorie razziste sull'equivalenza tra grandi labbra e sessualità dirompente, quindi immoralità nefasta.
Uno spazio vuoto a forma di “V”: in questo modo la vulva è stata raffigurata. Un vuoto che nel tempo non poteva non traslarsi su un piano psicologico, andando ad avvalorare la tesi espressa nel prezioso libro di Marina Valcarenghi “L'aggressività femminile”: la donna che si sente “mancante” colma questo vuoto con l'aggressione (e non con l'aggressività, istinto naturale positivo).
Una confusione semantica ha attraversato i secoli: la vulva non è la vagina. La vulva è l'esterno dell'organo sessuale femminile, la vagina è l'interno. L'autrice sottolinea come si è sempre parlato di “vagina” dimenticando la parte esterna, la vulva, un'assenza non senza ripercussioni psicologiche come sottolinea la psicologa Harriet Lerner.
Ma “c'era una volta” un tempo che non nascondeva la vulva: così l'autrice ci accompagna nella scoperta del mito classico di Baubo o dei riti egizi in onore di Bastet, nei quali la vulva era investita da un ruolo magico e potente. Essa torna a mostrarsi nella scultura medievale proprio nelle chiese con funzione apotropaica, mentre, procedendo indietro nei secoli, arriviamo fino alle iconografie della cultura matrifocale catalogate e studiate da Marija Gimbutas.
Da una condizione di inferiorità dettata dall'assunto fisiologico del “buco” o del “pene mancato” la condizione della donna ha visto una eradicazione della sua sessualità: a farne le spese soprattutto la masturbazione, attività “inappropriata” per la donna adulta (ad essere determinante era solo l'orgasmo raggiunto con la penetrazione maschile). Tra il 1900 e il 1950, infatti, la parola “clitoride” fu nominata pochissimo e le dimensioni di quest'organo furono scoperte solo nel 1998.
Di forte oscurantismo è stato oggetto la mestruazione, tanto da essere diventata un tabù, e lo è tutt'ora (l'autrice elenca le parole usate nelle pubblicità degli assorbenti), mentre nell'antichità era un evento sacro in ogni suo aspetto.
L'ultima parte del libro prende in rassegna la fase pre-mestruale con annotazioni interessanti come: “l'antropologa Emily Martin ha mostrato come la discussione sulla sindrome premestruale sia diminuita nei periodi in cui la forza lavoro delle donne era necessaria, ad esempio durante le guerre, per poi tornare in voga nei periodi in cui voleva che le donne fossero casalinghe”. Insomma uno sguardo a parte merita il meta-discorso storico sugli aspetti del femminile, che è orientato sempre e comunque da obiettivi maschili.
Attraverso le illustrazioni (che richiamano la matita della Satrapi) l'autrice ci regala un libro molto utile (soprattutto alle adolescenti di oggi) e capace di legare aneddoti, storia e prese di posizione in modo mai scontato.
LIV STROMQUIST
IL FRUTTO DELLA CONOSCENZA
Fandango 2017
Filosofo e psicanalista di origine argentina, il libro di Benasayag non smette di essere attuale.
Edito in Francia nel 2003 il libro affronta la “crisi nelle crisi” : ovvero la crisi sociale nella quale si incastra e si alimenta la crisi personale dell'individuo con particolare attenzione all'età delle passioni, quella adolescenziale.
Il positivismo di fine Ottocento era animato da una sorta di messianesimo scientifico, che assicurava un domani luminoso e felice grazie ai progressi della scienza ; la rottura dello storicismo teleologico enfatizzata dal motto del “posso tutto” ha portato al crollo delle promesse e alla crisi del principio di autorità.
Non si crede più nel genitore, nel maestro, nel professore, un'autorità/ anteriorità ripudiata come valore,e percepita come limite.
La mancanza di un futuro come promessa non conferisce ai genitori e agli insegnanti l' autorità di indicare la strada.
Il desiderio si spegne in voglia, e il futuro da promessa si volge in minaccia.
Minaccia che si traduce già nel percorso scolastico in “se non ti impegni in un percorso di studi concreto non avrai lavoro”: l'utile soppianta il piacere, e il daimon, la vocazione,come la descrive Hillmann nel “Codice dell'anima” si nasconde nel corpo per farsi sintomo.
Come rapportarsi dunque ad un adolescente che in psicoterapia è un “produttore di sintomi”?
Cercando di non incasellarlo in griglie diagnostiche, attuando una “clinica della situazione” e andando a nutrire il desiderio, quella pulsione epistemofilica che sin dall'infanzia caratterizza il genere umano, pulsione di scoperta, ossigenata dalla curiosità e caratterizzata anche dal non sapere dove porterà il percorso.
Un testo essenziale per chiunque operi in ambito educativo, un punto di vista filosofico e psicologico per provare a recuperare la “passione gioiosa” della vita e della scoperta.
Miguel Benasayag e Gerard Schmit
“L'epoca delle passioni tristi”
Feltrinelli
Mercoledi 22 nov 2017. Non sono 007 – Le verità nascoste, è il titolo del libro verità di Alessandra Mulas, giornalista e scrittrice che ha raccolto la storia di Hamid Masoumi Nejad, giornalista iraniano, corrispondente della Radio Televisione iraniana Irib, arrestato in Italia nel 2010 con accuse gravissime. Hamid è un uomo molto riservato, convinto di riuscire subito a dimostrare la sua innocenza; passano invece sette lunghi anni in cui comunque lui mantiene un “religioso” silenzio nel rispetto delle indagini da parte dell’apparato giudiziario dal quale spera di ottenere giustizia. L’autrice analizzando gli elementi sino ad allora conosciuti con sapiente attenzione è riuscita ad ottenere una intervista in esclusiva dalla quale emergono molti aspetti della vicenda che danno una visione nuova dei fatti.
«Ho ripercorso con lui quel lontano passato, rileggendo tutta la documentazione che lo riguarda circa le accuse che gli erano state attribuite, ossia di far parte di una organizzazione che aveva posto in essere una serie di fatti illeciti tra cui quella di spionaggio “di alto livello”». Dice l’autrice che su quest’ultimo aspetto riesce a costruire la trama reale di una storia che merita davvero di essere raccontata attraverso la lente specifica dell’accusato che, dopo essere stato arrestato e tenuto in isolamento ai limiti del rispetto dei diritti umani, per un tempo infinitamente lungo, ha elaborato pensieri ed emozioni che finalmente trovano spazio in questo libro, che evidenzia la tragedia di chi si sente innocente ed è costretto a misurarsi con la crudeltà di un carcere triste ed impietoso. Ancora oggi le ripercussioni di questa pendenza producono effetti nella vita del reporter, il processo è ancora aperto e continua a essere rinviato adducendo ai più disparati motivi.
Hamid Masoumi Nejad |
Tra le altre, poco tempo addietro, la unilaterale chiusura del suo conto corrente storico, da parte della Banca Nazionale del Lavoro, senza evidenti motivi, mentre la Banca Popolare di Sondrio, che collabora con le Banche iraniane da tanti anni, gliene ha negato l’apertura di uno nuovo, per motivi che ad oggi nessuno ha saputo spiegargli.
Hamid Masoumi Nejad nonostante tutto è rimasto in Italia e continua a fare il suo lavoro di corrispondente, molto amato nel suo paese dove viene riconosciuto e trattato come una vera star. A dir il vero anche in Italia gode di una certa fama e trova il consenso di tanti colleghi della stampa italiana ed estera, come possiamo riscontrare in interventi che alcuni di loro si sono prestati a rilasciare per descrivere un personaggio dalla trama tanto complicata ed interessante allo stesso tempo.
Oltre all’intrigante e rocambolesco racconto del reporter all’interno di questo saggio ci si può inoltrare nelle vicende della Rivoluzione Islamica dell’Iran, guardandola per la prima volta attraverso gli occhi di una occidentale che posiziona il suo obiettivo dalla parte del popolo che ha vissuto quello scorcio di storia e che, dopo circa quarant’anni, continua a tutelare la propria identità e a difenderne i valori che ne hanno ispirato i principi e che hanno poi portato alla fondazione della Repubblica Islamica come la conosciamo oggi.
Un libro completato da tante foto raccolte dall’autrice nel lungo periodo che ha dedicato alla ricerca e comprensione di una verità che però ancora attende di essere attestata dalla giustizia italiana.
Un altro tour di grande successo quello di Marco Buticchi che, nei giorni scorsi, alla libreria “Nuova Europa” di Roma è stato accolto con estremo calore dai suoi molti appassionati fans. Un entusiasmo che ha accompagnato tutte le tappe, nelle principali librerie italiane, nelle quali il nostro “Maestro dell’avventura” ha presentato “La luce dell’Impero”, un volume già avviato al successo come tutti i precedenti. E forse … anche di più.
Anche questa volta Marco Buticchi, riesce a trascinarci nella vorticosa, rutilante atmosfera che sempre sa creare nei suoi straordinari “racconti d’avventura”.
E “rutilanti” più che mai sono i passaggi – tra il XIX secolo e i giorni nostri - che tessono le trame di un romanzo che sembra percorso dalle fiamme degli inferi. Bagliori sinistri, emanati da una preziosissima e maledetta pietra la cui violata sacralità provocherà una serie di eventi e di vendette, che colpiranno ciecamente colpevoli ed innocenti, scatenate dalla mostruosa sete di potere e di ricchezza di esseri malvagi ed immorali.
Una ricerca approfondita quella di Marco Buticchi, tra precisi riferimenti storici puntigliosamente documentati e intrecciati con cura al costrutto della sua creativa fantasia.
Sullo sfondo del romanzo i giochi di potere e le sottigliezze politiche che sempre hanno condizionato i destini dei popoli. La feroce inimicizia che contrappose Francia e Austria nel XIX secolo … ma che portò inaspettatamente – per volere di Napoleone III – il giovane Massimiliano d’Asburgo a diventare Imperatore del Messico terra di rivolte nella quale trovò morte violenta . Perché il giovane sovrano, amante della Natura e dell’Arte portò nella tomba il segreto sull’acquisto di due preziosissimi diamanti ? Perché la grande pietra - 33 carati denominata Maximilian II – porta con sé una maledizione capace di oscurare persino “La luce dell’Impero”?
Un salto tra tempo e spazio ed ecco ai giorni nostri l’eroe di sempre, Oswald Breil e la coraggiosa e bellissima compagna Sara Terracini, costretti - causa una inopportuna avaria al loro lussuoso yacht - ad approdare nel porto di Tijuana (Messico) dove si trovano coinvolti nelle pericolose indagini sull’assassinio di un giudice loro amico ad opera della criminalità organizzata. Oswald e Sara diventano i bersagli dei pericolosi cartelli della droga che non perdonano intromissioni nei loro affari delittuosi. E i nostri eroi questa volta rischiano veramente grosso.
Le loro sorti attanagliano la mente del lettore trascinandolo in un vortice di paura per le sorti di Oswald e Sara … ma anche per la consapevolezza che dalle pagine del romanzo esce la realtà di un presente inquietante.
Marco Buticchi, a pieno titolo riconosciuto “Maestro italiano dell’avventura”, con queste avvincenti pagine, dà al lettore un’ulteriore lezione di stile e cultura.
“La luce dell’Impero” – Marco Buticchi
–edizioni Longanesi - 438 pag.
- euro 18.60
Francesca Dominici è una giornalista reatina che ha collaborato con diverse emittenti radiofoniche, televisive e uffici stampa. Collabora con il “Corriere di Rieti e della Sabina”. Questo è il suo primo libro.
“In capo al mondo” racconta tredici storie di persone diversamente abili che hanno fatto della loro “diversità” un trampolino di lancio verso un futuro tutto da inventare.
“Se fossi, se potessi” sono forme verbali soppiantate da un presente volitivo e deciso che i protagonisti hanno accolto nelle loro vite e fatto sbocciare: “posso farlo, voglio farlo”.
Francesca come nasce questo libro?
“In capo al mondo” è la risposta a quella che per molti sarebbe dovuta essere una domanda retorica: “ma dove vai?”. Ci aspetteremmo, come risposta, “da nessuna parte”. Invece ciascuna delle persone che sono dentro questo libro ha dimostrato che è possibile andare in capo al mondo, in capo al proprio mondo, che poi è un luogo terribilmente vicino, perché abita dentro di noi, nella nostra forza di volontà, in tutto quello che sappiamo tirare fuori di bello, anche e soprattutto nelle difficoltà. Io non mi sento autrice ma coautrice: ho ascoltato queste meravigliose persone raccontare le loro storie di vita e le ho tradotte in parole, mettendo al cuore le gambe per andare, spero, lontano. Sono andata in capo al mondo con Francesco, non vedente, che attraversa a bordo della sua bicicletta i passi delle Dolomiti, con Gabriele, affetto da sindrome di down, che è campione di hip hop, con Daniele, che non deambula e non parla, il quale mette le parole ai suoi amici di carta, i fumetti, sceneggiando le storie di “Topolino”. Ho scritto per custodire la loro esperienza, per bloccare e moltiplicare la bellezza che regalano. Sprecarla, la bellezza, è peccato mortale.
Come hai trovato le loro storie?
Una sera d’inverno, passeggiando sul fiume che attraversa la mia città, mi è venuta in mente Donatella. La sua storia è l’unica tra quelle che racconto che conoscevo già. Anni fa qualcuno le aveva detto che non ce l’avrebbe fatta a scrivere un libro. Invece Dona, aiutata da chi invece in lei ha creduto, ha trasformato decine di fogli protocollo scritti con la penna blu in un volumetto dal titolo “Specialmente io”. Pensando alla sua gioia nel vederlo pubblicato, mi sono chiesta quante persone che non conosciamo, che magari abitano sul nostro stesso pianerottolo, hanno vinto delle importanti battaglie, nella vita. Da quel momento non ho ancora smesso di contare. Donatella, insieme alla maggior parte dei protagonisti del libro, fanno parte di “Special Olympics”. Grazie a questa straordinaria associazione sono entrata in contatto con molti dei miei “ragazzi”.
Il tuo stile unisce poesia e cronaca, sai accarezzare con le parole creando attorno ad ogni storia il sospiro di una favola: quali scrittori e quali libri fanno parte della tua “biografia letteraria”?
C’è uno scrittore che amo particolarmente, Erri De Luca, che ha firmato la nota di accompagnamento del libro. Per Erri i limiti sono soglie calpestabili. I limiti esistono per essere abbattuti e ciascuno,
Francesca Dominici |
nessuno escluso, ha i propri. Le persone che ho incontrato hanno messo allo specchio i miei deficit, lasciando a me la sensazione di essere diversa. Erri ha definito i protagonisti di “In capo al mondo” atleti della parola della felicità: “Tutti – ha scritto – sperimentano una felicità atletica”. Forse non esiste descrizione migliore. Loro sono, davvero, velocisti della vita.
Hai già in mente un prossimo libro?
Qualcosa in mente c’è. Storie, sempre storie vere, guardate da una angolazione particolare. Mi piace pensare che la vita sia un racconto a più voci.
FRANCESCA DOMINICI
“In capo al mondo"
Funambolo edizioni 2017
Una persona dalla forza straordinaria e dotata di una umiltà poco comune:dunque ,non è da tutti i giorni avere l’opportunità di confrontarsi con una Donna dalle qualità eccelse e dai grandi meriti che, con grazia e modestia, racconta di sé e del suo libro intitolato “D”, edito da Graus Editore e con la prefazione di Bianca Berlinguer. Ho avuto l’onore di poter intervistare per il quotidiano on-line “La Notte” la Prof.ssa e autrice
Angela Procaccini |
a seguito della partecipazione al talk show “Giudicate Voi”, in onda domenica sera,ore 20.00,ch. 274 d.t. Segue l’intervista.
“D”Un titolo apparentemente semplice che però riguarda una realtà complessa. Qual’ è il significato che ha attribuito a questa lettera?“Il titolo è emblematico,ho voluto mettere una sola lettera che fosse identificativa della Donna che è il perno attorno cui ruotano i sette racconti. “D”come dolore,dramma,disperazione ma anche dignità e determinazione aggettivi che connotano la donna, di oggi e di tutti i tempi .”
Ieri più di oggi,poiché la donna non sembra più disposta ad avvalorare la sua dignità. “Questo accade perché l’uomo non riesce ad accettare il fatto che la donna possa avere le sue stessa capacità ,non ha saputo reagire alla crescita della donna ma oggi ,più di ieri,l’uomo dovrebbe farsene una ragione.”
Mi ha appena detto che la partecipazione al talk show “Giudicate Voi” è stata per Lei un’ esperienza positiva. Quale dei sette racconti si avvicina più di altri al tema trattato,ovvero l’abuso sui minori? “Il bottoncino di madre perla bianca” è il primo dei sette racconti ed elabora la storia di un abuso sessuale. In ogni racconto comunque mi calo nella figura femminile come se stessi vivendo personalmente quel dramma,altrimenti non potrei parlarne con lo spirito giusto.”
Chi sono le protagoniste che hanno dato vita ai suoi racconti?”Sono tutte donne com’è chiaro,con caratteristiche differenti e soprattutto di diversa età e estrazioni sociali,accomunate da un dramma che ha segnato la loro vita. In particolare i lettori ,nel libro D,incontreranno :la diciottenne vanitosa, la ragazza anoressica, la bambina violata, la donna tradita, la donna sofferente per una scelta difficile, l’immigrata dalla Tunisia che esprime la sua odissea per mare… tutte, ripeto, tutte hanno profondità di sentire, esperienza di dolore, capacità di résilience, desiderio di riscatto e di rinascita, luce di amore. E variegato è anche il panorama di sentimenti che riempiono la vita di queste protagoniste: amore, solitudine, abbandono, violazione, ricordo, depressione, speranza, riscatto.”
La Prof.ssa Procaccini si apre poi all’intervista parlando del suo immenso dolore,ovvero la perdita della figlia Simonetta Lamberti (Napoli, 21 novembre 1970 – Cava de’ Tirreni, 29 maggio 1982) uccisa da un sicario della camorra nel corso di un attentato il cui obiettivo era il padre, il giudice Alfonso Lamberti, procuratore di Sala Consilina, con il quale stava rincasando in auto a Cava de’ Tirreni dopo una giornata trascorsa al mare. L’unico sopravvissuto del commando Antonio Piganataro aveva fatto riaprire le indagini confessando modalità, finalità e nomi degli esecutori materiali del delitto, tutti deceduti.
“La morte di Simonetta è stato un duro colpo. Nessuna madre al mondo dovrebbe poter provare una tale dolore. Non avevo idea di come affrontare la perdita di una figlia, pensavo che l’unico modo per uscirne fosse chiudermi in me stessa ed invece ho trovato nella scrittura una valida ancora di salvezza:la poesia mi ha aiutato tanto,consideravo quest’ultima come una valvola di sfogo perché in effetti
Maria Parente (a sin.) con Angela Ptrocaccini |
non avevo elaborato il dolore poi gradualmente e con il passare degli anni,sono riuscita ad affrontarlo grazie all’amore dei miei figli e dei giovani con cui sono stata a contatto: essendo una insegnante,posso affermare di aver trascorso la vita tra gli adolescenti. Chi mi conosce percepirà quanto di me c’è in alcuni racconti. La scrittura per me è, oltre che catarsi liberatoria, anche un tentativo di preservare la memoria. Il racconto intitolato “La fontana del cortile” ,aiuterà i lettori a capire chi è Angela oggi e quanto perdita di Simonetta ha inciso sulla mia esistenza.”
Angela Procaccini si è resa protagonista di un gesto coraggioso ed esemplare accogliendo la richiesta di perdono che Antonio Pignataro le aveva rivolto prima con una lettera, poi incontrando la donna nell’udienza di apertura del processo.
Arturo Mariani è un ragazzo romano, del 1993, nato senza una gamba. E’ cresciuto con la passione per il calcio (attualmente è calciatore della Nazionale Italiana Calcio Amputati con cui ha giocato nel 2014 i Mondiali in Messico), e per la scrittura.
“Nato così”, pubblicato nel luglio del 2015, è il suo primo libro autobiografico nel quale descrive la sua vita, partendo ancor prima di nascere, quando era ancora nel grembo della madre. Un libro ricco di valori e di forza di volontà, di esperienze e incontri; un messaggio di vita e speranza.
Lo ha presentato in giro per l’Italia in scuole, università, diocesi, carceri, ospedali, eventi culturali e in televisione.
E’ stato chiamato per parlare del suo libro anche due volte a “Domenica In”, a Rai1 nella trasmissione “Si è fatta notte” con Maurizio Costanzo, Rai cultura, Rai sport, Rai Storia, TGRLazio, Tg2, Tg5, Tv2000 e tante altre partecipazioni in TV e radio.
Ha ricevuto diversi riconoscimenti, l’ultimo dei quali a dicembre 2016: “Premio Letterario Internazionale – Antonio Proviero”.
“Vita nova” è il suo nuovo e secondo lavoro editoriale. Un viaggio nella storia, nel tempo e nella vita di 13 personaggi, famosi e non. Il libro si snoda alla ricerca di quel fatidico punto X che ha generato un cambiamento radicale nel percorso di ogni singolo personaggio.
L’autore è andato ad incontrare e intervistare i protagonisti del libro in giro per l’Italia, toccando diocesi, zone terremotate, carceri, campi di calcio, ring, fondazioni.
Con ciascuno di loro è riuscito ad intessere un rapporto sereno e fiducioso, che ha spalancato la via a ricordi lontani e spesso mai raccontati, emozionanti e intrisi di sofferenza.
Il libro non è un insieme di biografie tantomeno una serie di interviste fatte in modo “classico”.
I protagonisti aprono il cuore e raccontano quei momenti “difficili” o “determinanti” della loro vita, emozioni e stati d’animo di un attimo ma che di fatto hanno determinato un’inversione dello scorrere della loro stessa esistenza.
Nel momento X non si sono persi, non si sono arresi, non si sono lasciati travolgere, e questo ha reso la loro vita “speciale”, in tutte le specifiche varianti umane in cui dopo verrà vissuta.
Nelle testimonianze si plasmano e si intrecciano armoniosamente le riflessioni dell’autore, pillole motivazionali che fanno di questo volume una scuola di cambiamento, di rinnovamento, di rinascita, rivolta a tutti, perché la vita “va accolta” nonostante tutto, perché anche nella “sofferenza c’è vita”, perché “ognuno può trasformare la sua vita in Vita Nova”.
Un viaggio incontrando:
Nino Benvenuti: 17/9/1970 KO contro Monzon, e fine della sua gloriosa carriera pugilistica;
Alex Zanardi: l’incidente del 15/9/ 2001, in cui perse entrambe le gambe;
Massimiliano Sechi: nato senza braccia e gambe;
Marco Morandi: l’eredità del figlio d’arte;
Stefano Starvaggi, calciatore nazionale amputati: 3/9/2015, inizia la lotta contro il tumore;
Angelo Licheri: 12/6/1981 il tentativo di salvare il piccolo Alfredino nel pozzo di Vermicino;
Luca Parmitano: il 18/5/2009 la notizia di aver vinto il concorso per diventare astronauta;
Renato Vallanzasca, ergastolano: il 6/4/1958 prima esperienza carceraria;
Francesca Catricalà, regista e sceneggiatrice: nata con la sindrome di Rockytransky;
Gloria Polo: il 5/5/1995, viene colpita da un fulmine e per alcuni minuti rimane senza vita;
Francesco Acerbi, calciatore serie A: 10/7/2013, il tumore;
Mons. Domenico Pompili, vescovo di Rieti: 24/8/2016, il terremoto di Amatrice;
Maria Falcone: 23/5/1992, l’omicidio del fratello Giovanni Falcone.
Ed. Albatros
Di lui sappiamo pochissimo. Quel poco che sappiamo o crediamo di sapere è fragile e sfuggente. Ci sono persino coloro che sono arrivati a mettere in dubbio la sua effettiva esistenza storica, pensandolo come mero personaggio mitologico (uno dei tanti dell’antichità, né più né meno …). Quel poco che sappiamo di lui lo dobbiamo quasi interamente ai 4 Vangeli riconosciuti dalla Chiesa Cattolica che, però, essa stessa, in tempi recenti, preferisce definire “testimonianze di fede” piuttosto che opere di carattere storico.
Su chi sia veramente stato, sul significato della sua predicazione, sul perché, soprattutto, abbia dovuto affrontare una fine tanto atroce, su questo e molto altro ancora si continuano a scrivere libri non soltanto di teologia o storia delle religioni, ma anche di filosofia e letteratura. E sempre più, negli ultimi decenni, dopo gli straordinari ritrovamenti del Mar Morto e di Nag Hammadi, i ricercatori tendono a fare riferimento a quella immensa miniera di letteratura definita “apocrifa” e messa da parte dalla Chiesa costantiniana, agli innumerevoli testi, cioè, che, prima di cadere in disgrazia, furono, in qualche luogo e in qualche tempo, considerati sacri da gruppi di credenti . Alcuni di essi ci sono, più o meno parzialmente, pervenuti, ma di molti altri sappiamo soltanto il nome, di altri ancora, molto probabilmente nulla mai sapremo …
E la conoscenza crescente dei testi “apocrifi” (Vangeli, Lettere, Apocalissi, ecc …) ci consente di comprendere molto più chiaramente quanto sia stata accentuata, nei primi secoli della storia del cristianesimo, l’eterogeneità dei movimenti religiosi che si ispirarono alla vita e al messaggio dell’enigmatico maestro crocifisso.
Scrive, a questo proposito, Bart D. Ehrman:
“Nel II e nel III secolo c’erano cristiani per i quali Dio aveva creato il mondo e altri convinti che questo mondo fosse stato creato da una divinità subordinata e ignorante (altrimenti perché il mondo sarebbe stato così pieno di dolore e difficoltà?); secondo altri, le cose stavano ancora peggio, perché il mondo era un errore cosmico creato da una divinità malvagia come luogo di detenzione per imprigionare gli umani e soggiogarli al dolore e alla sofferenza.
Nel II e III secolo c’erano cristiani che credevano che le Scritture ebraiche, denominate dal Cristianesimo “Antico Testamento”, fossero state ispirate dall’unico vero Dio, ma per altri erano state ispirate dal Dio degli ebrei, che non era l’unico vero Dio, e per altri ancora da una divinità malvagia; altri, poi, credevano che non fossero affatto ispirate.
Nel II e III secolo c’erano cristiani che credevano che Gesù fosse sia divino sia umano, Dio e Uomo (per loro, divinità e umanità erano entità incommensurabili: Dio poteva essere un uomo non più di quanto un uomo poteva essere una pietra). Altri affermavano che Gesù era un uomo interamente di carne e ossa unito a un essere pienamente divino, Cristo, che aveva temporaneamente abitato il corpo di Gesù nel corso della sua missione per lasciarlo subito prima della sua morte, ispirandone gli insegnamenti e i miracoli ma evitando le sofferenze finali.
Nel II e III secolo c’erano cristiani che credevano che la morte di Gesù avesse comportato la salvezza del mondo, mentre altri pensavano che la sua morte non avesse nulla a che fare con la salvezza del mondo e altri ancora dicevano che Gesù non era mai morto.” *
Poi, da tutto questo coloratissimo e vivacissimo calderone di concezioni filosofico-teologiche e di pratiche religiose, una fazione riuscì ad emergere e ad imporsi vittoriosa, dedicandosi, con alacre determinazione, a riscrivere l’intera storia delle secolari controversie, facendo apparire le proprie posizioni dottrinali (in realtà solo alcune delle tante) come quelle che, fin dall’inizio, per divino disegno, si erano affermate nella stragrande maggioranza delle comunità cristiane. E così, soltanto 4 Vangeli e altri 23 scritti furono accolti nel Canone dei libri ritenuti autenticamente ispirati da Dio (il cosiddetto Nuovo Testamento).
Tutti gli altri “vennero rifiutati, disprezzati, biasimati, attaccati, bruciati, poco meno che dimenticati: perduti.” **
Ma qualche altro eccezionale ritrovamento potrebbe - chissà - gettare nuova luce su quel mondo ancora tanto poco conosciuto e tanto pregno di misteri, equivoci, contrasti, travisamenti e falsificazioni, magari mettendo in difficoltà le posizioni (e il potere!) di coloro che hanno vinto e che tuttora si attribuiscono il titolo di unici veri eredi, seguaci e interpreti della parola e dell’opera salvifica di Gesù.
E se qualcuno entrasse in possesso di qualche pagina che ci narrasse tutto quello che Gesù visse prima della sua pubblica predicazione? E se da tale racconto scaturissero informazioni scomode e imbarazzanti per la Chiesa di Roma, tali da gettare nel panico le gerarchie pontificie e in un pericoloso disorientamento tutte le centinaia di milioni di fedeli nel mondo?
Una simile eventualità, nelle mani di un abile scrittore, potrebbe diventare, senza alcun dubbio, un romanzo assai suggestivo.
Adriano Cioci, intellettuale raffinato e grande esploratore di mondi lontani, ci ha provato, regalandoci la sua ultima pregevole opera:
Il viaggio segreto di Gesù. Alla ricerca del manoscritto che cambierà la storia (Il Segno dei Gabrielli editori, San Pietro in Cariano-Verona, novembre 2015).
Ne è uscito fuori, così, un romanzo solidamente e intelligentemente costruito, con personaggi di spessore, protagonisti di una storia avvincente, ottimamente collocata geoantropologicamente, supportata da gustosi elementi culturali e vivacizzata da non pochi coups de théatre.
Ma particolarmente apprezzabile risulta il messaggio etico-religioso che, seppur indirettamente ed evitando toni didascalici, viene offerto al lettore con la determinazione di una forte ed efficace dicotomia:
- da una parte, una aspra e netta critica nei confronti della Chiesa in quanto istituzione, immersa nelle tenebre della brama di potere e di gloria, fonte di guerre in nome di Dio e di divisioni fra nazioni, madre di “ministri non illuminati” che, avendo “smarrito il significato e la pienezza della prima parola”, si sono trovati a scrivere “cose non vere”, a creare “dogmi fondati sulla bugia”, ad occultare la verità, a distruggere le testimonianze, ad ordinare esecuzioni, a dividere le genti, a deridere gli umili e i deboli, macchiandosi, così, “di ogni crimine”; (p.205);
- dall’altra, invece, l’auspicio gnostico-teosofico di una religione universale capace di abbracciare popoli diversi, una religione senza purgatori ed inferni, imperniata sulla “semplicità, il bene, la fratellanza, la libertà del cuore” (p.208), il cui insegnamento principale sia quello dell’Amore e del Perdono, nella convinzione filo-origeniana e, potremmo ben dire, profondamente bergogliana
“Che la natura di ognuno di noi si può cambiare, che il pentimento e la carità sono in grado di aprire le porte del paradiso.” (p.207)
*Bart D. Ehrman, I Cristianesimi perduti. Apocrifi, sette ed eretici nella battaglia per le Sacre Scritture, Carocci editore, Roma 2016, pp. 18-19
**ibidem, p.20
***Adriano Cioci, giornalista e scrittore è nato a L'Aquila nel 1953. Si è laureato in Lettere all'Università di Perugia con una tesi di argomento g ografico. E' autore di romanzi ("La prima estate", 1979 e "Pareti di carta", 1986), biografie ("Francesco d'Assisi", 1995), monografie, reportage, saggi, guide storico-artistiche e testimonianze.
La sua passione per le ferrovie ha trovato concretezza in undici volumi sulle linee del centro Italia.
Sue opere sono state tradotte in numerose lingue. E' fondatore e direttore del Premio Letterario Fenice-Europa (Un Romanzo Italiano per il Mondo), giunto alla XX edizione.
Ha pubblicato i romanzi giallo-teologici "I custodi della verità. Intrigo in Terrasanta" (OGE, Milano, 2010), "Il custode del Settimo Sigillo (Il Segno dei Gabrielli, Verona, 2013) e "Il viaggio segreto di Gesù" (Il Segno dei Gabrielli, Verona, 2015).
Adriano Cioci
Il viaggio segreto di Gesù.
Alla ricerca del manoscritto che cambierà la storia
Editore: Gabrielli Editori
Anno edizione: 2015
Pronoia è una parola inventata dall'autore che si colloca sul lato opposto della paranoia.
In stato paranoico si è succubi di pensieri e sensazioni negative, ansia e tensioni psicofisiche, lo stato “pronoico” invece si basa sull'apertura all'universo, un universo che addirittura “cospira” per riempirti di benedizioni.
Potrebbe sembrare l'ennesimo libro sul pensiero positivo e sulla legge dell'attrazione, ma in realtà il libro di Brezsny è approfondito, divertente e mai banale.
Un libro che offre ben 888 trucchi per diventare un maestro della “scalmanata felicità”.
Uno stile che ricalca quello dei suoi oroscopi stravaganti per la rivista “Internazionale”: un'astrologia che si esprime per aneddoti, storie al limite tra fantasia e realtà, curiose notizie recuperate chissà dove.
“Pronoia” è un libro a più direzioni, che si può leggere dall'inizio alla fine oppure seguendo l'istinto, un libro che invita il lettore ad essere co-autore perché in molte parti c'è lo spazio bianco necessario per avere il suo contributo, l'ultimo capitolo è addirittura caratterizzato da “istruzioni” che il lettore può seguire per disegnare o scrivere la vera “fine” a questo saggio.
Il lettore è invitato per prima cosa a “rendersi conto”: delle piccole gioie e benedizioni, dei miliardi di cellule e microrganismi che vivono nel nostro corpo e ci permettono anche solo di respirare o alzare un braccio, dei miracoli che si nascondono nel quotidiano.
Le pagine scorrono e con esse ci troviamo a riflettere su archetipi e miti antichi, su come armonizzare le parti discordanti del nostro essere per liberare il potenziale creativo.
I capitoli accolgono intermezzi poetici, “pubblicità sacre” e “ il network notizie” che regala fatti di cronaca o dati di realtà a sostegno dell'obiettivo “pronoia”.
Una serie di esercizi che accolgono anche il libero lamento, anzi invitano a a circoscrivere il dolore e il buio dell'anima ad un'ora infelice a settimana o al mese.
Una ri-educazione alla meraviglia che passa attraverso un addestramento alle giuste domande, alle quali rispondere, nello spazio bianco che chiama in causa l'inchiostro del lettore.
I titoli dei capitoli sono già di per sé manifesti di vita:
“Prometto di interpretare ogni esperienza come un'interazione diretta della Dea con la mia anima”, “Ognuno è nessuno – e nessuno è perfetto”, “Stiamo cercando le risposte, così potremo distruggerle,per poi sognare domande migliori”, “Non annoiare Dio, Non annoiare te stesso” “Solo voi potete prevenire il genocidio dell'immaginazione”,”Da quando ho imparato a vedere tre punti di vista per ogni storia, trovo storie sempre migliori”, “Siate creatori prolifici”...
Un libro da regalarsi, scartandolo piano piano, parola per parola, senza ordine e regola, un libro da tenere sul comodino per assaporarne un po' al mattino, prima che la mente razionale ci scaraventi in una giornata apparentemente uguale a quella passata.
ROB BREZSNY:
PRONOIA è L'ANTIDOTO ALLA PARANOIA
edizioni Spazio Interiore 2017
Il Gen. Luciano Iannetta |
Dopo aver pubblicato in assoluta anteprima, la notizia dell’uscita del libro del giornalista d’inchiesta ENRICO MALATESTA, “ORRORE E SANGUE SU ROMA, LA STRAGE DELL’ACQUA SANTA - 24 agosto 1917 / 24 agosto 2017”
con i documenti segretati sulla morte innocente di 240 giovani soldati di cui ancor oggi non si conosce il luogo della sepoltura, abbiamo rivolto al generale LUCIANO IANNETTA, che ha visionato i documenti pubblicati in assoluta esclusiva nel libro di Malatesta, questa semplicissima domanda :
- Generale, qual è, in breve il suo giudizio su questa sensazionale quanto terribile scoperta:
« Dall’esame degli atti che comprendono: il rapporto ispettivo del tenente colonnello Gloria, la relazione del maggiore Tealdi, l’interrogatorio del maggiore Bontempelli e il rapporto d’indagine della commissione affidata al Tenente Generale GUZZO, ritengo che i contenuti degli stessi collimino e siano ripetitivi per taluni aspetti.
Due errori, però, sono emblematici perché mettono in risalto l’incongruenza che c’è fra gli stessi e, in particolare:
- il maggiore Bontempelli, nel suo interrogatorio del 20 settembre 1917, fa riferimento al promemoria della commissione d’inchiesta e, ad alcuni argomenti specifici, ma quest’ultima chiuderà i suoi lavori solo il 30 settembre, allora come poteva conoscere i contenuti dell’operato di tale commissione ben 10 giorni prima del termine dei lavori, essendo, peraltro, egli stesso un probabile indiziato?
- come detto, il maggiore Tealdi asserisce che il rinforzo di 52 soldati giunse il 3 settembre 1917 mentre la commissione d’inchiesta colloca, invece, l’arrivo di tali rinforzi nella sera del 23 agosto 1917.
- Il chiarimento di tale discordanza è importante nell’economia del discorso perché, purtroppo, i 52 soldati sarebbero morti con lo scoppio, quindi come potrebbe considerarsi veritiera la collocazione temporale in una data successiva all’evento?;
- Non voglio tralasciare di sottolineare un particolare che ho notato scorrendo le carte che ho visionato: la macchina da scrivere. A mio modesto avviso sia il rapporto del Tenente Colonnello Gloria sia la relazione della commissione di inchiesta che seguirà, pare siano state scritte utilizzando la stessa macchina da scrivere, stante l’estrema similitudine dei caratteri e la ripetuta imperfezione di alcune lettere, e, per cose che dovrebbero essere state scritte da persone diverse, ciò appare, quantomeno, inverosimile e porta a pensare che tali documenti potrebbero essere stati stilati da stesse persone ed epurati, quindi, dalle notizie che avrebbero potuto, forse, danneggiare “qualcuno”.
- esistono elevate probabilità, quindi, che la macchina da scrivere utilizzata per trascrivere i rapporti e le relazioni di cui si è abbondantemente parlato sia stata sempre la stessa, cosa che farebbe ritenere che gli estensori degli scritti potrebbero essere le stesse persone, situazione che fa molto, molto pensare sulla loro attendibilità e porrebbe un macigno sulla realtà, ovvero sulla dinamica e le conseguenze degli eventi.
Si è compreso che la famosa scritta a sfondo terroristico doveva essere una “messa in scena”, un modo per distogliere l’attenzione sulle vere cause della strage. Un fatto così grave ed acclarato da sovvertire tutti i vertici dell’amministrazione della difesa quindi, forse fu ritenuto opportuno farlo considerare conseguenza di un atto terroristico. Infatti, come ritengo, sarebbe stato troppo grave sia per i vertici della Difesa, Ministro e Sottosegretari, sia per i militari ivi in servizio ma pare essere stato concertato il tutto per gettare solo fumo negli occhi, per far soffermare tutta l’attenzione su un fatto accidentale senza, quindi, responsabili.
Da un’analisi obiettiva dell’intera vicenda mi viene da pensare che l’unica cosa vera sia il rapporto del maggiore Bontempelli che, mettendo nero su bianco, tutte le lacune evidenziate nei periodi antecedenti la strage, portò a conoscenza di chi aveva potere decisionale e responsabilità, della cruda, pericolosissima e, come si vedrà poco dopo, tragica realtà in cui versava la polveriera dell’Acqua Santa.
L’ufficiale, purtroppo, non ebbe al riguardo alcuna risposta fino al verificarsi dell’incidente che, pur essendo prevedibile, arrivò in un momento inatteso ( ma quando potrebbe essere attesa una strage?), facendo esplodere non solo tutto il comprensorio, polveriera e deposito carburanti, ma anche tutta l’organizzazione che vi aveva messo sopra i tentacoli. A questo punto i vertici, primi responsabili della tragedia, dovettero “pensare bene” che sarebbe stato, opportuno insabbiare il tutto a salvaguardia di se stessi e delle loro “poltrone” organizzando, a tavolino, tutta una “copertura cartacea” da porre a corredo dell’intera vicenda, ivi compresa la sentenza “farsa”, quindi, alla fine, fare come se nulla fosse accaduto.
A noi posteri l’eredità di non lasciare sopita e nascosta questa brutta e vergognosa pagina di storia che ci deve far sentire coinvolti tutti, in modo totale.
Pertanto ribadisco - come in una Sentenza (morale) - ed esprimo il mio pensiero:
a. la polveriera è nata dal nulla, in una sede inopportuna, benché avrebbero potute essere adottate e scelte altre soluzioni infrastrutturali molto più consone e già esistenti nel presidio romano;
b. al maggiore Bontempelli direttore dell’ente, venne affidata la responsabilità della polveriera che doveva essere solo un capannone ubicato nelle vicinanze del forte Acqua Santa e che doveva essere utilizzato solo per immagazzinare materiale inesploso al fronte;
c. il maggiore, in realtà, non si arroga il diritto di scrivere direttamente alla direzione generale armi e munizioni, ma risponde ad una lettera verosimilmente scrittagli, direttamente, dallo stesso sottosegretario, primo organo di vertice ad aver ignorato la catena gerarchica;
d. Dal 1915 fino al 1918 al vertice della Direzione Generale armi e munizioni vi fu sempre la stessa persona, prima come Sottosegretario del Segretariato e poi, dal 16 giugno 1917 addirittura come Ministro, in conseguenza alla riconfigurazione dello stesso ministero, quindi si tratta della persona che era al vertice di quella amministrazione la notte dell’esplosione del 24 agosto 1917;
e. la relazione sull’ispezione alla polveriera del 7 agosto 1917 (tenente colonnello Gloria) appare, ai miei occhi, un falso, perché, ritengo, potrebbe essere stata scritta dopo l’incidente, scritta a corredo delle altre solo per depistare la realtà dell’accaduto e non far evidenziare le vere cause del sinistro, nonché per giustificare alcune probabili concause connesse all’incidente;
f. anche la relazione del maggiore Tealdi pare essergli stata indotta per alcuni aspetti, perché si rifà, in parte, a quella redatta dal vice questore intervenuto sul posto in seguito all’incidente di cui tratteremo in seguito;
g. la relazione della commissione Guzzo, infine, pare essere stata scritta con il preciso intento di riassumere in essa tutte le altre, sotto un’unica regia, finalizzata a nascondere i lati oscuri e pericolosi sia per la catena di comando che per i vertici politici.
h. La sentenza, infine, mi appare come l’atto finale più aberrante di tutta la vicenda! leggiamo l’intestazione della stessa: “la Commissione di Inchiesta…ha pronunziato la seguente sentenza”; da quando una sentenza viene promulgata da una commissione di inchiesta?
i. Scorrendo i documenti, fino ad un certo punto avevo pensato che il maggiore Bontempelli fosse rimasto vittima dell’incidente ma guardando e ritenendo autentiche le firme vergate dallo stesso in momenti successivi, come si evince dalle date, sono entrato nell’ordine di idee che la motivazione della sua assenza è, verosimilmente, riconducibile al fatto che, pur di salvaguardare (anzi, direi, salvare ) “qualcuno”, si rese indispensabile salvaguardare anche il maggiore che, comunque, guardando l’evento asetticamente, proprio per il ruolo che rivestiva, doveva essere considerato il primo anello della catena, e, quindi, il diretto responsabile della strage.
j. Quindi la strada più semplice da seguire, probabilmente, potrebbe essere stata quella di calmierare il tutto e nascondere il maggiore Bontempelli, aiutandolo a rimanere in incognita al fine di non coinvolgere altri.
L’amara conclusione dunque, da parte di chi ne aveva titolo: non è successo nulla e, quindi, non è necessario cercare colpevoli per qualcosa che non si è mai verificata per colpa ma è solo dovuta al fato (questa ovviamente è solo la tesi dei relatori). A mio modesto parere la verità è in tutt’ altra direzione e, si potrebbe/deve anche oggi “approfondire“ ! »