L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni.

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Andrea Signini
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May 05, 2017

Mercoledi 03 maggio scorso si è svolta a Roma la presentazione del testo Anima Persa Anima ritrovata, periegesi all’interno dei giardini vaticani di Anna Bruno, edito dalla Palombi editori.. Sono intervenuti la dott.sa Maria Serlupi Crescenzi, responsabile della didattica ai Musei Vaticani e padre Guido Innocenzo Gargano, professore della Pontificia università Urbaniana e Pontificio Istituto Biblico.

Nel testo, l’autrice prende per mano il lettore trascinandolo in un percorso viatico, in un itinerum in mentis deum, all’interno di un giardino di tanti giardini, di gusto eclettico: i giardini vaticani appunto. E allora autrice e lettore si immergono amorevolmente amorevolmente nella storia e nella simbologia di questo verde e immaginifico luogo concluso vaticano, usando ogni fonte possibile: dalla letteratura, alla memoria dei sensi, dalla poesia ai versetti biblici e coranici, dall’ arte antica a quella contemporanea, invitando il lettore-visitatore-cercatore di profumi nonché pellegrino in una sorta di piccola“convivialità delle differenze”, per usare le parole tanto famose di don Tonino Bello.

“Un racconto come una visione in cui tutto scorre gustosamente davanti agli occhi in uno scenario di grande suggestione” racconta Mons. Luigi Renzo nella sua presentazione e continua “(…) ed è come essere presi per mano e condotti in ogni angolo, anche il più segreto, di questi giardini che, nell'immaginario collettivo, restano un sogno e un arcano di bellezza inarrivabile. Invece lei con la semplicità del racconto, ce li rende avvincenti facendoci penetrare in ogni anfratto, come in un gioco di realtà e di fantasia.” E a mano a mano il giardino le porge la vita.

Il percorso trifasico, di dantesca memoria, approfitta di un giardino eclettico e, superato il frammento di muro di Berlino, offerto a papa Giovanni Paolo II nel 1989, attraversa il boschetto all’inglese, simbolo del mistero e perciò della perdita dell’anima. “Ma la perdita non è vuoto, non è assenza” assicura la “novella Beatrice dantesca”, la perdita è rinascita. Ed è proprio nel boschetto che gli incontri si fanno tappe necessarie al passaggio dal materiale allo spirituale e in aiuto a lei e al suo lettore, accorrono imperatori e dèi di pietra, animali veri e scolpiti, piante, fiori, fontane e papi protagonisti di questi giardini delle meraviglie. Ma soprattutto, accorrono protagoniste le piante e con esse i giardinieri del papa, che compaiono ora come precettore, ora come poeta, ora come esperto della potatura o della fioritura liturgica, o ancora come ortolano.

Tra un giardino e l’altro le soglie si trasformano in passaggi definitivi per nuovi ambiti del proprio sé. “L’autrice, a cui non sfuggono vibrazioni e sfumature, l’autrice è tutt’intesa a cogliere i significati profondi, quelli in cui i popoli, nella loro infanzia, hanno tradotto il bisogno del divino attraverso simboli, metafore, favole, istituendo con essi la religione.” E il giardino si propone dunque come nutrimento dell’anima, dell’autrice quanto del suo lettore che, di volta in volta, accumulano e assimilano e a mano a mano che risalgono il giardino, essa scende fino al punto più profondo del proprio sé. E parallelamente i giardini dei papi si rivestono di colori e essenze, ecletticamente così come li avevano progettato i suoi ultimi ideatori: Pio XI (1922-1939), il papa dei Patti Lateranensi (11 febbraio 1929) e il suo architetto Giuseppe Momo. Ma in chiave contemporanea rivisitati dall’autrice, guida vaticana dal 2006 e da Luciano Cecchetti fino al 2014 responsabile e giardiniere lui stesso dei Giardini Vaticani e delle ville Pontificie. Come è giusto che sia, perché la creatività e la fantasia continuino il loro corso!

La seconda soglia è la soglia della salvezza, la ripresa dopo la perdita, e consente all’autrice e al suo lettore di entrare nel giardino alla francese i cui viali confluiscono fino alla copia della grotta di Lourde, punto focale del giardino. Qui il giardino risveglia l’anima alla gioia e alla vigoria, rivestendosi nell’immaginazione della stessa autrice (e del suo precettore), come fosse tela nuda di forme, linee e colori prima di entrare nella terza e lunga tappa del giardino all’italiana, dove l’autrice si intrattiene con gli stili che si susseguono, dal tardo rinascimentale a quello settecentesco, dai non più esistenti giardini di Paolo III Farnese (1468 – Roma 1549) e Clemente VIII (1592-1605) a quello di papa Borghese, Paolo V, con le sue imponenti fontane, via via fino al giardino del cimitero teutonico e a quello giapponese in fieri.

Il percorso infine discende dal cortile della Pigna e, passando per quello del Belvedere, si ferma a piazza S. Pietro. Qui l’autrice e il suo lettore trovano il loro punto aureo, per tornare tra la folla, dopo aver congedato quanti l’avevano accompagnata. Le due anime, dunque, quella sua e del suo lettore, sono pronte a tornare nel limite che la vita sempre propone e con esso il suo superamento.

 

Titolo: Anima Persa, Anima Ritrovata

Sottotitolo: periegesi all’interno dei giardini vaticani

Progetto: l’arte pittorico-simbolica del giardino

Autore: Anna Bruno, sito www.periegeta.it

March 18, 2017

Erika Maderna, laureata in Etruscologia e Archeologia Italica presso l'Università degli Studi di Pavia, scrive articoli, traduzioni e saggi di cultura e archeologia classica.

Ho conosciuto Erika Maderna attraverso uno dei suoi libri “Medichesse”, un libro che è andato a colmare una lacuna bibliografica: sono rari i testi che ripercorrono la medicina al femminile perché, tranne rare eccezioni, le guaritrici sono rimaste nell'ombra, essendo spesso donne del popolo, eredi di un sapere antico.

Medichesse è il terzo libro dell'autrice, preceduto da “Antichi segreti di bellezza” (Aldo Sara Editore, 2005); e da “Aromi sacri Fragranze profane: simboli, mitologie e passioni profumatorie nel mondo antico” (Aboca, 2009).

tuuiiSe il primo libro indaga la cosmesi antica, nel secondo il protagonista è il profumo: gli aromi sono strettamente legati sia all'esperienza religiosa che a quella profana, le essenze oscillano tra erotismo e magia, connettendo l'uomo alla sua parte più emotiva. Attraverso aneddoti, curiosità e mitologie l'autrice offre al pubblico un libro prezioso e di scorrevole lettura su un tema sempre intrigante.

Le protagoniste del quarto libro,Le mani degli Dèi” (Aboca, 2016) sono le piante officinali raccontate nel loro aspetto mitologico e simbolico.

Il melo delle Esperidi, la viola di Attis, l'anemone di Adone, l'erba Moly di Circe, il giglio di Era, il mirto di Afrodite, la menta di Mintha e molte altre creature vegetali sono qui raccontate con eleganza e

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 ERIKA MADERNA

passione, restituendo a queste piante ed alberi, conosciute per la loro valenza fitoterapica, una dimensione narrativa. Erbe connesse alla Grande Madre antica, erbe capaci di guarire ma anche di uccidere, mitologie vegetali che l'autrice offre al lettore anche attraverso gli articoli scritti e pubblicati per il Wall Street International.

 

“Medichesse” declina il verbo “curare” al femminile ripercorrendo la storia della medicina dalle civiltà matrifocali fino a Isabella Cortese. Secondo te quale è stata la difficoltà più grande che le medichesse antiche hanno dovuto affrontare per ricevere la giusta considerazione?

Elencare le difficoltà affrontate dalle donne nella pratica della medicina ci riporterebbe a un’aneddotica curiosa e ricca di esempi. Ci sono state donne costrette a vestire abiti maschili per poter praticare la professione; altre che hanno sfidato divieti pericolosissimi, e hanno rischiato il rogo pur di non tradire la propria missione; altre ancora che hanno scelto la protezione del monastero per potersi dedicare in sicurezza alla ricerca e alla cura. Può sembrare strano, ma le epoche più antiche hanno mostrato maggiore apertura e tolleranza verso le medichesse; dopo il Mille, la misoginia e la paura atavica della magia diabolica delle streghe determinarono la brusca rottura di un già fragile equilibrio, e l’esclusione delle donne dalla pratica professionale divenne una battaglia ideologica perseguita con crudele caparbietà dalla medicina ufficiale.

 

Secondo te, oggi, è stata ottenuta la giusta considerazione delle donne curatrici o pensi che la figura maschile del medico adombri ancora quella femminile?

Negli ultimi decenni le presenze femminili all’interno delle facoltà di Medicina sono aumentate esponenzialmente, anche se alcune specializzazioni rimangono, più di altre, resistenti al cambiamento. Credo che le donne, dopo aver compiuto un lungo e faticoso percorso con la determinazione che le caratterizza, si stiano riappropriando finalmente del pieno riconoscimento del loro ruolo professionale. Certo, ora non sono più medichesse, sono donne medico; hanno colmato quel gap che nella parte più antica della storia ha differenziato fortemente il sapere maschile da quello femminile. Eppure, forse ancora portano traccia dell’antica vocazione di sacerdotesse...

 

Maghe pharmakìdes erano Elena, Circe, Medea... le herbarie medievali condannate come streghe curavano anche attraverso l'aspetto “simbolico” e vibrazionale delle piante: cosa ha perso la medicina sradicando la magia dai medicamenti?

Il mito e le fonti antiche ci riportano esempi straordinari di erbe o farmaci mistici o spirituali, spesso legati alle conoscenze mediche delle donne e alla sfera della cura dei mali della psiche. Questi esempi descrivono la funzione della malattia nel suo aspetto allegorico, ridotta alla semplicità del simbolo, e allo stesso tempo la ricerca, nelle piante curative (dette anche “semplici”), della purezza di ciò che ora la scienza chiama principio attivo, ma che allora era considerato forza divina. Ancora oggi questo aspetto è esplorato con grande interesse dall’approccio psicosomatico della medicina, che in realtà ripercorre intuizioni che vengono da molto lontano.

 

Le piante e la sfera del sacro erano indissolubilmente legate: i primi santuari furono le foreste, templi vegetali a tutti gli effetti; pensi che questo rapporto con il sacro “vegetale” sia andato del tutto perduto? Quale momento storico, secondo te, ha segnato la fine della sacralità vegetale?

Il senso del sacro legato alla percezione della natura era più forte quando l’umanità non comprendeva le leggi dell’universo, le temeva e le rispettava per non incorrere nella punizione divina. Abbattere una pianta significava violare lo spirito che vi dimorava e il timore della vendetta tratteneva la mano dell’uomo. Molti popoli, inoltre, erano convinti che la stirpe umana discendesse dagli alberi, e li onoravano come antenati. Con l’avanzare della civiltà del logos e della scienza, la devozione si è trasformata in volontà di dominio, certezza di superiorità, logiche che oggi sembrano prevalere nel nostro “uso” spregiudicato delle risorse naturali.

 

Nei tuoi tre libri compaiono spesso ricette di cosmesi femminile. Quale rituale antico è maggiormente connesso alla cosmesi?

La cosmesi è parte viva dell’approccio femminile alla salute, e lo dimostra il fatto che le ricette di bellezza tramandate dalle donne alle donne compaiono in tutti i trattati medici antichi scritti da mani femminili. Non si tratta di indulgere in frivolezze e vanità, bensì del lascito di una filosofia del benessere che non considera medicina soltanto ciò che è utile a curare il morbo, ma amplia la visuale alla cura di sé, alle pratiche igieniche, alla ricerca della bellezza come strumento di soddisfazione. Ogni epoca ha avuto le sue mode cosmetiche. Nelle culture mediterranee antiche, e poi in quelle classiche, la profumazione del corpo costituiva sicuramente il rituale più importante, e a questo interesse dobbiamo l’elaborazione di una tecnologica avanzata della produzione degli unguenti aromatici. La valenza della profumazione rispondeva a molteplici necessità: in origine l’olio aromatico aveva una funzione deodorante, emolliente, ma anche protettiva dell’epidermide, e solo col tempo prevalse quella cosmetica. In epoca rinascimentale, il paradigma della bellezza si spostò verso un ideale estetico femminile di candore e purezza; il “far bianco” divenne la pietra filosofale dell’alchimia cosmetica, e si moltiplicarono le ricette utili a illuminare l’incarnato del volto, a sbiancare le mani e i denti, a schiarire i capelli.

 

In “Aromi sacri Fragranze profane” e in “Le mani degli Dei” le protagoniste sono le piante (e gli alberi): quale rapporto ti lega al regno vegetale?

Il profumo ha costituito la prima forma di comunicazione tra l’uomo e la divinità; un linguaggio etereo e ineffabile quanto il destinatario del messaggio. Il mondo vegetale nasconde simboli profondissimi e scoprirli significa raggiungere le radici più antiche della religiosità. Sono proprio questi aspetti simbolici ad avermi affascinata, tanto da spingermi a procedere per successivi approfondimenti. In un mito vegetale possiamo rintracciare livelli di lettura interessantissimi: non solo la leggerezza dell’invenzione narrativa, ma informazioni botaniche e intrecci impensati tra archetipi sacri, vis terapeutica della pianta, natura umana. E la natura ha sempre qualcosa da suggerirci, se sappiamo scavare fra i significati.

 

Quale personaggio della mitologia antica senti più vicino a te? Quale medichessa?

Mi affascinano tutte le grandi figure dell’immaginario, per la loro capacità di evocare gli archetipi più profondi: Circe, Medea, che hai già citato, e in generale le grandi maghe conoscitrici di farmaci, splendide e terribili al contempo, che sono state il prototipo e il fondamento iconico dell’herbaria e della strega. Tra le medichesse della storia, invece, non posso non nutrire una profonda ammirazione per la figura di Ildegarda di Bingen, che dedicò parte della sua attività intellettuale all’approfondimento di una filosofia medica di grande impatto filosofico. A Ildegarda interessa l’uomo nella sua complessità e completezza di corpo, psiche e spirito, e da questo approccio olistico si sviluppa la necessità di ricercare nell’armonia fra queste componenti la chiave per il benessere. Ma la grande novità della medicina ildegardiana è l’interesse per la salute femminile, che la santa ha indagato con profondità di riflessione: la donna deve onorare e conoscere la propria femminilità se vuole essere felice, e deve avere un rapporto soddisfacente con il proprio partner se vuole prevenire i disturbi tipici dell’apparato ginecologico. Un personaggio così sfaccettato è difficile da riassumere in pochi tratti, ma mi piace quella definizione di “Sibilla del Reno” che fa di questa grande santa visionaria un anello di congiunzione tra la pratica sciamanica delle sacerdotesse pagane, l’approccio empirico tipico della tradizione medica femminile e la nuova indagine filosofica sulla salute.

 

Su quale ricerca ti stai concentrando in questo momento?

Sono tornata a studiare la storia della medicina femminile, questa volta dedicando un approfondimento alla cosiddetta “medicina delle streghe”. Moltissime delle donne bruciate sui roghi dell’Inquisizione, dal medioevo fino alle soglie del Settecento, erano curatrici empiriche, che praticavano i loro saperi nelle campagne attingendo a una tradizione ricchissima di medicina magica che si è tramandata rimanendo per secoli quasi immutata per modalità e contenuti. E’ importante riportare all’attenzione questi risvolti distruttivi del nostro passato, cercando di illuminare la prospettiva delle vittime, su fatti che sono stati raccontati solo dai documenti dei carnefici; è un tributo necessario al sacrificio assurdo di donne che hanno subito torture e atroci sofferenze senza comprendere quale fosse la propria colpa.

 

Per approfondire:

http://flipnews.org/flipnews/index.php?option=com_k2&view=item&id=7242:medichesse-la-vocazione-femminile-alla-cura&Itemid=123)

http://www.flipnews.org/publishing/erika-maderna-le-mani-degli-dei-mitologie-e-simboli-delle-piante-officinali-nel-mito-greco.html

Erika Maderna presenterà il libro “Medichesse: la vocazione femminile alla cura” Domenica 26 marzo alle ore 17 presso la Casa Internazionale delle Donne di Roma, via della Lungara 19.

A seguire ci sarà lo spettacolo “Herbarie: le chiamavano streghe” a cura del progetto Anemofilia Teatro.

February 07, 2017

 

“Io mi addormento sulle rive di una donna: io mi addormento sulle rive di un abisso” (cit)

 

Torna in libreria Galeano con il suo ultimo libro, voluto per raccontare le donne: 150 figure femminili note e meno note che hanno lasciato un segno, dando nuova forma al senso comune, ribellandosi a pregiudizi, cambiando, in alcuni casi, il corso degli eventi.

Eduardo Galeano è morto il 13 aprile del 2015. Ma molti dei suoi libri non sono stati più ripubblicati. Una scrittura gentile ed incisiva, che unisce poesia, epigramma e narrazione e che arriva diretta all'emozione, lasciando come un sussurro, una carezza, che ti fa chiduere gli occhi per assaporarla meglio.

Da giovanissimo scrive una delle opere per le quali, ancor oggi, è ricordato: “Le vene aperte dell'America Latina”, dove ripercorre lo sfruttamento e la messa in schiavitù di uno dei continenti più ricchi di risorse minerali: 500 anni di colonizzazione che han portato l'America Latina alla situazione economica e politica attuale. L'opera non poteva circolare durante la dittatura militare cilena e argentina perché strumento di corruzione della gioventù.

Il libro “Donne” inizia con Sherazade, “dalla paura di morire nacque la maestria del narrare” (cit), passando per Tituba, la schiava nera erede di una tradizione di griot, Tituba dava voce a“racconti di fantasmi e leggeva il futuro nel bianco di un uovo” (cit); stiracchiando secoli la penna di Galeano tocca Calpurnia, moglie di Giulio Cesare che in sogno vide la morte dell'amato, per tornare ad oggi con Rigoberta Menchù, nobel per la pace e voce del popolo maya sterminato dal governo del Guatemala, e con le madri di Plaza de Mayo, “coro greco di un'antica tragedia” ritratte mentre fissano l'ambasciatore della dittatura argentina che prende l'ostia in una chiesa di Madrid, un esercito silenzioso che combatte con sguardi che non perdonano.

Donne che si sono fatte strada a fatica, distruggendo l'idea che “nasce la donna per produrre latte e lacrime” come la poetessa Alfonsina Storni “i suoi versi più popolari protestano contro il maschio carceriere” (cit), donne meno conosciute ma che hanno fatto tremare le impalcature patriarcali come Susan Anthony che nel 1873 viene condannata perché si era avvalsa del diritto di voto, o come Elisa e Marcela che si sposarono travestendosi da coppia uomo/donna nel 1901, costrette alla fuga per lo scandalo.

Non solo donne di carne descrive Galeano, ma anche Dee, come Tlazolteotl, la luna messicana, unica dea del pantheon maschilista azteco, dea luna che proteggeva le partorienti e i semi delle piante, dea colpevole della perdizione degli uomini, come Pandora. Corre zigzagando nella storia la penna di Galeano, tesa all'ascolto della voce femminile e ci regala l'immagine di Trotula, medichessa della scuola salernitana mentre porge ascolto, erbe e massaggi alle donne, in tempi in cui il coltello e la chirurgia erano la moda.

Tra le figuri femminili meno conosciute galeano tratteggia Juana Manso che nella metà dell'Ottocento fondò scuole laiche e miste, biblioteche popolari e inaugurò, con i suoi scritti e con la sua biografia il divorzio e l'ipocrisia coniugale o come Manuela Leòn che nel 1872 venne fucilata dopo aver sobillato i villaggi dell'Ecuador a non pagare tributi.

Galeano ci ricorda dove nasce la ricorrenza del 25 novembre, giornata contro la violenza alle donne: è il 1960 e 3 militanti contro la dittatura di Trujillo, le sorelle Malabar, nella Repubblica Dominicana furono gettate in un burrone dopo essere state picchiate.

La tradizione messicana insegna a seppellire i cordoni ombelicali delle figlie femmine sotto le ceneri della cucina, Galeano, con questo libro pieno di poetica verità, fa volare in alto quei cordoni, alti come aquiloni, finalmente liberi di essere vento.

 

EDUARDO GALEANO
DONNE
SPERLING 2017

January 23, 2017
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 I lavori presso la scuola "A. Amore"

« Il Premio Nobel della letteratura nel mondo » è il tema che i critici e gli scrittori dell’Associazione Internazionale dei Critici letterari hanno svolto nel loro convegno annuale che si è tenuto a Pozzallo, in provincia di Ragusa il 20 e 21 gennaio ultimo scorso.

Su invito ed organizzazione del prof. Corrado Monaca, Direttore Strategico per la cultura e il territorio, l’AICL è sbarcata per la seconda volta in Sicilia dopo il Convegno di Gela del 2001, in occasione del centenario della nascita di Salvatore Quasimodo.

Nel 2017 ricorrono i centociquanta anni dalla nascita del Premio Nobel Luigi Pirandello, del quale insieme al premio Nobel Grazia Deledda proprio nel 2016, appena trascorso, si sono celebrati gli ottanta

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 Alcuni dei delegati dell’Associazione Internazionale dei Critici letterari

anni dalla morte.

Per questo il Bureau Internazionale AICL, presieduto dalla professoressa Neria De Giovanni, ha invitato i delegati dell’Associazione a una riflessione sul valore dei Premi Nobel per la letteratura nei diversi Paesi del mondo.


Critici e scrittori provenienti da Spagna, Francia, Stati Uniti, Venezuela, Romania, Albania, Catalogna, oltre che da diverse città italiane; Roma, Taranto, Genova, Torino, si sono confrontati nella Scuola « A.Amore », presso l’Auditorium Paolo Monaca, appena inaugurato con la donazione da parte della famiglia Monaca di un busto di bronzo dell’artista Paolo Marazzi che con la sua arte unisce Baltico e Mediterraneo passando per Assisi.

Importante omaggio in apertura alla città che ospita il Convegno: la professoressa Grazia Dormiente ha intrattenuto gli ospiti relazionando sul carteggio inedito tra Giorgio La Pira e Salvatore Quasimodo.

Di indiscussa levatura gli interventi. Per la Francia, Andrè Ughetto ha parlato del Premio Nobel Federic Mistral e Jean Pierre Castellani di Albert Camus; per la Spagna Angel Basanta, Segretario Generale dell’AICL, ha relazionato su Camillo Josè Cela, mentre le catalane Josefa Contioch e Lulisa Julià hanno parlato della diffusione in Catalogna dei premi Nobel italiani Deledda, Pirandello e Quasimodo. Anche il romeno Horia Alupului ha omaggiatol’Italia con una sua relazione su Grazia Deledda in Romania, e Tudorel Radu ha offerto un parallelo tra il nostro Pirandello e il romeno Brancusi mentre Stefan Damian, vicepresidente dell’AICL, ha relazionato sui luoghi di Salvatore Quasimodo. L’albanese Arjan Kallco ha omaggiato anche la Sicilia, parlando di Quasimodo, mentre

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 Il museo della fondazione Giorgio La Pira a Pozzallo

Andrea Guiati, cattedratico statunitense, ha parlato dell’ultimo premio Nobel, Bob Dylan.

Nutrita la presenza italiana: Silvano Trevisani ha parlato di Quasimodo, mentre il Dante dei Premi Nobel è stato il tema svolto da Giovanna Ioli. Montale e Quasimodo sono stati all’attenzione di Rosa Elisa Giangoia, e Sabino Caronia ha parlato di Pirandello tra Sciasia e De Benedetti. Antonio Maria Masia ha incentrato il suo intervento su Dario Fo. Mentre Bruno Rombi ha parlato di Neruda in Sardegna in rapporto a Grazia Deledda, Franco Idone, invece, ha raccontato dei Nobel che salgono e quelli che scendono… Dal Venezuela Antonio Mendoza ha offerto un ritratto della polacca Wislawa Szybroska.

 

Il convegno è stato occasione anche per una visita dei luoghi di cultura del territorio: a Pozzallo, dopo l’incontro con il Sindaco, c’è stata la visita dei delegati al Museo di Giorgio La Pira  e alla mostra didattica “ Pozzallo nel vortice del tempo - Pozzallo dalla preistoria al XXI secolo” allestita presso l’Istituto Comprensivo “A. Amore” . A Ispica invece hanno incontrato il Sindaco e visitato i luoghi di ” Divorzio all’italiana”, di Pietro Germi e di Montalbano, il famoso commissario della penna di Andrea Camilleri. A Modica c’è stata la visita alla casa di Salvatore Quasimodo e al famoso Museo del 20170121 123231 resizedcioccolato.

A conclusione del Convegno, come d’uso per gli incontri Internazionali dell’Associazione, è stato consegnato il Premio Europeo Farfa di cultura e territorio, che quest’anno è andato a esponenti del territorio ibleo.

January 13, 2017

La sapienza iniziatica occidentale ha preso strade insolite: pensiamo ai tarocchi (sviluppatesi come gioco di carte nelle corti rinascimentali) o riflettiamo sul disegno della campana che da bambini disegnavamo per terra, linee così simili all'albero cabalistico delle Sephirot. Per non parlare dell'altalena, gioco che sembra riflettere la festa greca delle Aiorie (dal mito greco di Erigone e Icario).
Molti sono i significati esoterici nascosti all'interno del gioco dell'Oca.

“Il gioco dell'Oca è il gioco del pellegrino che si mette per via sognando il ritorno a casa, dove vivono il Padre e la Madre in beata unità: quella che si irradia nella molteplicità senza perdersi” (cit.). Ma partiamo dall'animale totemico che dà il nome al gioco.
È sul dorso di un'oca che Hansel e Gretel tornano a casa, sono le oche del Campidoglio a dare l'allarme per la sopraggiunta dei Galli invasori. L'oca ha una natura celeste e solare (in contrapposizione al cane, animale psicopompo), è un animale sacro per la tradizione nordica ( i Celti proibivano la caccia di uccelli nobili come l'oca e il cigno). Oca e cigno si equivalgono simbolicamente, per gli Egizi il cigno è “l'oca del Nilo”: 4 oche venivano lanciate ai 4 punti cardinali per salutare l'incoronazione del faraone, l'oca è il simbolo geroglifico dell'imperatore.
A Roma è l'uccello di Giunone (insieme al pavone), la moglie di Brahma,Sarasvati, avanza su questi due stessi uccelli recando fra le mani un fiore di loto.

Si lancia un dado: i giochi di dadi erano permessi solo durante i Saturnali nell'antica Roma, il dado, con i suoi 12 angoli, simboleggia l'ordine materiale del mondo che viene dinamizzato nel lancio nel quale ognuno “gioca i suoi dadi”.
La prima casella parte come Io e torna come Noi: la prima casella, infatti, è direzionata verso la meta finale. Il gioco si snoda su 63 o su 90 caselle, due numeri per nulla casuali: 63 è la moltiplicazione di 7 e 9 , 9 è il numero del compiuto, prodotto della perfezione trinitaria. “7 è il numero di un affinamento interiore sofferto e costante, vivificato dalla presenza di veder esaltata la propria umanità nella rivelazione divina” (cit).
“Sette per nove, carne e spirito, spazio profano e spazio sacro, tempo ed eterno” (cit).
Il viaggio sul dorso di un'oca passa attraverso caselle “feriali” e caselle iniziatiche, come il ponte, simbolo della vertigine del passaggio, del collegamento, e la locanda, simbolo del nutrimento fisico, ma anche luogo di scambio e di incontri, zona di confine nella quale è necessari avere fiducia per mettersi nelle mani di estranei che curino il tuo cibo e il tuo riposo. Il pozzo (casella 31) è una bocca spalancata sul cielo, è intimità, raccoglimento, ritorno al grembo e all'umidità della placenta; collegata al pozzo, ma con nota negativa, è la prigione (casella 52), simbolo della vergogna. La casella 42 è il labirinto, immagine ben espressa dalla mitologia di Minosse e il Minotauro, è labor intus, lavoro interiore; al n. 58, infine, troviamo la morte.
Il libro di Roberta Borsani, arricchito da citazioni letterarie antiche e moderne e da approfondimenti etnoantropologici, è unico nel suo genere, e ben inserito all'interno di una collana “Amore e psiche” dell'editore Moretti e Vitali che offre titoli di grande qualità e intraprendenza.

“Il gioco dell'Oca è una bella e complessa metafora per dire che scegliendo liberamente ciò che ci è stato dato da vivere noi possiamo farne un viaggio, un viaggio verso casa” (cit.)

Roberta Borsani
Sul dorso di un'oca:
il simbolismo inziatico del Grande Gioco
Moretti e Vitali editore

January 10, 2017

   Elio Meloni è educatore, maestro di scuola elementare, formatore e pedagogista. Ha lavorato e lavora per scuole, enti locali, agenzie educative e formative, aziende, università, dedicandosi anche alla scrittura di articoli e saggi. L’editrice Claudiana ha recentemente pubblicato un suo gradevolissimo libretto dedicato al tema della “cortesia”. Più che una apologia di questo valore sempre meno facilmente rintracciabile nel nostro incupito mondo, il suo è una sorta di manuale per chi volesse aprirsi all’esperienza della gentilezza in modo ampio ed efficace, al fine di trarne giovamento interiore e al fine di costruire relazioni umane più ricche e più belle.

La gentilezza, dice Meloni, migliora le relazioni e “come l’olio ne tiene puliti gli ingranaggi”. La gentilezza è simile alle vitamine “piccole sostanze che tengono in salute l’organismo”, anzi, è paragonabile ai fiori che intelligentemente vengono fatti crescere negli orti: non come utile cibo per essere mangiato, ma per donare bellezza all’insieme, per rendere meno gravoso il lavoro quotidiano, per ricordarci che anche nel lavoro più faticoso è possibile incontrare piacevolezza. Ricevendola e comunicandola …

Meloni, quindi, ci propone una sorta di terapia dell’anima. Ispirandosi a varie fonti, da Paolo al buddhismo, da Ignazio di Loyola a Baden Powell, da Thich Nhat Hanh ad Anselm Grun, ci spiega che la gentilezza ci aiuta “ad allargare il cuore” e a rendere “più leggera la perseveranza”, e che ci

     “Rende grati per ogni cosa, ed è il risultato della gratitudine. Facilita il gioco e la messa in gioco, ed è il frutto di un gioco ben fatto!”

   Il libro di Meloni è un libro saggio e salutare. Ben vengano libri come il suo, capaci di insufflarci dentro sana e serena gioiosità, capaci di ricordarci il valore del distacco e la bellezza di un altruismo non nato “dallo sforzo titanico di essere buoni”, ma “dall’osservazione della comune appartenenza a una storia e a un luogo: la Terra”!

 

Elio Meloni
Cortesia
Pratiche di gentilezza quotidiana

Claudiana
Torino, ottobre 2016
www.claudiana.it

December 10, 2016

L’autrice romana Maria Letizia Putti torna ad affascinare i lettori con un nuovo romanzo dal titolo curioso ‘Lo scrittore non ha fame’ edito da Graphofeel, dopo il notevole successo della biografia romanzata de ‘La signora dei baci. Luisa Spagnoli’. Il libro è frutto di un percorso di scrittura in costante evoluzione. Una scrittura in movimento, che lascia intuire la volontà di mettersi in gioco partendo dalla storia di un uomo qualunque, un bibliotecario pendolare con due grandi passioni: la scrittura e la musica. La sua quotidianità divisa tra lavoro, famiglia e amici, prende una direzione insolita, quando l’ispirazione prende il sopravvento e le parole si susseguono tra i fogli, fino a dare forma ad un romanzo. Arriva il confronto con un editore, la pubblicazione e l’inaspettato successo. E si sa che non sempre è facile gestire qualcosa che non si conosce fino in fondo. L’autrice ci porta ad intuire i dubbi, le paure, le gioie e le ambizioni di uno scrittore che scopre il sapore della fama, fino a perdere i riferimenti del proprio equilibrio. Verrà il momento di fare delle scelte. Un viaggio interiore ed esteriore tra le emozioni, che rivela luci ed ombre di una realtà non facile da comprendere. Incontriamo la scrittrice proprio per capire meglio che cosa l’ha portata a pubblicare questo libro.

Dalla biografia romanzata de “La signora dei baci. Luisa Spagnoli” al romanzo “Lo scrittore non ha fame”, cosa è cambiato nella sua scrittura?

“Ho scritto il romanzo dello scrittore prima di quello sulla Spagnoli, ma le scelte editoriali della Graphofeel hanno dato la priorità alla Spagnoli. Nessun cambiamento nello stile di scrittura: “La Signora” è redatto al passato in terza persona, mentre “Lo scrittore” è al presente raccontato da un io narrante, come un diario; nei numerosi dialoghi ho usato, come impone la verosimiglianza, un linguaggio familiare, in qualche caso anche gergale, fiorentino, romanesco, italo-americano.

L’allungarsi dei tempi per la pubblicazione dello “Scrittore” mi ha dato modo di rileggere e di apportare qualche ripensamento. Un testo non è mai “congelato”, ogni volta che rileggo quanto ho scritto sono portata a limare, rivedere, modificare…Mai contenta della mia scrittura devo forzarmi a mettere un punto fermo e scrivere FINE, altrimenti proseguirei all’infinito…”

Il titolo del nuovo libro è piuttosto curioso, perché lo scrittore non ha fame? Cosa significa?

“Suscitare curiosità su un romanzo che parla di uno scrittore era l’intento che ha portato a creare un titolo dall’apparenza bislacca, pronto per essere interpretato secondo diverse chiavi di lettura: lo scrittore non ha fame perché quando è concentrato nello scrivere perde la nozione del tempo e dimentica di mangiare. Ma può essere solo un gioco di parole tra fame, una condizione comune a tutti i mortali, e Fama, la gloria a cui aspira chi scrive. In realtà nel testo troviamo il protagonista amante delle tavolate e della buona cucina, anzi, negli episodi di maggior tensione emotiva, Andrea sottolinea a gran voce la necessità di soddisfare i brontolii dello stomaco”.

Il protagonista è un bibliotecario pendolare. Un uomo che si divide tra lavoro, famiglia e due passioni: la scrittura e la musica. Che cosa l’ha portata a definire la personalità di Andrea?

Le Rocce 1 
 Le rocce

“Mi piaceva l’idea di cimentarmi con una favola moderna: nella vita quotidiana ci si scontra con mille difficoltà, nel romanzo un individuo normale riesce con le sue sole forze e con doti innate di scrittore ad emergere. Mi è piaciuto per una volta capovolgere gli schemi tradizionali: se non si conosce qualcuno non si può tentare la scalata al successo, ormai è un assioma ben chiaro della quotidianità contemporanea. Quindi questa storia è quasi una rivincita delle capacità personali sulle consuetudini attuali: una serie fortunata di circostanze e talento da vendere fanno aumentare la notorietà del protagonista fino a obbligarlo, con sofferenza, a scegliere tra la musica e la scrittura, a scapito della prima”.

C’è un elemento fondamentale nella scrittura di Andrea: l’osservazione. Anche per lei è essenziale scrutare il mondo, la gente, gli elementi per poi dare forma alla sua creatività?

“Per quale scrittore non è fondamentale il proprio vissuto e il mondo che lo circonda? C’è sempre qualcosa di personale in quello che si scrive, anche impercettibile, anche infinitesimale ma c’è. Diffidate di chi sostiene che i propri scritti sono pura e totale invenzione!”.

Se dovesse scegliere uno scrittore del passato a chi assomiglierebbe Andrea?

“Penso a nessuno, perché Andrea è una mia invenzione, non una persona reale. Non so cosa abbia scritto, quale sia il suo stile, non ho letto nulla di suo, l’ho solo immaginato e descritto, fino a raccontarne i successi ma null’altro. L’ho creato geniale, di talento, gli ho fatto scrivere parecchi lavori, di cui conosco le trame, ma non lo stile o la profondità dei contenuti; è qui che entra in gioco la valenza surreale dell’aver fatto di uno scrittore il protagonista di un romanzo!”.

Scrivere comporta un confronto con i lettori e con la critica. Se va bene si arriva ad assaporare il successo. Lei che rapporto ha con i suoi lettori?

“Sono ancora troppo “giovane” come scrittrice (non in senso anagrafico, ovvio!) per avere il termometro di quali siano i miei lettori e per poterne descrivere il rapporto. Per quel poco che intuisco, mi sembra che ci siano apprezzamenti, ma non mi piace parlare di me stessa, mi sembra di autoincensarmi e non è nelle mie corde. Lasciamo fare al tempo…”.

Che cosa si aspetta da questo romanzo?

“Che i miei venticinque lettori, reminiscenza manzoniana, apprezzino il frutto del mio ingegno”.

 

Maria Letizia Putti è romana, “emigrata” nella Tuscia meridionale. Laureata in Archeologia e topografi­a medioevale, ha insegnato storia dell’arte e collaborato con la Rai come scrittrice di testi radiofonici. Da anni si occupa di conservazione del materiale librario antico e moderno presso una biblioteca scienti­fica statale. Autrice di articoli tecnici e appassionata cultrice di musica, ha esordito nella narrativa con Il passato remoto (2014, riedito nel 2016 come e-book). Per la Graphofeel ha scritto la biogra­fia romanzata La signora dei Baci. Luisa Spagnoli (2016).

November 30, 2016

L'autrice di “Prima di Eva” torna in libreria con un nuovo libro che accompagna il lettore nella terra della mito-archeologia.

Cosmesi e cosmo hanno la stessa radice, “kosmeo” indica “mettere in ordine”: la cosmesi, dunque, è l'arte di trasformare e trasfondere nel corpo la bellezza originaria dell'antica Dea creatrice. Il passaggio da femmina a donna ha portato con sé un nuovo modo di rispettare il corpo e il cosmo: coltivare la bellezza e difenderla è ciò che ci ha reso umani.

La femmina ludens si esprime per simboli, dà inizio al gioco della seduzione, sganciando il sesso dal solo istinto di procreazione, facendolo diventare strumento di piacere e di comunicazione profonda.

Il rituale del trucco aveva nell'antico Egitto una propria Dea: Seshat, “colei che scrive”, Dea del trucco, ma anche Signora dell'architettura (definiva l'orientamento degli edifici in base agli astri) e dell'arte sacra della scrittura. L'intuizione dell'autrice è affascinante: il trucco del viso e del corpo è stata un' invenzione femminile per comunicare saperi iniziatici. “L'archeo-mitologia conferma che la scrittura pre-alfabetica era praticata dalle sacerdotesse della Dea in molte culture”(cit).Nisaba è la dea della scrittura sumera, Vac quella dell'India. Reithia nel paleo-Veneto. L'immagine della scrittura corporea richiama subito l'henné con il quale le donne indiane dipingono mani e braccia. “Forse la cura della mani fu uno dei primi maquillage inventati dalle femmine per allargare l'interesse prevalentemente erotico dei maschi nei loro confronti, a possibilità più articolate di comunicazione umana”(cit).

Lo specchio era, in origine, oggetto divinatori: i primi specchi erano in ossidiana levigata o piatti di ceramica colmi d'acqua. Il simbolo egizio del'immortalità,l'Ankh, ricorda la forma di uno specchio tondeggiante.

Il truccarsi le labbra “fu un'invenzione rituale femminile, una magia di fecondazione cosmica” (cit.), connesso al gesto di mostrare il sesso per ingraziarsi la Dea del raccolto.

Il momento del trucco come rituale iniziatico egizio è probabile che avvenisse all'alba (Aurora, Bastet, Albina, Eos, Sul, sono tutti nomi di Dee connesse al sole che nasce ad Est).

Non solo le labbra e gli occhi sono parti del corpo valorizzate, ma anche le orecchie: alcuni menhir in Corsica “hanno la parte femminile con seni e grandi orecchie rivolti all'alba e la parte fallica rivolta al tramonto” (cit). Orecchio come simbolo della parola nascente e creativa.

Il resoconto di viaggio tocca, oltre a Creta, anche la terra turco/curda, e, attraverso le parole evocative dell'autrice, riusciamo ad immergerci in siti archeologici affascinanti e poco conosciuti.

Nella parte finale un'intervista svela nuovi punti di vista. Mi colpisce la risposta alla domanda “Com'era la storia della mela e del serpente prima del patriarcato?”

“La mela riguarda il segreto della fermentazione, trasformare la frutta in alcol era un'attività gestita nel'ambito della non-religione della Dea”(cit). Il patriarcato impedirà alle donne l'estasi alcolica ritualizzando, però, tale privilegio all'interno della messa cattolica.

Il libro si chiude con ricette di cosmesi naturale dalla tradizione antica e moderna.

Un libro davvero originale, per partire alla ri-cerca della Dea che vive e pulsa in ognuno di noi, seppur nascosta in simboli, segni sul corpo, gesti quotidiani.

 

LUISELLA VEROLI
DAL COSMO ALLA COSMESI
Iacobelli editore 2016

October 22, 2016

L’etnologo MarcAugè è riuscito a trascinare il lettore in un sogno condiviso.

Tutto iniziò... l'anno prossimo, il 18 aprile 2018, quando dal balcone di San Pietro Papa Francesco afferma con voce chiara e precisa che Dio non è mai esistito.

Dio non esiste: tre parole danno inizio alla deflagrazione culturale.

Un mondo senza Dio. Cosa accadrebbe se la massima autorità della chiesa svelasse questa verità?

Dibattiti in tv, gente sbigottita che si ritrova orfana di un'idea sulla quale aveva riposto speranze, e alla quale, in alcuni casi, aveva dedicato l'intera vita.

Attentati islamici per conquistare l'Occidente in agonia, cinesi che mandano missionari in Occidente per convertire alla filosofia confuciana, Paesi che costringono i cattolici a scegliere una delle religioni ancora riconosciute... Forse l'opera iniziata dalle parole di Papa Francesco andrebbe conclusa.

Infatti dietro questo sconvolgimento della religione che da secoli si è considerata “universale” (l'etimologia della parola cattolico deriva dal greco katà e òlos cioè “tutt'uno, tutto intero”, in senso più ampio, “universale”) si cela il piano segreto di un movimento dal nome “Librement: movimento per la libertà e la resistenza mentali”. Sono loro i responsabili di tutto questo ed è uno di loro a interloquire con l'autore del libro e a promettergli nuovi sviluppi, perché tutto è appena cominciato.

“Non c'è alcuna rivelazione. Al contrario siamo ora in grado di donare a qualunque essere umano un'arma che elimini -una volta per tutte – quei cortocircuiti e quegli angoli oscuri che paralizzano il suo pensiero. Gli offriamo la possibilità di posare sul mondo uno sguardo sereno, curioso e attento e di godere senza remore delle sua capacità intellettuali e del piacere di vivere”

Come può raggiungere questo scopo il movimento Librement? Attraverso una sostanza che si scioglie in gocce d'acqua e che arriva a diffondersi come una silenziosa epidemia inarrestabile.

Le moschee, le chiese, i templi diventano da subito luoghi “antichi”, le passate cerimonie religiose si fanno attrazioni turistiche etnografiche, cadono le dittature edificate su fondamenta religiose, le donne sono libere di sciogliere i capelli, le somme investite nella guerra contro il terrorismo sono devolute a favore della disoccupazione e dell'istruzione.

“Vedi, la gente ha capito che dietro la parola “Dio” si nascondeva quanto di migliore custodiscono in sé gli esseri umani: la loro piena consapevolezza della vita”.

Un bel sogno, soprattutto perché collocato nel futuro imminente.

You may say I'm a dreamer. But I'm not the only one. I hope someday you'll join us. And the world will be as one risponderebbe John Lennon.

Sul finale scopriamo chi è l'uomo del movimento Libremen, colui che, insieme ad altri, ha dato origine alla rivoluzione, un uomo che non può che venire dal futuro personale che ognuno di noi, in modo concreto o simbolico, si porta dentro: un figlio.

Marc Augè:

Le tre parole che cambiarono il mondo

Raffaello Cortina editore 2016

 

October 17, 2016

I delitti della primavera, quarto romanzo per l’autrice Stella Stollo, è ora disponibile in lingua inglese con il titolo ‘The Botticelli Killings’. Il libro edito da Graphofeel continua ad ottenere consensi sia dai lettori che dalla critica e presto raggiungerà anche la Fiera del Libro di Francoforte che si terrà dal 19 al 23 ottobre 2016 nella città tedesca. Il thriller storico risulta avvincente sin dalle prime pagine, la scrittura è fluida e incisiva, raffinata ed avvolgente. Siamo nella Firenze di fine 1400 e la città medicea viene sconvolta da una serie di delitti. Accanto ai corpi delle vittime, tutte donne appartenenti alla ricca borghesia, vengono trovati oggetti che richiamano al dipinto “L’allegoria della primavera” di Sandro Botticelli. E sarà proprio attorno a quest’opera che si svilupperà un intreccio narrativo davvero emozionante tra personaggi reali ed altri di pura fantasia. Incontriamo Stella Stollo per saperne di più.

The Botticelli Killings, un nuovo traguardo per il libro “I delitti della primavera”, come è nata l’edizione in lingua inglese?

“L’edizione in inglese è di sicuro un traguardo importante e sono grata alla casa editrice Graphofeel per avermi aiutata ad arrivare fin qui. La traduzione eseguita da Juliet Bates (insegnante madrelingua, psicologa e traduttrice con una passione particolare per testi storici e contenuti esoterici) rispecchia con acume e sensibilità lo spirito del testo e dei personaggi. La copertina per la nuova edizione, realizzata dal grafico Carlo Vignapiano, è magnifica. Insomma, la soddisfazione è grande, ma speriamo di non fermarci qui e che si presentino altri traguardi da raggiungere… magari il libro ha in serbo nuove sorprese!”

Il romanzo prende forma intorno al dipinto “L’allegoria della primavera” di Botticelli, che significato ha per lei quest’opera?

“Rappresenta una concezione dell’arte: bellezza sì, fatta di grazia e armonia e specchio di una realtà ideale, ma bellezza non fine a se stessa. Nel mio libro Botticelli e Leonardo concordano su questo: I poeti hanno i codici linguistici e possono nascondere i loro messaggi tra le parole. Noi pittori possiamo parlare solo attraverso il linguaggio dei segni e i codici numerici. Nonostante più volte nel romanzo venga evidenziato come il modo di dipingere dei due artisti sia molto diverso, viene anche ribadito che la loro pittura si basa sullo stesso presupposto: entrambi ritengono che l’arte sia tutt’uno con la scienza e possa contenere e comunicare tutto il bagaglio delle conoscenze umane.

Botticelli non diede mai un titolo al suo capolavoro e il nome “La Primavera” gli è stato attribuito sulla base di una delle chiavi di lettura dell’opera, quella allegorica. Nel mio romanzo il pittore afferma che avrebbe voluto chiamarla “Il Viaggio”, riferendosi al viaggio dell’umanità attraverso un’alternanza ciclica di secoli bui e secoli di luce. Il compito delle opere d’arte è quello di brillare al pari di tutte le stelle destinate a guidare, nelle lunghe notti, l’umanità in viaggio.”

Cosa l’ha portata ad ambientare la narrazione nella Firenze di fine 1400? Come si è documentata per affrontare questo preciso momento storico?

“Certo, avrei potuto imbastire intorno a “La Primavera” una storia ambientata ai nostri giorni, magari con degli investigatori impegnati a collegare le figure del quadro ai noti delitti del “mostro” di Firenze , ma la tentazione di spostarmi nel passato era troppo forte. Anche come lettrice ho un debole per la narrativa storica oppure per la fantascienza che parla di viaggi nel tempo, e scrivere un romanzo a sfondo storico è senz’altro una fantastica “Macchina del Tempo” . Il lungo e necessario periodo della documentazione ha il potere di catapultarti in un’altra epoca e di farti rivivere eventi e atmosfere per le quali inizi a provare nostalgia, come facessero parte della tua vita passata. E in un certo senso è così, perché fanno parte del passato dell’Umanità. Ci sono epoche che mi attraggono particolarmente e in cui ho sempre desiderato soggiornare per un po’, epoche che sono sempre legate a luoghi: una di queste è il 1400 a Firenze.”

Un killer, delle vittime, una serie di oggetti, tutti elementi per uno sviluppo narrativo che si avvicina al thriller storico, pensa sia giusto come genere di riferimento al suo libro?

“In realtà, preferirei superare i confini del genere. Il mio romanzo come l’opera a cui si ispira, offre diverse chiavi di lettura e molteplici contenuti. All’interno dello sfondo storico della Signoria dei Medici, con i suoi fasti e il fervore culturale del nuovo Umanesimo, si incastrano storie di vario genere: artistico, filosofico, sociale, sentimentale. E poi c’è anche l’intreccio dei crimini che è una sorta di collante tra tutto il resto. Autori ben più autorevoli di me hanno usato la tecnica del poliziesco o del giallo per veicolare altri contenuti e riflessioni politiche e sociali. Ma non si tratta solo di questo. Nel mio caso devo dire che la disciplina di scrittura, la logica e il ritmo serrato tipici del Thriller mi hanno aiutata a non perdere l’orientamento tra le varie storie che andavo costruendo e a procedere con una certa coerenza narrativa.”

Botticelli, Lippi e la bellissima Simonetta Vespucci, sono al centro della trama in un triangolo di relazioni e sentimenti. L’io narrante è però Filippino Lippi, perché questa scelta?

“Tralasciando la mia infatuazione adolescenziale per Filippino Lippi ormai nota e il fatto che per anni ho girato con la cartolina del suo autoritratto nel diario, penso di averlo scelto come io narrante perché tra tutti i personaggi reali del mio libro è il meno famoso. Ingiustamente, a mio avviso, il suo grande talento di pittore è stato oscurato dalla fama di suo padre Filippo e da quella, enorme, del suo maestro Sandro Botticelli. Un specie di rivalsa, insomma. Così come cerco di dare una nuova immagine di Simonetta, passata alla Storia come musa di straordinaria bellezza fisica, mettendo in evidenza la bellezza della sua personalità brillante e la sua mentalità trasgressiva e moderna. Al contrario, trovando ingiusto che di Leonardo da Vinci venga sempre lodata la mente eccezionale e nell’aspetto fisico sia sempre ricordato come un vecchio con la barba e i capelli bianchi, ho voluto esaltare il fascino ammaliante e seducente del suo corpo giovanile.”

Il romanzo seppur ambientato nel passato ha chiari riferimenti con fatti di cronaca attuali, come i tanti casi di femminicidio, è così?

“Questa è una delle preziose opportunità offerte dalla narrativa a sfondo storico: evidenziare come nel corso dei secoli restino immutati certi atteggiamenti dell’animo umano. Sono passati ben oltre cinque secoli da quell’epoca, ma purtroppo assistiamo continuamente al ripetersi degli stessi orrori. Il fenomeno chiamato femminicidio è l’estrema conseguenza delle forme di violenza esistenti contro le donne e affonda le sue radici in pregiudizi, discriminazioni di genere e comportamenti che vengono da epoche molto lontane nel tempo, e che i governi di tutto il mondo non si sono mai impegnati seriamente a eliminare.”

Secondo lei cosa apprezzeranno i lettori anglofoni di questa edizione?

“Spero quello che hanno apprezzato finora i lettori italiani, ovvero l’ingenuità ma anche l’umiltà con cui mi sono posta di fronte a una materia di cui non conoscevo nulla; l’impegno e la serietà nel documentarmi per ricreare un contesto con personaggi e situazioni verosimili o comunque probabili. E magari li stuzzicherà l’idea che “La Primavera” possa essere stata dedicata da Botticelli al suo amico Amerigo Vespucci come talismano propiziatorio al viaggio verso il Nuovo Mondo.”

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