L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni.

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Andrea Signini
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August 07, 2015

Malefica è la fata cattiva. È arrabbiata perché non è stata invitata al battesimo di Aurora, la figlia del Re, e per vendicarsi scaglia la sua maledizione sulla bambina appena nata. Questo ci racconta la fiaba della Bella Addormentata. Ma dove nasce questa rabbia? Il personaggio di Malefica merita che la storia venga raccontata dal suo punto di vista.

La rabbia di Malefica è antica, come ci racconta l'autrice, Maura Gancitano, una rabbia che muove dal dolore e dalla sconfitta del femminino sacro.

Il film Maleficent, uscito sul grande schermo nel 2014 (regia di Robert Stromberg e sceneggiatura di Linda Woolverton) ripercorre la storia della fata Regina della Brughiera, una fata felice che cura gli alberi spezzati, scherza, vola con le sue ali. Possiede le ali, come ogni fata, ma ha anche corna e unghie, che la rendono un trickster, una creatura di confine,un po' fata, un po' donna, un po' bestia, e come ogni figura limite non può che portare ad un'iniziazione, ad un cambiamento.

Prima di diventare cattiva, Malefica era un' Artemide completa nel suo habitat, finché non incontra Stefano, (il cui nome significa “Corona”) ragazzo che ambisce al castello, al potere, al regno. Malefica mostra a Stefano le meraviglie della Brughiera, territorio selvaggio mai esplorato, del quale gli uomini avevano timore.

Oggi è Malefica chi non accetta di appiattirsi, di aderire a un'immagine ad una dimensione, di obbedire e ascoltare. Chi non segue le norme, il quieto vivere,gli schemi. Chi accetta di vivere in autonomia, senza appoggiarsi a qualcun altro, imparando a fare ciò che ancora non sa fare, andando oltre i propri limiti, in piena libertà.

Stefano e Malefica si baciano, quel bacio per lei è il dono totale di se stessa, per Stefano, invece, è l'inizio della fuga da ciò che quel bacio-spiraglio gli aveva mostrato.

Stefano addormenta Malefica, la inganna, le strappa le ali, simbolo del movimento, della libertà. Agisce per la corona, per non indossarla solo nel nome.

La sconfitta, il tradimento, la rabbia avvicina Malefica a Lilith, prima compagna di Adamo, la quale aveva chiesto parità e accettazione, a Medea, tradita da Giasone, alla sumera Inanna, che vede il compagno Dumuzi salire al trono durante la sua assenza per incontrare (integrare) la sorella oscura. Un incontro, quello tra maschile e femminile che da un certo momento in poi è diventato paura, asservimento, rabbia, sconfitta.

Come fare per tornare a volare? Occorre riprendere possesso di sé, del proprio potere personale. Quel potere che ha fatto tanta paura a Stefano (patriarcato/Chiesa/società) tanto da portarlo a tradire Malefica.

Uno dei passi è quello di recuperare l'istinto naturale dell'aggressività che è stato soffocato dalla donna per riemergere e canalizzarsi in nevrosi (come afferma Marina Valcarenghi nel libro “L'aggressività femminile”), un istinto represso che porta, spesso, le donne carcerate a farsi a loro volta carceriere di altre donne, affermando la stessa logica di dominio patriarcale.

Perché manca un ordine simbolico al quale far riferimento, un ordine simbolico che necessita di essere creato.

E questo è il messaggio finale del libro (e del film): un’ unica terra, una nuova “Aurora” che integri i due mondi, femminile e maschile, Animus e Anima.

Dopo aver sciolto la rabbia ed essere diventate Regine, abbiamo il dovere di aiutare l'uomo nel suo cambiamento, senza allontanarlo e senza svilirlo. Si tratta di qualcosa ancora in embrione, che non tutti gli uomini sono pronti a fare. Ma è una trasformazione in atto, quasi una speciazione.

 

Maura Gancitano

Malefica: trasformare la rabbia femminile
Edizioni Arte di essere, 2015

July 15, 2015

“Gioisci, Maria” è la traduzione di quel Khaire che in latino diverrà un semplice saluto romano. Meravigliati, Maria, non ostacolare la gioia, né lascia che altri la ostacolino.

Maria di Nazareth siamo noi, è una potenzialità dell'individuo che aspetta di essere liberata.

Il Signore è mediante te, non con te, come hanno riportato le traduzioni.

E quel figlio è l'Io, il futuro che Maria potrà essere nelle sue infinite possibilità.

Chi comprende questo messaggio fino in fondo non può che essere “oltre” il sistema condiviso, e così è la traduzione di MeRiY, che significa “disobbedienza”.

Ogni libro di Igor Sibaldi riesce a porre una cesura, ad alimentare la disobbedienza verso ciò che altri hanno sempre raccontato. È un percorso di conoscenza che apre nuove e inaspettate strade.

Così è questo libro, di cento pagine, dove viene interpretata secondo nuovi punti di vista niente di meno che l'annunciazione. L'arcangelo invita, quindi, alla disobbedienza e indica come farlo, indica le vie di diserzione verso chi vuole imporre qualcosa agli altri, ciò che la tradizione chiamerà ossimoricamente “comandamenti”: questi vengono riletti semanticamente attraverso la filologia ebraica e greca.

Possibilità, molteplicità, futuro...così D-Io crea l'uomo, che può, però, anche scegliere di limitarsi, di ridurre il diametro delle sue ali, fin quasi a farle scomparire. Come? Creando uno e più insieme di tanti: famiglia, stato, religione, razza e così via, nei quali l'Io è in un ingranaggio senza splendore, nei quali il passato è più importante del futuro, perché è certo, perché è stabile, perché è storia.

Cosa fa Maria? Riesce ad incarnare il suo nome? Riesce l'Io nuovo di Maria a scavallare il passato, a salvarsi dal mondo (invece che salvare il mondo), a sfidare i poteri e i sistemi?

In questa seconda annunciazione l'Arcangelo ripete il messaggio, ma con parole nuove, e dà una nuova opportunità alle Marie di oggi, perché abbandonino il passato e ciò che sul passato ha creato ragnatele di potere e si lascino avvolgere dal buio della possibilità piuttosto che dalla luce che viene da un'unica sorgente.

Ed è lì, in quel buio, che tu sati concependo, ora, in tutte le dimensioni di quel che comincia ad avvenire. Sempre comincia. Vivilo, e reggi alla gioia che ti do, non ne fuggire, Mery.

Silvia Pietrovanni

 

IGOR SIBALDI: LA DISOBBEDIENZA
ANIMA EDIZIONI 2015

June 03, 2015

Silvia Pietrovanni

Le storie raccolte in questo libro sembrano nascere come sussurri antichi della terra.

Sono storie che l'autrice accoglie e raccoglie dalla tradizione contadina, intrecciando la voce antica della memoria ad uno stile evocativo e prezioso.

“La montagna mi ha chiamata” dice Isa quando parla dell'origine del libro.

La montagna, il colle del Montecchio, sceglie lei per farsi raccontare. 

Una antica leggenda parla delle Figlie della Luna, stirpi di donne che abitavano la montagna di Montecchio da tempo immemore, che si riunivano per ringraziare la terra con balli e canti attorno al fuoco, donne che sapevano volare cosparse di un unguento che lenisce ogni dolore. 

Le Figlie della Luna ritrovano voce attraverso la sensibilità artistica dell'autrice e attraverso di lei tornano a vivere anche quelle pietre misteriose, neolitiche, che scandiscono la salita al colle. Nelle pagine del libro, infatti, sono riportate le fotografie dei luoghi che fanno da cornice alle storie: la piana sacra, il masso della fertilità, la grotta dove si è consumato l'amore tra Bianca e Andrea, il trono della regina Isotta, il braciere, la tomba di Manul…   

Se la maggior parte di queste storie nasce dai racconti tramandati dalla tradizione popolare, o dalla memoria impressa nelle rocce antiche, a originare il penultimo racconto è un manoscritto datato 1347 nel quale si fa riferimento all'esecuzione sul rogo della strega Rita Angelutii con tanto di parcelle di compenso per chi ha partecipato attivamente alla punizione mortale.

Isa sale sul Montecchio, con l’intenzione di capire di più di quel foglio rinvenuto, e chiede a Rita di raccontarsi attraverso la sua penna. E così conosciamo la sua storia, la storia di una donna che per partenogenesi, in età avanzata, si scoprì incinta, ma la sua gioia inaspettata si trasformò in un dolore mai assopito, in anatema, in vendetta, in morte: in una delle prime documentate esecuzioni per stregoneria, nel 1347. 

Ero venuta qui solo per cercare le orme, le impronte degli antichi giganti della foresta, e invece ho scoperto che c’è qualcosa di molto più grande della notte e del giorno, del sole e delle stelle, perfino più grande e misterioso della vita e della morte. 

Intenso è lo stile che sostiene i racconti: i luoghi e i personaggi sono descritti con pennellate emotive, eco della prima espressione artistica di Isa, la pittura. Interessanti i riferimenti antropologici come le descrizioni dei riti, testimonianze di una tradizione secolare mai assopita, che si intrecciano alla narrazione rendendola ancora più viva. 

Pier Isa Dalla Rupe e l'editore Fefè organizzano delle passeggiate letterarie durante le quali “Le streghe di Montecchio” e “Il masso della fertilità” (due libri dell’autrice) vengono raccontati e fatti vivere nei luoghi che li hanno ispirati, ovvero il colle del Montecchio e il paese di Bagnaia, in provincia di Viterbo. 

La radice tiene l’albero piantato nella terra, ma è solo il vento che fa volare le foglie e i petali dei fiori; la radice rimarrà per sempre sepolta, nascosta sotto terra. Tu, figlio mio, sei il tronco di quella radice, sei l’albero vivo. Senza tronco non ci sarebbero rami, senza rami non crescerebbero le foglie, né i fiori, ma soprattutto, figlio mio, mai cadrebbero i succosi frutti sulla terra.

 

Pier Isa Della Rupe:
Le streghe di Montecchio
Fefè editore

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