L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni.

Kaleidoscope (1382)

Free Lance International Press

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July 28, 2020

 

Il primo ministro tunisino Elyes Fakhfakh si è dimesso dopo che nei giorni scorsi una mozione di sfiducia dell’opposizione era stata firmata anche dalle forze politiche che sostenevano il suo governo di coalizione. La mozione riguardava alcuni presunti conflitti di interesse del primo ministro.

Fakhfakh era stato incaricato dal presidente Kais Saied nello scorso gennaio dopo che dalle elezioni politiche non era risultato un chiaro vincitore. In una nota l’ufficio stampa di Fakhfakh ha chiarito che «la decisione è stata presa nell’interesse nazionale e al fine di evitare ulteriori conflitti tra le istituzioni nel paese e di sostenere il principio di moralizzazione della vita politica». Fakhfakh è accusato dalle opposizioni di conflitto di interessi perché possiede azioni di società che a cui sarebbero stati assegnati appalti pubblici, ma il primo ministro ha sempre negato ogni accusa.

 Frammenti che orbitano qua e là, individuati, carpiti; li commento e condivido con voi.

 

 

La Riflessione!

La vendemmia 2020, salvo ulteriori grandinate e affini, sembrerebbe “buona” ma…

le aziende sono piene del vino 2019 e senza soldi. Non demordono, annunciano sconti a non finire, attenzioni alla clientela “da ricordare”, ricerca continua dell’idea brillante per sbloccare i consumi. In particolare un’attenzione verso il mercato interno, il primo a ripartire. Si festeggia alla fine del lockdown con spumanti a go-go raggiungendo un buon 20% in più ma contemporaneamente registriamo divisioni “in casa” come quella della Valpolicella che non aiuta a superare questo particolare momento di ripartenza. Serve unità!

 

 

Frammento n. 1

Festeggiamo la ritrovata libertà

La Coldiretti, in una accurata analisi dopo il lockdown, sciorina numeri incoraggianti. Rispetto al maggio 2019 i consumi di spumanti, in grande maggioranza quelli italiani, sono cresciuti del 20%. In base ai dati pubblicati da Ismea gli acquisti si sono registrati nella spesa casalinga. Voglia di festeggiare tra le mura domestiche ancorché nelle movide.

 

 

Frammento n. 2

Avviso ai poeti, filosofi, sognatori. Anche questo è vino!

La Caviro, la cooperativa romagnola “la più grande d’Italia” (quella del Tavernello), investe 9 miliardi di euro nel mega stabilimento di Forlì. I numeri? 36.000 ettari, 12.400 soci viticoltori di sette regioni italiane, 183 milioni di litri venduti e quello che conta adesso 12 nuove assunzioni. "Caviro intende precorrere i tempi in un settore che vive una fase di grande evoluzione sia sul fronte packaging che per quanto riguarda la richiesta di qualità e servizio – ha evidenziato Simon Pietro Felice, Direttore Generale del gruppo Caviro - Si tratta di un'operazione che riteniamo fondamentale per accrescere la solidità della nostra filiera, migliorare il posizionamento sul mercato dei nostri prodotti, consolidare e sviluppare mercati esteri, ridurre l'incidenza dei costi di gestione e, auspichiamo, incrementare il livello di remunerazione dei nostri soci". Anche questo è Vino!

 

 

Frammento n. 3

Il Concorso del Pinot Nero d’Italia alla fine c’è stato!

Pochi giorni prima della totale chiusura. A Montagna in Alto Adige. I risultati pubblicati in questi giorni. Ha vinto Ludwig, il Pinot Nero di Elena Walch e giù giù nella classifica altri 9 altoatesini. Non sono mancate le polemiche alla pubblicazione. “Perché non togliere “d’Italia” e mettere “dell’Alto Adige”? hanno commentato in molti”. Chissà. Un caro amico altoatesino ebbe a dire “cosa sana e giusta”. I viticoltori di altre regioni:”Non c’è confronto possibile. I nostri sono diversi”.

 

 

Frammento n. 4

E quest’anno saranno 10. La FIVI festeggia

I vignaioli indipendenti aderenti alla FIVI (Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti) durante la Manifestazione che si terrà, come consuetudine, alla Fiera di Piacenza dal 28 al 30 novembre, festeggeranno il 10° anniversario della loro “unione”.   “Con la conferma del Mercato, i Vignaioli Indipendenti vogliono ritrovare il piacere dello stare insieme ma anche mandare un messaggio forte per la ripartenza del settore vitivinicolo e non solo - dichiara Matilde Poggi, presidente Fivi- Per la Fiera di Piacenza, nostro partner in questo progetto da anni, questa sarà la prima esposizione organizzata direttamente dopo il lockdown e le restrizioni dovute al Covid-19”. Noi di FlipNews ci saremo.

 

 

Frammento n. 5

Divisi alla meta

“Le Famiglie Storiche, ovvero le aziende Allegrini, Begali, Brigaldara, Guerrieri Rizzardi, Masi, Musella, Speri, Tedeschi, Tenuta Sant'Antonio, Tommasi, Torre d'Orti, Venturini e Zenato, nel commentare le recenti misure emergenziali che il Consorzio Tutela Vini della Valpolicella intende proporre, ribadiscono l'importanza di salvaguardare la reputazione e la riconoscibilità di uno dei vini simbolo del made in Italy nel mondo”.La polemica è sottile e sa di linguaggio politichese. Come dire:” Va bene tutto ma vi siete dimenticati…”. "Riteniamo che sia fondamentale riunire intorno a un tavolo tutti gli attori del mondo vitivinicolo del territorio e aggiornare il disciplinare, Abbiamo dato vita a questa Associazione proprio per contribuire a diffondere questo patrimonio con impegno, in Italia e nel mondo, e strenuamente intendiamo difenderlo". Visto da un esterno cosa semplice sarebbe, nell’intento di difendere la Valpolicella, incontrarsi e chiarirsi e non cambattere uno contro l’altro armato di soli archi e frecce. È l’Amarone che lo chiede.

Osservo, scruto, assaggio e…penso. (urano cupisti)

July 25, 2020


Nell’ambiente naturale la figura del capo è presente in quasi tutti i branchi di animali superiori. Il capo si impone al branco per la sua potenza fisica o (nel caso degli umani) perché in grado di proporsi come guida, in virtù di una maggiore esperienza o saggezza connaturata, o acquisita, che si rivela determinante in alcune decisioni a favore del gruppo.  

Il primo schema di potere si identifica con una base/massa e un picco al vertice, il capo accettato un pò per timore e un pò perché in gradi di garantire protezione e capacità di organizzazione contro eventuali nemici. Il suo potere si estende ai membri la sua famiglia. Dove c’è una base ed un vertice ci saranno inevitabilmente fasce intermedie che formeranno il “triangolo del potere”. E in realtà lo schema piramidale vero e proprio nasce quando alla figura del capo si associano individui attratti dall’interesse e che diverranno i consiglieri, persone di fiducia, (potere legislativo) e che andranno a collocarsi nella fascia successiva a quella della famiglia del capo.    A causa della necessità di gestire masse sempre più vaste nasce l’esigenza del potere esecutivo, cioè di individui preposti all’attuazione pratica dei programmi del capo, che vanno a collocarsi nella fascia dopo il potere legislativo, al di sopra della massa a seconda della loro vicinanza al potere del capo.   Accanto alla figura del capo va delineandosi la figura del sacerdote (destinata a contendere al capo il suo dominio) il quale, sfruttando l’innata tendenza dell’essere umano a credere nel  soprannaturale, si auto impone come messaggero della volontà divina. L’innata paura dell’imponderabile conferisce alla casta sacerdotale un forte potere al punto da rappresentare una vera e propria struttura piramidale parallela al potere temporale e capace di contendere al capo il suo dominio.

Si sviluppa spontaneamente, spesso di comune accordo e spesso in modo antagonista, la suddivisione del potere esercitato sulle masse: il primo nella gestione delle cose terrene, il secondo in quelle ultraterrene.     Qualunque dittatura o democrazia umana, qualunque gruppo tribale o animale, dove vengono imposte le regole del gruppo, si instaura automaticamente lo schema piramidale: non si è mai saputo di alcuna comunità organizzata ed evoluta, umana e non, che possa fare a meno di un capo ed avere la possibilità di organizzarsi per un fine comune, imporre la propria forza e difendersi da eventuali nemici.

 

Ma il capo non è infallibile, lui ed i suoi collaboratori possono rivelarsi inadatti perché disonesti, più inclini a curare i propri interessi che le aspettative del popolo. Questa è la causa di tensioni e contrasti interni in cui a pagarne le conseguenze sono sempre i più deboli. 

Ma se il potere non è in grado o non vuole debellare il “male” (che in un certo senso è ciò che giustifica l’esistenza stessa del capo) la soluzione del problema non sta nell’eliminare lo schema piramidale ma nel fare in modo che il capo sia scelto democraticamente dal popolo, o dal gruppo, non solo per le sue qualità di stratega ma soprattutto per i suoi valori morali, per la sua saggezza, per la sua condotta irreprensibile, per la sua coscienza giusta, leale e compassionevole. Il problema della cattiva gestione del potere non è dato dallo schema a piramide ma dall’uomo che lo incarna. Non è il meccanismo che rende l’uomo giusto o malvagio, ma l’uomo che lo rende utile o dannoso il meccanismo. La soluzione di ogni problema non sta al di fuori dell’uomo ma nell’uomo. I meccanismi che nascono dall’uomo sono imperfetti come l’uomo: per questo la storia è costellata di crimini, lutti e rovine: meccanismi imperfetti gestiti da uomini imperfetti.  

E’ nell’uomo che bisogna intervenire se si spera in una società migliore, altrimenti ogni pur lodevole iniziativa è inutile perdita di tempo: è come potenziare la carrozzeria di un’automobile per arginare i danni di chi guida in stato di ubriachezza. 

In qualunque organizzazione, industria o fabbrica, il lavoro è suddiviso in settori per ognuno dei quali è necessario un coordinatore che acquisisce maggiore responsabilità e quindi più potere decisionale. Ma è altresì necessaria la presenza del coordinatore dei coordinatori che a sua volta ha più responsabilità e quindi più potere.   In realtà l’idea di una società anarchica, a struttura orizzontale, senza picchi e senza capi, è solo un’utopia che rimanda ad un futuro lontanissimo in cui ogni umano sia in grado di autodeterminare armonicamente se stesso in relazione al gruppo/società. In un meccanismo senza capi e senza responsabili, diciamo a struttura “brancale” ognuno cerca i propri interessi indipendentemente se tornano a beneficio del gruppo: questo è ciò che preclude, e non ciò che favorisce, il progresso di se stessi e di un popolo. 

 

 

Anche nelle prime comunità cristiane (come in ogni altra comunità religiosa) ogni seguace o discepolo aveva la responsabilità di un gruppo. In ogni caso, gente di tal fattezza non si improvvisa. E’ necessario invece che sia educata, formata fin dall’infanzia, al senso della giustizia, del dovere, della condivisione, dell’onestà, della bontà, della responsabilità, della collaborazione, alla sensibilità dell’animo e soprattutto al senso critico dei fatti e dei personaggi della storia.La risoluzione dei grandi problemi sociali non sta in un meccanismo più o meno perfetto: in qualunque epoca e latitudine, sotto qualunque sistema politico, l’essere umano si è comportato sempre allo stesso modo: si è macchiato degli stessi delitti e si è distinto per le stesse qualità. Le sole isole felici sono state alcune comunità religiose che, animate dalla stessa fede in un ideale superiore,  hanno realizzato una società in  pace, in armonia e collaborazione. Ma anche in questo caso la struttura organizzativa è sempre piramidale e il vantaggio, più o meno condiviso, della presenza di un capo sempre è dipeso dalle sue qualità morali quando poste al servizio del bene comune.

July 21, 2020
 
 Recep Tayyip Erdoğan

Come sosteneva il filosofo Ernst Cassirer, l’uomo è un animale simbolico, ma a prevalere sono il più delle volte i simboli e le interpretazioni imposte dalla classe dominante; così il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, nell’ultimo decennio, ha imposto gradualmente, con il tacito assenso o con la complicità delle democrazie neoliberali, la sua simbologia imperialista e nazionalista: un miscuglio di espansionismo neo-ottomano e di nazionalismo etnico-confessionale, che gli ha consentito di erodere progressivamente l’eredità del padre della patria Mustafa Kemal

"La Turchia è diventata un potente attore regionale, a un livello mai visto nella sua storia recente. La posizione del nostro paese nel novero delle potenze globali sta crescendo ogni anno. Ora siamo più vicini che mai all’obiettivo di una Turchia grande e forte. Una volta che avremo portato con sicurezza il nostro paese fino al 2023, avremo reso la Turchia una potenza inarrestabile." Queste le parole pronunciate, agli inizio di luglio, dal presidente turco in occasione della cerimonia di inaugurazione della sede del ministero del Tesoro e delle Finanze nel quartiere di Ataşehir, a Istanbul. Un discorso dalla forte connotazione simbolica, che si inscrive da un lato nel quadro della metamorfosi graduale della linea politica di Erdoğan, da esponente di un islam moderato e moderno a portavoce di un neo-ottomanesimo rivisto in chiave islamico-nazionalista sia in politica interna, sia nelle relazioni internazionali. Una doppia narrazione che gli offre diversi strumenti per affermare un potere autocratico sullo scenario politico interno e al contempo a sugli scacchieri geopolitici regionale e mondiale. Infatti, da un lato gli consente di mantenere in una condizione di assedio militare permanente sia la popolazione curda e i suoi rappresentanti del Partito democratico dei popoli (HDP), sia l’opposizione kemalista del Partito repubblicano del popolo (CHP), emarginando al contempo il potere dell’esercito, che Mustafa Kemal Ataürk aveva strutturato sul modello del Comitato di salute pubblica dei rivoluzionari francesi del XVIII secolo; dall’altro gli permette di gestire gli equilibri con i partiti nazionalisti, che a prescindere dai risultati elettorali, godono di una notevole influenza sullo stato profondo: in primo luogo, il Partito di azione nazionalista (MHP, con il suo braccio armato, i Lupi grigi) di Devlet Bahçeli, che, come sottolinea Daniele Santoro di Limes, è l’uomo di collegamento con la CIA; secondo, il Partito del bene di Meral Akşener, l’avanguardia della Super Nato; e infine il Partito della patria (Vatan Partisi) di Doğu Perinçek che garantisce gli interessi russi in Turchia.

Ma è soprattutto nei delicati equilibri di forze regionali e mondiali, che Erdoğan gioca la vera partita, perché è dai risultati ottenuti su questo piano che si aspetta di essere maggiormente apprezzato dall’opinione pubblica turca. Possibilmente ancor più apprezzato del padre della patria Atatürk, che aveva reso grande la Turchia moderna come patria dei Turchi e dei Kurdi (malgrado la brutale repressione delle rivolte kurde, mentre una sorte ben più tragica era toccata agli Armeni) e che aveva fondato un modello di Stato laico con capitale ad Ankara, rompendo anche simbolicamente con tutti e tre gli imperi del passato, quello romano, quello bizantino, e soprattutto quello ottomano, tutti e tre con capitale a İstanbul. Parallelamente alla rivoluzione statale e amministrativa, che includeva l’adozione di leggi ispirate alle moderne democrazie liberali (un esempio fra tutti, un codice civile calcato su quello svizzero), Atatürk diede luogo a una rivoluzione culturale in cui secolarizzazione e modernizzazione sarebbero andate di pari passo, con la supervisione dell’esercito, garante dei valori laici della costituzione della Repubblica di Turchia. In tale contesto, ad esempio, fu adottato l’alfabeto latino invece di quello arabo, fu abolita la sharia (legge islamica), fu sancito il diritto di voto per le donne e furono promulgate leggi come quella che vietava la poligamia o quella che consentiva il consumo di bevande alcoliche. La base per la nuova identità che Mustafa Kemal intendeva edificare per la nuova Turchia era infatti un nazionalismo laico anzitutto culturale, quindi diverso dai nazionalismi coevi arabo e persiano, per cui essere turco significava in linea teorica non appartenere a un determinato gruppo etnico, ma basare la propria coscienza di sé su un orizzonte di pensiero sintetizzato dai valori fondanti della nuova costituzione, in opposizione dialettica con la precedente identità imperiale ottomana. Al contrario, il neo-ottomanesimo di Erdoğan rielabora l’eredità politica di Turgut Özal (https://www.flipnews.org/politics/cronosisma-curdo-turco.html), mediata dalla nozione di profondità strategica dell’ex alleato ed ex ministro degli Esteri Ahmet Davutoğlu, ma con un’idea diversa della proiezione della potenza turca, anzitutto nei territori un tempo appartenuti alla Sublime Porta, ma anche negli equilibri geopolitici regionali e mondiali.

Nondimeno, l’attuale presidente turco ha voluto segnare un punto di svolta anche rispetto a queste due figure politiche, che, se di fatto hanno minato alla radice la Repubblica kemalista, non avrebbero mai espresso esplicitamente il proprio disprezzo nei confronti della memoria del padre della patria. L’annuncio di Erdoğan degli inizi di questo mese, in merito alla riconversione della basilica di Santa Sofia, patrimonio dell’umanità secondo l’Unesco, in moschea a partire dal prossimo 24 luglio (giusto in tempo per la preghiera collettiva del venerdì), è da considerarsi dunque un gesto simbolico, che richiama alla memoria due eventi storici dotati di una connotazione altrettanto forte: la conquista di Costantinopoli da parte degli Ottomani nel 1453, quando la basilica divenne moschea per la prima volta, e la sua apertura come museo nel 1934, per volere di Atatürk, che intendeva in tal modo aprirla all’umanità. Inoltre, con tale decisione, Erdoğan, dopo la sostanziale sconfitta alle ultime amministrative e la vittoria del CHP ad Ankara e İstanbul, mira ad attrarre i consensi dell’elettorato nazionalista (negli ultimi decenni, la destra turca ha promesso a più riprese tale cambiamento), in nome di un sovranismo condito in salsa islamica, ossia che considera l’islam come base dell’identità della nuova nazione turca. Un gesto significativo, in piena rottura con l’identità kemalista, ma non un insulto esplicito nei confronto di Atatürk, come quello pronunciato nel maggio 2013, in difesa della legge che imponeva restrizioni sulla vendita e sul consumo di alcolici, fatta approvare dal Parlamento dopo un lungo dibattito e tra le polemiche. Durante le discussioni parlamentari, Erdoğan si domandò infatti: “una legge fatta da due ubriachi è rispettabile? E allora perché non dovrebbe esserlo anche una ispirata alla religione?”. Ora, i due ubriachi in questione sono, appunto, Atatürk e il suo vice e successore İsmet İnönü, che il presidente non ha citato esplicitamente, lasciando alla “libera” immaginazione degli uditori il gusto di cogliere il sottile riferimento. Nondimeno, se l’islamizzazione socio-culturale in esplicita rottura con l’eredità kemalista costituisce uno dei pilastri della linea politica di Erdoğan, alle prese con la difficile situazione socio-economica del suo paese e con la spinosa gestione dei profughi siriani (https://www.monde-diplomatique.fr/2020/05/BONZON/61783), è la politica estera che gli offre attualmente l’occasione più ghiotta di rifondare lo status della nazione turca.

Diversi sono i fronti da lui aperti negli ultimi anni, ciascuno dei quali rappresenta una porta (niente affatto sublime) aperta su una linea di proiezione della potenza turca, che non sempre avviene attraverso il soft power. Inoltre, ciascuno di questi vettori è il risultato degli ampi spazi scientemente lasciati ad Ankara dalle democrazie neo-liberali e in particolare dall’Alleanza atlantica (NATO) in funzione prima anti-sovietica, poi, di volta in volta, anti-russa, anti-cinese o anti-iraniana. In altri termini, la Turchia approfitta da decenni della vantaggiosa posizione di utile nemico del nemico, al punto da poter essere annoverata tra le forze che il capitalismo globalizzato ha evocato e che ora rischia di non essere più in grado di gestire. Il primo di questi fronti è la direttrice occidentale, che conduce ai Balcani, antica linea di faglia al tempo della cortina di ferro, e all’Africa settentrionale e che ha i suoi cardini ideali nella capacità di orientare le comunità islamiche balcaniche e nel controllo territoriale di almeno parte della Libia, dove Ankara sta conducendo un intervento militare a sostegno del governo onusiano di Tripoli di Fayez al-Sarraj (il Governo di accordo nazionale, GNA). Come avamposto strategico permanente sul Mediterraneo, la Turchia ha individuato la base di al-Watiya, recentemente sottratta alle forze del generale cirenaico Khalifa Haftar, ma attaccata nella notte tra 4 e 5 luglio da aerei Dassault Mirage di provenienza sconosciuta, ma verosimilmente emiratini. D’altronde, Abu Dhabi, schierata con Haftar, come, fra gli altri, Russia, Francia ed Egitto (cui l’Esercito di liberazione nazionale ha chiesto recentemente di intervenire in armi per arginare l’avanzata turca), ha recentemente lanciato un appello a Washington perché dispieghi il suo arsenale militare in Libia contro il GNA e il suo alleato turco. Il 10 giugno, peraltro, l’espansionismo di Ankara nel Maghreb ha creato una (nuova) frattura all’interno della NATO, quando la fregata turca Oruçreis ha attaccato la fregata francese Courbet, che, durante un pattugliamento del Mediterraneo sotto il comando NATO, aveva intercettato la nave cargo turca Cerkin sospetta di portare armi in Libia, in violazione dell’embargo. La Turchia ha negato qualsiasi intenzione aggressiva, accusando a sua volta la fregata francese di manovra pericolosa. Timide e divergenti le reazioni internazionali, almeno finora, ma è significativo che la Francia, dopo aver combattuto in prima linea con Gran Bretagna e Stati Uniti contro il defunto colonnello Muammar Gheddafi nel 2011, abbia perso la sua posizione di forza in Libia. Sul campo, intanto, si assiste a una sirianizzazione del conflitto, dovuta all’arruolamento, soprattutto da parte di Russia e Turchia, di mercenari, molti dei quali provenienti proprio dalla Siria (ma anche dall’Africa subsahariana o dalle aree investite dal conflitto russo-ucraino), attratti da paghe più cospicue di quelle proposte dall’esercito siriano o dalle milizie levantine.

 

A differenza della politica zero nemici di Davutoğlu e dall’indirizzo europeista di Özal, Erdoğan sta mettendo in atto una politica di conflitti di intensità variabile con i principali attori geopolitici attuali. A parte le tensioni crescenti degli ultimi anni con la Francia (incluso un affare di spionaggio riportato lo scorso giugno dal quotidiano turco Sabah), la postura aggressiva di Ankara nei confronti della Grecia, altro paese membro della NATO e dell’Unione europea scarsamente difeso dagli alleati, è indicativa di mire espansionistiche che affondano le loro radici negli interessi strategici delle potenze occidentali, Stati Uniti in primis. La minaccia costante di Ankara di lasciar passare i rifugiati siriani in viaggio verso l’Europa (analoga a quella di Gheddafi di lasciar passare i migranti africani) e i piani di difesa per l’Egeo che preoccupano Atene costituiscono altrettanti indizi dell’atteggiamento turco, viste anche le reazioni della chiesa ortodossa greca alla riconversione di Santa Sofia in moschea. Procedendo verso Oriente, inoltre, la Turchia punta da tempo a un ruolo egemone non solo sull’islam sunnita balcanico e centro-asiatico, ma anche su quello arabo, insidiando le due potenze regionali tradizionali, Egitto (linea laico-militarista) e Arabia Saudita (islam politico wahhabita). Lo dimostrano le numerose prese di posizione di Erdoğan sulla questione israelo-palestinese, sul piano di pace elaborato dal presidente statunitense Donald Trump nel gennaio 2020, e sugli esiti delle rivolte egiziane che hanno portato al potere prima Mohamed Morsi, dei Fratelli Musulmani, esplicitamente sostenuti da Ankara al pari di Hamas. Parimenti, il presidente turco intende sfruttare vantaggiosamente le carte del conflitto armeno-azero (anch’esso originatosi dopo il crollo sovietico e centrato sull’enclave del Nagorno Karabagh) e del malcontento delle popolazioni turcofone del Caucaso, del Tatarstan e, più generalmente, dell’Asia Centrale, fino al Myanmar e alla provincia cinese del Xinjiang. In queste regioni, l’influenza di Ankara si dipana attraverso le repubbliche turche nate dall’implosione dell’Unione sovietica, ancora una volta con il beneplacito delle democrazie neo-liberali, che, avendo permesso alla Turchia di conquistare una posizione di forza, l’hanno resa capace di ricattare due potenze globali del calibro di Russia e Cina, oltre che di trattare alla pari con Washington.

 

Se il liberalismo di ispirazione reaganiana e thatcheriana di Özal coltivava l’illusione occidentale di una pacificazione perpetua delle relazioni internazionali basata sul libero scambio e sul capitalismo globalizzato a guida statunitense, l’islamo-nazionalismo di Erdoğan e dei suoi predecessori degli anni ‘90 ha trovato terreno fertile a causa dell’altra illusione, altrettanto nefasta, di poter mettere a tacere il malcontento provocato dall’ingiustizia sociale attraverso il richiamo a improbabili e discutibili fasti nazionali passati. In tal modo, la Turchia, seconda potenza militare della NATO, ha potuto conquistare il suo seggio ideale tra le potenze mondiali, che a turno hanno erroneamente creduto di poterla utilizzare come baluardo contro il nemico del momento.

July 16, 2020

Le accuse fatte nello stesso giorno contro la Russia dal Regno Unito, sia di interferire nelle elezioni generali del 2019 svoltesi in Gran Bretagna, sia di aver tentato di trafugare la ricerca sul vaccino contro il coronavirus, sembrano una campagna ben organizzata per boicottare gli sforzi di Mosca per riunire gli alleati della Seconda Guerra Mondiale ad un vertice per il suo anniversario, ha dichiarato Tiberio Graziani, presidente di Vision & Global Trends, (International Institute for Global Analyzes) che ha sede a Roma.

 

 

Giovedì scorso il Regno Unito ha formulato due pesanti atti di accusa nei confronti della Russia. Il segretario agli Esteri di sua Maestà, Dominic Raab, ha dichiarato in parlamento che i russi "quasi certamente" hanno cercato di interferire nelle elezioni del 2019 del paese attraverso la divulgazione di alcuni documenti relativi ai colloqui commerciali tra gli Stati Uniti e il Regno Unito. Quasi contemporaneamente, lo stesso giorno, il National Cyber ​​Security Centre (NCSC) del Regno Unito ha accusato hacker collegati alla Russia di aver tentato di rubare dati da ricercatori di vaccini britannici, statunitensi e canadesi. Per l'attacco Raab ha incolpato i servizi segreti russi. Secondo il presidente di Vision & Global Trends, le affermazioni sono "molto serie" e non affatto "improvvisate".

"Ho la sensazione che queste accuse facciano parte di un piano concordato prestabilito contro la Federazione Russa piuttosto che essere una denuncia accidentale volta a difendere gli interessi nazionali britannici e statunitensi", per il presidente di Vision & Global Trends.

Graziani osserva come l'accusa di interferenza elettorale russa "riguarda non solo la dimensione internazionale, ma anche quella nazionale", poiché il rapporto trapelato sui colloqui commerciali con gli Stati Uniti è finito nelle mani dell'allora leader laburista Jeremy Corbyn, che lo ha usato per attaccare il governo prima del voto del 2019.

Tra l’altro il documento getta luce sulle pressioni degli Stati Uniti per consentire l'accesso delle proprie aziende farmaceutiche ai mercati delle SSN (Servizio Sanitario Nazionale) inglesi.

"L'ipotesi che questo tipo di accuse sia parte di una più ampia campagna contro la Russia è supportata anche dalla notizia che i presunti hacker russi hanno tentato di rubare dati sui vaccini Covid 19 studiati da entità britanniche, statunitensi e canadesi. Quest'ultima accusa, tuttavia, si scontra fortemente con la proposta avanzata dal presidente russo Vladimir Putin di riunire i vecchi alleati in un vertice per affrontare le sfide globali del momento ", ha dichiarato Graziani.

Putin ha proposto all'inizio 2020 di tenere nel corso nello stesso anno un vertice tra membri chiave del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite; il 2020 segna il 75 ° anniversario delle Nazioni Unite. Tra gli argomenti proposti ci sono gli affari mondiali, la sicurezza globale, l'economia e la crisi pandemica, nonché i cambiamenti climatici e le minacce informatiche. Nel suo articolo sulla Seconda Guerra Mondiale, Putin ha esortato i paesi vittoriosi di questa a considerare come un “dovere” la sua proposta nella sede delle Nazioni Unite. Graziani ha rimarcato inoltre il sostegno degli altri leaders mondiali al vertice e l'auspicio, per gli stessi, è che l'incontro possa avvenire il prima possibile.

“La piazza come madre di una comunità”. Si potrebbe così sintetizzare la breve ma incisiva intervista rilasciata dall’archithetto Michele Schifano giorno 3 luglio, in merito alla polemica che sta sollevando tra la comunità mussomelese il progetto di riqualificazione di Piazza Umberto I. In meno di 24 h. il video ha superato le ….. visualizzazioni, successo probabilmente dovuto anche all’importanza e all’attualità del tema trattato. Al centro della polemica il tanto discusso e controverso “spostamento” del Monumento ai caduti del 1924, di non trascurabile rilievo artistico, fortemente voluto dall’amministrazione in carica e fortemente osteggiato dall’opposizione. Lo scopo della discussione, sin dal suo primo nascere, è stato quello di esulare dalla valenza politica acquisita dalla tematica in questione a qualche mese prima delle comunali e incentrare l’attenzione su principi di carattere universale. La (ri-)scoperta di un luogo dell’incontro e della memoria come può avvenire se non con il compimento di un atto poetico? E quell’atto poetico ci restituisce una piazza, una madre, la coscienza della fratellanza altresì nobilitata da un ben definito richiamo artistico che la vuole “Origine del mondo” in quanto “eterno femminino”, principio primo e arketipico, fondante e fondativo. Dall’altezza di Monte S. Vito, ammirando il crinale che, con la sua linea immaginaria, traccia il vissuto di una comunità in crisi come per l’appunto vuole l’etimologia della parola crinale che facciamo derivare dal verbo greco “krino” ossia giudico, prepotente emerge la necessità di una coscienza e di un giudizio critico nei confronti del mondo che ci circonda. Perché questa piazza ha deviato fortemente dalla sua funzione originaria e primordiale di “agorà” che la vorrebbe sede dell’”ekklesia”, dell’assemblea e principio di democrazia, assumendo i caratteri di una vera e propria arena degli oratori. Quasi una sfida a chi meglio riesce a rendere forte il discorso debole.

Luogo della memoria che, all’occorrenza, può anche diventare frutto dell’innovazione o dell’evoluzionismo, come ha tecnicamente precisato, Schifano, procedendo nella metafora antropomorfica che non è certo sterile teoria fine a se stessa ma tesi ben sperimentata in campo architettonico e, ancor di più, in sede urbanistica. E inevitabilmente, un organismo vivente pone e impone il problema della CURA e quindi di quell’apparato tecnico preposto a svolgere tale, delicato, compito. Con la figura allegorica del contrappunto che racchiude e svela la segreta speranza dell’anima volta al superamento dei contrasti, in virtù del raggiungimento di un bene supremo. Con la consapevolezza che laddove l’estetica incontra l’etica si raggiunge il Sommo Bene. Con l’invito ad ascoltare il silenzio che la Madre Piazza ci chiede, augurandoci che sia foriero di buoni consigli e generatore di nuove melodie, ci prefiguriamo questa piazza dell’immaginario come semantica di un luogo e della sua Comunità ritrovata!

Un particolare ringraziamento va a Peppe Piccica, artista noto non solo a Mussomeli, che ha dato il suo eccellente contributo per le riprese e i consigli .

 Frammenti che orbitano qua e là, individuati, carpiti; li commento e condivido con voi.

La Riflessione!

La voglia di “ripresa” non manca.

Il bicchiere mezzo pieno. Nonostante il puzzle del dopo Covid-19 formato da Dpcm, Decreti Legge, Circolari dei vari ministeri, Regioni, Comuni, le aziende vitivinicole sono ripartite “inventandosi” creatività da proporre al grande pubblico dei consumatori. Non solo acquisti nei supermercati off-limits per le piccole aziende, ma un marketing territoriale e on-line. Ne parlo qui sotto nei miei frammenti cosmici insieme ad altre notizie che hanno “smosso” il mondo del vino. Buona lettura!

 

Frammento n. 1

Ripartenza

ApeCar, Grandi Cru della Costa Toscana, in Viaggio

Nelle piazze dei borghi antichi, nei Comuni capoluoghi di Provincia, ecco il marketing territoriale. Organizzato da Event Service meglio conosciuta come organizzatrice dei Grandi Cru della Costa Toscana, ecco la risposta creativa al momento storico che viviamo: un percorso tra piazze, eventi, rassegne, cantine, per raccontare attraverso i vini, le storie di uomini, donne e vigneron, che rendono UNICA la produzione enologica di Costa Toscana. Un’APE PIAGGIO simbolo della rinascita del dopo-guerra come ambasciatrice. Il ricco calendario è consultabile su Facebook nella pagina dedicata. Guidata da Ginevra Venerosi Pesciolini (Tenuta di Ghizzano) e Alessandra Guidi (titolare Event Service) l’ApeCar ha iniziato il suo percorso da una delle piazze più belle d’Italia: Piazza Anfiteatro di Lucca. 

 

Frammento n. 2

Ripartenza

Vernaccia di San Gimignano: nuove scelte strategiche per la ripartenza.

“Oggi si apre un nuovo capitolo nella storia del Consorzio”. Frase pronunciata da Irina Strozzi, da poco Presidente del Consorzio del Vino Vernaccia di San Gimignano, durante il consiglio d’amministrazione del Consorzio stesso e al momento dei ringraziamenti dopo la conclusione della collaborazione con Stefano Campatelli, direttore pluriennale. “Serve una rivoluzione e nuova strategia di marketing e comunicazione”. Incarico ad una Agenzia che opererà con la Commisione Comunicazione e al personale d’ufficio per nuovi contenuti, obiettivi e tempistica. Il via del nuovo format alla fine del mese di Luglio. “Il Coronavirus ha sparigliato le carte in tavola”

 

Frammento n. 3

Ripartenza

VeronaFiere lancia Wine2Wine Exhibition per la ripartenza

Aggregare business, contenuti, incontri, formazione, idee. È wine2wine Exhibition, il nuovo format dell’ecosistema Vinitaly, in programma dal 22 al 24 novembre.Presentazione a Verona dell’evento come progetto inedito per far fronte al tempo straordinario che viviamo. Risposte positive alle esigenze dei produttori con la necessità di riprendere il dialogo con distributori, buyer, ristoratori, stampa specializzata, opinion leader e anche consumatori. Il mondo del Vino si muove!

Frammento n. 4

Attualità

Il Lago di Garda custode di spumanti.

“Così è se vi pare”. Il fondale del Lago di Garda custode dello Spumante Brezza Riva Riserva. “Condizioni uniche per uno Spumante unico”. Adesso non si spumantizza più nelle cantine ma nei fondali del mare e dei laghi. Una “moda” che sta prendendo piede ovunque. Scientificamente non provato che a zero bar l’affinamento sui lieviti produce i migliori effetti ma di effetti (scusate il bisticcio) ne provoca con la comunicazione. Tutto reso ancor più legale con la presenza delle squadre sommozzatori dei Vigili del Fuoco al momento del deposito sui fondali del lago. “A queste profondità, con una temperatura costante che oscilla in modo lento tra i 9 e i 13 gradi, in assenza di luce e rumori, le 1.216 bottiglie di Spumante Brezza Riva Riserva troveranno le migliori condizioni per una lenta e incessante maturazione” Inoltre i produttori insistono su un altro fenomeno dato dal “dolce cullare delle correnti”: l’effetto remuage continuo impedendo stratificazioni e depositi. Basta crederci!

 

Frammento n. 5

Attualità

Il Comune di Asti chiede di essere inserito nel Moscato d’Asti.

È ancora il tempo degli archi e delle frecce. Il comune di Asti torna a chiedere di essere inserito nella zona di produzione del Moscato d'Asti Docg. Lo ammetto: davo per scontato che fosse inserito. Un Moscato che porta il glorioso nome di una delle zone maggiormente vocate del patrimonio vitivinicolo italico che ancora deve discutere se accettare il territorio del Comune di Asti all’interno della Docg.

Lo riferisce l'associazione Comuni del Moscato. "Nella recente riunione del consiglio direttivo dell'associazione - si legge in una nota - si è aperta una finestra sul passato, discutendo nuovamente, dopo tanti anni, della questione". L'occasione è stata data da una recente dichiarazione del Comune di Asti che ha nuovamente manifestato, in un incontro in videoconferenza a cui hanno partecipato anche il Consorzio di tutela, Coldiretti e Confagricoltura, la volontà di far parte del territorio del disciplinare. "La posizione dei sindaci dell'associazione è stata netta - sostiene il presidente dell'associazione Comuni del Moscato, Alessio Monti - si è assolutamente contrari a questa idea che il Comune di Asti ha rispolverato". Siamo sempre al tempo degli archi e delle frecce! 

Frammento n. 6

Attualità

Campagna acquisti e cessioni dei Top Manager del Vino.

Non esistono solo il “calcio-mercato”, il “valzer delle panchine”, “l’alternarsi alla guida di importanti Banche, Aziende, Industrie”. Oggi siamo soliti registrare i cambi, movimenti alla guida dei grandi gruppi della galassia vinicola italiana: Consorzi, Aziende S.p.A. ed altri.

Un vero e proprio Borsino dei manager del Vino. Nomi ad indicare ruoli come CEO (Chief Executive Officer che altro non è che l’Amministratore Delegato), Manager del marketing o sviluppo strategico, Responsabili delle Holding, Direttore Generale, Direttore risorse umane. Dall’abbigliamento al vino, dalla grande distribuzione al vino e via, via, via.

Ben lontani i tempi del responsabile in vigna, in cantina, della semplice amministrazione per controllare chi paga e chi no. Nel mercato globale il Top Manager è importante ed allora via al Valzer delle poltrone. Eleonora Guerini lascia Terra Moretti e approda in Bertani Domains della famiglia Angelini. Massimo Tuzzi, ex Zonin, è in cerca di nuova occupazione (calcisticamente a parametro zero). E al posto di Tuzzi? In casa Zonin i “procuratori” sono in fibrillazione”. In pole position Federico Girotto (Masi) e Roberta Corrà (Giv). Ricordo per la cronaca che il 36% di Zonin è tenuto dalla famiglia Benetton. Se andiamo a leggere il curriculum di questi signore e signori troviamo Stefanel (abbigliamento), Morellato (gioielli), Sector (orologi), Lidl (supermercati) e Media Markt. E noi wine lovers a parlare di consistenza, complessità, equilibrio, armonia.

 

Osservo, scruto, assaggio e…penso. (urano cupisti)

July 12, 2020

 
 Giuseppe Conte

Non vorrei scadere nel tecnicismo giuridico e nell’astrattismo, ma il tema dello “stato di emergenza” la cui proroga sembra imminente, ci porta necessariamente a confrontarci con elementi, pur storicizzati, di teoria generale del diritto. Uno dei principali teorici dello “stato di eccezione” è Carl Schmitt in “La dittatura” e “Teologia Politica” scritti entrambi nei primissimi anni venti. Il punto di partenza è che uno “stato di eccezione” è in nuce una entità extragiuridica, un territorio “al di là dell’ordinamento costituzionale”, poiché consiste in effetti nella sospensione di quest’ultimo. Per agganciare un concetto siffatto alla teoria giuridica costituzionale ed al concetto di “ordinamento giuridico” occorre ricondurre ad armonia una apparente aporia concettuale: queste connessioni, questi ponti concettuali vengono definiti da Schmitt “operatori di iscrizione”, ma, infine, tale concetto contenitore viene sussunto nella distinzione fra “norma” e “decisione” elementi che coesistono nel diritto in uno stato di ordinarietà e che si scindono, invece, per effetto cogente di una circostanza eccezionale che opera “ab externo” sull’ordinamento costituzionale.

Si potrebbe dire che la circostanza cogente ed eccezionale denudi la decisione della sua veste normativa e, pur tuttavia, l’autorità sovrana, nell’adottare la mera decisione in via di urgenza, ipso facto, la riconduce al seno del diritto, per così dire, ancorandola all’ordinamento. L’autorità sovrana quindi è come se uscisse dall’ordinamento sotto la spinta della circostanza eccezionale per poi rientrarvi, avendo assunto una decisione improcrastinabile, alla base della quale c’è il potere, in qualche modo codificato (o su base costituzionale o su base legislativa ordinaria), di prodursi in questa contrazione concettuale.

Per tentare una traslitterazione nella nostra terminologia costituzionale è come se il “valore di legge” e la “forza di legge” venissero scissi, al di là della veste formale (e, infatti, la dottrina italiana ha teorizzato sul giusto modulo nomopoietico da utilizzare in simili casi ossia se ricorrere al decreto legge o alla decretazione governativa d’urgenza alla maniera del potere di ordinanza degli enti locali).

La posizione sul tema di un Nume del diritto italiano, Santi Romano, è, invece differente ed è mirabilmente espressa dalle sue stesse parole: “la necessità di cui ci occupiamo deve concepirsi come una condizione di cose che, almeno di regola e in modo compiuto e praticamente efficace, non può essere disciplinata da norme precedentemente stabilite. Ma se essa non ha legge, fa legge […] il che vuol dire che è essa medesima una vera e propria fonte del diritto […]. E nella necessità deve rintracciarsi l’origine e la legittimazione dell’istituto giuridico per eccellenza, cioè dello Stato, e in genere del suo ordinamento costituzionale, quando esso viene instaurato come un procedimento di fatto, ad esempio in via di rivoluzione. E ciò che si verifica nel momento iniziale di un determinato regime può anche ripetersi, sebbene in linea eccezionale e con caratteri più attenuati, anche quando questo avrà formato e regolato le sue istituzioni fondamentali”.

In una dizione estremamente sintetica, ma comunque pienamente significativa (ciò che caratterizza solo i grandissimi come S.Romano) potremmo dire “ci sono norme che non possono scriversi o non è opportuno che si scrivano; ce ne sono altre, che non possono determinarsi se non quando si verifica l’evenienza cui debbono servire”.

Un altro nome illustre, Agamben, disconosce allo “stato di eccezione” una matrice oggettiva, del tutto circostanziale, ma lo riveste di una necessaria e previa valutazione valoriale soggettiva: è ad una valutazione del caso, necessariamente extragiuridica, concretamente legata ai presupposti di fatto, che deve ricondursi la riconosciuta eccezionalità delle circostanze che possono determinare lo “stato di eccezione”.

Torniamo quindi alla antica “salus rei publicae romanae” ed al “senatus consultum ultimum” (c.d. “Iustitium”), antichi Dei Penati delle norme eccezionali in una variante radicale di sospensione dello “ius romanum” che rispondeva ad una logica assorbente dell’intero insieme delle regole che costituivano lo “Ius” pur di metterlo a riparo da un pericolo tanto grande ed improvviso da consentire non solo alla magistratura consolare, ma persino ad ogni “civis romanus” di compiere atti che, “in iure”, sarebbero stati “contra legem”.

Occorre però abbandonare, ad un certo punto, l’iperuranio del diritto per affrontare la mesta discesa verso le “cose quotidiane” e cioè verso la legge 225/1992 che regolamenta il sistema di Protezione Civile nazionale, i presupposti ed i casi dello “stato di emergenza” e descrive il potere di ordinanza attribuito alla stessa Protezione Civile, nel quadro di una proclamazione che viene affidata ad una “delibera” del Consiglio dei Ministri secondo lo schema del dpcm (e quindi esiste una proposta formale di adozione della stessa che viene formulata, di norma, dal suo Presidente).

E’ stata invece espunta dalla legge la norma che consentiva, vigente lo stato di emergenza, al Presidente del Consiglio di avvalersi di un proprio e specifico potere di ordinanza anche delegabile ad altro membro del Consiglio.

D’altra parte, la decretazione governativa in emergenza COVID non trova la sua base giuridica in questa legge, ma nelle norme dei decreti legge adottati fra marzo e maggio 2020 che, dopo la conversione in legge ordinaria, hanno acquisito lo stesso “rango” ordinamentale della citata legge 225.

In sintesi, è stata inserita nell’ordinamento italiano una nuova classe di poteri ordinamentali ulteriori rispetto a quelli che la legge già riconosceva al Capo del Dipartimento della Protezione Civile, vigente lo stato di emergenza, affidandoli direttamente al Consiglio dei Ministri.

In pratica si è creato un doppio binario (in barba al principio "entia non sunt multiplicanda sine necessitate"), anziché modificare la norma già vigente in senso estensivo: si riduce così di molto il ruolo istituzionale dell’organo preposto alla emergenza di protezione civile e si rafforza il potere del Consiglio dei Ministri (e del suo Presidente), pur mantenendo il collegamento con il presupposto dello “stato di emergenza” come disciplinato dalla legge 225 e s.m.i.

E poiché, nel 2018, la durata massima dello stato di emergenza è stata, per delega legislativa, estesa a due anni (uno iniziale ed uno di proroga, come misura massima), per assorbimento, questi termini riguardano anche i nuovi poteri di decretazione governativa.

Si è quindi creato surrettiziamente uno “stato di emergenza rafforzato” con il piede, letteralmente, in due scarpe: le previgenti disposizioni di legge ed i nuovi decreti legge urgenti che, comunque, il Parlamento ha positivamente convertito in legge ordinaria, mi chiedo con quanta consapevolezza del proprio ruolo.

July 12, 2020

Intelligenza Artificiale (IA): sono molte le parole che ruotano attorno a questo concetto, ma non vi è ancora una definizione standard che ne definisca il significato e l'importanza. Prima di tutto, è fondamentale capire cosa si intende generalmente per intelligenza artificiale. In termini più ampi, essa è la capacità di un sistema tecnologico di risolvere i problemi o eseguire compiti ed attività tipiche della mente e delle capacità umane. Guardando al settore IT, potremmo identificare l'IA come la disciplina che si occupa di macchine (hardware e software) in grado di intraprendere azioni in modo autonomo. La crescente fiducia e l'adozione dell'IA sono ingredienti necessari per la crescita economica ed il carburante per le future innovazioni di cui la società tutta potrà beneficiare, perciò, è naturalmente comprensibile il perché gli Stati ed i loro Governi prestino peculiare attenzione a tale settore e per quale motivo la Casa Bianca stia investendo le sue risorse in ricerca e sviluppo (R&S) di IA da anni. Tale innovazione tecnologica è decisamente incline a trasformare ogni settore ed è previsto un forte impatto a lungo termine in tutti i reparti del Dipartimento della Difesa (DoD) americano. Attraverso operazioni, addestramento, sostegno, protezione della forza, reclutamento ed assistenza sanitaria, gli Stati Uniti sono orientati sempre più verso il rafforzamento della sicurezza nazionale, alla garanzia di una maggiore accessibilità economica delle operazioni militari ed alla protezione di cittadini ed alleati.

Come si evince dal Summary sulla Strategia di Difesa Nazionale degli Stati Uniti pubblicato nel 2018, l'approccio strategico deve consistere in "anticipare le implicazioni delle nuove tecnologie sul campo di battaglia, definire rigorosamente le difficoltà militari riscontrabili in un futuro conflitto, promuovere una cultura di sperimentazione e di gestione pianificata del rischio".

Mostrando costante attenzione all'argomento, il 10 maggio 2018, la Casa Bianca ha ospitato il Vertice sull'Intelligenza Artificiale per l'Industria americana ai fini di evidenziare la necessità di mantenere la leadership statunitense nell'era dell'intelligenza artificiale e promettere il suo impegno nella ricerca e sviluppo. Nel mese successivo, il Chief Technology Officer degli Stati Uniti, Michael Kratsios, ha condotto la delegazione americana al Summit su Innovazione e Tecnologia del G7. In tale occasione, tutti i membri presenti hanno concordato sull’adozione di tecnologie di intelligenza artificiale, indispensabili a favorire sicurezza, pace e stabilità e, al contempo, sulla promozione di iniziative formative e di campagne di informazione pubblica sui benefici aspirabili grazie all'intelligenza artificiale, stante il rispetto della privacy quale valore fondamentale, l’osservanza dei princìpi legali in tema di protezione dei dati e lo sviluppo di dispositivi in ​​grado di garantire la responsabilità dei sistemi di IA.

Sulla scia di tali eventi, nel 2018, il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti (DoD) ha articolato il suo approccio strategico al fine di acquisire una maggiore capacità nell’intelligenza artificiale tale da accrescere l'efficienza delle missioni militari nella costante ottica della sicurezza nazionale. Sulla base di quanto emerge dal Report sulla Strategia applicata all’Intelligenza Artificiale del 2018, le iniziative intraprese dal Dipartimento della Difesa sono state: studiare l'impatto dell'IA attraverso la creazione di una piattaforma di dati condivisi, strumenti riutilizzabili e standard ufficiali che consentano lo sviluppo e la sperimentazione decentralizzati; creare una forza-lavoro leader nell'intelligenza artificiale mediante un metodo di gestione del rischio; negoziare con gli alleati e trattare con i partner del mondo accademico, industriale ed internazionale per affrontare congiuntamente le sfide globali; perseguire una condotta etica che permetta un uso sicuro dei mezzi tecnologici in attuazione di leggi e valori universali.

Per mettere ulteriormente a frutto l'eccezionale potenziale della tecnologia IA, nel 2018 è stato istituito il Joint Intelligence Center (JAIC) con l'obiettivo di potenziare la sicurezza nazionale americana. Il JAIC è diventato rapidamente il jolly della strategia a firma del Dipartimento della Difesa. Esso è stato concepito per sfruttare al meglio le abilità dell'IA, bilanciando l’inevitabile impatto che queste avrebbero avuto in ogni settore ed armonizzarle con tutte le attività promosse dal Dipartimento stesso. Più in dettaglio, le responsabilità del JAIC hanno collimato con le succitate iniziative del Dipartimento della Difesa ed altresì sancito il coordinamento in tema di politica di intelligenza artificiale, governance, cyber-sicurezza e creazione di un team di esperti mondiali che possa ideare nuovi corsi di apprendimento e formazione nel settore tecnologico a tutti i livelli professionali. Il successivo 2019 ha rappresentato un anno di riferimento per gli Stati Uniti quando, l'11 febbraio, il presidente Donald Trump ha firmato l'ordine esecutivo n. 13859 per annunciare l'Iniziativa statunitense ufficiale in tema di Intelligenza Artificiale. I pilastri chiave dell'Iniziativa sono stati la salvaguardia ed il miglioramento della tecnologia dell'IA attraverso la collaborazione con i settori pubblico e privato, gli istituti universitari, i partner e gli alleati internazionali. Tuttavia, il dettaglio maggiormente degno di nota è stato l’appello verso le Agenzie Federali a classificare gli investimenti nel settore ricerca e sviluppo (R&S) di IA come una priorità nazionale assoluta ed a garantire un accesso comune a dati ed infrastrutture informatiche.

A sostegno dell’Iniziativa, la Commissione Esperta in IA del Consiglio Nazionale di Scienze e Tecnologia (NSTC) ha provveduto alla pubblicazione del Piano Strategico Nazionale di Ricerca e Sviluppo, che ha dettato le regole per l’anno seguente. Il documento, aggiornato al 2019, ha sostituito ed integrato il primo piano strategico nazionale di R&S per l'IA concepito nel 2016, tenendo conto dei progressi e delle significative innovazioni raggiunte nei tre anni precedenti ed assicurandosi che gli investimenti federali in R&S continuassero ad avere una posizione in prima linea nel teatro tecnologico. Volendo fare una panoramica dei punti salienti del Piano del 2019, esso ha riesaminato ed asserito la persistente rilevanza delle sette strategie originali già delineate nel precedente documento del 2016 e ne ha elaborata un’ottava. Tali obiettivi strategici possono essere così sintetizzati: effettuare investimenti a lungo termine nella ricerca sull'IA per essere ancor più preparati ad affrontare le continue sfide del mondo tecnologico; sviluppare metodi efficaci per la collaborazione uomo-macchina, la quale richiede una grande comprensione tecnica da parte dell'utente; identificare e rispettare i coinvolgimenti etici, legali e sociali dell'IA; garantire un uso sicuro, protetto e riservato dei sistemi di IA da parte dei ricercatori; ridurre le barriere all'uso delle tecnologie di intelligenza artificiale e rafforzare le piattaforme contenenti dati; consolidare il ricorso all'intelligenza artificiale attraverso standard testati e riconosciuti: più il Paese sviluppa metodi per incrementare le potenzialità e la sicurezza dell'IA, più questo ha l’obbligo di effettuare test che ne comprovino l’attendibilità. Solo quando la valutazione ha successo, il metodo potrà essere assunto come standard universale; individuare i punti deboli della forza-lavoro nazionale per potenziarla e conquistare la leadership mondiale nella ricerca e nell’applicazione dell'IA; aumentare le collaborazioni tra le Agenzie Federali ed il mondo accademico, l'industria ed altre entità non federali per realizzare sempre maggiori progressi nell'intelligenza artificiale.

Ad un anno dal lancio dell’Iniziativa ufficiale da parte degli Stati Uniti, è intervento il Rapporto Annuale 2020 il quale ne ha riesaminato gli obiettivi strategici e ha sottolineato nuovamente l'enorme necessità di dare priorità agli investimenti in R&S dell'IA ed alla cooperazione internazionale. Alla luce di ciò, è evidente che vi sono diversi fattori attestanti una reticenza da parte delle aziende americane ad investire nella ricerca necessaria per compiere progressi fondamentali e sostenere il campo di battaglia conteso con le superpotenze Cina e Russia.
Una insufficienza di investimenti nella ricerca tecnologica potrebbe tradursi in una scarsità di innovazioni e questo permetterebbe a Cina e Russia di minacciare e superare i presunti progressi degli Stati Uniti. Non a caso, entrambe le superpotenze stanno facendo investimenti significativi nell'intelligenza artificiale a scopi militari e ciò avvalora l’ipotesi secondo la quale esse siano fortemente intenzionate a raggiungere una leadership nel campo dell'IA.

D’altronde, non è una novità che gli Stati Uniti portino i segni di una storica competizione con la Cina e la Russia; pertanto, quello dell’implementazione dell’intelligenza artificiale, non sembrerebbe altro che un nuovo capro espiatorio per affermare le proprie capacità strategiche e dominare i futuri campi di battaglia.

 

 

Per gentile concessione di  - Vision & Global Trends. 

L'ignoranza è il più detestabile, biasimevole, empio e sacrilego degli umani difetti”

 (Pitagora......TUTTI FIGLI DELL'UNICA SOSTANZA)

 

 

Un’energia cosmica sembra pervadere e spingere verso l’evoluzione tutto ciò che esiste. Un essere umano, come qualunque essere vivente, risulta essere la sintesi chimica, fisica, energetica di organismi animali o vegetali che lo hanno preceduto lungo la via della manifestazione nello scenario della Vita. Dalla deflagrazione iniziale di 14 miliardi di anni fa venne a generarsi questo pianeta in forma gassosa che col passare dei tempi si solidifica fino a consentire agli elementi chimici base di formare la materia: minerali, rocce, acqua, terra, i primi organismi viventi, le prime rudimentali forme di vita vegetale e poi animale. Il codice genetico è unico in tutte le piante, gli animali ed i batteri, ciò significa che la vita è comparsa una sola volta sulla Terra, e quindi tutti gli organismi sono nostri cugini, non in senso allegorico o spirituale ma in senso letterale. L’essere umano, come ogni organismo vivente, si nutre dei frutti della terra dove sono depositati i resti di organismi vissuti precedentemente e trasportati dalle correnti d’aria da ogni parte del globo: polveri di organismi passati che a loro volta si sono nutriti di altri organismi: macro nutrienti, acqua, minerali, luce solare ecc. In sostanza ognuno di noi si nutre di organismi vegetali o animali che a loro volta si sono nutriti di altri organismi vegetali o animali vissuti prima; cosicchè il nostro organismo risulta costituito dei resti di innumerevoli organismi che lo hanno preceduto nel tempo. Questo porta alla consapevolezza che:” tutti gli esseri sono figli di un principio comune, sono fatti  della medesima sostanza che si manifesta in forme differenti e differenti funzioni.” Ogni forma/contenuto appartiene a differenti livelli di manifestazione.

L’integrazione delle differenze, formali e sostanziali, consente alla Vita di manifestarsi.

     Ne consegue che ogni specie ha l’identico valore nel piano della Vita e che ogni visione parziale, considerata preminente, risulta dannosa per l’armonica convivenza degli esseri viventi. Tutte gli esseri viventi, nel procedere nel loro piano evolutivo, tendono a sviluppare le stesse peculiarità dell’essere umano: intelligenza, sentimenti, coscienza, percezione della dimensione spirituale. Probabilmente tra mille anni, o un milione di anni, molte specie avranno le medesime capacità  espressive del genere umano. Se la specie umana sparisse dalla faccia della terra tutto continuerebbe come prima (se non meglio), allo stesso modo se il pianeta terra o addirittura la nostra galassia si dissolvesse nel nulla questo non causerebbe la purché minima crepa nel Mare Cosmico. Considerare la nostra relatività  nei confronti del Tutto, il valore anche delle cose più minime, ci aiuterà  a considerare la nostra relatività  nei confronti del Tutto e a superare l’assurda, anacronistica e perniciosa visione antropocentrica. Senza la conoscenza dei problemi non c’è presa di posizione. E senza la sensibilizzazione delle coscienze non c’è spirito di condivisione e spinta evolutiva.

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