L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni.

Kaleidoscope (1437)

Free Lance International Press

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 Ingresso alla masseria

“Tutti i salmi finiscono in gloria”. È accaduto di recente durante il tour organizzato in Campania da VinovagandoTour, parte integrante della community Vino una Passione che dirigo ormai da quindici anni.

Era prevista una cena presso l’Antica Masseria Venditti a Castelvenere provincia di Benevento.

Al mattino visita dell’azienda vinicola condotta da Nicola Venditti e la sera “assaggi dalla cucina” di Donna Lorenza Vessillo Venditti, cuoca pittrice.

Serata caldamente auspicata, sostenuta, necessitata da Nicola per dare un quadro il più completo possibile della realtà del Sannio. Cibo, vino, storia e accoglienza.

Devo dire che Nicola, Donna Lorenza, i figli e lo staff sono riusciti nell’intento di trasmetterci questi valori, beni, ricchezze.

Avendone avuto la possibilità sarebbe stato auspicabile una sosta di almeno una settimana in questa

 
 dipinto di Donna Lorenza

“masseria” posta alle porte di Castelvenere, borgo un po’ defilato rispetto ai circuiti più battuti. Una autentica pausa rilassante.

Dormire nell’agriturismo annesso, fare colazione nella struttura all’aperto con vigneti come sfondo a ricordare l’attività vitivinicola, attendere l’ora di pranzo e cena coccolati dalla cucina territoriale di Donna Lorenza.

E nelle ore libere da questi appuntamenti altamente “goduriosi” calpestare le vigne con Nicola, prendere parte alle sue “lezioni” nel vigneto didattico o seguire Donna Lorenza nella sua passione di pittrice.

 
 pasta alla genovese

Crescita intellettuale assicurata. Nicola aspettami, chissà che non possa accadere.

Ma torniamo alla cena. Un ambiente accogliente, rustico quanto basta per creare la calda atmosfera amichevole e familiare. Quest’ultima come valore aggiunto.

Ai fornelli Donna Lorenza coadiuvata dai figli e donne di casa a preparare i piatti gustosi basandosi su ingredienti di provata genuinità.

Cucina ispirata alla tradizione, prodotti del circondario e dal fornitissimo orto di casa. Percorso dei piatti stabiliti in accordo con il marito Nicola. Piatti ben fatti , dai sapori equilibrati che hanno soddisfatto tutti per presentazione e gusto.

E dei vini ne vogliamo parlare. Durante la serata, sono continuati gli assaggi del mattino. Bottiglie particolari, custodite per gli “eventi e amici speciali” (l’accoglienza sannita). Ed a concludere l’immancabile “nocino” fatto da loro.

Piatti e vini in abbinamento:

 
 brasato all'aglianico

- Broccoli selvatici e pane raffermo abbinato a Assenza Falanghina 2017 e Vient e Voria bianco 2017

- Antipasti misti di prodotti locali abbinati a Bacalát bianco

- Panzanella sannita con taralli abbinaa a Vandári bianco

- Pasta alla genovese abbinata a Bacalát

- Brasato all’Aglianico abbinato a Bosco Caldaia 2011

 
 vini in abbinamento

- Contorni di verdure dell’orto

- Formaggi sanniti dove abbiamo apprezzato sia il Bacalát che il Mari bianco

- Tortina con marmellata di uva fragola (dalla pergola della masseria) con Nocino

Donna Lorenza cuoca per arte. Nicola Venditti vinaiolo per amore.

Nel tentativo di fare chiarezza su quello che ormai è divenuto il grande equivoco del mondo, il dott. Franco D’urso, pediatra che da 45 anni studia medicina - come lui stesso tiene a sottolineare- si sta spendendo in favore di una campagna di informazione che, al di là di qualsivoglia etichettatura, persegue solo lo scopo di liberare dal terrore e dal terrorismo COVid che i media stanno esercitando in maniera spietata da parecchi mesi ormai, per qualche non meglio identificato scopo di profitto. Virali i suoi video su YouTube che hanno registrato qualche milione di visualizzazioni, con ottima percentuale di condivisioni. Segno che qualcosa comincia a mutare nella percezione delle coscienze. Ma come spesso accade in casi come questo, ad ogni azione corrisponde sempre una reazione ed ecco, quindi perentoria la CENSURA con conseguente blocco del canale.

“Verità che fanno male al Pensiero Unico” così risponde secco il dott. D’Urso alla domanda sul perché dei problemi avuti sul web.

COVid-19… partiamo anzitutto dalla nomenclatura: da “nuovo coronavirus” a “2019-nCoV”, ora coesistono COViD-19 e SARS-CoV2. Una confusione già nel nome, quindi, per quanto riguarda il fantomatico Virus, “scoperto” a Wuhan a quasi un anno da oggi.

COVID19 e SARS-COV-2 sono la stessa cosa. In COVID-19, CO sta per corona, VI per virus, 19 per l’anno in cui si è palesato. Mentre SARS-COV-2 è la malattia respiratoria acuta da coronavirus che va distinta dalla SARS-COV1. Quindi, sostanzialmente i primi due termini indicano la stessa cosa.

Quindi, dopo aver fatto chiarezza circa il nome, vorrebbe spiegarci, alla luce delle sue conoscenze, da un punto di vista medico, la reale carica letale di COVID-19?

Chiariamo anzitutto che il Virus esiste (a scanso di equivoci!) ed è della famiglia “coronavirus” alla quale appartengono tanti altri virus della stessa specie, ad esempio quelli responsabili dei comuni raffreddori. Nella fattispecie, il coronavirus responsabile della cosiddetta pandemia aveva una forte capacità e straordinaria infettività (passaggio da uomo ad uomo) ma come tutti i virus RNA possiede la capacità di mutare la sequenza nucleotidica molto rapidamente. Questa capacità di mutamento ne determina l’appiattimento della virulenza (questo lo sanno bene i virologi che hanno usato lo stesso meccanismo in laboratorio proprio per attenuare la virulenza dei vaccini), praticamente, più si diffonde il virus da individuo ad individuo e più la sua carica virale diminuisce. Cosa ampiamente dimostrata anche dai fatti di questi giorni. Non dimenticando peraltro gli errori sanitari dei giorni dell’emergenza che sono stati la prima vera causa di mortalità.

A circa sette mesi dall’imposizione della fantomatica mascherina, stiamo assistendo ad un vertiginoso aumento dei contagi. Due i capi d’accusa del giallo COVID: Mascherine e Tamponi. Quale dei due sistemi più fallace dell’altro?

Il tampone non è assolutamente un metodo diagnostico attendibile perché esso permette di rilevare e identificare non tanto la presenza del virus completo ma solo dei pezzi di genoma, sarà poi il numero di volte che pezzi di RNA del virus saranno trasformati in DNA a determinare o meno la positività del paziente. Da precisare che questo numero è del tutto arbitrario (ossia a discrezione di chi esegue il test in laboratorio), quindi se si vuole necessariamente ottenere un risultato positivo basta incrementare il numero delle sequenze. E il gioco è fatto!

Oltretutto Positivo nel 95% dei casi sta a significare che è Solo un Asintomatico, NON MALATO che sarà stato a contatto col malato. Da qui la spiegazione logica per cui vi sono molti positivi asintomatici perché il virus essendo presente non intero è estremamente debole, molto probabilmente “spappolato” dai nostri Linfociti Killer ossia il naturale vaccino posseduto dalle nostre difese immunitarie. Positivo al coronavirus quindi è definizione alquanto ambigua ed aleatoria perché potrebbe stare a significare il contatto con qualunque virus della famiglia Coronavirus (non COVID19) inattivato e spezzettato dal proprio sistema immunitario che ha lasciato circolare pezzi di genoma all’interno del corpo.

Esistono circa 75 tipologie di tamponi, non sono quindi unici ed omologati.

Per quanto riguarda le tanto osannate mascherine, parimenti al vaccino, NON SONO ASSOLUTAMENTE EFFICACI perché il virus ha dimensione 12 nano metri (un nano metro è un milionesimo di millimetro) sarebbe come pensare di proteggerci dalle zanzare tramite un cancello a sbarre. Per non parlare della potentissima carica batterica e virale sprigionata all’interno della mascherina qualora si dovesse prolungare l’uso della stessa per più di qualche ora. Inoltre, non respirando bene ( E QUESTA E’ LA COSA PIU’ GRAVE) il sistema respiratorio riassorbe gran parte dello scarto respiratorio con conseguente aumento di CO2 nel sangue ed acidità metabolica, provocando un aumento del Ph acido del sangue, condizione, questa, che favorisce l’attecchimento e la proliferazione di cellule cancerogene. Per non soffermarsi sui più “banali” disturbi quotidiani quali mal di testa, tachicardia, disturbi generici con alterazioni via via sempre più gravi, ansia, stress e nervosismo.

Ultimo in ordine di domanda ma sicuramente tra i primi per importanza, il miracoloso Vaccino che tutta l’umanità sta aspettando.

La sperimentazione di un vaccino è pretesa più insensata che inesaudibile alla luce delle argomentazioni fin qui esaurientemente svolte. E’ impossibile pensare ad un vaccino per un virus che muta continuamente pelle, le sequenze trovate in un anno hanno raggiunto l’enorme numero di 70 mila! Siamo di fronte ad un business di portata esorbitante che cura gli interessi di Big Pharma. Basti pensare il costo del vaccino (0,50 cent) al costo unitario al pubblico di 35/50 euro minimo. Oltretutto, in termini più generici, i vaccini contengono sostanze dannosissime per il nostro sistema immunitario che è appunto il principale deputato a difenderci dalle aggressioni e dall’aggressività di virus e batteri. I vaccini di nuova sperimentazione contengono sostanze che interagiscono con la tecnologia del 5G con lo scopo di controllare e modificare il nostro patrimonio genetico. Il premio da spartire fra gli operatori sanitari per la diffusione della campagna vaccinazione ha raggiunto cifre incalcolabili.

Per tutto quello che dico e affermo risulto scomodo a YouTube e Facebook che invece vogliono tutti allineati al Pensiero Unico Mondiale seguendo la dittatura dell’ignoranza e il potere della Finanza.

 Frammenti che orbitano qua e là, individuati, carpiti; li commento e condivido con voi.

 

 

La Riflessione!

Ma è lokdown o non lo è? “Chiudere tutto significherebbe dare un colpo duro all’economia. Negozi aperti, bar e ristoranti, se pur in orari limitati, pure. Però non uscite di casa”. C’è qualcosa che non torna o, per alcuni, torna, eccome. E il comparto del vino, cibo, enoturismo torna in sofferenza. I ristoranti reinvestono in pranzi e nel servizio a domicilio, le aziende vinicole propongono sconti su sconti, televendite e vendite a distanza. Gli agriturismo offrono fine settimana a prezzi stracciati mentre tutti stiamo davanti ai televisori ad aspettare cosa fare. In questo marasma comunque le notizie dal nostro mondo non mancano. Le riporto commentandole come se nulla stesse accadendo. Non molliamo.

 

 

Frammento n. 1

Vendemmia 2020 ottima nella qualità

Assoenologi, Ismea e Unione Italiana Vini ci confortano. La vendemmia 2020 ha mostrato il meglio di sé. Uve di altissima qualità a scapito della quantità. Personalmente il primato mondiale di produzione mi ha sempre lasciato indifferente ritenuto elemento non qualificante. L’ottima qualità sarà il valore aggiunto. Ora attendiamo “grandi vini”. La natura ci ha dato una grande mano. A noi non tradirla.

 

 

Frammento n. 2

Progetto vino a Pianosa.

 
 Pianosa

È stato battezzato Progetto Pianosa. Direi Ri-progetto Pianosa visti i precedenti tentativi sostanzialmente “naufragati”(termine consono ad un’isola). La motivazione: reinserimento sociale e rieducazione ad antichi mestieri. Coltivare uva e produrre vino è uno di questi. Firmato, in questi giorni, il protocollo d’intesa tra Dipartimento di Amministrazione Penitenziaria (Dap) e Comune di Campo nell’Elba. Ricordo male o anche i Frescobaldi, dopo il loro progetto Isola della Gorgona, iniziarono nel 2016 un programma simile a Pianosa? Come è finito? Pianosa dopo secoli e secoli forse ri-tornerà ad essere un luogo vitivinicolo. La riflessione: serve formazione in aula e sul campo con la scelta mirata per la selezione dei vitigni consoni ad un terroir marino spazzato da tutti i venti (isola pianeggiante senza alcuna barriera difensiva). Immagino filari molto bassi, potature adeguate e disposizioni delle piante a seconda delle varie “vene” dei terreni disomogenei presenti. Se l’accordo è finalizzato ad ottenere il “vino del contadino”, questa rimane solo una notizia socialmente auspicabile. Se si vuole ottenere il ritorno alla produzione nel ricordo di quanto fatto nell’antica Roma, la notizia diviene doppiamente interessante e rimaniamo tutti fiduciosi di bere tra qualche anno, il vino di Pianosa. Però, visti i precedenti tentativi, mi sia permesso e concesso di essere scettico.

 

Frammento n. 3

È in uscita il Prosecco Rosé.

C'è il via libera dall'Unione europea: sì al Prosecco Rosé. Prime bottiglie a fine dicembre. Lo rende noto la Coldiretti nell'annunciarne l'avvenuta pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale dell'Unione europea C 362/26. L'obiettivo è il 10% della produzione, ovvero 50 milioni di bottiglie di prosecco rosé da immettere sul mercato. La Doc Prosecco, dunque, potrà esportare l’ultimo nato di famiglia, il Prosecco Doc Rosé. Si tratta di circa 20 milioni di bottiglie di color rosa tenue, in parte già distribuite entro i confini nazionali tra settore Horeca (ristorazione) e Gdo (grande distribuzione organizzata) che ora potranno raggiungere anche i principali mercati esteri, dai quali il Consorzio si attende le maggiori soddisfazioni. E poi c’è Prosekar (termine sloveno ad indicare le produzioni da vitigno glera nei dintorni della cittadina Prosecco alle porte di Trieste, che rivendica la paternità del nome). Ne vedremo delle belle e da parlarne.

 

 

Frammento n. 4

L’evoluzione della specie. Vi.Te. e VinNatur insieme.

Avvicinamento, avvenuto questa estate, tra le due associazioni più importanti nell’aggregazione dei vignaioli “naturali” in Italia: VinNatur e Vi.Te – Vignaioli e Territori.

 
 i vignaioli "naturali"

Angiolino Maule e Gabriele Da Prato, presidenti delle due associazioni, con l'obiettivo di gettare le basi per un percorso condiviso. Quando si può parlare di vini autentici? Quando un vignaiolo può dirsi veramente tale, al di là di mode e progetti commerciali? La volontà di dare un primo segnale concreto e chiaro si è tradotta nell’idea di un evento congiunto (quando sarà possibile, Covid-19 permettendo), fuori dagli abituali e classici incontri vinicoli, che possa anche dare un messaggio di positività e speranza al settore. C'è chi lo definirà "ritorno", chi "evoluzione", e chi ancora "rivoluzione". L'attenzione sarà volutamente rivolta ai vignaioli naturali (!), prima che al vino (affermazione che ha il sapore di sfida). La decisione, da parte delle due associazioni, di percorrere una strada comune, mette in relazione oltre trecento vignaioli e le loro aziende, che con un'unica voce potranno finalmente affermare tutto questo con ancora più chiarezza e determinazione. La sentirete presto (dicono loro). Siamo impazienti per l’evoluzione di questa specie. I vignaioli naturali.

  Frammento n. 5

 
Carlo Cracco (a sin.) e Luca D’Attoma

Carlo Cracco sceglie Luca D’Attoma

Carlo Cracco affida l’Azienda Agricola Vistamare - nuovo progetto dello Chef Carlo Cracco e della moglie Rosa Fanti – all’enologo Luca D’Attoma. L’azienda sorge su una collina a Santarcangelo di Romagna (Rimini). Un piccolo gioiello con 5 ettari di vigneto. “Sono molto felice di aver l’occasione per potermi misurare con una persona di grande talento come Carlo Cracco”, racconta l’enologo Luca D’Attoma che conosce bene l’entroterra romagnolo - collaborando già con altre due realtà come San Valentino e San Patrignano - e sa che si tratta di un territorio ancora poco conosciuto ma con un potenziale enorme dal punto di vista agroalimentare ed enologico. Carlo Cracco afferma:”proprio per il vino, mi sono affidato a Luca D’Attoma, grande professionista e conoscitore di vino, per cui nutro da sempre una profonda stima”. Due vini saranno imbottigliati prima della prossima vendemmia. Un vino rosso che vede Sangiovese di Romagna in preponderanza, con piccole percentuali di Cabernet Sauvignon, Lambrusco e Trebbiano. Un Vino bianco composto invece da quattro vitigni: Rebola, Pagadebit, Albana di Romagna e Trebbiano della fiamma. Ambedue ad esaltare le caratteristiche del terroir, senza aromi fermentativi e con profumi decisi.

 

 

Frammento n. 6 (Il ristorante scelto).

Ristorante Pipero

                                       Pipero, stella di Roma.

Alessandro Pipero stella Michelin a Roma. Si definisce simpatico preferendo il contatto con le persone e le belle donne. Piaccia o non piaccia, sono così. Dopo diverse location è sicuro di aver trovato quella giusta. Sotto le mentite spoglie di un menestrello nasconde quelled’istrione, della buona tavola, con una personalità arguta e lungimirante, conoscendo bene il servizio, l'arte dell'accoglienza e dell'ospitalità. Camerieri si diventa non si nasce, servire è un'arte suprema. La sua forza? La compattezza e coesione con il suo team di sala. Unico obiettivo:lasciare un ricordo indelebile a tutti gli ospiti. Chef Ciro Scamardella “Tra i fornelli mi sento come un compositore. La genovese di polpo in raviolo è la mia portata di punta. Mi piace ricercare l’equilibrio abbinato all’emozione”.

Pipero Roma

corso Vittorio Emanuele II, 250 - Roma

T. 339 7565114 - 06 68139022

www.piperoroma.it

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Osservo, scruto, assaggio e…penso. (urano cupisti)

  All’Angelus di domenica 25 ottobre, Papa Francesco ha annunciato la nomina di tredici nuovi cardinali.

 

 

“Tra essi sei sono italiani: ed è insolito che una metà siano nostrani. S’accrescono le modalità di uscita dalle regole tradizionali nella scelta dei ruoli e delle sedi, uscita praticata da Francesco fin dal primo concistoro, nel gennaio del 2014”, ha commentato il decano dei vaticanisti italiani Luigi Accattoli. Per altri, invece, la notizia segna anche il proseguimento di una secca reazione, da parte di Francesco, alle voci che parlavano di un indebolimento del suo Pontificato durante il coronavirus, dopo lo scandalo finanziario vaticano e la pubblicazione dell’Enciclica Fratelli Tutti, l’indizione del Concistoro segna quindi un nuovo cambio di passo.

         Ma andiamo per ordine. Nessun indebolimento ha causato il recente scandalo che ha fatto capo alla destituzione del cardinale Beciu. La fermezza del Pontefice nella volontà di “mettere ordine” nelle cose della Chiesa e di bandire una volta per tutta la corruzione dalla Casa di Dio è dopotutto cosa che ha contraddistinto tutto il suo operato fin dal’inizio della sua salita al Soglio di Pietro. Come anche la scelta operata dallo stesso Conclave che lo ha selezionato e voluto, prendendolo da lontano ed appartenente all’antica e nobile stirpe ecclesiale dei gesuiti. Tanto è vero che nei corridoi dei sacri palazzi, il giorno dopo del suo “Abemus Papam”, già mormorava: “è arrivato il «liquidatore» del disordine“.

         Ciò che invece salta al’occhio, anche del più sprovveduto commentatore di cronache vaticane, è che dei 6 nuovi cardinali italiani, sui 13 nominati, due abbiano stretta “confidenza” con il Santuario della Madonna del Divino Amore. Si perché nello scandalo che ha travolto Beciu, coesiste un secondo “affaraccio” non meno peccaminoso del precedente, anzi per certi versi…. , ben peggiore.

Ci riferiamo alla paventata canonizzazione (proprio sotto la diretta responsabilità del cardinale Beciu, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi) di don Umberto Terenzi, l’artefice nel 1959 del collocamento dei microfoni nel confessionale, foresteria e cella di Padre Pio, per spiarne l’operato. Un sacrilegio che negli anni sessanta fece gridare allo scandalo religioso alla stampa di mezzo mondo.

Fummo proprio noi, da queste pagine lo scorso giugno, gli unici a protestare (vedi articolo) per l’impropria elevazione del personaggio a “servo di Dio”.

Don Terenzi complice dei frati cappuccini nello scandalo Giuffré, tradì la fiducia, l’amicizia e la sua stessa consacrazione sacerdotale, a danno di chi Santo lo era veramente: Padre Pio.

         Dunque l’elevazione a cardinale di Mons. Marcello SEMERARO (Vescovo di Albano e Segretario del Consiglio dei Cardinali) e la nomina, dello stesso, a Prefetto della Sacra Congregazione delle Cause dei Santi, in sostituzione del destituito Beciu ; come anche l’elevazione a cardinale di Mons. Enrico FEROCI ( Direttore della Caritas) e la sua nomina a Parroco del Santuario della Madonna del Divino Amore di Castel di Leva, ci inducono, gioco forza per diritto di cronaca, a pensare.

         A pensare e dedurre che il nostro amato ed illuminato Pontefice, Papa Francesco, agendo con tempestiva risoluzione, abbia messo in salvo lo spirito di fede di milioni di credenti, devoti alla tradizione dei Santi e …., come anche a quella vastità di numerosi terreni, donati per grazia ricevuta, dagli innamorati di fede della Madonna del Divino Amore che trovarono salvezza da morte certa nel’ultimo conflitto Mondiale.      

E’ uscito dalla porta principale anche se nella sua vita non si era mai sopravvalutato.

E’ morto il giorno del suo compleanno, il 2 novembre, giorno che commemora i defunti. Una “mandrakata” per usare la parola ormai cult degli anni settanta estrapolata dal film “Febbre da cavallo” interpretata da “Gigi”. Gigi il maestro, Luigi Proietti classe 1940.

Non parleremo di lui e di cos’era, tutti lo sanno, non faremo lodi alla sua bravura né tesseremo parole per quanto fu estesa la sua arte. Fu direttore artistico, regista di opere liriche, regista teatrale, regista televisivo, attore, cantante, musicista, doppiatore, suonava il pianoforte, il contrabbasso, la fisarmonica, la chitarra.

Attore di cinema, di teatro, di televisione, mattatore e show man, ironico, comico, mai prevedibile. Dai primi anni 60, iniziò anche a doppiare, dai cartoni animati della Warner Bros a grandi attori come: Marlon Brando, Richard Burton, Dustin Hoffman, George Segal, Robert De Niro, Silvester Stallone e tanti altri.

Si cimentò persino con la poesia componendo sonetti pubblicati negli anni ‘90 sul Messaggero e pubblicò il “Decamerino”Novelle dietro le quinte (Rizzoli 2015)

Scrisse libri ricchi di aneddoti, dove raccontava i retroscena nei vari teatri, di quei camerini dove cipria, costumi e parrucche riempivano ogni spazio. Scrisse di Roma, dei suoi personaggi, ne scrisse con amore, dolore, ricordo e tanta vita da rievocare. Un grande attore ma non solo, un grande protagonista, un ballerino, una macchietta, un saltimbanco, un mondo di arte da condividere con chiunque.

Luigi Proietti non rinchiuse in sé la sua bravura e la sua esperienza: volle giovani da indottrinare, ragazzi da fare crescere artisticamente e là dove trovava talento, spremeva fino in fondo per fare venire fuori da loro l’essenza dell’uomo o della donna per farli salire capaci, sul palco polveroso del teatro.

Laboratorio di Esercitazioni Sceniche nasce nel 1978 sotto la direzione artistica di Luigi Proietti e di Sandro Merli presso il Teatro Brancaccio di Roma; qui Proietti porterà in scena con i suoi allievi moltissimi spettacoli di successo. Per anni l’attore mantenne quella scuola da solo fino a che arrivarono i primi contributi Regionali. Molti attori furono formati grazie alla sua esperienza e qualità d’insegnamento.

Più scaviamo sulla sua vita e più scopriremo le attività artistiche svolte e non è questo il senso dell’articolo. Vogliamo ricordare l’uomo, le sue capacità, il suo prendersi in giro e la forza indomabile dell’interiorità istrionica che pareva esplodere ogni volta dal suo corpo. Vogliamo ricordare quel suo sorriso contagioso, quella sua mimica, quella sue pause, respiri e battiti che si sentivano pulsare nel silenzio di un palco di anime incantate da lui.

Erano anni che Proietti non stava bene, ma non resisteva la chiamata del teatro che era sua casa, il suo modo di vivere, la sua vita tutta d’un fiato. Non è retorica dire che ci mancherà, lui era grande davvero e come lui pochi portavano in scena l’ironia, l’allegria, la contagiosità di un mondo migliore. Se n’è andato da grande e se n’è andato nello stesso giorno in cui è nato come per chiudere un cerchio. Luigi Proietti nasce il 2 Novembre 1940 e muore il 2 novembre 2020. Giorno dedicato ai defunti. La sua ultima mandrakata. Vorremmo tanto che fosse una fake news

A tutte/i le Pacifiste/i, in concomitanza con un traguardo importante quale la ratifica da parte di 50 Stati del Trattato di Proibizione degli ordigni nucleari (TPAN), questa mattina 25 ottobre alle 7.00 è deceduta l’artista Silvana Simone, che per noi di WILPF-Italia e per me, che le sono stata amica, ha rappresentato una complice fervente dell’obiettivo di contrastare la guerra e profetizzare una vita di equilibrio, di rispetto per gli esseri umani, per gli animali e il Pianeta.

Come una vate, come una santa, convinta e brillante nella sua capacità di esprimersi – ovvio sbocco di un’Artista che sente, capta e restituisce agli altri il proprio pianeta interiore di intuizioni ed emozioni – Silvana ha prodotto sempre in modo indipendente tre CD. Negli Anni Ottanta “Almeno tentare”, nel 1998 “L’utopia ti cingerà la vita” e nel 2005 “Armonia Novella”. Appassionata di Bob Dylan, Joni Mitchell, ha vissuto a Ginevra il primo periodo di attività artistica e poi si è trasferita a Roma. Ha sempre lamentato la difficoltà di essere sulla scena musicale come artista che compone, scrive testi, interpreta e suona, senza essere supportata da discografici, spaventati dallo spessore del suo messaggio troppo poco commerciale e pronti solo a sfruttarne l’avvenenza e la voce, per interpretare canzoni scritte da uomini.

Per smarcarsi da questi meccanismi odiosi, descritti nella canzone “Mercati mentali”, Silvana si apre al mondo digitale e lì finalmente comunica con centinaia di followers che scaricano le sue canzoni e le scrivono ammirati. Così diventa invitata speciale della radio argentina “Nuevas Sensaciones Italianas” che le ha dedicato un’intervista il 1° maggio 2020. Intelligente e volitiva Silvana ha costruito il monumento a sé stessa, il proprio sito a disposizione dell’umanità, quando questa sarà pronta a capire e a ritrovarsi in parole così sagge.

Nella sua Arte e nella sua Vita c’è un’impronta: la Resistenza, la Solitudine, il Possibile “La chiarezza non si coglie come un fiore però, come montagna si può scalare”... c’è l’imperativo di rimanere sé stessa con le proprie convinzioni aldilà delle deficienze e dell’assurdità degli eventi, che si accumulano ispirati da logiche nefaste. Un’immensa solitudine ha circondato quest’artista dallo sguardo inquieto e il sorriso africano. Raccontava Silvana di avere fatto un’improvvisazione in Francia con Dizzy Gillespie (morto dello stesso male), che la voleva con sé; di un concerto in cui sentì dalla folla un ragazzo africano chiamarla estasiato: “Silvana!!!!”. L’ultima volta che ci siamo viste prima che si trasferisse a Lecce nel gennaio 2019 è stato nel dicembre 2018, quando mi ha accolto nella sua casa per fornire a tre ragazzi gambiani rifugiati - venuti con me - coperte, lenzuola, suppellettili…

Essere notturno, di grandi meditazioni e filosofia, Silvana ha utilizzato la sua musica per educare e per sfogarsi. E’ mancato tragicamente il nesso tra la sua genuina identità di artista capace di esprimersi solo attraverso la musica e un contesto militante che sapesse sostituirsi a quell’impresariato musicale che voleva solo deviarla. Ma ci sono state occasioni d’oro: un concerto a Bonn il 17 aprile 1999 invitata dalla diaspora curda, un’esibizione a Roma a piazza bocca della Verità il 10 novembre 2001, un’esibizione a Berlino invitata dalla WILPF tedesca, la realizzazione della versione italiana dell’inno della “Marcia mondiale delle donne contro guerra, violenza e povertà” nel 2002. C’era in programma un concerto presso la Casa Internazionale delle Donne a Roma…

Credeva nella dimensione dell’amore Silvana, nel tentativo di dialogare con il mondo maschile, che ha espresso in canzoni come “Uomo”, “Almeno tentare”, “Apriti come un fiore” “E’ amore”, “Sulla sabbia”. Credeva nei rapporti tra donne, anche se le trovava impreparate a cogliere la sua disponibilità artistica per le loro lotte. E’ stata adorata da Adele Faccio che le regalò la sua Enciclopedia della Musica. Bellissima è la canzone dedicata alla madre “Che tenerezza” e alle amiche “Aspetti”.. Amava i bambini e diceva sempre che non avrebbe potuto essere madre perché sarebbe stata troppo apprensiva. “Armonia novella” fa riferimento alla pedofilia quando parla di “oscenità naviganti e piccoli cuccioli offesi, di indifferenze colpevoli” e nella bellissima “Piccolo Tom” fa un omaggio a un bambino immaginario. Credeva nella Pace e nel Disarmo e lo ha espresso in modo imperativo e veemente in canzoni come “Non si può più aspettare” “A voi guerrafondai maledetti” e nella sua preghiera laica “Merçi”. La Musica era il suo grande conforto, la sua grande amica e “stella luminosa” a cui ha dedicato “Euterpe” e “Spontaneamente”. La sua mortificazione di fronte a scenari di violenza e guerra è espressa in “Anima” mentre l’incoraggiamento a non desistere mai è in “L’utopia ti cingerà la vita” e in “Armonia novella”. Una canzone in particolare è dedicata all’immigrazione: “La danza nel freddo”, ispirata dalla sofferenza dei curdi accampati a Roma nel 1998, vittime della repressione dei governi turchi. Ha conosciuto Dino Frisullo Silvana e Hevi Dilara le ha dedicato un ringraziamento, conservato nel suo sito. Al rispetto e al godimento dell’ambiente è dedicata “Non si interrompono i sogni”. La sua terrazza romana in Via di Casal del Marmo era piena di rose gialle, le scale di casa e gli interni erano tappezzati di ghirlande rampicanti, di ciuffi di piante: un’ evocazione di quel mondo naturale che stiamo uccidendo. Il giallo era il suo colore (insieme al rosso, all’azzurro, al nero e al bianco). Il suo cane lassie che apostrofava “O cuccolo” si chiamava “Sole”. Silvana era energia solare, vocale e mentale, consacrata alla liberazione dalla crudeltà umana, maschile in prevalenza. Chiara è per Silvana la femminilità. La sua una voce da opera prestata al blues. Quanta voglia di vivere e di fare aveva Silvana, di partecipare a concerti per sostenere delle cause, di collaborare con artisti africani che le proponevo di incontrare… D’altronde Karl Potter è stato per anni il suo percussionista (insieme a Roberto Genovesi, alle chitarre e tastiere)!

Giuliano Bucarella, suo compagno di vita, fotografo e marito in questi ultimi giorni, ha rivelato che la notte del 21 ottobre nel dormiveglia Silvana ha detto: «Non lo sanno che chi non sogna non sa amare…!» E’ stato proprio per stare vicino a Giuliano, “…la mia esigenza di vita più vera, viva, intensa…è anche la tua, la nostra tenera convenienza” (“Almeno tentare”).. - afflitto da problemi di salute - che lealmente Silvana ha sospeso la sua attività negli ultimi anni, sperando arrivassero tempi migliori. Dal 2020 invece, è stato Giuliano a prendersi cura di lei. Abbracciamo Giuliano, tutta la famiglia di Silvana e in particolare il fratello Donato, che ha sempre condiviso l’impegno civile di questa sorella speciale.

Sciogliamo le barriere che a volte lasciano scompagnate le persone impegnate in obiettivi comuni e facciamo risuonare la voce profetica di Silvana nelle nostre lotte per migliorare l’esistente e renderlo libero, positivo e dolce, come lei. Andatelo allora a vedere il suo sito dedicato all’utopia: www.silvanasimone.com, Silvana Simone Biografia.

Inno della Marcia Mondiale delle Donne (2002)

Nell’utopia il seme da coltivare

Per la gioia di un mondo da liberare,

da un mondo vile di guerre e povertà

ci dissociamo, complici non ci avrà,

in marcia, unite e vere

controvento

vogliamo, esistiamo

in marcia, unite e vere

la stella che brilla in noi mondializzata sì va, sì che va

il multicolore, vita alla vita,

armonia, armonia sarà

in marcia unite, futuro con dignità

amore e pace di certo sarà!

(a cura di Patrizia Sterpetti, Presidente di WILPF-Italia)

 
 Un piatto

Quando si parla di cucina nella grande Roma il pensiero corre a quella “decisa, estrema”.

Basti pensare al fegato con i fichi o ai tagli di carne cosiddetti poveri , succulenti e cucinati magistralmente come la coda alla vaccinara o i rigatoni con la pajata, intestino di vitello con contenuto il chimo (latte).

Poi, allontanandoci dalla città, ecco apparire sulle tavole cacio e pepe, penne alla carbonara o i sempre ricordati bucatini all’amatriciana.

Tuttavia Roma offre anche altro, segue le mode, mostra il suo lato internazionale e negli ultimi tempi è divenuta anche il riferimento di una cucina dove ricercare, assaporare caratteristiche dominanti d’alto livello: la cucina dei grandi chef.

“Food is Love, il Cibo è Amore”. Una delle tante espressioni, citazioni dell’executive chef, Filippo Paoloni.

Con alle spalle una storia di emigrazione voluta e non obbligata, quella caratterizzata dal sempre omnipresente “bagaglio dei sogni, miraggi, aspirazioni”.

Viaggi nel mondo della ristorazione a fare esperienza nelle cucine dei grandi e lussuosi Hotel di prestigiose catene o ristoranti di fama internazionale.

<<Volevo viaggiare, scoprire nuovi luoghi, conoscere nuove culture. Ho pensato che studiare in ambito turistico mi avrebbe avvicinato al mio sogno>>. (Filippo Paoloni)

 
 Lo staff

E così lo ritroviamo ad Abu Dhabi, Dubai, New York, Singapore, Malesia, ritorno nella Grande Mela e, nuovamente dopo una parentesi di sei anni a Roma, l’avventura a Mosca.

Partito alla scoperta del mondo ad imparare l’arte del cucinare e prepararsi ad esprimersi in prima persona.

 
 Filippo Paoloni

Con in tasca, tra l’altro, una planimetria della terra con segnate in rosso i luoghi gastronomici più preziosi dove mettere piede ed assimilare, con serietà e passione, la suprema Arte della gastronomia.

Poi nel 2012 il rientro in Italia, a Roma zona Est vicino al raccordo anulare, finalmente nel “suo” locale: il Fil Restaurant.

<<Lontano dai riflettori, in una zona di periferia, ho scelto di ritirarmi qui con la mia dolce metà rendendolo un luogo accogliente e familiare>>. (Filippo Paoloni)

Ti accoglie con la sua aria simpatica, gentile, bonaria e, se sei curioso, ti racconta la sua storia con gli occhi che gli brillano.

In cucina non ci si annoia mai.

Passione e bravura messe a frutto per realizzare piatti in cui sapore e innovazione si sposano a meraviglia restando le caratteristiche dominanti della proposta culinaria, sempre di alto livello.

<<Ho girato il mondo ma le ricette tradizionali italiane sono state le mie compagne di viaggio, il bagaglio più importante, il mio baricentro. Non ho mai modificato una ricetta perché in quel posto piaceva così. Sono uno chef italiano porto l'Italia sulla tavola del mondo>>. (Filippo Paoloni)

 
Il ristorante

La proposta di antipasti è la forza del locale, un viaggio nei sapori di terra e di mare che possono diventare un menù degustazione. Per scelta il menù cambia ogni 3-4 mesi così che i clienti possono assaggiare sempre nuove ricette e in cucina....non ci si annoia mai!

Un'esperienza di gusto e con gusto è quella che si vive al Fil Restaurant dove il pesce è il protagonista. Sempre fresco, preparato con ricette tradizionali o rivisitate, come la sorprendente amatriciana di polpo. Grazie anche allo sfizioso menù degustazione, fatto di una meravigliosa serie di antipasti che esplorano tutti gli angoli della cucina dello Chef Filippo Paoloni, l'esperienza al Fil Restaurant diventa unica.

Ed il locale? Arredato con cura, con sale confortevoli, con un servizio pronto a fronteggiare qualsiasi esigenza contingente. Ma soprattutto calore e sorrisi spontanei e sinceri che fanno sentire chiunque subito a proprio agio

Varcare la soglia del Fil Restaurant è sempre un’esperienza straordinaria vuoi per la grande cucina protagonista principale con idee golose e interessanti che cambiano ogni volta, vuoi per la cura maniacale in ogni dettaglio accompagnata dalla nota di eleganza che lo contraddistingue. Chapeau!

 

Urano Cupisti  

 

Fil Restaurant

Via Raffaele Costi, 11

00155 Roma

Tel. 06 2260877 - 339 2290072

www.filrestaurant.it

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October 26, 2020

Il debito economico alla base della psicopandemia.

A poco più di sette mesi dal primo lock down annunciato dal Presidente Conte, nuova stretta decretata per L’Italia già gravemente provata dalle restrizioni in atto che hanno fatto registrare un Pil a singhiozzo dopo la dichiarazione di “Pandemia” da parte del Governo. Anche la fantomatica mascherina il cui uso è stato fatto osservare con modalità che molto spesso hanno rasentato il ridicolo e che avrebbe dovuto scongiurare i contagi (almeno così ci era stato detto!) non si è rivelata all’altezza del compito. Se, oggi, infatti, L’Institute for health metrics and evaluation dell’Università di Washington finanziato dalla Fondazione di Bill e Melinda Gates annuncia la previsione di 450 decessi al giorno, in Italia, per fine novembre! Ossia il triplo rispetto ai valori attuali. Ma i numeri, mai come in questo caso, sono opinabili poiché il risultato di mille variabili ed incognite. E mai, come in questo caso, usati per un fine che è di natura economica e non sanitaria. A spiegarlo, in maniera chiara ed estremamente lineare, Sonia Savioli che nel suo libro “Il giallo del Coronavirus. Una pandemia nella società del controllo”, indaga lo stretto rapporto fra soldi e potere. Già nel 2018 le Finanziarie Globali avevano previsto un crac dell’economia mondiale proprio per il 2020. Un’economia fondata sul debito che, nel suo conteggio globale di 253.000 mld di dollari, dal 2008 ad oggi ha avuto un incremento pari al 300%. Cifre esorbitanti e non certamente gestibili con i criteri economici alla portata umana. Così il WEF, World Economic Forum, secondo una proiezione del 2016, aveva previsto un aumento della disoccupazione globale che, entro il 2020, avrebbe portato alla perdita di 11 milioni di impieghi in tutti gli ambiti professionali, causa l’automatizzazione dei processi. La quarta rivoluzione industriale sarebbe stata il tema ufficiale del proprio incontro annuale. In cosa consiste è presto detto, sostituzione del lavoro umano con macchine cibernetico-digitali chiaramente nei Paesi industrializzati dove il costo della manodopera supera quello di una macchina. 800 milioni i posti di lavoro eliminabili. Il sogno del capitalismo si avvererebbe considerando la perdita di lavoro come un piccolo effetto trasversale del sistema da attuare. E per distruggere quella fetta di mercato non funzionale all’economia delle Multinazionali, cosmopolite e senza patria, ci si è serviti della pandemia come forma di esercizio del controllo. Obiettivo: distruzione delle piccole e medie imprese. Abbattere ogni forma di concorrenza alle catene commerciali digitalizzate e ogni impedimento burocratico, ossia qualsivoglia forma di mediazione fra volontà del popolo e istituzioni politiche. Perché un consenso, seppur minimo del popolo, è necessario affinché una democrazia rimanga in piedi. Multinazionali direttamente sovvenzionate dagli Stati. Creando inflazione. Di Reset e Capitalismo si parla! Azzerare e Ricostruire. Capitalismo globale allo stato puro predatorio. Abolizione del contante per meglio favorire le procedure di controllo. Smart working per scoraggiare i rapporti umani e sociali, mancando il luogo di lavoro, mancano anche le possibilità di organizzarsi in associazione condivise. Incentivazione del settore cibernetico per l’uso necessario dei dispositivi tecnici al lavoro da casa. E intanto nel settore sanitario ci si arrabatta nel sostenere il diritto alla salute di chi non è mai stato tutelato da un sistema che ha distrutto il Pianeta, si propina l’utilizzo di farmaci che si sono rivelati inefficaci e si minimizza sulle terapie letali. Mentre, in attesa del miracoloso vaccino, il cui arrivo è previsto per fine anno e sul quale aleggiano infiniti dubbi e misteri, si procede con chiusure a macchia senza logica e buon senso. Mentre scattano le denunce alla sanità da parte dello stesso personale sanitario, si continua a imporre l’uso della mascherina, fonte di arricchimento per le aziende produttrici, simbolo di un bavaglio, inibitore psicologico e innaturale umiliazione per il cittadino.

“ANCHE DOPO L’AFFIEVOLIRSI DELLA PANDEMIA LE RESTRIZIONI NON SOLO NON SPARISCONO MA SI INTENSIFICANO CON LO SCOPO DI POTENZIARE IL POTERE”. E’ quanto si apprende da un documento della Fondazione Rockefeller che già, nel 2010, sembra aver tenuto nel cassetto la possibilità di attuare il Capitalismo globale.

Unica forma di consolazione è che alla base della manovra sta non tanto la forza del Capitalismo, quanto la sua debolezza.

 Frammenti che orbitano qua e là, individuati, carpiti; li commento e condivido con voi.

 

 

La Riflessione!

- La pandemia continua e miete “vittime” nel mondo vitivinicolo. Dopo il lokdown si è tentato di riorganizzare Fiere e Manifestazioni per poi comunicare con urgenza che “non sanno da fare” (parafrasando Manzoni).Le ultime “vittime” dell’aggravarsi della situazione emergenziale legata al Covid-19 sono il Merano Wine Festival (al momento rinviato a Marzo 2021) e il Mercato della Fivi annullato per il 2020. Inimmaginabile il danno al comparto. Non si tratta di Feste del Santo Patrono ma di Incontri dove gli operatori programmano il futuro. E come non pensare all’indotto. Prenotazioni alberghiere “saltate”, ristoranti pronti a soddisfare le richieste degli operatori, dei visitatori e costretti a rinunciare ad un lavoro già programmato con acquisti deperibili. Senza pensare alle messe in sicurezza dei locali. La voglia di non arrendersi annullata dai crescenti numeri di contagiati.

- “La dicitura vino naturale in etichetta è ingannevole”. Vero, sono d’accordo. Finalmente l’Europa si muove per portare chiarezza. Vino naturale non significa Vino di qualità più alta. E poi sul “naturale” ne vogliamo parlare?

 

Frammento n. 1

Mercato dei Vini Fivi e Merano Wine Festival rinviati al 2021.

Il Mercato dei Vini Fivi che annualmente si svolge a novembre al Piacenza Expo, è stato rinviato a novembre 2021 con un comunicato congiunto Fivi-Expo.

Il Merano Wine Festival in programma dal 6 al 10 novembre è stato rinviato a partire da venerdì 26 fino al 30 di marzo 2021. La scelta di queste date porterà confusione nel calendario primaverile 2021. Infatti sia il Prowein di Dusseldorf, il Summa e il Vinitaly si svolgeranno (salvo ripensamenti) nello stesso periodo.

 

  

Frammento n. 2

La dicitura “Vino Naturale” è ingannevole.

Quante volte gli addetti ai lavori, compreso il sottoscritto, l’anno detto e ridetto. L’indicazione vino naturale in etichetta può suggerire l’idea di un vino di qualità superiore. Il termine usato dalla Commissione Europea non da adito a nessuna interpretazione: misleading ovvero ingannevole. Ora aspettiamo dalla stessa Commissione regole chiare e un nuovo termine appropriato nell’interesse dei produttori e dei consumatori. Avremo la sostituzione di vino naturale? Personalmente sono scettico e l’impropriamente definito naturale ho la sensazione che sia difficile cancellarlo.

 

 

Frammento n. 3

Arrivano in Italia i vini cinesi, quelli buoni.

A renderlo possibile, udite, udite, Meregalli, il distributore italiano dei vini stranieri d’eccellenza. All’interno del proprio catalogo ci sarà la linea dello Chateau Changyu Moser XV. Un nome composito; si tratta dello Chateau Changyu, azienda vitivinicola fondata nel 1892 (!) e l’enologo austriaco Lenz Maria Moser. Come siamo arrivati a questo accordo? Nel capitale dello Chateau cinese c’è un 20% di proprietà statale e una piccola parte detenuto dalla storica casa italiana dell’Amaretto di Saronno, l’Ilva. E l’Ilva è distribuita da Meregalli. Il cerchio a questo punto è chiuso. Wine lover italiani volete una chicca? “Operazione ambiziosa per vincere la diffidenza nei confronti della provenienza di un prodotto superiore marchiato in negativo dalle convinzioni nostrane. Parola di Corrado Malpelli (Gruppo Meregalli). Siete pronti all’assaggio? Helan Mountain White 2018 (cabernet sauvignon vinificato in bianco), Helan Mountain Red 2017 (ne producono solo 300.000 bottiglie/anno) ed infine The Icon 2016, un cru produzione limitata messo in vendita a solo € 220,00.

Dimenticavo: il Gruppo Meregalli distribuisce il Sassicaia.

 

Frammento n. 4

L’enologo Riccardo Cotarella firma i vini della Cantina Valle d’Isarco.

 
 Riccardo Cottarella

“L’Alto Adige è un territorio unico soprattutto per la sua biodiversità e l’habitat naturale, unico nel panorama italiano” Così si è espresso Riccardo Cotarella, l’enologo italiano più famoso, appena ha messo i piedi sui terreni dei vignaioli consociati della Eisackaler Kellerei (Cantina cooperativa della Valle Isarco). “A 72 anni bisogna avere motivazioni nuove interessanti e qui le ho trovate”. Certo è una sfida importante visto le tipologie dei vigneti da cui si ricavano uve uniche: Kerner, Sylvaner, Muller Thurgau, Gruner Veltliner, Gewurztraminer, Riesling, Schiava, Zweigelt, Pinot Noir, Lagrein. Saranno i vini firmati Riccardo Cotarella a confermarlo.

 

 

Frammento n. 5

Chi è il pizzaiolo più bravo d’Italia?

Lo ha stabilito la classifica 50 Top Pizza. Si chiama Francesco Martucci della Pizzeria I Masanielli di Caserta. Una promessa fatta allo zio Franco con cui ha mosso i primi passi e imparato l’arte:” Zio vedrai che non ti deluderò”. Il suo essere sempre presente e la sua regola ferrea:” La mia regola è che se io non ci sono la pizzeria rimane chiusa”. Persona concreta che accetta il lavoro degli altri pur sempre ricordando che la pizzeria è casa sua. Chapeau!

Osservo, scruto, assaggio e…penso. (urano cupisti)

October 19, 2020

La ripresa del conflitto armato in Nagorno Karabakh, da un lato come scontro etnico-religioso, dall’altro come guerra per procura, è uno dei numerosi segnali dello scricchiolamento dell’ordine mondiale affermatosi dopo il crollo sovietico, a sua volta erede, quanto alle sue radici profonde, degli assetti geopolitici risultanti dall’affermazione dello Stato nazione e dall’intraprendenza coloniale delle grandi potenze; imperialismo e colonialismo, cui le potenze emergenti extraeuropee del XIX-XX secolo, prima gli Stati Uniti, poi il Giappone, hanno finito per adattarsi, e che attualmente la Cina sembra voler rielaborare.

 

 

Gli scontri che dallo scorso 26 settembre infiammano il Nagorno Karabakh, regione a maggioranza armena in territorio azero, si inscrivono nel quadro delle guerre per procura in cui dalla fine del secolo scorso sono impegnate le potenze regionali e mondiali, in uno scacchiere geopolitico sempre più complicato dall’emergere di nuovi attori e dai mutamenti di strategia dei vecchi. A nulla sono serviti né il cessate il fuoco a scopo umanitario negoziato lo scorso 10 ottobre dalla Russia, che ha sempre cercato di mantenere una posizione equidistante dalle parti belligeranti, né la tregua umanitaria concordata una settimana dopo dai due diretti interessati, ovvero l’Armenia, che sostiene gli indipendentisti del Nagorno Karabakh pur non reclamandone l’annessione, e l’Azerbaigian, il cui territorio è occupato per circa il 14% da Erevan e che gode del supporto con ogni mezzo di Ankara. Di contro, alle reciproche accuse di violazioni, si è aggiunta, infatti, dagli inizi di ottobre, la notizia della presenza di mercenari reclutati in Siria e inviati a sostegno dell’esercito azero dalla Turchia. A tal proposito, vale la pena osservare che, a differenza dei conflitti siriano e libico, nei quali Ankara recluta mercenari ausiliari per gruppi e organizzazioni inquadrabili all’interno della galassia dell’islam politico e del radicalismo sunniti, dai Fratelli musulmani a formazioni vicine ad al-Qaeda e ai cartelli del jihad dell’autoproclamatosi Stato islamico (Daech), dunque in varia misura vicini alla linea del presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, sul fronte caucasico, invece, vengono assoldati mercenari puri, che nulla hanno a che vedere con la galassia dell’islam sunnita, essendo la popolazione azera in maggioranza sciita duodecimana, la stessa religione ufficiale dell’attuale Iran. Un elemento interessante, considerando che molti di questi miliziani provengono dall’Afghanistan e dalla Cecenia, che assieme al Daghestan figurano tra i principali paesi di partenza dei combattenti stranieri (foreign fighters) di Daech. In altri termini, se mai fossero necessarie altre prove di come le religioni e i nazionalismi siano, in pace e in guerra, strumenti di dominio e di controllo sociale, il reclutamento di miliziani stranieri al soldo di compagnie pubblico-private (come la Wagner russa o la turca SADAT) illustra la complessità e il pericolo di questi conflitti (pertanto poco riducibili alla categoria mistificante di conflitti etnico-religiosi), sia nella destabilizzazione delle regioni teatro di scontri, sia nel dissesto del tessuto sociale dei paesi di provenienza dei mercenari. Infatti, dalla parte della cristiana Armenia, si trova anche la Repubblica islamica sciita dell'Iran, non solo in nome di importanti legami storico-culturali, ma anche a causa della diffidenza di Tehran verso i miti panturanici, che minacciano di risvegliare la numerosa e irrequieta minoranza azera che vive entro i suoi confini (su un totale di circa 83 milioni di abitanti, gli azeri iraniani sono 15 milioni).

Tra le fila avversarie, tra i principali partner di Baku nel settore della difesa, spicca, naturalmente, la Turchia (armi, droni, esperti militari per la formazione delle forze armate, inclusi i reparti speciali), che in virtù dell’accordo di Mosca, siglato nel 1921 dall’Unione sovietica e dai kemalisti turchi (quando il governo ancora formalmente in carica era quello del sultano Mehmet IV, che l’anno precedente aveva firmato l’umiliante trattato di Sèvres con le potenze vincitrici della prima guerra mondiale), è anche in qualche modo garante dell’integrità territoriale azera, soprattutto dell’exclave del Naxçıvan. Inoltre, Turchia e Azerbaigian si considerano, come dichiarato a più riprese dai rispettivi rappresentanti istituzionali, un popolo, due Stati (bir millet, iki devlet), sentimento rafforzato dalla linea al contempo panturanica e neo-ottomana di Erdoğan, benché questi due volti possano apparire contraddittori. Strumentalizzazioni ideologiche a parte, per Ankara l’Azerbaigian, oltre a essere un partner economico di rilievo (basti citare il gasdotto transanatolico TANAP, annunciato nel 2011 e inaugurato nel 2018, con una cerimonia cui hanno preso parte i presidenti di Turchia, Azerbaigian, Repubblica turca di Cipro Nord, Serbia e Ucraina), rappresenta un importante cuneo di proiezione strategica nel Caucaso e in l’Asia centrale, regioni considerate tradizionalmente come appartenenti alla sfera di influenza zarista, sovietica e in seguito russa. Per giunta, a differenza dell’Armenia, che ha nei confronti della Russia un rapporto di dipendenza economica e difensiva, l’Azerbaigian può trattare con Mosca da una posizione quasi paritetica, essendo i due paesi partner di rilievo nel settore energetico. La stessa integrazione del Nagorno Karabakh nei confini azeri, nel 1921, su iniziativa dell’allora Commissario del popolo per le nazionalità Josif Stalin, intendeva essere un messaggio di amicizia rivolto a Baku. Peraltro, la soluzione di riunire Armenia, Azerbaigian e Georgia nella Repubblica socialista sovietica di Transcaucasia mirava a creare un unico paese cuscinetto, esteso dal Mar Nero al Mar Caspio, entrambi mari strategici, fornendo contestualmente una soluzione di compromesso ai conflitti caucasici. Di qui i ripetuti tentativi di Mosca, sin dal primo esplodere del conflitto armato nel Nagorno Karabakh, nel 1991, di imporre il suo ruolo di mediatore, per indirizzare le rivalità verso la sfera diplomatica. In tal modo, la Russia gioca la carta del proprio sistema di alleanze, imperniato sull’Unione Economica Euro-asiatica (UEEA, istituita nel 2014 dopo la dissoluzione formale della Comunità Economica Euro-asiatica del 2000) e sull’Organizzazione del Trattato di sicurezza collettiva (OTSC, creata nel 2002 e che succede al Trattato di sicurezza collettiva del 1992, una sorta di NATO a guida russa). Tuttavia quest’ultima prevede che i paesi membri, che oltre alla Russia sono Armenia, Bielorussia, Kazakhstan, Kirghizistan e Tagikistan, si impegnino ad assistersi in caso di minacce alla sovranità e all’integrità territoriale. Di conseguenza, se l’Armenia fosse attaccata direttamente, la Russia sarebbe obbligata all’intervento militare. Un’eventualità che Mosca intende escludere, preferendo, per ora, dimostrazioni muscolari, come le esercitazioni belliche congiunte con altri alleati dell’OTSC, oppure a solo, come nel caso delle manovre attorno al monte Elbrus, un chiaro messaggio a Georgia e Ucraina di poco precedente l’esplosione degli scontri armati nel Nagorno Karabakh. Anche perché, la Russia non ha interesse ad alimentare le tensioni con la Turchia, con la quale da un lato tenta un accordo geopolitico nel conflitto siriano, e dall’altro ha in ballo importanti progetti di cooperazione energetica, come il gasdotto TurkStream, annunciato nel 2014 e inaugurato lo scorso gennaio dai presidenti dei due paesi con un duplice obiettivo: anzitutto suddividere definitivamente le rispettive aree di influenza, il Mar Nero controllato essenzialmente dalla Russia (in particolare dopo l’occupazione della Crimea, nel 2014, e la successiva apertura del ponte sullo stretto di Kerch, che collega la penisola di Crimea alla Russia), gli stretti strategici del Bosforo e dei Dardanelli sotto la giurisdizione della Turchia, come già prevedeva la convenzione di Montreux, del 1936; in secondo luogo, garantire ai mercati occidentali forniture adeguate di gas senza passare per l’Ucraina, le cui crisi del gas con la Russia, nell’ultimo quindicennio, hanno messo a repentaglio a più riprese gli approvvigionamenti europei. 

 

Dunque, il rischio principale implicato dalla ripresa delle ostilità nel Nagorno Karabakh non è rappresentato solo dalla maggior disposizione alla proiezione militare delle due principali potenze regionali coinvolte, Russia e Turchia, ma anche (anzi, soprattutto) dall’intreccio tra questo conflitto e quelli mediorientali e nord-africani, che hanno come teatro Siria e Libia. Qui, infatti, gli interessi strategici di Mosca e di Ankara sono in conflitto, ma mentre nel caso della Siria le divergenze sono state appianate (almeno in parte e temporaneamente) dai negoziati per il processo di pace, in Libia i due paesi sembrano tuttora schierati su fronti avversari, ciascuno con le sue truppe mercenarie. Un intreccio simile a quello osservabile in un’altra regione ad alto potenziale conflittuale, i Balcani, dove, ad esempio, Ankara e Mosca sono rispettivamente il primo partner economico e il primo partner nella difesa della Serbia. In questo scenario, a differenza di quanto avviene in Libia, le divergenze strategiche appaiono poste in secondo piano dalla presenza di altri attori, in primis Germania e Stati Uniti, che negli anni '90 del secolo scorso avevano assunto il ruolo di potenze egemoni nella regione. L'eventualità che gli equilibri in gioco stiano mutando (o che siano già mutati) potrebbe essere letta in almeno due fatti. Primo, la recente parziale revisione dell'immagine della Serbia, a seguito degli arresti ordinati dalla Corte penale internazionale dell’Aja di alcuni ex dirigenti dell’Esercito di liberazione del Kosovo (UÇK), con l'accusa di crimini di guerra. Secondo, l'inclusione dell'area balcanica nel progetto cinese della Belt and Road Initiative (BRI), noto come le nuove vie della seta, che ai tre attori storici (Russia e Turchia dal XVIII secolo, USA dalla fine del XX), ne aggiunge un altro, la Cina. Le complesse convergenze tra Libia, Siria, Caucaso e Balcani sono peraltro favorite dal coinvolgimento di un’altra potenza regionale, silente ma determinata: Israele. Tel Aviv ha da tempo avviato con l’Azerbaigian una significativa alleanza nel settore della difesa, sia per vendere a Baku armi, droni e dispositivi elettronici, sia perché considera il territorio azero un punto di osservazione ideale per le operazioni di intelligence a danno dell’Iran. Un altro elemento comune rilevante a questa serie di conflitti, come a tutti quelli a sfondo etnico-confessionale scoppiati nel corso del XX secolo è il loro inquadramento in ordini mondiali che, pur cambiando quanto agli equilibri di forze, hanno sempre rivelato la loro matrice comune: le loro radici affondano nella commistione tra economia capitalista e culto del profitto da un lato, Stato-nazione e imperialismo colonialista dall’altro. Dalla fine del XIX secolo, infatti, gli ordini mondiali che si sono succeduti hanno sempre innescato disordini geopolitici forieri di guerre e instabilità, modellati sulla necessità di sacrificare sull’altare del profitto le regioni strategicamente più significative e le popolazioni che vi abitano. Gravi sono quindi le responsabilità delle grandi potenze nella fitta e intricata catena di guerre e devastazioni che hanno afflitto e tuttora affliggono vaste aree del pianeta, almeno a partire dal Congresso di Berlino (1878) e dalla Conferenza di Berlino (1885), nei quali, con la mediazione del cancelliere tedesco Otto von Bismarck, si definì la spartizione, rispettivamente, della regione balcanica e del continente africano. L'ordine mondiale che si strutturò in quegli anni fu caratterizzato infatti da un crescente militarismo e dalla corsa agli imperi coloniali, in un crescendo di rivalità culminato nella prima guerra mondiale. In realtà, risalendo ancora indietro nella storia, è possibile individuare una matrice analoga nell’assetto geopolitico stabilito al Congresso di Vienna, i cui principi erano volti essenzialmente a impedire che sul Vecchio continente emergesse una nuova potenza in grado di concepire e compiere le imprese della Francia napoleonica. Diverso, invece è il caso dell’assetto geopolitico planetario che nel XVIII secolo risultò da tre conflitti: la guerra dei sette anni (1756-1763, considerata il primo conflitto mondiale), la rivoluzione americana e la rivoluzione francese. In quest'ultimo caso, infatti, il colonialismo e un sistema economico di tipo capitalista non si accompagnavano all'idolatria dello Stato-nazione, benché vi fosse la sempreverde pretesa di giustificare l'imperialismo e l'oppressione con teorie più o meno esplicitamente razziste.

Negli anni Dieci del secolo corrente, l'emergere della Cina come potenza anzitutto economica, può lasciare intendere che gli scricchiolii geopolitici dei numerosi conflitti in corso (tra guerre ed esplosioni violente delle tensioni sociali) preludano alla graduale strutturazione di un nuovo ordine mondiale, maggiormente ispirato ai princìpi della non ingerenza, del multilateralismo e della coesistenza pacifica. A titolo di esempio, si potrebbe citare il differente approccio all’inestricabile groviglio etnico, culturale e religioso che caratterizza l’Eurasia. Gli Stati Uniti, nel 1997, per contrastare la percezione crescente di una non meglio precisata minaccia russa, hanno promosso la fondazione di un’organizzazione nota con la sigla GUAM, acronimo dei paesi membri, Georgia, Ucraina, Azerbaigian, Moldavia. Dal 1999 al 2005 ne fece parte anche l’Uzbekistan, che con la Georgia si era ritirato dal Trattato di sicurezza collettiva (TSC) nel 1999, e che dal 2006 al 2012 tornò nell’OTSC, erede del TSC. Obiettivo di GUAM, ribattezzata nel 2006 Organizzazione per la democrazia e lo sviluppo, è essenzialmente quello di ridurre la dipendenza economica dei paesi membri dalla Russia e facilitare un loro avvicinamento all’Unione europea e all’Organizzazione del trattato dell’Atlantico del Nord (NATO). Inoltre, la Rumsfeld Foundation, di proprietà dell'ex segretario di Stato alla Difesa USA, nel 2008 ha istituito il Central Asia-Caucasus Fellowship Program, ancora in funzione antirussa, e nel 2014, quando la Cina già si affacciava sullo scacchiere mondiale, il forum annuale CAMCA (Central Asia-Mongolia-Caucasus-Afghanistan). Di contro, Pechino ha posto le basi della sua vertiginosa ascesa economica negli anni ‘90 del secolo scorso, epoca della supremazia indiscussa della superpotenza USA, ossia del capitalismo globalizzato. In Asia, in particolare, Pechino ha assistito da spettatrice ai conflitti e al caos in cui sono sprofondate le ex repubbliche sovietiche centro-asiatiche, e al successivo tentativo di reazione della Russia (con l’istituzione dell’OTSC), creandosi un proprio embrionale sistema di alleanze: l’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai (OCS), istituita nel 2001, immediatamente prima degli attentati dell’11 settembre, dai presidenti di Cina, Russia, Kazakhstan, Tagikistan e Uzbekistan. Questo organismo intergovernativo, che ha sostituito il Gruppo di Shanghai (1996), ha avuto sin dall’inizio come obiettivo primario quello di garantire una qualche forma di sicurezza collettiva: in primo luogo, stabilizzando le frontiere dopo la dissoluzione dell’Unione sovietica; in seguito, estendendo i campi di cooperazione alla lotta ai traffici illeciti, al separatismo e al terrorismo di matrice islamica. Pechino, negli anni, ha tentato peraltro di coinvolgere altri attori regionali e mondiali: mentre Giappone e Stati Uniti hanno declinato l’invito all’adesione, India e Pakistan vi sono stati ufficialmente ammessi nel 2017. L’organizzazione conta inoltre quattro paesi osservatori (Mongolia, Iran, Afghanistan e Bielorussia) e sei partner (Sri Lanka, Turchia, Cambogia, Nepal, Armenia e Azerbaigian). 

 

Malgrado le recenti collisioni indo-pakistane e indo-cinesi, l’OCS fornisce probabilmente un’immagine della visione cinese dell’ordine mondiale, in parte realizzata nell’aumento esponenziale del peso di Pechino nelle agenzie dell’Organizzazione delle nazioni unite (ONU). A livello economico, la Cina ha già saputo affermarsi, nonostante le rimostranze dell’attuale amministrazione statunitense, adattandosi alle regole dell’economia di mercato globalizzata, accettandone i sacrifici e persino la componente (ecologicamente e umanamente) distruttiva. Dovremo quindi attenderci che in conflitti come quello che attualmente insanguina il Nagorno Karabakh, laddove il Gruppo di Minsk dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE) e l’OTSC hanno fallito, riusciranno le nuove vie della seta?

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