L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni.

Environment (83)

Nunzio Ingiusto

                                                                                                                                                                         contatto

 

 

Cosa dicono Kyoto Club e Anev sul decreto Semplificazione del governo Conte

 Delusione è dire poco. La carica green del Conte bis si spegne nel decreto semplificazione. Invece di imboccare spedito la strada della decarbonizzazione, il provvedimento è andato a sbattere contro le proteste del mondo verde. Un boomerang chissà quanto innocente. Il “Semplificazione” non solo ha deluso, ma rischia di bloccare tutte le buone iniziative che aiutano la transizione energetica italiana.

Ieri, il Ministro dell’Economia Gualtieri ha sostenuto la necessità di impegnare le risorse del Recovery Fund in ottica di sostenibilità. Il fatto è che sono ancora calde le proteste di aziende ed Associazioni contro le norme del decreto. E se non si hanno alleati i protagonisti industriali ed economici del cambiamento green, dove si pensa di andare?

Si è complicato tutto, dice il Kyoto Club. Perché? “Il testo mortifica la tanto annunciata svolta green. Non è stata accolta nessuna proposta a favore delle energie rinnovabili, ma sono state introdotte ulteriori facilitazioni a favore del comparto petrolifero”. Le energie fossili restano il punto debole di una strategia tanto declamata nei Palazzi, quanto poco realizzata. “Ma scarsa attenzione è stata data anche alla riqualificazione delle città”, ha detto Francesco Ferrante, vicepresidente di Kyoto Club.

Le associazioni delle aziende produttrici di energia pulita avevano presentato proposte per semplificare le procedure per rinnovare i parchi eolici, realizzare piccoli impianti idroelettrici e geotermici privi di impatti territoriali. Proposte che comportano investimenti diretti, innovativi che prevedono la conversione di impianti ormai obsoleti fino a mettere biometano nelle reti urbane. Al contrario di quello che dicono in pubblico il premier Conte, il Ministro Costa e tutti gli altri ministri verdi (?) “sono state introdotte, ulteriori facilitazioni a favore del comparto petrolifero: royalties più basse sulle trivellazioni a terra e in mare, meno vincoli autorizzativi per la costruzione di nuovi oleodotti”.

Le critiche del Kyoto club non sono rimaste isolate. Per l’eolico, per esempio, si è pronunciata l’Anev, associazione di categoria. Senza dimenticare che i Cinquestelle in passato hanno condotto campagne fortemente contrarie alle pale eoliche, ora – dicono gli industriali del vento – il testo del decreto Semplificazione semplicemente non è sufficiente a traguardare gli obiettivi settoriali che questo Governo ha indicato di voler raggiungere. Un altro autogol del governo: “spiace che le proposte specifiche avanzate dall’Associazione Nazionale Energia del Vento non siano state recepite” dice una nota. Poi sono arrivate le proteste del Coordinamento delle Fonti Rinnovabili-Free, che non vedono nulla di buono nelle decisioni del governo. In conclusione, si spiega, sono state approvate norme che fanno a pugni con le altisonanti dichiarazioni di svolta ecosostenibile di una coalizione sorda. Tutto accade nelle ore delle decisioni sui soldi del Recovery Fund che il buon ministro Gualtieri dice di spendere per la svolta verde. Crederci.

Critiche durissime dagli industriali elettrici verso le decisioni del governo su eolico e fotovoltaico. Contraddizione con le conclusioni di Colao.

Non si avanza verso la decarbonizzazione con posizioni ministeriali discordanti. Agli industriali dell’elettricità le conclusioni degli Stati generali sui problemi energetici non sono piaciute. La loro organizzazione Elettricità Futura di Confindustria ha voluto mettere in chiaro la posizione su quello che sta più a cuore al business: le autorizzazioni per gli impianti rinnovabili.

L’Italia è in progress sull’impiantistica elettrica verde dopo anni di incertezze e battaglie politiche viziate spesso da visioni ideologiche. La crisi climatica ,i movimenti giovanili, le scosse di grandi aziende , accusate di rovinare il pianeta, hanno stimolato una sorta di piano di recupero. Manca ,però, uno sforzo corale per realizzare la transizione energetica auspicata dal Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC), accusano gli industriali. Nonostante quel Piano sia oggi il più importante strumento di crescita industriale per l’Italia e l’Europa, il governo non è conseguente alle sue stesse premesse. Parole pesanti verso chi cinque mesi fa aveva annunciato un grande new deal italiano

“Siamo molto preoccupati – dice una nota di Elettricità Futura- che, nonostante le reiterate dichiarazioni del Governo sulla necessità di raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione, i dicasteri competenti continuino a non adottare procedure di autorizzazione coordinate e condivise”. Una conferma sono recenti deliberazioni della Presidenza del Consiglio dei Ministri che hanno bloccato gli iter di alcuni impianti sia fotovoltaici che eolici. Sviluppo Economico, Ambiente e Beni Culturali in pratica non sono allineati. Un corto circuito burocratico , forse politico, rispetto anche alle conclusioni della task force di Colao che ha definito la transizione energetica l’opportunità “ più grande in termini di valore di investimenti sbloccabili nel breve termine, con un impatto significativo sul Pil”.

In definitiva giornate ansiose tra governo e aziende rinnovabili su sponde opposte. Affrontano un periodo delicato , ma ricco di occasioni di cambiamento in un comparto ad alta attrattività finanziaria. La recente approvazione del Parlamento europeo del Regolamento sulla tassonomia finanziaria darà una spinta ad indirizzare gli investimenti sulle iniziative industriali veramente sostenibili. Se il governo non saprà “ cogliere l’attimo “ tutto si complica.

Tra autorizzazioni regionali e proteste una battaglia che incrocia vecchie logiche di sviluppo.Nel programma della Regione c’è la tutela dell’ambiente e del paesaggio. Eppure….

 

Niente di preordinato, semplicemente due avvenimenti incrociati che proiettano il caso fuori dalla Regione. Quella diventata simbolo di riscatto e di emancipazione del Sud con Matera capitale della cultura nel 2019. Quando il WWF rilanciava il suo piano di sostenibilità ambientale, la Giunta regionale dava l’assenso definitivo alla coltivazione di una cava di quarzeriniti a Melfi. Il Una roccia utile in edilizia , da estrarre in maniera intensiva, mavicinissima al grande Parco naturale del Vulture.

I due avvenimenti in questi giorni sono entrambi alla ricerca di consenso popolare. Il primo per migliorare le condizioni generali di una Regione che ha un terzo del territorio protetto. Il secondo con forze politiche e sociali in attesa che il Tar blocchi la domanda estrattiva di un’impresa locale. La coltivazione del minerale può provocare ,infatti , danni alla stabilità dell’ambiente circostante e si giustifica anche poco dal punto di vista dell’investimento e dell’occupazione. La cavasul Monte Crugname è ritenuta uno scempio ambientale a pochi chilometri dal centro storico di Melfi, sede , peraltro, del grande stabilimento automobilistico del Gruppo FCA. Un caso simbolo per il Sud e vecchie idee di sviluppo economico.

 

Ciò che ha atto scattare proteste e ricorsi è stato il rilascio della valutazione di impatto ambientale da parte della Regione. Pd e Cinquestelle sono per il no ed accusano la giunta di centro destra di averepoca lungimiranza e scarsa conoscenza del territorio.Le scelte strategiche di sviluppoe le autorizzazioni contrastano ,infatti, con il programma politico dell’attuale giunta,tutto centrato sull’ambiente, sulla tutela del paesaggio sullo sfruttamento di suolo e sottosuolo. Non sarà l’autorizzazione per un nuova cava a rimettere in discussione la guida del governatore Viito Bardi , ma è indicativo di come ci si comporti nella tenaglia sviluppo e ambiente.Il WWF nel suo piano di sostenibilità della Basilicata denuncia un’ aggressione al territorio anche per i parchi eolici che deturpano valli e colline. Di fatto prima della decisione del Tar la Regione potrebbe rivalutare la richiesta della cava di Melfi. I benefici economici, dicono gli oppositori, non giustificano i danni ambientali e la politica ha sempre la possibilità di intervenire prima dei giudici.

23/11/2019  -   In un momento come quello attuale, in cui il dibattito quotidiano – mai come in nessun altro momento storico – appare dominato dai temi dell’ecologismo, della lotta al cambiamento climatico e della riduzione delle emissioni di anidride carbonica nell’atmosfera terrestre, ecco lo United States Army War College intervenire al riguardo con la pubblicazione di un’interessante analisi.

Commissionato dal Generale Mark Milley (attuale direttore del Joint Chiefs of Staff per la Presidenza Trump), lo studio, intitolato Implication of Climate Change for the U.S. Army, è stato redatto da alti ufficiali e analisti provenienti da differenti agenzie nazionali statunitensi, come la DIA (Defence Intelligence Agency), la National Aeronautics and Space Administration (NASA) e gli Stati maggiori dei diversi eserciti a stelle e strisce.

Fra le ipotesi più allarmanti (e verosimili) contenute nello studio, la possibilità che entro venti anni l’infrastruttura elettrica nazionale collassi e che si entri in una fase storica dominata dalla diffusione incontrollata di malattie epidemiche altamente contagiose.
Non solo, a complicare uno scenario reso già instabile sarà l’emersione di tutta una serie di conflitti locali e internazionali, figli diretti del complessivo aumento dei livelli del mare: ricordiamo, al riguardo, che nel mondo oltre 600 milioni di persone vivono a ridosso delle fasce costiere e non è certo difficile immaginare quali instabilità possano derivare dalla combinazione di simili fattori.

Collasso della rete elettrica

Lo studio redatto dallo United States Army War College sottolinea come l’infrastruttura elettrica statunitense sia de facto impreparata per affrontare (e tantomeno per gestire) un tale mutamento nell’assetto climatico mondiale: molte delle infrastrutture critiche già identificate dal Dipartimento di Sicurezza Nazionale, difatti, non sono state affatto progettate per affrontare simili condizioni.
Parallelamente, circa l
ʼ80% del comparto agricolo statunitense dipende oggi dal trasporto navale; improvvise alluvioni derivanti dal mutamento climatico avranno come conseguenza diretta non solo il rapido deterioramento dell’infrastruttura elettrica nazionale, quanto l’indebolimento del settore commerciale statunitense e la fine della stessa stabilità sociale americana, costituendosi così come una minaccia diretta alla sopravvivenza delle comunità urbane degli Stati Uniti.

Il rapporto, infine, chiarisce come l’infrastruttura elettrica nazionale, già “vecchia” di suo, continui a operare senza un vero e proprio investimento infrastrutturale condiviso, elemento – questo – che sancirà il tracollo energetico dell’intero Nord America.

I nuovi requisiti energetici derivanti dalle mutate condizioni climatiche potrebbero condurre al sovraccarico del sistema energetico stesso: fasi incontrollate di siccità e piovosità andranno ad aumentare in maniera esponenziale le richieste di energia elettrica, stressando una rete già appesantita, con conseguenti continue interruzioni di corrente e pericolosi scintillamenti sui cavi elettrici.
Quanto visto recentemente in California, insomma, con una vera e propria “esplosione” di incendi di enormi proporzioni, sembrerebbe non essere altro che l’inizio di una nuova epoca umana.
«Se la rete elettrica dovesse collassare definitivamente», continua il rapporto, «gli Stati Uniti si troveranno ad affrontare: scarsità nel reperimento di farmaci e acqua potabile, scarsità di cibi freschi, difficoltà nelle telecomunicazioni, fine del trasporto pubblico nazionale, crisi del comparto petrolifero, impossibilità di garantire il trasporto aereo».

Epidemie

Le aree meridionali degli Stati Uniti vedranno aumentare la piovosità media, con un aumento nelle precipitazioni compreso fra i 5 e gli 8 millimetri giornalieri, oltre a un aumento della temperatura annuale media, entro il 2050, pari a 2 gradi Celsius.

Inverni più caldi e stagioni più umide, dunque, condurranno a una proliferazione incontrollabile delle colonie di zanzare, zecche e mosche, con la conseguente diffusione di nuovi ceppi malarici e malattie rare quali il virus del Nilo Occidentale, la malattia di Lyme e l’infezione Zika.
Per parte propria, l’esercito americano sarà dunque chiamato ad assistere le popolazioni locali, elemento questo che potrebbe indebolire il comparto militare nel suo insieme, dovendo questo operare – contemporaneamente – in scenari mutevoli in ogni angolo del Paese.

Corsa all’Artico e crisi idrica

Sarà lo scenario artico a costituire, per l’esercito americano, il principale teatro operativo futuro: è proprio l’Artico, secondo gli esperti, a conservare oltre un quarto delle riserve mondiali d’idrocarburi; oltre il 20% delle stesse, potrebbe essere celato proprio al di sotto del suolo statunitense, delineando così i contorni d’un conflitto su vasta scala contro il principale player dell’area: la Russia.
Potrebbe allora esser giunto il momento di abbandonare la produzione industriale basata sul carbon fossile e virare verso fonti d’approvvigionamento energetico alternative, ma ecco subentrare nel discorso un piccolo cortocircuito concettuale: è proprio l’esercito americano a costituire uno dei principali driver in materia di cambiamento climatico, in quanto il comparto militare americano si configura come il più grande consumatore istituzionale d’idrocarburi al mondo.
Lo scioglimento della calotta artica, infine, condurrà paradossalmente sì a un aumento del livello degli oceani, ma anche a un crollo nella disponibilità di acqua potabile, per causa – fra i molti fattori – di una cattiva gestione dei bacini idrici e il costante aumento della popolazione mondiale.
Entro il 2040, la domanda globale di acqua potabile supererà la disponibilità; entro i prossimi dieci anni, invece, oltre un terzo della popolazione mondiale si troverà ad abitare regioni aride come il Nord Africa, il Medio Oriente, la Cina … e alcune aree gli Stati Uniti.
Ma mancanza di acqua potabile può tradursi anche in degrado del suolo, inquinamento delle falde acquifere, crollo nelle produzioni alimentari, aumento della mortalità infantile.
L’avvio, insomma, di un nuovo tipo di conflitto: quello per il controllo dei bacini idrici.

Guerra infinita

Infine, continua lo studio, sarà l’avvio d’un’era nota come “guerra infinita”: non solo gli Stati Uniti si troveranno costretti a finanziare una struttura militare in perenne stato d’allerta, ma dovranno proiettare la propria potenza geopolitica nei principali teatri regionali dal Medio Oriente al sud-est Asiatico, così da evitare un incremento nell’instabilità globale.

Scarsità di risorse idriche si tramuterà in aumento dei flussi migratori, con conseguente inasprimento della tensione sociale; un po’ quanto visto recentemente in Siria: la ripresa delle ostilità nella regione è difatti combaciata con l’avvio d’una terribile siccità nell’area, cosa che ha spinto gli abitanti della Siria rurale a trovar rifugio nelle principali città del paese, anche a causa dell’arrivo di migliaia di profughi iracheni.
Prossima crisi internazionale sarà allora quella del Bangladesh, conclude il rapporto, un paese ormai messo in ginocchio da cicloni, erosione costiera e aumento della salinità dell’acqua destinata alle coltivazioni: negli ultimi due anni, le autorità di Dacca hanno dovuto provvedere alla costruzione di migliaia di rifugi d’emergenza ed è già pronto un piano nazionale per evacuare oltre due milioni di abitanti dalle aree più a rischio. 

In media, ogni anno, il livello dei mari si innalza di 3,2 millimetri, in alcune aree del Bangladesh questo livello raggiunge gli 8 millimetri: ma come impatterà una crisi regionale come quella bangladese in un’area contenente oltre il 40% della popolazione mondiale e due superpotenze nucleari antagoniste?

 

*Stefano Ricci, lavora come data analyst, per un’importante società italiana di import – export e come freelance cyber-security analyst. E’, inoltre, autore del volume: Cyber Warfare: Verso Un Nuovo Paradigma Strategico, 2017 (Cyber-Warfare – Towards a New Strategic Paradigm)

1) Mentre, a livello scolastico e superficiale gli elementi che influiscono sul clima vengono indicati quali latitudine, longitudine, vicinanza col mare, presenza di vegetazione e di catene montuose, a livello paleo-climatico, cioè, con riferimento all'andamento e al mutamento del clima nei decenni, secoli, millenni ed ere, altri elementi sono chiamati in gioco.

Fra di essi conta, in primo luogo, il mutamento nel nucleo e nel mantello, sotto alla crosta terrestre; le variazioni di gravità nel sistema solare, indotte dagli altri pianeti ed esopianeti; l'influenza del sole, il cui andamento è monitorato istante per istante, non a caso, e che – in termini di campo elettromagnetico e di radiazioni elettromagnetiche verso il nostro pianeta – ha, come evidente, una potenza e una portata ineguagliabili, forse, rispetto a tutti gli altri fattori.
(A riprova di questo, si consideri l'estate 2003, come l'estate più calda mai registrata, da porre in assoluta, diretta relazione, con le emissioni di ripetuti flare solari di classe X, con il maggiore di essi, verificatosi il 4 novembre di quell'anno.)
E, per finire (ma non è questo un elenco esaustivo) le variazioni percentuali, anno per anno, nella precessione degli equinozi: anche qui, questo elemento, è stato ed è in perenne mutamento, e come sappiamo, proprio dai libri di storia, esso ha una influenza chiave sulle stagioni.
Ora, tutto questo, per fare capire al lettore ignaro, e sospinto dai media main-stream verso il tema del “mutamento climatico ad opera del co2”, che questo solo, unico elemento non è assolutamente in grado di spiegare ciò che sta accedendo oggigiorno.
Dunque, cosa sta accadendo, veramente?
La paleoclimatologia ha evidenziato, non solo come il clima sia cambiato nei secoli e nelle ere, attraverso mutamenti progressivi e costanti - che evidenziano come le stagioni non siano affatto stabili, come ci è stato invece insegnato a scuola – ma è anche mutato per via di cambiamenti radicali ed improvvisi, che hanno determinato l'estinzione di alcune specie animali e vegetali, per esempio i mammuth.
Ecco dunque il problema: ora, oggi, da alcuni decenni a questa parte, ci troviamo su un punto di picco, molto verticale, sulla curva del mutamento climatico.
Curva che, col passare degli anni, si verticalizza ulteriormente, per poi ridiscendere.
E' toccato alla nostra generazione questo stato di cose, e forse siamo anche fortunati, perchè, grazie alle tecnologie che abbiamo e che – come vedremo sono già state tutte
dispiegate ** – potremo calmierarne gli effetti.
Oppure no, saremo anche noi spazzati via da mostruosi eventi geoclimatici, il cui preavviso ci è stato stato vistosamente già consegnato più volte.
E magari lo meritiamo anche, penserà qualcuno, visto come trattiamo il pianeta che ci ospita, insieme ad altre migliaia di specie animali e vegetali.
In sintesi: credere che basti la seppur crescente immissione in atmosfera di co2, per spiegare fenomeni climatici distruttivi, improvvisi, della portata di quelli che ormai su tutti i paesi del globo si sono verificati e continuano a verificarsi, è semplice ignoranza ed ingenuità, nonché passiva accettazione di bias cognitivi instillati dai media main-stream, i quali, occorre ricordarlo, hanno dei loro precisi interessi a imporre e raccontare al grande pubblico la quotidiana “agenda-setting”.
La parola “setting” non è un caso che sia stata scelta: chi deve essere “settato”, infatti?
Ma è chiaro, a questo punto: la mente del pubblico.

2) Veniamo al perchè, effettivo, si vogliano controllare, in particolare, le emissioni di co2, e non invece altri parametri che pure influirebbero sul clima e sull'ambiente.
In alcune circostanze occorre essere piuttosto brutali, per mettere la verità al centrocosa significa di fatto controllare le emissioni di co2?
Significa volere controllare i livelli di produzione delle fabbriche mondiali 
, infatti ad un certo quantitativo di immissione in atmosfera di co2, corrisponde nient'altro che una certa quantità di beni prodotti: ecco il vero (ed unico) motivo per cui il G7 vuole stabilire un protollo legislativo, internazionale, universalmente accettato, sulle emissioni di co2.
Il G7 vuole, in poche parole, limitare la concorrenza macroeconomica di alcuni paesi del pianeta, che di fatto, a livello macroeconomico, li stanno surclassando: vedesi la Cina, innanzitutto, i Brics, ecc

3)
Eccoci al terzo ed ultimo punto di questo, pur molto sintetico articolo: volutamente sintetico, per coinvolgere il lettore e spingerlo a riflettere e a capire i veri fatti, dietro alle fake news.
Questo terzo punto rimanda innanzitutto a ** quanto abbiamo accennato sopra, circa le tecnologie, già dispiegate, per operare sul controllo climatico.
Le ragioni di questa scelta strategica, militare e tecnologica, avvenuta decenni or sono - si pensi che i primi esperimenti sull'aumento della piovosità atmosferica, risalgono ai primi decenni del novecento, con un certo successo, peraltro, su base locale – sono principalmente due.
1) La conoscenza effettiva di quello che sta accadendo, in termini di mutamento climatico mondiale, ragion per cui studiare come controllare un clima impazzito riporterebbe le redini in mani umane.
2) Il solito fattore di controllo del nemico e del territorio: è chiaro che chi controlla il clima, controlla i territori su cui è ed agisce il nemico.
Ora però veniamo al dunque, e alle ragioni per cui è tanto difficile credere, per la media della gente - che non legge e non approfondisce di prima mano ciò che gli viene propinato dai media - perché è impossibile credere al fatto, ormai dimostrato e conclamato, che IL CLIMA VIENE MANIPOLATO DALL’UOMO?

Il fatto è che nessuno sa come funziona il clima sulla Terra.
A scuola questo non viene certo insegnato, per cui si pensa che esso sia opera di forze estranee ed esterne all’uomo.
Ecco quindi comparire il madornale errore, bias cognitivo o in altre parole l'accettazione di una credenza diffusa ma completamente sbagliata.
Il clima funziona in maniera elementare, gli elementi principali da capire sono soltanto due:

Punto uno) l’elementare principio di evaporazione-condensazione-precipitazione, cioè la formazione della pioggia, spiegato proprio a scuola.. per cui, è facile ora estendere l'informazione (occultata per bene) che ENORMI APPARATI INDUSTRIALI, per L’EVAPORAZIONE su larga scala, sono stati sistemati in siti specifici, sul pianeta, e immetteno vapore a richiesta, che poi si può circoscrivere ad aree specifiche, con l’ausilio di elementi chimici, rilasciati sempre in atmosfera.
Oltre agli apparati industriali già esistenti, per altri scopi, e che comunque immettono anch'essi vapore in atmosfera.
Un video esplicativo su questo punto:https://youtu.be/lnLn4J0nzLA?t=329

Punto due) Capire il funzionamento della IONOSFERA TERRESTRE: esso è l’elemento chiave, si tratta infatti di un’area carica energeticamente, dell'alta atmosfera terrestre, dove si formano tutti i fenomeni climatici terrestri.
Da qui, nella ionosfera, nasce il tornado, la bufera, una quota parte dei terremoti, i lampi, i tuoni, ecc ecc
Quando si crea uno squilibrio energetico nella ionosfera, si verifica un mutamento del clima su un’area sottostante del pianeta.
Questo è stato studiato, da decenni a questa parte, e con l’ausilio di enormi RISCALDATORI IONOSFERICI - apparati che operano sulle frequenze elettromagnetiche della ionosfera – si bombarda la ionosfera, da terra, per ottenere uno specifico risultato, su specifiche aree del pianeta.
Il sito in Alaska di H.a.a.r.p. (High Frequency Active Auroral Research Program) fa esattamente questo lavoro, anche se ci raccontano che faceva solo esperimenti e che ormai avrebbe chiuso i battenti.
Il video esplicativo di cui sopra, spiega anche come si influisce sulla ionosfera, bombardandola, se lo si guarda con attenzione più avanti.
La foto inserita invece è quella di un apparato di riscaldamento ionosferico mobile, trasportato su nave.
Sul pianeta ve ne sono numerosi, mobili ed in situ.

Terzo punto) Se ieri non si ritenevano possibili alcune attività, che oggi vengono svolte con estrema facilità – si pensi all’utilizzo dei cellulari, le guarigioni grazie alla penicillina, il volo aereo di linea – perché oggi si continua a fare l’errore di credere che quella del controllo del clima sia impossibile?
Per ignoranza diffusa, mancanza di curiosità, accettazione di bias cognitivi venduti un tanto al chilo dai mass-media generalisti, e perché non ci si sforza mai di immaginare oltre l'arcinoto.

Vi invito dunque a rileggere questo articolo, da cima a fondo, fare le vostre considerazioni, e cercare di capire, sopratutto, che chi vuole veramente il Bene dell'umanità, non ha alcuna agenda-setting da proporre.

             

                   Mentre gli effetti dello sconquasso climatico in atto risultano sempre più inquietantemente tangibili ed incontestabili, solo pochi e flebili appaiono ancora essere le iniziative politiche, economiche e culturali miranti a produrre significativi cambiamenti nel modus vivendi ed operandi delle nazioni più ricche (e colpevoli) del pianeta.

Tante e non sempre facili da individuare (e da combattere) le cause dirette e indirette di quanto si sta verificando, ma non c’è alcun dubbio, al di là delle vuote e pretestuose diatribe, che ad incidere pesantemente sulla devastazione del pianeta in corso sia da porre ai primissimi posti il fenomeno in continua espansione della deforestazione.

Secondo i dati fornitici dal Global Forest Watch e dagli analisti della University of Maryland, nel corso del 2018 abbiamo continuato a perdere foreste preziose a causa del disboscamento indiscriminato, legato soprattutto alla richiesta di sempre maggiori pascoli e di coltivazioni strettamente correlate al fabbisogno alimentare degli allevamenti di bestiame (soia, in particolar modo).

Oltre a costituire l’habitat di numerose specie animali e vegetali (alcune delle quali ancora sconosciute), le foreste rappresentano un argine indispensabile alla catastrofe del riscaldamento globale, essendo dei veri e propri serbatoi di carbonio (carbon sinks), utilissimi nell’assorbimento dell’anidride carbonica in eccesso nell’atmosfera.

Attraverso le immagini satellitari, è stato quindi possibile registrare la perdita di territori boschivi di circa 30 milioni di acri, di cui 880.000 costituiti da foreste primarie, foreste, cioè, non toccate dallo sviluppo antropico, veri scrigni di biodiversità di incommensurabile importanza.

La perdita di foresta ha colpito in particolar modo il Brasile, già ancor prima dell’ elezione di Bolsonaro, ma anche altri paesi, come la Colombia, dove si segnala un’impennata di deforestazione, nel corso del 2018, di oltre29.000 acri.*

Proprio qualche giorno fa, inoltre, Ricardo Osorio Galvao, direttore dell’Inpe (l’Istituto nazionale di ricerca spaziale del Brasile), recentemente definito dal presidente Bolsonaro un “bugiardo al servizio di qualche ong”, ha diffuso nuovi dati estremamente allarmanti che attesterebbero, nel corso della prima metà di luglio, un aumento delle aree distrutte del 68% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente.

Sempre secondo l’Inpe, nei sette mesi di presidenza Bolsonaro, la foresta amazzonica avrebbe perduto 3.444 chilometri quadrati di vegetazione: il 39% in più rispetto allo scorso anno.

Ma, oltre alla rovinosa espansione degli allevamenti intensivi (principale causa mondiale di disboscamento), è l’estrazione illegale di oro a costituire, per il territorio amazzonico, una piaga di particolare gravità , sia a causa del massiccio utilizzo di mercurio, metallo fortemente inquinante che finisce, inevitabilmente, per disperdersi nell’ambiente, sia a causa delle molto diffuse violenze esercitate nei confronti delle popolazioni indigene. Sono migliaia, infatti, i nativi appartenenti a vari gruppi etnici che rischiano la vita a causa del processo criminale di accaparramento delle terre, oggi palesemente incentivato e benedetto dalla politica dell’attuale governo brasiliano (e non solo).**

Il rischio di scontri violenti nella regione amazzonica del Brasile, infatti, è altissimo, a causa delle crescenti appropriazioni illegali e dei disboscamenti da parte di gruppi di invasori ben armati e privi di scrupoli. Amnesty International, che ha recentemente visitato tre territori nativi nel nord del Brasile, ha potuto constatare in maniera diretta come le popolazioni locali che cercano di difendere le loro terre tradizionali siano costrette a vivere in un costante e crescente stato di tensione. Tensione destinata purtroppo ad aumentare con l’avanzare della stagione secca (che si protrarrà fino a novembre), periodo in cui risulterà più facile penetrare nelle foreste, ricorrendo all’impiego delle fiamme.

Ai ricercatori di Amnesty International, i rappresentanti dei popoli indigeni hanno espresso tutta la loro frustrazione per il fatto che ben pochi invasori siano stati arrestati e che, fra questi, non risulti esserci nessuno di coloro che hanno sostenuto e finanziato le varie azioni illegali.

I popoli nativi brasiliani e le loro terre sono sottoposti a minacce enormi e, con la stagione secca, la situazione diventerà insostenibile. Il governo deve proteggere i popoli nativi che stanno difendendo le loro terre, altrimenti scorrerà il sangue”, ha di conseguenza dichiarato Richard Pearshouse, alto consulente di Amnesty International su crisi e ambiente.

E mentre gli esponenti governativi occidentali fanno a gara per applaudire ed elogiare, struggentemente commossi ed estasiati, la fermezza e la determinazione della oramai celebre Greta Thunberg (continuando di fatto ad ignorarne totalmente gli appelli), coloro che, nei paesi più direttamente coinvolti dal disastro della deforestazione, cercano di difendere i diritti umani ed ambientali rischiano continuamente di essere oggetto di intimidazioni, vessazioni e violenze.

Caso esemplare, a questo proposito, è quello di Salomé Aranda, leader nativa del popolo Kichwa (nel comune di Moretecocha, provincia di Pastaza, Ecuador), impegnata per la difesa della foresta amazzonica e per il diritto delle donne della sua comunità a vivere in un ambiente sano e libero dal pericolo delle violenze sessuali. Per tutto il 2018, sono stati registrati continui attacchi contro di lei ed altre donne difensore dei diritti umani, come Patricia Gualinga, Nema Grefa e Margoth Escobar, tutte appartenenti al collettivo Donne amazzoniche.

Salomé, dopo aver avvertito il presidente Moreno dei rischi ambientali collegati alle attività estrattive petrolifere, e dopo aver denunciato numerosi casi di abusi sessuali nei confronti delle donne indigene, ha subìto minacce ed attacchi, estesi anche alla sua famiglia, senza che le autorità abbiano fatto nulla per garantirle giustizia e protezione.***

Ora, se c’è una cosa che la meravigliosa piccola Greta ci sta insegnando è che, se siamo davvero seriamente preoccupati per il destino del nostro pianeta, tutti noi - ma veramente tutti! - possiamo fare qualcosa (e forse anche molto), cessando pertanto di limitarci alle comodissime retoriche lamentazioni.

Come stanno facendo lei e tante altre donne ammirevolmente coraggiose come Salomé …

                 “Dobbiamo continuare a difenderla ovunque siamo nel mondo. Il contributo che apportiamo alla natura è la cosa più preziosa che possiamo fare per le generazioni future. Stiamo cercando il bene comune per tutti, perché questa è la migliore eredità che possiamo lasciare all’umanità“.

                                                                   Margoth Escobar

                        

*http://www.nationalgeographic.it/ambiente/2019/04/30/news/amazzonia_la_mappa_dei_milioni_di_acri_di_foresta_perduta-4383792/?refresh_ce

**https://www.greenpeace.org/italy/storia/5903/amazzonia-deforestazione-violenza-popoli-indigeni/

***https://www.amnesty.it/appelli/salome-rischia-ogni-giorno-la-vita/

I cambiamenti climatici stanno piano piano distruggendo l’equilibrio della terra e se non saranno attuate azioni drastiche la situazione peggiorerà sempre di più. Le emissioni di gas serra stanno aumentando più rapidamente del previsto e gli effetti si palesano prima di quanto si potesse supporre solo pochi anni fa. Il riscaldamento globale avrà effetti catastrofici come l’innalzamento del livello del mare, l’incremento delle ondate di calore e dei periodi di intensa siccità, delle alluvioni, l’aumento per numero e intensità delle tempeste e degli uragani. Questi fenomeni avranno un impatto su milioni di persone, con effetti ancora maggiori su chi vive nelle zone più vulnerabili e povere del mondo,danneggeranno la produzione alimentare e minacciano specie di importanza vitale, gli habitat e gli ecosistemi.

Nonostante nella comunità scientifica ci sia un consenso pressoché unanime sul fatto che il cambiamento climatico sia in atto e che esso derivi particolarmente dalle emissioni di gas serra derivanti dalle attività antropiche, i governi e le aziende stanno rispondendo con colpevole lentezza, come se il cambiamento climatico non rischiasse di mandare a pezzi  le fondamenta della civilizzazione umana e dell’economia.

Anche se i paesi soddisfacessero tutti gli impegni finora assunti, il mondo continuerebbe a confrontarsi con una minaccia di aumento medio della temperatura globale di almeno 4°c rispetto alla temperatura media dell’epoca preindustriale. E’ evidente che gli impegni assunti finora non sono sufficienti. Mentre dobbiamo lavorare sodo per ridurre le emissioni, dobbiamo contemporaneamente cominciare ad adattarci agli impatti del cambiamento climatico ormai in atto e crescenti. Ma se l’aumento di temperatura raggiungesse e superasse la soglia di 2°C, le conseguenze sarebbero in ogni caso molto difficili da affrontare con i mezzi a disposizione. Oggi gran parte della comunità scientifica indica la soglia di rischio in 1,5°.

 

https://climate.nasa.gov/solutions/resources/

 

Il disegno raffigurato qui mostra una bambina col capo velato e accanto uno slogan: “From this moment despair ends and tactics begin” (Da questo momento la disperazione finisce e iniziano le tattiche). Anche il misterioso artista militante di Bristol Banksy ha lasciato traccia fra i partecipanti alle manifestazioni di Extinction Rebellion: il movimento ambientalista radicale che in questi giorni paralizza la capitale del Regno Unito per denunciare “l’emergenza dei cambiamenti climatici. A testimoniarlo è il murale, riconducibile alla sua mano, comparso di notte proprio in una strada a ridosso di Marble Arch: cuore della protesta di Extinction Rebellion. https://www.huffingtonpost.it/2019/04/27/banksy-firma-la-protesta-di-londra-contro-i-cambiamenti-climatici-con-un-nuovo-graffito_a_23718134/ Anche se può sembrare strano tutto ciò che sta accadendo oggi sulla Terra era già stato previsto in alcune delle 14 tavolette del Dio Einki (ex capo Annuaki del pianeta terra). https://fayesirio.files.wordpress.com/2015/08/zecharia-sitchin-il-libro-perduto-del-dio-enki.pdfCapitolo 1.1 – Questa tavoletta spiega ciò che sembra essere, per noi, una guerra atomica sulla Terra tra gli Anunnaki. Il vento malvagio di cui parlava sembra essere una nube radioattiva che uccide tutti sul suo cammino, gli dei e l’umanità. Una parte molto interessante è che è la cosa peggiore che si verifica dopo il diluvio (alluvione).La Bibbia racconta l’evento nei capitoli 6, 7, 8 del libro della Genesi. Tuttavia il più antico risulta essere comunque il testo sumerico conosciuto come La Genesi di Eridu o Diluvio sumerico (XXX sec. a.C.), poi ripreso nell’Epopea di Gilgamesh dove si narra dell’incontro tra questo semidio con Utnapishtim/Utanapishtim (il Noè della cultura babilonese). Dall’analisi dei pittogrammi originari della lingua ebraica pubblicati in “The Ancient Hebrew Language and Alphabet”, ricaviamo che il termine ebraico WJBY (mabùl)  [rappresentato dai segni mbkj], significa “oceano celeste, inondazione, diluvio” .Tra Enki ed Enlil, i due figli di Anu signore dell’impero, c’era una continua rivalità e questa produceva conseguenze anche sulla nuova specie voluta e creata da Enki per aiutare gli Anunnaki suoi sottoposti. Enki amava la sua creatura e decise di darle la “conoscenza”, quella definitiva, quella che l’avrebbe affrancata dai suoi creatori grazie alla possibilità di riprodursi autonomamente: insomma, quella conoscenza/capacità che l’avrebbe resa simile agli “dèi”. Lo fece senza richiedere l’approvazione del fratello, che gli era gerarchicamente superiore. Riportiamo qui un elemento che immediatamente ci ricollega ai racconti biblici: Enki era raffigurato anche come serpente, la creatura che, vivendo in tane scavate nella terra, ne conosce i segreti profondi ed è proprio questa “divinità/serpente”, cioè Enki, che dona a Eva la capacità di riprodursi. La Genesi ricorda perfettamente questo evento nel racconto del serpente che tenta la femmina, la stimola ad accedere alla conoscenza, a compiere cioè quel passo che gli dèi non volevano perché sapevano che avrebbe condotto l’uomo (l’Adàm, il “terrestre”) sulla via dell’emancipazione definitiva e della libertà. Enlil, il fratello maggiore, venuto a conoscenza di questo, cacciò il maschio e la femmina da quel luogo protetto in cui vivevano (il cosiddetto Paradiso, termine che deriva dal greco paradeisos che a sua volta proviene dall’iranico pairidaesa, “luogo recintato e protetto” corrispondente al “gan eden” della Bibbia e al kharshag sumero-accadico) e li condannò a cercarsi il cibo per conto loro. Disse anche alla femmina che lei avrebbe procreato con dolore, e questo è comprensibile se si pensa che fino a quel momento la creazione di uomini era appannaggio delle femmine anunnaki: le femmine di uomo non partorivano e non conoscevano quindi la sofferenza fisica legata a quell’evento. Gli uomini dunque iniziarono a moltiplicarsi per conto loro e a popolare il territorio.Nella Bibbia ci racconta un’altro particolare: ci racconta dell’esistenza di dieci patriarchi antidiluviani e poi ci narra che i figli degli “dèi”, le cui femmine scarseggiavano, videro le figlie degli uomini (gli Adàm, i terrestri) e se ne invaghirono, si unirono a quelle e procrearono a loro volta (Gen 6,1-8), perché le due specie erano ovviamente compatibili.Questo fatto destò l’ira di Enlil, che non amava la nuova creatura e che condannava apertamente questa commistione razziale. Nelfrattempo era anche divenuto decisamente difficile gestire i problemi derivanti da una massa di popolazione che andava crescendo in modo incontrollato. In presenza di queste situazioni problematiche, Enlil decise di utilizzare un evento naturale che stava per verificarsi, al fine di eliminare gli Adàm e gli esseri nati dai rapporti instauratisi tra le due specie. Gli Anunnaki/Elohim sapevano che sulla Terra stava per abbattersi un’immane e inevitabile catastrofe provocata dalla forza gravitazionale esercitata dalla vicinanza di Nibiru: lo slittamento delle calotte polari le cui disastrose conseguenze avrebbero interessato l’intero pianeta. Il tutto sarebbe accaduto circa 13.000 anni fa, al termine dell’ultima grande glaciazione, e l’evento è conosciuto in tutti i miti del mondo come “il Diluvio universale”. https://unoeditori.com/il-diluvio-universale-dalla-genesi-allantica-storia-dei-sumeri-di-enki-ed-enlil-al-libro-dei-morti-del-dio-toth-2/

Arianna Bellagotti 

Tutte le più gravi patologie sono in aumento specialmente le malattie infettive che tra il 1940 e il 2004 hanno ucciso quasi 60 milioni di esseri umani. Mille nuovi casi di tumore si aggiungono ogni giorno  solo in Italia. Questo esponenziale incremento viene attribuito agli agenti patogeni (microrganismi che normalmente circolano tra gli animali e che finiscono col colpire anche gli esseri umani);  all’alterazione degli ecosistemi, alle modificazioni ecologiche, al cambiamento climatico; ma nessuno punta il dito sulla causa principale che genera questo sistema di cose: gli allevamenti intensivi per la  produzione di carne e l’incremento demografico che secondo le previsioni alla fine del 21° sec. gli abitanti della Terra saranno tra 10 e 23 miliardi con la conseguenza che raddoppierà o triplicherà il  consumo di carne e questo porterà a situazioni catastrofiche per la salute umana e per l’ambiente ormai agli estremi.

Antiche scritture indù dicono che prima che la popolazione consumasse carne vi erano solo due malattie, dopo se ne svilupparono 78. Ippocrate a suo tempo ne annoverava 150. Oggi si calcola che  siano almeno 40.000, ma questa allarmante situazione sembra non scuotere la coscienza di chi è deputato alla salute pubblica.   Interpellati in tal senso gli esperti del settore giustificano candidamente, questo continuo proliferare di nuove malattie, con l’allungamento della vita media, anche se queste vanno manifestandosi in età sempre inferiore colpendo anche la fascia dei bambini: come se l’essere  umano, superata una certa età, fosse condannato dalla natura alle più terribili malattie. Cosa che non si ravvisa nel mondo naturale dove un animale vive in ottima salute e giunta la sua ora si apparta e  i spegne serenamente senza il calvario delle malattie cui sembra condannata la specie umana.

La rassegnata convinzione comune che la causa dello sviluppo della malattie moderne sia dovuto all’inquinamento dell’aria, ai pesticidi che avvelenano la terra e agli additivi chimici che finiscono nel cibo;  nche se la ricerca ufficiale dice che l’inquinamento incide solo per il 2% sullo sviluppo della malattie tumorali. Ma di fronte a tale allarmante situazione che cosa fanno le istituzioni per abbattere  l’inquinamento generale a cui attribuiscono le malattie umane prodotto principalmente dall’industria zootecnica alimentare che da sola inquina più di tutte le altre industrie del pianeta?     Ma per noi  l’insana quanto innaturale abitudine della specie umana di nutrirsi di cadaveri di animali è la causa di tutte le sventure che la condanna non solo a tutte le malattie che ne derivano, ma all’inquinamento generale, alla distruzione dell’ambiente e soprattutto all’atrofizzazione progressiva della coscienza resa sempre più indifferente verso il valore della vita e della sofferenza di miliardi di animali che sacrifica  er mero piacere gastronomico. Ed è l’indifferenza verso la sofferenza altrui che ha fatto di questa terra un luogo di dolore.

 

“L’ALIMENTAZIONE VEGETALE INVECE DEL CIBO ANIMALE È LA CHIAVE DELLA RIGENERAZIONE UMANA”.

(Richard Wagner 1813-1883 musicista tedesco)

Ancora un articolo di merda che spara merda sul Biologico...

mentre il problema delle certificazioni biologiche sarebbe risolto già dal 2007 (e quello del sostegno agli agricoltori biologici dal 1992).

Commento  all'articolo: “Che cosa vi siete mangiati?”: la truffa sugli alimenti bio  - (www.cibusinprimis.it)

(Allegato articolo pubblicato su FQMillennium del mese di maggio) 

https://www.facebook.com/permalink.php?story_fbid=920833918086451&id=740012552835256

https://www.facebook.com/Giuseppe-Altieri-740012552835256/

Perdonatemi l'espressione colorita e profumata del titolo… ma non ci sono altri termini adeguati dinnanzi a tanta disinformazione e – temo – mala fede. Nell’articolo in questione si lamentano, da un lato, truffe e speculazioni in un mercato, quello del biologico, che negli ultimi anni sarebbe diventato un affare miliardario e, dall’altro, la mancanza di adeguati controlli: poca trasparenza su produzione e importazioni del bio, verifiche nei campi rare e superficiali, organi pagati dagli stessi produttori che dovrebbero essere controllati.

In effetti oggi le aziende agricole, in evidente conflitto di interesse con i certificatori, pagano loro in media meno di 800 euro annui per un controllo che si limita a 1-2 visite, per lo più burocratiche sui registri. Per poi spendere soldi per farsi rimborsare la spesa attraverso una pratica ridicola fatta (a pagamento) dai sindacati agricoli e centri di assistenza tecnica, incluso quello gestito dal sottoscritto…

Ma il problema delle certificazioni biologiche dovrebbe in realtà essere stato già risolto mediante un contributo comunitario di 3.000 euro annui ad azienda, stabilito dalle norme europee di sviluppo rurale nei Programmi di Sviluppo Rurale (PSR) Regionali. Ovvero, dal 2007 la certificazione biologica la pagano i cittadini consumatori con le loro tasse e non c'è bisogno di far anticipare soldi agli agricoltori biologici, tantomeno pagando chi li controlla.

Con i fondi pubblici disponibili, invece, dovrebbero essere le stesse regioni a pagare gli organismi di certificazione e non ci sarebbe bisogno di rotazioni (concordo in pieno con Carnemolla, Presidente Federbio), visto che è bene che gli ispettori di controllo indipendenti, pagati dall'ente pubblico e non dal "controllato", conoscano bene le aziende controllate e certificate. E si eviterebbe la pesante burocrazia per ottenere i rimborsi, che spesso gli agricoltori scoraggiati nemmeno chiedono. Avanzerebbero almeno 500 euro ad azienda per le pratiche burocratiche di certificazione da parte degli enti accreditati i quali, fra l’altro, ci guadagnerebbero molto di più rispetto alla situazione attuale e potrebbero così creare migliaia di posti di lavoro per tecnici ispettori.

Con 3.000 euro annui si possono pagare almeno 6 ispezioni e controlli sul campo, con relative analisi dei pesticidi chimici durante la fase di produzione e non solo sul raccolto. Garantendo l'assenza di residui e non già la loro presenza sotto un limite, visto che il cittadino europeo vuol mangiare biologico al fine di evitare che i pesticidi si bio-accumulino nel suo corpo (danneggiando particolarmente i bambini) e non già per ridurli. danni da pesticidi si producono anche a presenze infinitesimali e in Italia sui prodotti biologici è prevista una tolleranza di 0,01 mg/kg, un livello molto superiore ai limiti di rilevazione della presenza dei principi attivi chimici.

Tanto più che l'azienda biologica ha diritto all'assenza di derive chimiche di pesticidi provenienti da eventuali confinanti (Tolleranza zero pesticidi: prima sentenza storica in Italia), i quali devono mantenere almeno 300 metri di fasce di sicurezza a coltivazione biologica, in assenza di vento (come da studi pubblicati). 

E' necessario imporre in tutta Italia fasce di rispetto ai fini dell'azzeramento delle derive per uso di prodotti chimici non biologici. Distanza per ora stabilita in 50 metri dalle sentenze dei TAR (Trentino, Liguria, ecc.), ma che dovrebbe essere di almeno 200-300 metri dai confini, in assenza di vento. Modificando in tal senso il Piano d'Azione Nazionale (PAN) sull'uso sostenibile dei pesticidi.  I trattamenti fito-sanitari possono essere effettuati nelle zone di confine e fasce di rispetto con mezzi autorizzati in agricoltura biologica, altrettanto efficaci (vedasi in tal senso, l'ordinanza del Sindaco di Petrosino:

http://www.comune.petrosino.tp.it/mc/mc_attachment.php?x=324fc7ac78a0a278fa3fae6a72a141d5&mc=18310&)

Si interromperebbe così la palese ingiustizia verso i produttori biologici, cui viene imposto di rinunciare al raccolto biologico nelle zone di confine con aziende chimiche con perdite spesso considerevoli, e verrebbe meno l’impossibilità di coltivazioni biologiche su piccole superfici, quali quelle destinate alla produzione di ortofrutticoli e a orti familiari.

E’ il confinante a inquinare chi coltiva biologico, commettendo reato, e non viceversa!!  E’ bene pertanto che i produttori biologici scrivano agli Enti di Certificazione e ai confinanti chiedendo il rispetto della deriva zero sui prodotti fitosanitari. E si rivolgano, come hanno fatto in molti, ai tribunali competenti in caso di derive subite. 

Si rammenta che attraverso i pagamenti agroambientali europei, obbligatori e prioritari,nell'ambito dei PSR regionali (misura 10) ci sono enormi risorse disponibili anche per la costituzione di fasce di rispetto a coltivazione biologica (o quantomeno con divieto di prodotti fitosanitari sintetici) al fine di evitare le derive chimiche.

Cosa aspettano Ministero e Regioni per risolvere la questione?

E' molto strano che l'Associazione degli enti di certificazione e del biologico non faccia propria questa convergenza di interessi, risolvendo in tal modo il drammatico conflitto di interessi sui sistemi di certificazione e controllo; e che le associazioni di consumatori stiano a guardare, in particolare nei "comitati di sorveglianza” dei PSR regionali, laddove si approvano le misure della politica agro-ambientale europea.

A meno che qualcuno non guadagni di più falsificando i registri di coltivazione e di produzione…come ha svelato Report, ad esempio sul riso biologico e sulle importazioni estere di falso biologico… fino ad arrivare alle zucchine siciliane, ricordando le migliaia di tonnellate di cereali falsi biologici sequestrate a suo tempo in Veneto o chissà dove

Pensiamo all’impegno delle forze dell'ordine per reprimere il falso biologico, che in ogni caso è perseguibile e viene perseguito!

Applichiamo le norme europee a dovere e creiamo un sistema di certificazione indipendente, così che gli sforzi delle forze dell'ordine siano alleviati e le stesse possano concentrarsi sulla repressione dell'uso e abuso di pesticidi nel resto dell'agricoltura.

Gli evidenti profili di incostituzionalità del massacro chimico dei terreni, della biodiversità, della salute e fertilità umana, dell'inquinamento delle acque e dei mari, del bio-accumulo drammatico lungo le catene alimentari, impongono di fermare immediatamente (dopo 70 anni !!!) l'uso di pesticidi, dichiarando i territori biologici. Come dovrebbero fare tutti i Sindaci in veste di tutori della salute dei cittadini residenti.

Oltretutto, come sempre accade, sebbene l'informazione nel campo della politica agro-ambientale sia obbligatoria per tutta la popolazione, l'articolo in questione dimentica che le coltivazioni biologiche (incluse le fasce di rispetto bio di chi coltiva con la chimica) sono sovvenzionate dai pagamenti agro-ambientali europei, con la copertura dei mancati ricavi (30-40% delle rese convenzionali) e maggiori costi, più un 20% a parità di prezzi di mercato E se un sindaco dichiara il comune biologico ottiene anche il 30% di maggiorazione per l'azione collettiva a grande beneficio della salute ambientale.

Coltivare in maniera biologica deve convenire a tutti gli agricoltori "per legge", ai fini della rimozione degli ostacoli alla realizzazione sociale dell'attività economica (art. 3 comma 2 Cost.).

L’uso di pesticidi purtroppo è ancora oggi prioritario, consueto e illegittimo, nonostante su tutto il territorio europeo sia obbligatoria l'agricoltura integrata, ovvero l'impiego di tutte le tecniche alternative alle sostanze chimiche pericolose per la salute. Invece un eventuale pesticida chimico può essere usato solo in casi eccezionali, previa autorizzazione tecnica da parte di un fitosanitario abilitato e solo al superamento delle cosiddette soglie di danno, dopo aver impiegato le tecniche alternative, oggi ampiamente disponibili.

Non dovrebbe essere consentito svolgere attività economica danneggiando la salute e l'ambiente (art. 32, 9, Cost.), la fertilità dei suoli (art. 44 Cost.) e la collettività (art. 41, Cost.).

In ultima analisi, il diritto dei cittadini e degli agricoltori alla coltivazione biologica, garantito dalle leggi costituzionali e dalla politica europea, pagato dalla collettività per un migliore reddito degli agricoltori, viene negato illegittimamente dalla miope e incompetente politica delle regioni e del governo italiano.

Fortunatamente ci sono le forze dell'ordine e i tribunali.

Ma ancora oggi, come ogni primavera, si parte con la chimica sterminando i campi coltivati e si finisce con la …"chemioterapia".

Mentre il Gip di Udine sequestra i campi trattati con neonicotinoidi il Ministro Martina con un decreto vorrebbe imporre l'uso degli stessi pesticidi in tutta l'area degli Ulivi in Puglia.

 

Neonicotinoidi letali per le api (e pericolosissimi per gli esseri umani) banditi dall'UE. Questi reati avvengono ogni giorno in tutta Italia e non solo in Friuli, cosa aspettiamo a fare una denuncia generalizzata sulla situazione drammatica dei Pesticidi in italia? E' necessaria un'azione obbligatoria di tutte le procure civili, amministrative e penali.

Xylella, da oggi l’obbligo di trattamenti chimici: si prepara la rivolta

http://www.trnews.it/2018/05/01/215258/215258

Il regalo di Martina alla Bayer: pesticidi neonicotinoidi a tappeto nel Salento

http://www.labottegadelbarbieri.org/il-regalo-di-martina-a…/

Sono dei criminali ! …Irrorazioni di neonicotinoidi sugli Ulivi in puglia contro la scienza... EFSA lancia l'allarme

Fermiamo questi criminali

siano i Sindaci ad emettere ordinanze sanitarie di divieto d'uso di pesticidi chimici e portiamo tutti i responsabili davanti ai tribunali di giustizia civile e penale

Il decreto Martina è illegittimo in quanto non tiene conto:

1 degli obblighi di agricoltura integrata in tutta europa, ovvero d'uso di tecniche alternative ai pesticidi chimici sintetici

2. le cure biologiche degli ulivi sono molto più efficienti della chimica e vengono sovvenzionate attraverso i pagamenti agroambientali dei PSR regionali, il che significa che gli agricoltori ci guadagnano. Tali fondi sono obbligatori e prioritari da 25 anni...

3. Dichiarando il territorio biologico il Sindaco consente di attivare un'azione collettiva sui pagamenti agroambientali per cui gli agricoltori ottengono una maggiorazione del 30% sui pagamenti stessi, ottenendo ulteriore guadagno… oltre a un prezzo di mercato migliore...

4. I pesticidi chimici pericolosi per le api sono vietati di fatto in quanto incompatibili con le norme fitosanitarie

5. Lo stesso decreto è stato già bocciato precedentemente dal TAR

6. La xilella non è più un patogeno da quarantena in quanto ormai diffuso e, pertanto, non bisogna fare distruzione chimica ne tagli degli ulivi, ma cura biologica… prioritaria e pertanto obbligatoria.

7. Le responsabilità dei danni sanitari per la popolazione e l'ambiente saranno enormi e dovranno essere citate in giudizio

…per ora…

organizziamo un comitato con le associazioni per le necessarie denunce

Giuseppe Altieri - Attuare la Costituzione

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Il regalo di Martina alla Bayer: pesticidi neonicotinoidi a tappeto nel Salento

http://www.labottegadelbarbieri.org/il-regalo-di-martina-a…/

di GIANLUCA RICCIATO

la cosa assurda e davvero sensazionale è che pochi giorni fa, il 27 aprile, “i paesi membri dell’Ue hanno approvato la richiesta della Commissione di porre fine all’utilizzo nei campi all’aperto dei tre neonicotinoidi nocivi a partire dalla fine del 2018, consentendone l’uso solo in serra.”

Denunciare un governo che in Europa vota a favore, insieme ad altri governi, per bandire una sostanza chimica, e negli stessi giorni impone su un suo territorio l’utilizzo della stessa sostanza non è complottismo ma è ovvietà

«Morìa di api per eccesso di pesticidi»: campi di mais sotto sequestro a Udine

Contestato il reato di disastro ambientale, avviso di garanzia a 38 persone, ordine di distruzione dei raccolti di mai e soia

corriere.it

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