L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni.

Environment (78)

Nunzio Ingiusto

                                                                                                                                                                         contatto

 

Una rivoluzione lenta, iniziata qualche decennio fa. L’idrogeno sarà davvero l’ energia del futuro? L’Unione europea ci crede e promuovendola ha messo in moto decine di iniziative industriali. Non c’è company che negli ultimi 24 mesi non abbia programmato investimenti di lungo termine per veicolare nei prossimi anni l’idrogeno nelle case e nelle aziende. Gli esperimenti si accavallano , creano una specie di network spontaneo sulle soluzioni più adatte e – perché no -remunerative.

In questo scenario sta facendo il giro del mondo la notizia del primo battipista delle nevi italiano ad idrogeno. Si chiama Leitwolf. L’azienda altoatesina Prinoth ( Gruppo HTI) che lo produce conduce i test sulle piste regionali nei giorni in cui gli impianti sono chiusi. Spera chiaramente nel successo commerciale, quando la situazione migliorerà. Le prove stanno dando soddisfazione con un motore da 544cv e le informazioni diffuse sono performanti. In montagna le campagne sulla sostenibilità e l’uso delle fonti non inquinanti da tempo sono negli standard operativi delle aziende legate al turismo, sia invernale che estivo.

La fabbrica con sede a Vipiteno vuole essere modello per un sistema di approvvigionamento e consumo alternativo alle fonti fossili . “ Per noi la sostenibilità non è uno slogan, ma un impegno”, spiega Anton Seeber, Presidente del Gruppo HTI. Il mezzo a idrogeno viene lanciato come precursore delle attrezzature da usare sulle piste. In realtà già da qualche anno HTI ha scelto un sistema integrato di tecnologie e mezzi a basso contenuto di Co2. Gradualmente si sono mossi in un contesto territoriale congeniale alla sperimentazione.

Alimentare i motori soltanto con l’idrogeno è la scommessa dei prossimi anni . Il funzionamento si basa su celle a combustibile nelle quali l’idrogeno si combina con l’ossigeno dell’aria. Si produce, dunque, energia che si converte in elettricità. I vantaggi ambientali sono indiscutibili, a tal punto che alcune case automobilistiche e di accumulatori hanno pubblicato dei vademecum per spiegare come i motori a idrogeno saranno una risposta concreta all’abbattimento di Co2 nella mobilita urbana. Si studiamo ancora i processi di produzione e le commodity di massa. Per ora cominciamo a vedere come va sulle nevi dell’Alto Adige.

Eccellenze e negligenze. In fatto di ambiente, green economy, energie, lo Stato italiano è diviso tra chi è preparato e chi no. Tra chi ha capacità e competenze specifiche e chi le deve acquisire. C’è bisogno di colmare lacune e aggiornarsi. Le speranze maggiori per la nuova Scuola per lo sviluppo sostenibile per le Regioni sono concentrate tutte sulla forza di insegnare e far progredire gli impiegati della Pubblica amministrazione. Una rivoluzione già tante volte annunciata, ma sempre rimasta al palo. Nemmeno l’attuale Ministra Fabiana Dadone è riuscita ad andare oltre buone promesse.

La scuola verrà inaugurata il 16 dicembre dal portavoce dell’ASviS Enrico Giovannini e dal Presidente della Conferenza delle Regioni Stefano Bonaccini. Il primo obiettivo è di fornire a dirigenti e funzionari delle Regioni e delle province autonome gli strumenti per garantire la coerenza della programmazione e attuazione territoriale con gli Obiettivi dell’Agenda 2030. In mezzo ci sono politiche nazionali ed europee su cui bisogna essere preparati, come dimostrano le recenti vicende sul Recovery Fund. Ma la scuola dovrà fornire le conoscenze per definire traguardi, strumenti, priorità e azioni. Per non restare indietro rispetto agli altri Paesi, ma principalmente per dare risposte ai cittadini. Ai milioni di italiani preoccupati della qualità della vita , del clima, degli impatti ambientali , da molto prima del Covid 19. Sono al corrente che il loro Paese negli ultimi venti anni ha collezionato primati assai tristi in ritardi , soldi non spesi, sanzioni e multe ambientali.

Sono sempre stato convinto, ha detto Stefano Bonaccini, che la prospettiva dello sviluppo sostenibile, sia un percorso necessario per un’azione di governo efficace. Che sul passaggio ad un nuovo modello di sviluppo sostenibile si possa fare a meno delle articolazioni democratiche dello Stato è una convinzione astratta. Le istituzioni devono saper esprimere qualità per orientare i processi, a maggior ragione quando le iniziative sono sostenuti da fondi pubblici. D’altra parte sono evidenti i segni di certe élite al governo prive di cultura e saperi specifici. L’ASvis ,ovviamente , è un partner qualificato per incidere nella maturazione ecosostenibile della Pubblica amministrazione. Dovrà misurarsi con le capacità e la tensione organizzativa interna alle Regioni per far emergere una visione generale.

Da tempo sentiamo parlare di Stato imprenditore, senza registrarne ,purtroppo, un capacità autentica fattuale. Rimuovere stantie pratiche burocratiche da interi reparti degli enti territoriali sarà l’ostacolo più grande da superare. E la politica ? Ha il dovere di porre la pubblica amministrazione alla guida di questa ‘rivoluzione” di scenario ,dice Bonaccini. Non è azzardato pensare che dovrà essa stessa fare qualche passo indietro o di lato per non fagocitare le buone pratiche che i funzionari pubblici dovranno mettere in campo. Le tentazioni distorsive degli apparati politici sui temi dell’ambiente hanno finito con il favorire speculazioni e malaffare.

“La creazione di un percorso di formazione per chi sarà chiamato a prendere decisioni a livello territoriale è in linea con la missione dell’ASviS , ha spiegato Enrico Giovannini. Temiamo che Il cambiamento culturale , ancorché gerarchico, sarà l’ostacolo più grande. Forse l’unico – arrivati a questo punto - che potrà riscattare la dignità di istituzioni nate 50 anni fa per non sentire oltre il peso di uno Stato centralista. Più vicino a noi c’è la battaglia dei fondi del Recovery Fund. La PA è fuori dalla mischia ancora tutta interna ai partiti. Ma sarà coinvolta in tutto. Oggi è del tutto priva di una visione strategica sull’ambiente , su modelli sociali ed organizzativi avanzati. La recente analisi della School of Government della Luiss ha messo nero su bianco le cose da fare e con urgenza. Non aver paura di decidere,digitalizzazione spinta, dialogo con privati e imprese, rinnovamento generazionale sono i capitoli di un percorso di resilienza con una vision che stavolta non può essere lasciato negli archivi . Manco a dirlo, della PA.

 
 Procida

L’exploit di Procida tra le finaliste per il titolo 2022 nell’originale valutazione di Gabriele Muro. Chef , tra i più in vista a Roma, in cucina usa le materie prime incontaminate della sua isola.

Il conto alla rovescia è cominciato. Un misterioso starter controlla dieci città, da Nord a Sud. Le aspetta ad un traguardo nazionale dove arriveranno dopo aver mescolato storia, tradizioni, qualità della vita, ambiente. Qualcosa di bello ed ancora possibile in un Paese martoriato dall’epidemia. Forse proprio perché c’è stata la pandemia, il titolo di Capitale italiana della cultura è più ambito di prima. Nulla da fare per il 2021, giacché Parma mantiene il titolo per un altro anno. Dopo un 2020 disastroso a causa del Covid, è giusto non passare la mano.

Il countdown per il 2022, però , corre veloce verso il 14 gennaio. Quel giorno al Ministero dei Beni Culturali, una giuria di esperti dovrà scegliere tra Ancona, Bari, Cerveteri ,L’Aquila, Pieve di Soligo ,Procida,  Taranto, Trapani ,Verbania, Volterra. Chi più chi meno - a quel che si sa - giocherà la carta delle tradizioni e della sostenibilità ambientale. Matera capitale Europea della cultura, insegna.

La novità assoluta è che per la prima volta tra le finaliste c’è un’isola: Procida. Approdo mediterraneo suggestivo, sostenuto nell’impresa da tutta la Campania. È molto amata Procida e tanti si ingegnano ora per battere le concorrenti. Il déjà vu di intellettuali e politici, testimonial della partecipazione, ci ha spinti a starne un po’ lontani, e non per disprezzo. Un desiderio autentico forse lo trovi meglio in chi combatte la nostalgia con la creatività. Allora , perché non andare da un novello creativo, di quelli che amalgamano fantasia, ingredienti, passione, natura. Uno chef ,insomma. Uno che quando prepara i piatti non dimentica da dove viene e lo fa capire a tavola.

Al ristorante Adelaide del Vilòn Luxury Hotel di Roma, l’Executive Chef si chiama Gabriele Muro ed è procidano doc. Lontano dalla sua terra in queste settimane batte il tempo del verdetto ministeriale sperando nella vittoria. Ovvio. Lo abbiamo cercato e ci dice subito di aver già creato una ricetta speciale per Procida Capitale della cultura. Nel suo lavoro continua a mettere i profumi e i colori dell’isola che ha lasciato per girare il mondo.

Quando lavora non bara, ma cosa vuol dire realmente vincere quel titolo ? Essere arrivati tra le 10 finaliste è già un bel traguardo, mi riempie di orgoglio. Fino a qualche anno fa non erano molti coloro che riuscivano a cogliere la bellezza di Procida. Più di qualche volta mi è capitato dover spiegare dove si trovasse. Ma come il più bello dei fiori rari, non poteva rimanere inosservata. È diventata sempre più meta di visitatori appassionati del bello, di storia, arte , tranquillità e di una cucina mediterranea ricca di gusto. Un isola che non isola.” Già perché il dossier per il Ministero,raccoglie anche l’habitat e la particolarità dei Campi Flegrei, di fronte all’isola. Ancora suggestioni e aromi.

Muro, quali sapori naturali, puliti, ci sono nella Sua creatività ? “Tutto. E' da lì che nasce ogni cosa. L'ispirazione parte dalle materie prime della mia terra e dal pescato dell'isola. Con mio padre, appassionato di pesca, ho imparato ad apprezzare ogni tipo di pesce in tutte le sue parti. Nei piatti cerco sempre di dare risalto estetico ricavato dalle materie prime trattate con il massimo rispetto. E poi i colori che sono una caratteristica dell'isola, sono qualità fondamentale della mia cucina. “

 
 lo chef Gabriele Muro

Racconta dei tanti ingredienti puri di Procida, serviti a centinaia di clienti dell’Adelaide. Si dice benevolmente contaminato da un territorio forbito che può suggestionare la giuria del Premio. Allo stesso modo in cui i sapori dell’isola hanno catturato altri giovani chef. Se la sente, allora, di riunire altri colleghi per rafforzare la candidatura ? “ I procidani da sempre sono stati dei grandi viaggiatori. Molti ragazzi lavorano nella ristorazione e portano la nostra cultura gastronomica in giro per il mondo. Di sicuro uno è Marco Ambrosino, un bravo chef che come me, fa della "procidanità" un vanto e un arma in più da usare a tavola. Abbiamo mosso i primi passi insieme. Con lui e con tutti i ristoratori storici di Procida, possiamo unirci e rilanciare a gran voce la nostra cultura gastronomica”. Messaggeri in progress tra fuochi e padelle. Ma la Sua ricetta per il titolo ? “ Ho creato ‘ I giardini di Elsa: lo scorfano scherza nell’acqua’. Praticamente uno scorfano in umido tra terra e mare, dove all'interno ci sono tutti gli ingredienti più rappresentativi dell’isola: alghe, carciofo, limone e ricci di mare.” Un’ inedito che estenderà ancora le sue doti già apprezzate da esperti e guide. Tornando a Procida, la competizione è sicuramente dura. La giovane amministrazione comunale guidata dal sindaco Dino Ambrosino fino a gennaio è impegnata al massimo . “Ma Procida , soprattutto per noi che ne siamo lontani, è il centro del mondo. Ci manca il mare, la roccia vulcanica, passeggiare per la Corricella, il profumo dei limoneti” dice Muro. Quei connotati naturali che un gruppo di esperti potrebbe davvero trovare vincenti e unici. Come assaggiare un piatto di Gabriele.

Durissimo giudizio della Corte di giustizia europea sui livelli di PM10. Nelle zone inquinate, con il Covid 19 si muore di più.

Non poteva ricevere peggiore pagella. L’Italia è bocciata per la cattiva qualità dell’aria. Il Ministro dell’Ambiente Sergio Costa ha provato a smarcarsi,ma il giudizio dell’altro giorno della Corte di giustizia europea sulle alte concentrazioni di particolato PM10 nell’aria, è implacabile. Nove anni,dal 2008 al 2017, in cui si è fatto poco o nulla per salvaguardare la salute degli italiani. Gli scarichi sono aumentati a dismisura, completamente fuori controllo. E proprio quando si faceva strada una maggiore sensibilità sulle tematiche ambientali.

“L’Italia ha violato in maniera sistematica e continuata i valori limite stabiliti dall’Unione europea sulle concentrazioni di PM10” hanno sentenziato i giudici. Un verdetto che è la triste conferma di quanto abbiamo letto negli anni nei report delle varie associazioni ambientaliste. Il nostro è un Paese malato cronico d’inquinamento atmosferico, spiega Legambiente. Ogni anno si contano circa 60 mila morti premature riconducibili proprio all’inquinamento dell’aria.

Il 28% delle città prese in esame ha superato, 10 volte su 10, i limiti giornalieri di Pm10. Con il Nord particolarmente martoriato dal killer invisibile: da Torino a Milano, Vicenza, Asti, Venezia,Piacenza. Chi da Roma doveva fornire giustificazioni all’Ue ha provato ad insistere “ sulla diversità delle fonti d'inquinamento dell'aria per sostenere che alcune di esse non potrebbero essere imputate” all’Italia in quanto singolo Paese. Per esempio gli inquinamenti influenzati “ dalle politiche europee di settore, o sulle particolarità topografiche e climatiche di talune zone interessate". Scuse intollerabili, discolpe scomposte, che richiedono ben altra voce e faccia per cercare di riparare.

Il Ministro Sergio Costa, dicevamo, nella sentenza ha visto uno “stimolo a fare di più e meglio” rispetto a quanto messo in cantiere dai due governi di cui lo stesso Costa ha fatto parte. È il caso di ricordare che rimandano alla sua responsabilità di Ministro in carica, ancora altre due infrazioni europee: quella sugli alti livelli di ossidi di azoto e quella sulle polveri ultrasottili PM2,5. Circostanze ambientali non meno gravi di quella sul particolato PM10.

Ha ragione Alessia Rotta, Presidente della commissione Ambiente della Camera quando dice che “ il ritardo accumulato in questi anni è davvero tanto, perché l'implementazione di una mobilità ecologica attraverso l'utilizzo di mezzi meno inquinanti e di sistemi di riscaldamento meno impattanti, è stata insufficiente.” Ma il suo partito Pd sia più incisivo su combustibili fossili, investimenti, azioni ministeriali. Il punto vero della discussione sta nel fatto che l’intero governo dovrebbe ammettere (per agire sul serio) che di inquinamento si continua a morire. In tempi di Covid 19 poi, per chi gestisce l’emergenza, è giunto il momento di fornire dettagli su queste interazioni. Dall’Università di Harvard, infatti, ci hanno appena detto che le persone che vivono in aree con alti livelli di inquinamento atmosferico vedono aumentare dell’11% il rischio di decesso in caso di infezione da Covid-19. Hanno studiato le morti della Johns Hopkins University, ma la ricerca vale per il mondo intero. In oltre 3 mila contee non ci sono state misure adeguate di contenimento del virus , ma neanche buone iniziative per ridurre l’inquinamento con i danni alla salute. Due disgrazie una sopra l’altra. In America come in Europa. E l’Italia non faccia finta di non sentire.

In 30 anni, nel disinteresse generale, persi migliaia di ettari di terreni utili alle produzioni sostenibili.

Un 20 % di terreni agricoli mangiati da guasti di ogni tipo. Una riduzione sistematica di aree necessarie sotto gli occhi di poteri pubblici incuranti. Terreni sottratti alle produzioni sostenibili e biologiche su cui si gioca il futuro dell’alimentazione . Prenderne atto ora ,nel pieno delle mobilitazione per un mondo diverso, è tardivo, ma può servire. All’Ecomomdo digital di Rimini sono venuti fuori dati allarmanti sul consumo di suolo utile negli ultimi 30 anni.

“Il suolo – ha detto Giovanna Parmigiani di Confagricoltura - è una risorsa preziosa, di fatto non rinnovabile. Meno superfici dedicate all’agricoltura si traducono in meno fertilità dei terreni e quindi in meno cibo”. Un trend angosciante rispetto alla necessità -non solo italiana- di garantire cibo per tutti, ma anche prodotti di qualità. I terreni persi danneggiano in primo luogo le colture senza fitofarmaci, quelle per le quali ci si mobilità in mezzo mondo.I dati analizzati ,purtroppo ,non ammettono repliche. I governi hanno il dovere di intervenire e decidere, senza inutili retoriche sulle politiche verdi. E se non lo fanno sono colpevoli di danni irreversibili. A bocce ferme ,allora, cosa dobbiamo aspettarci ?

Entro il 2050, è la valutazione degli esperti, combinazione del degrado del suolo, erosione e cambiamenti climatici . Un mix che ridurrà i raccolti globali del 10% con punte massime al 50%. Le proiezioni attestano anche un 21% di superficie a rischio di desertificazione, con la metà nelle Regioni del Sud. In sintesi , numeri che mettono l'Italia in cima ai Paesi europei che risentono di più dei cambiamenti climatici.

Gli agricoltori virtuosi non ci stanno. Rilanciano verso la politica e insistono affinché la filiera agro-alimentare venga riconosciuta come uno dei pilastri della bioeconomia. Crea valore e occupazione , oltre alla funzione primaria della nutrizione e della salvaguardia della salute. Il punto politico e industriale è se l’Italia vuole giocare sul serio la partita della green economy. Attraverso una riflessione da condividere con chi la sostenibilità nei campi la mette in pratica, la politica   deve proteggere la biodiversità, aver cura del territorio, difendere tradizioni centenarie ed export. Una ricetta che per gli agricoltori funzionerà perché contiene modalità e strategie vincenti. Dallo sviluppo di nuove forme di organizzazione delle aziende agricole, all’uso delle fonti rinnovabili, come solare, biogas, biomasse, alla tutela dei lavoratori agricoli, alla lotta al caporalato. Tutto in una sola direzione . Ma che sia quella giusta.

Una montagna di soldi e pochi scrupoli per l’inquinamento atmosferico.Com’ è stato possibile che la Banca dell’ “Europa dei popoli “ finanzi colossi energetici che impattano in modo così violento sull’ambiente ? La domanda gira da tempo in Europa , ma ha avuto poche risposte mentre i governi sono impegnati a frenare i cambiamenti climatici e a ridurre le fonti inquinanti. Una risposta al perché e per come la BCE sia finita dentro un meccanismo speculativo e poco green, arriva ora da uno studio curato da New Economics Foundation (NEF), SOAS University of London, University of the West of England, University of Greenwich e Greenpeace.

La potenza finanziaria guidata da Christine Lagarde fino a due mesi fa aveva obbligazioni societarie per circa 130 miliardi di euro di società ritenute responsabili di immissioni di CO2 nell’aria. In sostanza la market neutrality della Banca non esiste, dice Greenpeace. Ed è proprio il caso che i suoi vertici la smettano di comprare obbligazioni di aziende fossili, aggiunge. In questo modo il green deal tracciato per l’Europa di domani, non cammina mentre si chiedono ai popoli di fare sforzi per accelerare.

Secondo alcuni esperti per tutelare i mercati da assalti speculativi, la BCE ha sostenuto con acquisti di titoli le aziende , senza preoccuparsi delle loro strategie ambientali. Lo studio si intitola “Decarbonising Is Easy: Beyond Market Neutrality in the ECB’s Corporate QE” e deve la sua notorietà tra gli addetti ai lavori niente di meno che proprio a recenti parole della stessa Lagarde. La Presidente ha insistito sulla neutralità del mercato azionario rispetto alla crisi climatica. Ha mostrato una visione pragmatica di interessi e capitalizzazioni che non nega sostegno a colossi come Eni, Total, Shell. Inquinano , non tutelano l’ambiente?Alla Banca poco interessa.

Lo studio delle Università “ indica che il 62,7% delle obbligazioni detenute dalla BCE proviene da settori ad alta intensità di carbonio, e che questi contribuiscono solo per il 17,8% all’occupazione e per il 29,1% al Valore Aggiunto Lordo nell’area dell’euro”. Non ci sarebbe alcun motivo per dare sostegno a imprese che faticano a rientrare nei parametri di tutela dell’ambiente e della salute. D’altra parte molti slogan di Fridays for Future  mettono sotto accusa il sistema bancario mondiale per queste incongruenze.“ La Banca Centrale Europea deve rivedere la propria politica monetaria e sostenere la transizione verso un mondo verde ed equo” ha detto Jennifer Morgan, direttrice esecutiva di Greenpeace International.

Per l’Italia ha destato meraviglia che tra i beneficiari di BCE ci fosse anche l’Eni,azienda controllata dallo Stato. “Nello studio – si legge sul sito di Greenpeace- si evidenzia come nel 2019, Eni si sia resa complessivamente responsabile di 296 milioni di tonnellate di emissioni di CO2 equivalente”.Dati preoccupanti che piazzerebbero Eni dietro Total e Shell, “ che però hanno un migliore indice di intensità delle emissioni, ossia il rapporto tra le emissioni e i ricavi”. Abbiamo provato anche noi a chiedere conferma ad Eni di quanto riportato da Greenpeace , ma non abbiamo avuto risposta. Il punto vero alla luce dello studio , è la dissonanza tra strategia politica e strategia finanziaria in mano ai vertici dell’Unione Europea. La partita che giocano il Parlamento e i governi è la decarbonizzazione, la riduzione delle emissioni inquinanti al 2030 e al 2050, la creazione di un modello di sviluppo non aggressivo. Ma se in partita ci sono giocatori poco leali qualcuno deve alzare il cartellino rosso. Poi vedremo chi vince.

Cosa dirà il prossimo “Green Symposium" di Napoli il 22 e 23 ottobre ? L’Italia è davvero sulla strada della green economy. Un evento per capire se i fatti corrispondono alle buone intenzioni della politica. Intanto il Cesip dell’Università Bicocca, ha detto che solo 8 città raggiungono la sufficienza ecosostenibile. Milano va benino. È più avanti di Londra e Madrid per raccolta differenziata, uso di mezzi pubblici , sharing mobility, PM10, imprese innovative . Poi ci sono Trento ,Bologna, Roma, Napoli, Torino , Aosta, Bari, Bergamo, Brescia, Cagliari, Catania, Firenze, Genova, Palermo, Perugia, Pescara, Reggio Calabria, Venezia , Verona. Una lista che fa riflettere.

Il Symposium di Napoli, è un segnale di ripresa anche se la politica arranca paradossalmente sul tema che più “vende” ai cittadini. Tutto ruota intorno al Recovery Fund che dovrebbe dare una spallata, ma solo nel 2021. Gli esperti alla Stazione marittima di Napoli si confronteranno su  com’è cambiato l’approccio alle tematiche ambientali dopo il lockdown e la crisi economica tuttora in atto. RiciclaTv e gli esperti di Ecomondo, organizzatori, pensano ad una “piazza”, sostenibile ,moderna ed agile. Protagonisti i cittadini , certo, ma prima di tutto imprese, istituzioni, università e centri di ricerca. Una piazza che dovrà accogliere le istituzioni centrali e locali. Tutto passa da lì.

In due giorni ci saranno 4 Symposia, 8 tavoli tecnici, seminari formativi . Ma sarà presentata anche la prima Scuola di alta formazione promossa dall’Università Federico II insieme al team Symposium/Ecomondo. Vogliamo creare “ un laboratorio permanente di idee ,sperimentazioni e investimenti sul futuro dell’ambiente e dell’economia italiani» hanno annunciato gli organizzatori. A partire dal recente decreto del governo sull’economia circolare, non risparmiato da critiche ed osservazioni degli ambientalisti. Sarà centrale il tema dei rifiuti , per capire a che punto è la sensibilità degli amministratori locali dinanzi alla carenza di strutture di riciclo. Il Ministro dell’Ambiente Sergio Costa é contrario, Renzi ne aveva promessi di nuovi, la giustizia amministrativa lo ha bocciati. Città vivibili e sostenibili sono la cifra di un Paese che vuole progredire e sostenere la battaglia per il clima , ormai globale. I confronti sono utili, ma alla fine contano le decisioni.

 

 

Nasce la  piattaforma Ita.bio ,uno strumento per crescere ed affermare la capacità delle imprese per un agricoltura sostenibile.

In Cina, Stati Uniti, Germania con il meglio della produzione biologica italiana. I produttori italiani che nelle campagne non usano pesticidi e si adoperano come possono per far crescere questa eccellenza, pensano ai mercati internazionali. Visto che il Covid ha rimesso tutto in discussione, hanno puntato su tre Paesi fondamentali nell’economia mondiale. A Xiamen a novembre, a Norimberga a febbraio 2021 e a New York a giugno, le produzioni bio italiane saranno al centro di scambi e nuove relazioni commerciali. Così si spera, perché Ita.bio, la piattaforma per l'export del biologico italiano, muove i primi passi in questi giorni.

L’hanno concepita l’ICE , l’ Agenzia per la Promozione all’Estero e l’Internazionalizzazione delle imprese italiane e FederBio, la Federazione nazionale dell’agricoltura biologica per lanciare un altro segnale di economia circolare Made in Italy. In buona sostanza si tratta di promuovere l'agroalimentare biologico italiano sui mercati esteri, sfruttando bene i canali e-commerce. L’impegno dell’istituto per il Commercio Estero è una buona notizia, ma lo sforzo del governo nel suo insieme deve essere più incisivo. Fino a quando l’agricoltura pulita non sarà dentro un’idea davvero sostenibile di new economy non potremo dire di essere vincenti.

La presenza a tre fiere internazionali - Ciofe in Cina, Biofach in Germania, Summer Fancy Food in USA- cercherà appunto di “catturare” partner ed affermarsi su nuovi mercati. Se è vero che gli scambi stanno ripartendo “ con una forte accelerazione verso l’economia digitale”, dice il presidente dell’ ICE, Carlo Ferro, è giusto che l’Italia si faccia avanti con quello che ha di buono. La filiera agroalimentare sostenibile è in crescita , nonostante gli zig zag della politica di casa nostra. Per fortuna c’è l’Europa che sull’agricoltura sta cambiando rotta. Maria Grazia Mammuccini, presidente FederBio la vede così “Siamo in una fase decisiva per lo sviluppo del biologico, promossa anche dalle nuove strategie varate dalla Commissione europea che fanno della bioagricoltura un asse fondamentale per la crescita del sistema agroalimentare”. Cosa c’è nella piattaforma? Tre cose essenziali : monitoraggio delle opportunità di sviluppo; supporto alla promozione dei prodotti con strumenti veloci; comunicazione istituzionale.

I due Enti promotori , tuttavia, non si sono fermati alla messa in rete della piattaforma. Per dare più efficacia al rilancio della bioagricoltura italiana , nella sede dell’ICE hanno istituito anche un Desk FederBio-ICE. Uno strumento moderno con il compito di agevolare il lavoro di tutti. Per dare dell’Italia un immagine più vicina alla realtà delle campagne.

La spesa cala proprio mentre c’è più bisogno di studio ed applicazioni interdisciplinari. Due giorni tra Roma e Livorno in vista della Notte europea dei ricercatori.

Quella sull’ambiente e le tecnologie green è certamente la Cenerentola. Il bilancio statale italiano non smuove da percentuali ad una cifra per la ricerca scientifica e per quella di maggiore impatto sulla vita delle persone. La ricerca privata - aziende, società finanziarie, patron di grandi patrimoni- nel 2020 non se la passa tanto bene ,tuttavia per budget e sviluppi di laboratorio riesce ancora a competere con quella pubblica. Mentre nel mondo l’epidemia da Covid 19 rafforza i legami tra governi ,Università e strutture private -soprattutto per la ricerca sul vaccino- in Italia la politica disputa su quali siano le priorità da assegnare ai soldi del Recovery Fund. Le linee guida sono state inviate dal governo al Parlamento , ma il settore della ricerca dovrà battersi molto per guadagnare posizioni di vertice tra i 209 miliardi di euro che arriveranno nel 2021 dall’Ue.

Serve a qualcosa la mobilitazione e la discussione tra esperti e persone sensibili alle tematiche ambientali e di sostenibilità? Per studiare di più, trattenere i nostri talenti, brevettare prodotti e soluzioni che portano soldi e fama. Sfroziamoci di pensarlo . A partire dalla due giorni di venerdì 25 e sabato 26 settembre tra Roma e Livorno.

Donatella Bianchi, Mario Tozzi, Lorenzo Baglioni, il fisico del clima Antonello Pasini , Alessandra Celi di Fridays For Future Italia, sono solo alcuni dei nomi presenti a Roma alla manifestazione “Talenti per la scienza”. Un weekend al CineVillage Arena Parco Talenti, per parlare di scienza in modo accattivante e divertente. Domenica 27 ,invece, a Livorno ci sarà “Navigando con la ricerca”, una giornata dedicata alla ricerca marina, con gli esperti di Ispra e del CNR. Due giorni promossi da Scienza Insieme, un network di Enti di ricerca e Università nato dall’esperienza della Notte europea dei ricercatori. La data di quest’anno per tutta Europa è il 27 novembre e nell’attesa sono partiti questi eventi che si raccordano al progetto europeo “NET – Science Together”.

Si parlerà di molte cose , ma con uno sfondo poco rassicurante. L’Istat ha appena detto che nel 2020 la spesa delle aziende italiane per ricerca e sviluppo scende del 4,7% rispetto al 2019. Quella pubblica dovrebbe salire del 3%. Sono dati aggregati , senza distinzione di campi specifici che mettono insieme discipline diverse dalla medicina, alla meccanica, allo spazio . I soldi pubblici da investire dovrebbero rassicurare un Paese cronicamente sotto la media europea nella spesa per clima, bioindustria, trasporti. L’epidemia da Covid 19 ha lasciato il suo drammatico segno anche qui, non c’è dubbio. Però, voler affrontare nuove sfide sul clima, sulla decarbonizzazione, sul binomio salute- ambiente, su città meno inquinate, destinando alla ricerca solo l’1,43% del Prodotto interno lordo vuol dire mortificare alla radice ogni migliore ambizione. La politica tutta non manca occasione per divulgare ambizioni ecosostenibili, di ripresa . Ma il punto vero sta nel bisogno di ricercatori ben pagati, di strutture e laboratori efficienti, di risorse economiche che producano valore, non sussidi. Per questo pensiamo che gli appuntamenti di Roma e Livorno possono dare una buona sveglia alla politica.

 

Cosa dicono Kyoto Club e Anev sul decreto Semplificazione del governo Conte

 Delusione è dire poco. La carica green del Conte bis si spegne nel decreto semplificazione. Invece di imboccare spedito la strada della decarbonizzazione, il provvedimento è andato a sbattere contro le proteste del mondo verde. Un boomerang chissà quanto innocente. Il “Semplificazione” non solo ha deluso, ma rischia di bloccare tutte le buone iniziative che aiutano la transizione energetica italiana.

Ieri, il Ministro dell’Economia Gualtieri ha sostenuto la necessità di impegnare le risorse del Recovery Fund in ottica di sostenibilità. Il fatto è che sono ancora calde le proteste di aziende ed Associazioni contro le norme del decreto. E se non si hanno alleati i protagonisti industriali ed economici del cambiamento green, dove si pensa di andare?

Si è complicato tutto, dice il Kyoto Club. Perché? “Il testo mortifica la tanto annunciata svolta green. Non è stata accolta nessuna proposta a favore delle energie rinnovabili, ma sono state introdotte ulteriori facilitazioni a favore del comparto petrolifero”. Le energie fossili restano il punto debole di una strategia tanto declamata nei Palazzi, quanto poco realizzata. “Ma scarsa attenzione è stata data anche alla riqualificazione delle città”, ha detto Francesco Ferrante, vicepresidente di Kyoto Club.

Le associazioni delle aziende produttrici di energia pulita avevano presentato proposte per semplificare le procedure per rinnovare i parchi eolici, realizzare piccoli impianti idroelettrici e geotermici privi di impatti territoriali. Proposte che comportano investimenti diretti, innovativi che prevedono la conversione di impianti ormai obsoleti fino a mettere biometano nelle reti urbane. Al contrario di quello che dicono in pubblico il premier Conte, il Ministro Costa e tutti gli altri ministri verdi (?) “sono state introdotte, ulteriori facilitazioni a favore del comparto petrolifero: royalties più basse sulle trivellazioni a terra e in mare, meno vincoli autorizzativi per la costruzione di nuovi oleodotti”.

Le critiche del Kyoto club non sono rimaste isolate. Per l’eolico, per esempio, si è pronunciata l’Anev, associazione di categoria. Senza dimenticare che i Cinquestelle in passato hanno condotto campagne fortemente contrarie alle pale eoliche, ora – dicono gli industriali del vento – il testo del decreto Semplificazione semplicemente non è sufficiente a traguardare gli obiettivi settoriali che questo Governo ha indicato di voler raggiungere. Un altro autogol del governo: “spiace che le proposte specifiche avanzate dall’Associazione Nazionale Energia del Vento non siano state recepite” dice una nota. Poi sono arrivate le proteste del Coordinamento delle Fonti Rinnovabili-Free, che non vedono nulla di buono nelle decisioni del governo. In conclusione, si spiega, sono state approvate norme che fanno a pugni con le altisonanti dichiarazioni di svolta ecosostenibile di una coalizione sorda. Tutto accade nelle ore delle decisioni sui soldi del Recovery Fund che il buon ministro Gualtieri dice di spendere per la svolta verde. Crederci.

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