L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni.

Environment (87)

Nunzio Ingiusto

                                                                                                                                                                         contatto

 

Le foto allegate si riferiscono alla stazione della EAV (Circumvesuviana) di Brusciano (Na) linea Napoli- Nola-Baiano. La struttura è in totale stato di abbandono. È stata ristrutturata e inaugurata a gennaio 2020 con molto denaro pubblico. Da tempo è sporca, incustodita, spesso malfrequentata. Le sue condizioni sono preoccupanti anche per il grande impatto ambientale negativo che si ripercuote sull'intera zona. Molti viaggiatori hanno timore ad accedervi  in ogni ora del giorno. Di notte spesso è rifugio di persone sospette.

La situazione è stata segnalata più volte alle Autorità, ad EAV stessa, al Sig. Sindaco di Brusciano. In seguito a denunce per vari reati, nei giorni scorsi i Carabinieri del Gruppo di Castello di Cisterna al comando del Maresciallo capo Sabatino Russo, hanno intensificato in maniera meritoria i controlli sul territorio cittadino e a quanto risulta anche nell'area a ridosso della stazione. Eppure la stazione è posta a poche decine di metri dalla centralissima Via C. Cucca, al confine con il Comune di Castello di Cisterna.

Il sottoscritto ha molta contezza della situazione e rappresenta il disagio degli abitanti della zona e degli operatori commerciali.  Chi si fa carico di intervenire ? Dalla EAV non sono mai arrivate risposte di nessun tipo. E la Regione Campania? Eppure EAV è azienda  "che opera nel settore del trasporto pubblico su gomma, ferro e funivia, della Regione Campania".

Risulta che altre stazioni ferroviarie della EAV sono state affidate in gestione a soggetti privati. Non sappiamo se sia la soluzione migliore. In passato anche il sito di Brusciano è stato gestito in tal modo. Poi lo stato attuale - pericoloso- che non fa molto onore agli amministratori dell'azienda e a chi deve vigilare sulla sicurezza e il decoro urbano e ai cittadini-viaggiatori.

A quando una rapida ed efficace azione per rilanciare una stazione ferroviaria al servizio di una comunità di oltre 10 mila abitanti?

 

Il cambiamento climatico sta affamando il mondo. Le cinque più importanti agenzie delle Nazioni Unite - Fao, Ifad, Unicef, Oms, Pam- hanno diffuso i dati aggiornati sulla fame e la denutrizione sulla terra. Climate change, epidemie, guerre, nel 2022 hanno colpito 735 milioni di persone. Non hanno avuto accesso a nessuna forma di cibo, lottando (quando non sono morte) contro il peggiore nemico della vita. In tre anni gli affamati del pianeta sono aumentate di 122 milioni. 

Il Rapporto “Lo stato della sicurezza alimentare e della nutrizione nel mondo” ha messo in evidenza gli effetti della pandemia da COVID 19. Tuttavia è ormai accertato che nei Paesi asiatici, africani, dell’America latina la pandemia ha fatto più danni di una guerra mondiale anche per il clima. Mentre il mondo industrializzato discuteva se, come, a quale prezzo distribuire i vaccini ai quei Paesi, donne, bambini e uomini morivano senza conoscerne le ragioni. Il Covid non era da solo a flagellare vite umane. Incendi, tsunami, deforestazione, alluvioni, coesistevano con la malattia. Un sommatoria di fattori disgraziati che hanno rimesso a nudo le contraddizioni del mondo moderno e postmoderno. Come se fosse la prima volta!

Chi vive nei Paesi sviluppati spesso dimentica che la stragrande maggioranza di quelle popolazioni vive in villaggi lontanissimi dai centri abitati, non hanno Tv e smartphone, per lo più non sanno né leggere, né scrivere, aspettano - quando va bene- le organizzazioni umanitarie e le ONG che portano aiuti. I numeri delle Nazioni Unite sono sempre più terrificanti, certo, ma non cadiamo nella seconda dimenticanza da benestanti: pensare, cioè, che il peggio sia passato. No, è vero il contrario. Il programma Onu “Fame Zero” al 2030 si è indebolito e, scrive Chiara Manetti su La svolta.it,  “si prevede che nel 2030, quasi 600 milioni di persone soffriranno di fame “.

Per il Segretario generale dell’Onu António Guterres i motivi per sperare in un miglioramento non mancano, perché alcune regioni del mondo sono sulla buona strada contro la denutrizione. “Nel complesso occorre venire in soccorso degli Obiettivi di sviluppo sostenibile, con un energico e immediato intervento a livello mondiale”, ha detto. Parole non diverse da quelle pronunciate da Papa Francesco in molte occasioni rimaste inascoltate dagli stessi che nei giorni scorsi a Vilnius hanno stabilito come continuare a finanziare la guerra in Ucraina.

In Africa, oggi 1persona su 5 non mangia in quantità sufficiente per sopravvivere e qualcosa si sta muovendo in Sud America. Ma sono percentuali di miglioramento dello 0, che vanno avanti molto piano. Intanto milioni di persone si spostano verso le città alla ricerca di un futuro meno a rischio. Gli effetti perversi di queste migrazioni con le quali convivremo a lungo, sono lo spopolamento delle campagne e l’aumento esponenziale di persone urbanizzate. Si calcola entro il 2050 7 persone su 10 vivranno in città. La maggiore presenza comporterà aumento di CO2, congestionamento urbano per mobilità, lavoro, assistenza, edilizia, consumo di suolo, importazioni di prodotti agricoli. Il mondo gira a rovescio si diceva una volta e chi lo percorre avverte un disagio culturale e politico per la superficialità di molte classi dirigenti ambientalisti da convegni.

Il peggioramento delle condizioni climatiche mondiali non farà che accelerare le modificazioni socio- economiche. Il Rapporto Onu di oggi con i dati delle agenzie di sostegno umanitario allunga la lista dei documenti che i membri del G20 dovrebbero leggere con molta più convinzione. La loro smania di leadership e il tempo impiegato a parlare di guerre di occupazione territoriale, stanno facendo perdere la guerra climatica.


 

L’Italia sta prendendo la giusta strada per la protezione dell’ambiente? A vedere il Rapporto sull’efficienza e la decarbonizzazione preparato dall’Ispra (Istituto per la protezione ambientale) si direbbe di sì: stiamo andando benone. E questo nonostante gli allarmi sull’inquinamento delle città che accusano sindaci ed amministratori di non fare ancora abbastanza. La polemica sollevata sul decoro urbano di Roma da Carlo Calenda contro il sindaco Roberto Gualtieri le rappresenta un po’ tutte.

Andiamo incontro ad un’altra estate di caldo ed afa, dicono i meteorologi,  perché l'Italia resta uno dei Paesi più esposti alle variazioni climatiche. Ma secondo il Report dell'Istituto ambientale abbiamo raggiunto “un’elevata efficienza energetica ed economica”. Dal 2015 al 2021 le emissioni di gas serra sono scese del 27% a fronte di un consumo di corrente elettrica ridotto del 16%. Sono percentuali riferite ad unità per PIL che indicano che il nostro ambiente non solo migliora, ma produce anche risparmi. L‘”Efficiency and decarbonization indicators in Italy and in the biggest European countries” (questo il nome del documento Ispra) ha studiato tutti settori industriali che stanno passando alle rinnovabili. Va detto, tuttavia, che mentre gli investimenti pubblici non sono ancora ai livelli sperati, l'Italia è al secondo posto in Europa- dopo la Svezia- per la quota di consumo interno lordo: 19,4% contro una media del 17,7%. Anche in agricoltura le cose vanno piuttosto bene con le aziende che affrontano le rinnovabili con biometano o altre fonti green. Le performances nel terziario non sono buone. In un solo anno, da Bolzano a Trapani, abbiamo immesso in atmosfera  24 tonnellate di CO2 per ogni miliardo di valore aggiunto prodotto. In altre parole quando creiamo ricchezza ci sono parti della nostra economia che continuano ad inquinare. È lo stesso Ispra a dirci che « l’industria e l’agricoltura rappresentano un’assoluta eccellenza in Europa. Per settori come il residenziale, i servizi e i trasporti ci sono ancora ampi margini di miglioramento ».

Siamo al che fare? L’orizzonte è politico e industriale. Ma industriali e banchieri, in genere, non si muovono se la classe di governo ha idee confuse o è solo linguacciuta. Il governo di centrodestra da fine 2022  ha messo in campo alcune iniziative, diciamo trasversali, per andare avanti verso gli obiettivi ambientali al 2030. Il cammino, però, è lento e per questo due documenti non sono più rinviabili: il Piano integrato clima e ambiente e il Decreto Fer 2 sulle rinnovabili. Sul primo, il governo è in spaventoso ritardo, sebbene a cadenza più o meno mensile riceva proposte di aggiornamenti e integrazioni da parte di  associazioni ambientaliste serie e responsabili. Orecchie tappate. Il secondo provvedimento è stato inviato alla Commisione europea a marzo e Giorgia Meloni e il Ministro dell’Ambiente Pichetto Fratin farebbero bene a sollecitarne la valutazione.

Si tratta – conclude l’Ispra nel suo rapporto – di “risultati coerenti con la preoccupante distanza delle proiezioni italiane dall’obiettivo di riduzione delle emissioni al 2030, poiché gli obiettivi nazionali riguardano solo i settori disciplinati dal regolamento sulla condivisione degli sforzi di riduzione tra gli Stati europei”. Se l’Ispra dice che dal 1995 al 2021 le emissioni sono cresciute meno dell’economia, dobbiamo augurarci che l’economia continui a crescere e che le emissioni scendano ancora più velocemente rispetto ai sei anni passati. Bisogna mettersi al lavoro per investire su tutte le fonti rinnovabili e sulla ricerca, non compiacersi dei numeri dei report istituzionali, per quanto ben fatti. Lo scacchiere del clima, dell’ambiente e dell’energia è quello mondiale, dove Giorgia Meloni vuole avere più autorità. Fa bene perché rappresenta un grande Paese. Ma inizia  a fare cose indispensabili in casa propria per il bene (tangibile) dei cittadini e per quelli che vogliono investire, ma sono in stand by .

 

 

 C'è chi afferma le posizioni a favore del surriscaldamento globale e chi minimizza o nega il cambiamento climatico ma la corsa per le energie pulite è partita anche se il green, oggi, è di moda. 

 

Ormai il cambiamento climatico è l'argomento più al centro della nostra informazione e delle nostre vite. 

I fatti avvenuti di recente nella nostra Emilia Romagna, ci dicono alcune cose che sembrano distanti tra di loro ma forse facce diverse della stessa medaglia. Una prima tesi, sostiene che siamo davanti a fenomeni irreversibili a cui possiamo rispondere con una vera transizione ecologica che è energetica prima di tutto. 

Oppure, tesi che minimizzano il cambiamento climatico e per i fatti della Romagna, adducono che la causa principale che ha colpito quella terra siano lavori di manutenzione di argini, fossi e fiumi che sono mancati. Parola del fisico Franco Prodi, professore accademico, fratello di un presidente del consiglio, dirigente del Cnr a 30 anni e una carriera spesa tra cattedre e istituzioni prestigiose. E' incontro esperto di microclima e in particolare della formazione di nubi. 

Vediamo il contesto degli esperti e partiamo da qui: gli scienziati che sostengono che le temperature stanno aumentando, sono tanti nella comunità scientifica internazionale. Non me ne vogliano gli esclusi, ma tra di loro ci sono voci altrettanto prestigiose. 

Citiamo tra tutte, la voce di Guido Visconti, fisico, coetaneo di Prodi che come lui ha studiato nel centro meteorologico di Boulder in Colorado. Visconti è anche un accedemico dei Lincei e afferma che “le prove sono schiaccianti: non ci sono dubbi che è in corso un riscaldamento senza precedenti per velocità, e che è responsabilità dell'uomo”. ("Clima estremo: un'introduzione al tempo che ci spetta" di Guido Visconti). 

Coloro che sostengono le tesi della crisi climatica, sostengono le politiche della decarbonizzazione prima di tutto. La questione dei combustibili fossili e delle emissioni non può essere ignorata, insomma. Dobbiamo limitare il livello totale delle emissioni di anidride carbonica, anche con una carbon tax che impone un prezzo alto alle tonnellate di carbonio, seguendo ad esempio il prezzo della Svezia che è quello di 100 dollari a tonnellata. 

E investire ed acquistare fonti rinnovabili elettriche, termiche, solari ed eoliche, cioè tutte energie pulite affinché queste energie possano sostituire le altre. 

Decarbonizzare significa eliminazione dei combustibili fossili da tutti gli usi industriali e sociali, con la sostituzione di bio-metano, di idrogeno verde e il resto sarà tutto prodotto con l'energia elettrica. 

Significa anche rendere i prezzi delle energie rinnovabili, competitivi, alla portata di tutti, soprattutto il fotovoltaico. Ma non solo.

Nell'edilizia, ad esempio, il futuro delle nostre abitazioni saranno gli edifici NZEB, edifici a consumo di energia quasi a 0. Case più isolate, finestre efficienti, ricambi d'aria, cercando di recuperare l'aria dall'interno verso l' esterno. La tecnologia interna per riscaldarci nel futuro delle nostre case sarà la pompa di calore, probabilmente.

E poi, esempi virtuosi, per superare la crisi idriche, per fare un esempio, vediamo il caso emblematico di Barcellona, ​​con la creazione di pozze d'acqua, di veri parcheggi di serbatoio idrico.

 Nella comunità scientifica non tutti sono assertori della decarbonizzazione a ogni costo. Il professore Franco Prodi è invece di parere diverso. Più volte nelle sue interviste ai media, afferma che il “cambiamento climatico richiede adattamento e non panico”. Rifiuta l'approccio catastrofista, il pensiero unico delle Nazioni Unite. “L'aumento delle temperature non è in discussione. Ma prima di tutto bisogna pensare che il cambiamento è connaturato al clima. Ci sono ragioni astrofisiche e astronomiche, oltre a quelle atmosferiche…” (IL FOGLIO, intervista del 1 novembre 2021). 

Il professore cita un esempio. Se lei pensa che le alluvioni, gli eventi estremi, siano in aumento e per questa ragione decidono di alzare il livello degli argini dei fiumi, fa un intervento che comporta certi costi. Se invece decidi di investire sulla salvaguardia dell'ambiente intero fa altri interventi”. Il professore insomma non accetta una visione troppo appiattita sulla Co2 e avanza il sospetto che le transizioni troppo rapide possano provocare scossoni al sistema economico, con effetti drammatici a livello sociale. Ci sono delle strade che possono essere percorse, anche quelle delle energie rinnovabili (che pure hanno dei costi e dei limiti) ma tenendo sempre conto delle conseguenze di ogni decisione. 

Sul clima, insomma la prospettiva è complessa ma va aggiornata. Le posizioni possono essere diverse, si può essere più o meno d'accordo o rinnegare il tutto, ma il tema “ cambiamento climatico”, la discussione sulle soluzioni, la transizione ecologica verso le energie alternative, o meno, sono tutte domande che non possono finire in secondo piano perché presuppongono ingenti costi economici e sociali da cui non si scappa.

Perché se il clima planetario è in evoluzione è pur vero che l'uomo moderno e contemporaneo “può fare bene per il suo bene”.

 

 

L'Italia vuole importare più gas dai Paesi del Mediterraneo e un nuovo gasdotto dovrebbe collegare la Sardegna alla rete esistente. Miglia di chilometri di tubazioni destinate a crescere se i progetti andranno avanti. Ma i gasdotti in attività sono tutti in buono stato o hanno bisogno di manutenzioni ed interventi di riparazione? Secondo Legambiente no, perdono gas che va in atmosfera e non fa bene all'ambiente. Di più, il governo è sollecitato ad intervenire per mettere a posto. Un bel guaio per chi vuole costruire nuove infrastrutture di trasporto di fonti fossili, mentre siamo tutti impegnati nella transizione energetica.

 

 Le preoccupazioni sui gasdotto vengono fuori dalla campagna “C'è Puzza di Gas” che dal 2022 ha toccato Sardegna, Sicilia, Basilicata, Campania, Toscana, Emilia-Romagna, Abruzzo con flash mob, conferenze stampa e dibattiti. Realizzata da Legambiente insieme a Clean Air Task Force la campagna sul territorio ha scoperto 150 punti di dispersione. Esce gas dal gasdotto Greenstream che collega Libia e Italia, dalla centrale di pompaggio di Melizzano in Campania, dall'impianto di Moliterno in Basilicata e in tanti altri posti. Il futuro sviluppo dell'energia non puo' trascurare situazioni di questo genere che hanno a che fare con la sicurezza dei cittadini.Dai dati raccolti all'appello diretto a Giorgia Meloni il passo di Legambiente è stato rapido. In una nota si dice che “per contrastare la lotta alla crisi climatica e centrare gli obiettivi luminosi, si acceleri il passo per ridurre le emissioni di metano e dotare l'Italia di norme stringenti che impongano attività di monitoraggio, rilevamento e riparazione delle perdite negli impianti. Oltre, chiaramente, ad un cambio di rotta delle politiche energetiche.

 

Il governo dovrebbe intervenire sulle società che gestiscono i metanodotti che sono le stesse che gestiranno il futuro hub del gas, se e quando si farà. Le rilevazioni sulle perdite non possono essere rimesse in un cassetto e richiedono interventi urgenti. E' auspicabile anche che ci sia un rapido confronto con le società ei manager che gestiscono le reti di trasporto del gas, Snam Rete gas in particolare che ne ha oltre il 90%. Legambiente denuncia anche casi in cui il gas viene rilasciato volontariamente in atmosfera, il cosiddetto venting che si sparge nell'aria. “La guerra in Ucraina ha mostrato in maniera chiara a imprese, cittadini e amministrazioni pubbliche tutti i limiti della dipendenza italiana ed europea dalle fonti fossili” ha detto Stefano Ciafani, Presidente di Legambiente. “Una situazione che in Italia rischia di peggiorare alla luce non solo delle sostanziose politiche di diversificazione degli approvvigionamenti di gas fossile, ma anche a causa dello sviluppo delle nuove infrastrutture fossili”. Trasformare l'Italia in un hub del gas è “una scelta totalmente sbagliata, perché il nostro Paese deve diventare l'hub delle rinnovabili”. Nel lungo periodo sarà così, ma intanto per alcuni anni di gas ce ne vuole ancora, almeno finché tutte le rinnovabili non saranno convenienti. Ci tocca un periodo di passaggio. Per le importazioni di idrocarburi la Commissione europea vuole rivedere le regole e l'Italia non deve restare alla finestra. Tuttavia, controllare le tubazioni e riparare le perdite è una necessità che non puo' aspettare i tempi della politica.    

 

  

La decisione del governo di intervenire sui bonus energetici è il tema di cui si discute in Italia più dell’angosciante guerra in Ucraina. Un tema intrecciato sia con le questioni fiscali che con la transizione energetica. I bonus costano troppo? Allora è il caso di rivedere il sistema per procedere comunque lungo la strada della riconversione verde. Poi non si capisce perché le imprese europee per trasformare le produzioni debbano essere aiutate dall’Europa con una modifica agli aiuti di Stato e le famiglie italiane no. A Giorgia Meloni è arrivato un altolà da Forza Italia che fa pensare a modifiche in fase di conversione del decreto.

 

Di fatto il provvedimento ha bloccato i bonus fiscali e principalmente quelli per il credito d’imposta per il Superbonus 110%. I sindacati hanno annunciato lo sciopero generale perché temono licenziamenti a raffica. Il Governo ha lanciato un segnale alle banche affinché riprendano ad acquistare i crediti fiscali da chi ha usufruito delle agevolazioni. Dal 17 febbraio 2023 non è più permesso scegliere tra cessione del credito/sconto in fattura se non a certe condizioni. La data che segna la svolta è il 16 febbraio 2023. A quella data bisogna essere in possesso della Cilas per l’avvio dei lavori o quanto meno aver effettivamente aperto il cantiere, sia che si tratti di abitazione unifamiliare che di condominio. Per chi acquista i crediti è necessaria la documentazione per l’avvio dei lavori- titolo edilizio abilitativo- una notifica preliminare dell’avvio dei lavori, le fatture che documentano il reale pagamento delle spese, i visti di conformità ed altra documentazione richiamata nel decreto. Insomma, sono stati messi dei paletti fermi sulla documentazione per riprendere il sistema della cessione dei crediti. 15 miliardi di euro, però, sono i crediti che le imprese di costruzioni non hanno potuto dare alla banche perché si rifiutano di accettarli. La documentazione da questo mese di febbraio deve essere a prova di truffa. Ma se è incompleta « non costituisce causa di responsabilità solidale per dolo o colpa grave in quanto il cessionario del credito può fornire, con ogni mezzo, prova della propria diligenza o non gravità della negligenza », precisa l’Associazione Italia Solare. Sarà in ogni caso l’Agenzia delle Entrate a provare eventuali frodi o violazioni delle norme. 

 

Quanto è costato il Superbonus 110% allo Stato? Le cifre circolate in questi giorni non sono definitive e le contestazioni al decreto partono proprio da qui. Si dice 110-130 miliardi, ma sarebbe la spesa per le agevolazioni dirette senza tenere conto del maggior gettito fiscale arrivato allo Stato dal settore edilizio, dalle migliaia di assunzioni, dalla vendita di materiali ed apparecchiature. Se si calcola anche questo, si deduce chela spesa è stata più contenuta. Tutti i bonus sono stati troppo generosi, si è anche detto, laddove si sono contati 7 miliardi di truffe. A questo punto  il governo se non vuole dare spazio a nuove ondate populiste o demagogiche sulla transizione verde crei subito un tavolo rappresentativo di tutte le componenti sociali ed economiche. Per restare dentro quel processo di innovazione energetica ed ambientale a sostegno del quale erano stati concepiti bonus e Superbonus. È inutile e fuorviante addossare responsabilità a chi è legato a quella misura nel.a sua formula originaria e che non conteneva alcuna distinzione di città, di reddito del beneficiario, dell’anno di costruzione dell’immobile e così via. Sarebbe anche difficile dissociare chi era a favore dei bonus allora ed oggi li taglia.

La sfida energetica è tutta aperta e mantenere in piedi edifici vecchi ( anche l’Unione europea li  vuole riconvertire) non fa bene agli obiettivi di risparmio al 2030-2050. Se l’Italia ha allungato troppo il passo con agevolazioni onerose per il bilancio dello Stato, si è in tempo per correggere il ritmo, ripensare la strategia. Non certamente per ritirarsi.

Meno olio e pomodori: sono i principali dati negativi dell'agricoltura italiana 2022. L'anno per Coldiretti si chiude malamente a causa dei cambiamenti climatici. Non poteva andare peggio e cosi' il Presidente dell'organizzazione agricola Ettore Prandini dice che “i cambiamenti climatici vanno affrontati con interventi strutturali poiché l'Italia ha bisogno di nuovi invasi per raccogliere l'acqua a servizio dei cittadini e delle attività economiche”. L'anno che se ne va, è stato il più caldo di sempre e il surriscaldamento ha fatto danni ovunque. I danni dovuti a siccità e maltempo superano i 6 miliardi di euro.

 

Coldiretti ha fatto il bilancio degli ultimi 12 mesi durante i quali è stata registrata una temperatura media superiore di 1,06 gradi. Con il surriscaldamento ci sono stati anche eventi estremi cui lo Stato non riesce ancora a fare fronte. I coltivatori sostengono che senza misure adeguate (soprattutto le politiche) è a rischio anche la dieta mediterranea con tutta la filiera. Proprio quando questa tipicità del made in Italy si sta affermando in tutto il mondo. L'anno si chiude con un 30% in meno di olio extravergine di oliva; 10% per passate, polpe e salse di pomodoro; 5% per il grano duro usato per la pasta. Il clima pazzo ha mandato giù i successi del pomodoro doc esportato in tutto il mondo. In ginocchio anche le risaie ei vitigni, altre eccellenze dello “stivale”.

 

 La situazione rischia di diventare strutturale in mancanza di interventi ben congegnati e alla vigilia della Politica Agricola europea. Il Ministro dell'Agricoltura Lollobrigida si dice impegnato a sostenere la sovranità alimentare italiana. Ma qui siamo davanti ad una classifica impietosa: quella degli anni più roventi. Oltre al 2022 ci sono il 2018, il 2015, il 2014, il 2019 e il 2020. Cambiamenti climatici che colpiscono il comparto economico primario accompagnati da tropicalizzazione eventi violenti, sfasamenti stagionali, precipitazioni brevi ed intense. Emerge la necessità di avere più acqua nella campagne. L'agricoltura italiana - aggiunge Prandini - “in presenza di acqua, potrebbe moltiplicare la capacità produttiva in un momento in cui a causa degli effetti della guerra in Ucraina abbiamo bisogno di tutto il nostro potenziale per garantire cibo ai cittadini e ridurre la dipendenza dall'estero”. Il governo dovrebbe mettere intorno ad un tavolo i Ministri dell'Agricoltura e delle Infrastrutture (almeno) per tracciare un piano che vada alla radice del problema della disponibilità di acqua preventiva. L'Associazione nazionale delle bonifiche si sta muovendo proprio in questa direzione. Vuole creare una rete di bacini di accumulo (veri e propri laghetti) per raccogliere il 50% dell'acqua dalla pioggia. I laghetti sarebbero realizzati senza cemento, senza impatti ambientali, con pietra locale e con le stesse terre di scavo con cui sono stati preparati, per raccogliere l'acqua piovana e utilizzarla in caso di necessità.

 L’Italia ha un paesaggio che le consente ancora di eccellere su altri Paesi? Il Premio biennale del Paesaggio del Consiglio d’Europa è un’occasione d’oro per dimostrare che nello stivale ci sono zone sostenibili, dove la qualità della vita è accettabile e le persone partecipano a tenere alta la vivibilità. Il Premio europeo, molto ambito, è già stato assegnato all’Italia in due occasioni. La prima, nell’edizione 2010-2011 al progetto della Sardegna “Carbonia Landscape Machine”. Un Piano che ha portato al recupero con restauro ed azioni di tutela architettonico la Città del Novecento. Nell’edizione 2020-2021, invece, il progetto “La biodiversità dentro la città: la Val d’Astino di Bergamo” è stata premiato a livello nazionale e selezionato a rappresentare in Europa la candidatura italiana. A novembre ha vinto la VII edizione del Premio istituito dal Consiglio d’Europa.

Siamo arrivati così’ alla vigilia dell’VIII Edizione con le candidature aperte fino al 15 dicembre di quest’anno. Siamo pronti? Il Ministero della Cultura, come in occasione delle precedenti edizioni, ha avviato una ricognizione delle azioni più rappresentative di tutela del paesaggio per  proporre  la candidatura italiana al Premio. Il Ministro Dario Franceschini ha chiesto a Regioni, Comuni e altri soggetti pubblici, anche in forma aggregata, di fare proposte. A loro disposizione - ma anche di soggetti del terzo settore,singolarmente o in partenariato-  c’è un formulario a cui si accede dal  sito www.premiopaesaggio.beniculturali.it . Il Paese vive una condizione particolarmente complicata sotto l’aspetto ambientale e della tutela del patrimonio artistico-culturale. Gli eventi climatici estremi degli ultimi due anni e la scarsità di fondi ( in attesa di quelli del PNRR)  hanno condizionato la realizzazione  di molti progetti concepiti a livello locale. In ogni caso per confrontarsi con l’Europa le proposte di candidatura dovranno riguardare un progetto, un programma o una politica per la valorizzazione del paesaggio. Vanno documentate “operazioni di salvaguardia, gestione e/o pianificazione sostenibile rispondenti ai criteri indicati nel Regolamento del Premio consultabile sul sito” spiega una nota del MIC. Più nello specifico c’è da mettere in evidenza esemplarità, sviluppo territoriale sostenibile, partecipazione, sensibilizzazione. Cose che gli italiani apprezzano ma che scontano mille ostacoli se non addirittura   boicottaggi.

 Tra le proposte che arriveranno una Commissione sceglierà la Candidatura Italiana al Premio del Consiglio d’Europa. Il 14 marzo 2023, in occasione della Giornata Nazionale del Paesaggio, il progetto italiano candidato a quello europeo, riceverà il Premio Nazionale istituito nel 2016 dallo stesso Ministero della Cultura. Sarà premiato il migliore, ma sono previsti riconoscimenti anche ad altre  proposte ritenute particolarmente interessanti. Tutto,i nsomma, riguarda una visione generale della tutela dei luoghi in cui viviamo. Ma non sempre la cosiddetta Bella Italia si distingue per la conservazione o lo sviluppo di montagne, fiume, laghi, colline, parchi.  Le minacce e la distruzione per mano dell’uomo di luoghi incantevoli che andrebbero preservati meglio  sono il sale di decine di iniziative e di denunce. Il valore che ci sentiamo di attribuire a questi Premi nazionali o europei è quello che Benedetto Croce chiamava il valore “qualitativo nel godimento di un paesaggio”. Lui nel 1920 scrisse la prima legge    sulla “Tutela delle bellezze naturali”. Più modestamente vogliamo augurarci che le proposte che arriveranno a al Ministero della Cultura entro il 15 dicembre ci diranno  se siamo ancora in grado di competere - e magari vincere- con gli altri Paesi dell’Europa.

 

 Gli italiani non si fidano più delle auto elettriche. E’ davvero così’, quando i prezzi dei carburanti sono alle stelle e il governo ci sta chiedendo di non strafare nei prossimi mesi ? Le auto ad energia elettrica  sono una risposta  alla mobilità nel suo insieme. Ma se ad agosto 2021 ne erano state vendute 6.476,  ad agosto  di quest’anno ne sono state vendute 4.961.  Intendiamoci, sono dati di piena estate, ma il calo di mercato  è stato del  23,39%. L’Associazione che riunisce questo mondo green- Motus-E- è preoccupata per la flessione di mercato. Lo siamo un po’ tutti, in verità, perché le speranze di vedere decrescere i gas di scarico si oscurano.  In breve  il’Italia va in controtendenza rispetto al resto d’Europa. Anzi , le auto elettriche pure a fronte di quelle ibride plug-in  calano di circa il 30%. Cosa sta succedendo ?  Che ”L’Italia continua a fare peggio del resto d'Europa - dicono all’Ansa i responsabili di Motus-E- A luglio  per esempio, la Germania ha immatricolato 28.868 veicoli BEV ( veicoli elettrici a batteria) con un  +13,16% in confronto  allo stesso mese dello scorso anno. Anche Francia e Olanda non hanno avuto crolli:  tutt’altro.

In Italia è solo un problema di infrastrutture di ricarica, costi delle vetture e incentivi a cambiare la vecchia ? Ricordo che gli incentivi sono ripartiti a metà maggio, nonostante le impennate dei prezzi dei carburanti e la crisi  degli approvvigionamenti.  Negli altri Paesi  si sta  procedendo con  una mobilità meno inquinante. in tutti i settori.  Gli esperti hanno valutato anche che la  programmazione complessiva  del mercato dell’auto all’estero sostiene il mercato delle elettriche, “nonostante le contingenze geopolitiche comuni a tutti gli Stati europei". Diciamo che il Bel Paese , come per altri settori, anche qui sconta il ritardo delle infrastrutture di “accoglienza” delle vetture elettriche. Abbiamo una sorta di programmazione monca. I punti di ricarica sono pochi; c’è una differenza numerica abissale tra Nord e Sud. Emilia Romagna, Lombardia, Valle d’Aosta e Umbria sono le uniche Regioni che hanno impianti ad hoc. Il Sud  ne è quasi completamente sprovvisto. Aggiungo che gli investimenti delle società elettriche vanno a rilento,  per cui chi intende acquistare un’auto non inquinante ci pensa ben bene.  Se entro il 2035- come dice l’Europa- non dovranno più circolare auto con motore termico, il dato italiano di agosto 2022 sulle auto elettriche è certamente un segnale pessimo.

Di buone intenzioni è lastricata la via dell’inferno, dice il proverbio. Qualche volta è proprio cosi’. La polemica sugli investimenti per la mobilità sostenibile del governo Draghi sta mettendo i Verdi italiani in una posizione scomoda. 16 miliardi di euro per bus non inquinanti, metropolitane, treni a idrogeno e ciclovie non sarebbero sufficienti a riorganizzare i futuri spostamenti degli italiani. Secondo il portavoce di Europa Verde Angelo Bonelli quelle del Ministero retto da Enrico Giovannini sarebbero, per l’appunto, più o meno, solo buone intenzioni. E i soldi a disposizione addirittura irrisori. La polemica - che per ora non ha toccato altri partiti della maggioranza di governo- si svolge sul quotidiano La Stampa. Sul giornale torinese, Bonelli ha attaccato le scelte del governo e di Giovannini in particolare. L’esponente dei Verdi ha parlato anche di acqua e delle falle nella rete idrica italiana, da sistemare. Interventi non soddisfacenti che vanno ad incidere su temi critici da anni. Giovannini non è rimasto in silenzio ed ha risposto nel dettaglio alle osservazioni del leader Verde. Una lista di cose da fare, utile per capire in che direzione si sta muovendo il governo contro il “benaltrismo tipico della dialettica politica del nostro Paese” scrive il Ministro. 16 miliardi di euro è la cifra che Giovannini espone nella sua replica e che interessa tutto il sistema della mobilità. Cifra che sale a 19 miliardi - da spendere nei prossimi cinque anni- se si mettono insieme Pnrr, Fondo complementare e Legge di Bilancio. Possibile che Bonelli, politico stimato ed esperto, non lo sappia? E’ solo vis polemica in un momento cosiì delicato? Agli stanziamenti di cui sopra vanno aggiunte anche altre risorse ordinarie e gli investimenti dei privati. Qualcuno ha fatto meglio in passato? Per la prima volta - spiega Giovannini- siamo davanti ad “un investimento mai compiuto dal nostro Paese, con una quota molto elevata destinata al Sud”. A questo punto vengono fuori le cifre.

 

Il Pnrr e il Fondo complementare destinano quasi 9 miliardi per autobus green, ciclovie urbane e turistiche, metropolitane, tramvie, rinnovo treni regionali e intercity, sperimentazione di treni a idrogeno. A questi soldi si sommano 3,7 per le metropolitane nei grandi centri urbani, 1 miliardo per il trasporto rapido di massa, 2 miliardi per la mobilità inseriti nella Legge di Bilancio. “Inoltre-aggiunge il Ministro- per la prima volta da dieci anni a questa parte viene aumentato il fondo per il trasporto pubblico locale”. La futura mobilità connoterà il modo di vivere e spostarsi degli italiani verso gli standard sostenibili delle maggiori città europee. Ma l’Italia deve pensare anche al Sud dove il gap tecnologico ed infrastrutturale (già no green) è alto. Le ferrovie, altro esempio del Ministro, assorbiranno   risorse per alcune decine di miliardi fino al 2030, anno cardine per la decarbonizzazione e l’abbattimento della CO2. A fare da scudo c’è anche il "Documento strategico sulla mobilità ferroviaria" con altri 5,5 miliardi per l'elettrificazione di linee regionali e il miglioramento delle stazioni. Non va trascurato, infine, nemmeno l’abbandono entro il 2023 di tutti gli autobus euro 1-2-3. e che lo Stato non finanzierà più l'acquisto di mezzi diesel. I Verdi vorrebbero più investimenti e gli va dato atto di sensibilità e visione ambientali lungimiranti. Ma con il governo Draghi ci siamo trovati tutti solo un poco più avanti dei nastri di partenza. Gli interventi di cui il Paese ha bisogno andavano fatti molti anni fa. Recriminare non serve, anche perché i piani di oggi (sempre migliorabili, ovvio) e che l’Ue ha approvato rispettano le più recenti indicazioni dell’Ue stessa. Entro il 2040 bisognerà costruire 9 grandi corridoi europei di trasporto sostenibile ed entro il 2025 le reti Ten-T (Trans-European Transport Network) dovranno adottare piani per la mobilità a zero emissioni, trasporto pubblico, ciclovie e itinerari pedonali. L’Italia non puo’ restare fuori da queste scelte se non per una malaugurata visione di corto respiro. Avere 16/19 miliardi da spendere nei prossimi cinque anni è l’esame più difficile da superare. Per il governo, ma anche per chi dimostra di non essere contro, a prescindere.

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