L'informazione non è un optional, ma è una delle condizioni essenziali dell'esistenza dell'umanità. La lotta per la sopravvivenza, biologica e sociale, è una lotta per ottenere informazioni.

Environment (76)

Nunzio Ingiusto

                                                                                                                                                                         contatto

 

A Glasgow si discute di clima, inquinamento, CO2 e non è chiaro dove si andrà a parare alla fine del summit, tra dieci giorni. Le assenze dei leader delle potenze che inquinano di più si fanno sentire. L'Europa - nonostante le sue contraddizioni interne- intanto cerca di andare avanti con certificazioni ecologiche sui prodotti industriali. L'ultima decisione della Commissione riguarda nuovi criteri del marchio di qualità Ecolabel. E' stato esteso, infatti, ai prodotti e cosmetici per la cura degli animali, nell'ottica della transizione green. Diciamo che si tratta di due settori di grande mercato che non conosce crisi. Ecolabel è un pezzo non piccolo della transizione verde europea e la sua applicazione non è cogente.I commissari dovrebbero, viceversa, imprimere un'accelerazione per strutturare il marchio su una gamma più ampia, obbligatoria. Oggi le aziende usano l'etichettatura per concorrere sul mercato europeo in maniera sostenibile rispetto a chi non fa questa scelta.

Inquinamento zero spesso diventa una parola vuota. In particolare quando l'industria per interesse e bassi investimenti non se ne fa carico. Le imprese, dunque, stimolano a marchiare i loro prodotti con standard sostenibili, vanno. “Esorto le imprese a richiedere il marchio di qualità ecologica dell'UE ea beneficiare della sua reputazione. L'Ecolabel UE permette di indirizzare i consumatori verso verso affidabili e certificati, e prodotti certificati la transizione ecologici a un'economia pulita e circolare”. Con questo appello di Virginijus Sinkevicius, Commissario per l'Ambiente, gli oceani e la pesca parte, dunque, una nuova sfida green, limitata, tra i 27.


Il passo avanti ha comunque il suo valore commerciale, dato che il marchio prima d'ora veniva applicato ad una gamma limitata di prodotti: gel doccia, shampoo o balsami. L'allargamento interessa una lunga lista di confezioni per la pelle, i cosiddetti “da non sciacquare” riporta l'Agenzia Aise . Per quelli per curaro gli animali domestici il marchio viene rilasciato a trattamenti che fanno uso di acqua corrente. Ecolabel è stato creato nel 1992 e la sua estensione progressiva ha coinvolto migliaia di aziende.La richiesta è libera, come si diceva, ma ricorda l'Ispra italiano “ è un'etichetta ecologica volontaria basata su un sistema di criteri selettivi, definito su base scientifica, che tiene conto degli impatti ambientali dei prodotti o servizi lungo l'intero ciclo di vita ed è sottoposta a certificazione da parte di un ente indipendente”.

“È vero, lo ha detto la Tv”. Il vecchio adagio da tempo non è più di moda. L’informazione televisiva è cambiata. In peggio si dice , quasi sempre. Senza comprendere, però,   le ragioni che hanno prodotto un sistema informativo fatto di parole ed immagini spesso poco credibili. Con le seconde speculari alle prime per diffondere contenuti poco obiettivi. È lontano il tempo in cui gli italiani guardavano solo la Rai.

“È vero, lo ha detto la Tv” è franato sotto i colpi di eventi epocali. Fatti dove la realtà e lo sviluppo di quegli accadimenti contraddicevano la narrazione di reporter e commentatori. Anche famosi, ma alla distanza poco scrupolosi. All’informazione scritta e on line è andata anche peggio. Un esempio ? L’informazione ambientale. Un settore non più per pochi eletti , diventato globale e di grande attenzione. Si ha gioco facile a raccontare fenomeni come lo scioglimento dei ghiacciai, alluvioni, tornado, manifestazioni per il clima, proposte politiche. Sono lì davanti e parlano da soli. Ma perché accadono ? Da cosa derivano? Chi ha studiato cosa? Le cause, le premesse scientifiche da cui scaturiscono quegli eventi non vengono mai indagati a fondo. Di giornalisti bravi ce ne sono, eccome. Ma l’approfondimento correlato al racconto è raro. Costa tempo e sacrificio per cui si è più tranquilli se si “sta sulla notizia” senza troppe analisi. E poi in redazione il servizio è di tizio o caio che differenza fa ? La professionalità confinata in soffitte a doppia mandata. Tanto se abbiamo voglia ci rivolgiamo allo scienziato esperto a cui rivolgeremo domande che avremmo dovuto farcele noi prima. La Co2 nell’ambiente, la faglia terrestre, le polveri sottili, la fissione nucleare e via consultando.

Il retaggio di un vecchio modo di informare, in questo caso ha fatto posto alla ripetizione di un pianeta che va alla rovina solo per mano dell’uomo. Inesorabile colpa di generazioni che credevano di progredire mentre, invece, distruggevano le strade su cui camminavano. È davvero così ? Vedere, ascoltare o leggere per capire è una necessità universale. Ma in una narrazione conformista (si può dire?) il cittadino diventa vittima e carnefice del disfacimento planetario. Che informazione è ? Un giornalista che tratta simili temi ha il dovere della ricerca, degli studi, della verifica su più livelli delle notizie. Deve saper distinguere cause ed effetti, successi e sconfitte, buoni e cattivi esempi, fonti autorevoli e patacche. Si è cronisti sempre, ci insegnavano nelle vecchie redazioni. Intendevano dirci, i buoni maestri, che il “prodotto” da offrire deve essere completo e senza partigianerie. Il resto lo fa l’audience o l’edicola.

L’informazione ambientale è un settore fondamentale della nostra vita. Tocca ogni aspetto della quotidianità: dal traffico, allo smog, al caldo, alle bollette, alla salute. Comprendere per chi scrive e spiegare a chi vede o legge le cause di simili situazioni, in fondo é la ragione per la quale si sta dentro il mondo della comunicazione. Bisogna saperci stare e non dipende dagli editori o dai direttori. Ognuno di noi dovrebbe ricordarselo. Armeggiamo strumenti potentissimi che possono provocare danni immateriali. Se li mettiamo con quelli climatici, poi…..

Per gentile concessione della testata “Tutti Europa Venti Trenta”

 

Traduzione dell'articolo:

https://www.theepochtimes.com/mkt_morningbrief/statistical-method-used-to-link-climate-change-to-greenhouse-gases-challenged_3983949.html

 

Un nuovo studio su "Climate Dynamics" ha criticato una metodologia chiave che il Gruppo intergovernativo di esperti scientifici sui cambiamenti climatici
(IPCC) utilizza per attribuire il cambiamento climatico ai gas serra, sollevando interrogativi sulla validità della ricerca che si è basata su di essa e sollecitando una risposta da uno degli scienziati che hanno sviluppato la tecnica.

L'autore del nuovo studio, l'economista Ross McKitrick, ha dichiarato a The Epoch Times in un'intervista esclusiva che pensa che i suoi risultati hanno indebolito la tesi dell'IPCC secondo cui i gas serra causano il cambiamento climatico.

La metodologia, nota come "impronta digitale ottimale", è stata utilizzata per collegare i gas serra a qualsiasi cosa, dalla temperatura agli incendi boschivi, dalle precipitazioni, al manto nevoso.

McKitrick ha confrontato la tecnica delle impronte digitali ottimali, con il modo con cui le forze dell'ordine utilizzano le impronte digitali per identificare i criminali.

"[Loro] prendono questo pacchetto di dati e dicono: “Si, qui ci sono le impronte digitali dei gas serra'", ha affermato.

McKitrick ha detto poi che la ricerca sulle impronte digitali ottimale, da lui criticata, il saggio del 1999 del Climate Dynamics "Checking for model consistency in optimal fingerprinting", è una pietra angolare nel campo di attribuzione - il ramo della scienza del clima focalizzato sulla identificazione delle cause del cambiamento climatico.

Ma secondo McKitrick, gli autori di quel documento, Myles Allen e Simon Tett, hanno commesso degli errori nei passaggi necessari per convalidare la loro strategia.

"Quando si esegue un'analisi statistica, non è sufficiente sgranocchiare certi numeri, pubblicare il risultato e dire: “Questo è ciò che i dati ci dicono.” Devi poi applicare alcuni test alla tua tecnica di modellazione, per vedere se è valida per il tipo di dati che stai usando”.

“Essi avrebbero rivendicato il fatto che il loro modello supererebbe tutti i test pertinenti, ma ci sono un paio di problemi con quella affermazione. Il primo è che hanno stabilito delle condizioni errate - hanno omesso di inserire nei test la maggior parte delle condizioni rilevanti che dovresti testare - e poi hanno propinato una metodologia per il test che è completamente disinformativa. In realtà non è di fatto connesso a nessun metodo standard di testing."

La loro struttura teorica, ha detto McKitrick, ha nei presupposti il fatto che una parte importante del cambiamento climatico debba essere attribuibile ai gas serra, quindi usare tale presupposto per dimostrare che i gas serra portano al cambiamento climatico è semplicemente assurdo.

"Se dipendi dai dati del modello climatico per costruire il test, e il modello climatico incorpora già le ipotesi sul ruolo dei gas serra”, prosegue McKitrick, nel suo ragionamento "non puoi rilasciare questa supposizione." (non puoi determinare questa inferenza nel discorso: è assurdo)

McKitrick, che ha spiegato i suoi risultati in modo più dettagliato sul sito JudithCurry.com, ha affermato che l'attribuzione del clima da parte dell'IPCC ai gas serra, si basa in gran parte sul documento su riportato del 1999 o su ricerche ad esso strettamente correlate.

Myles Allen, coautore dell'articolo del 1999 McKitrick contestato, ha risposto all'articolo di McKitrick in una e-mail a The Epoch Times.

"Affrontare completamente le questioni sollevate da questo documento potrebbe aver fatto qualche differenza nelle conclusioni riguardanti l'influenza umana sul clima, quando il segnale era ancora piuttosto debole 20 anni fa", ha detto Allen.

Ha detto che il segnale ora è molto più forte, sia che si usi la sua tecnica del 1999 o il metodo più semplice impiegato su GlobalWarmingIndex.org. Ha anche affermato che i metodi più recenti, incluso uno nel suo documento del 2003, hanno sostituito il metodo dal 1999.

Andarci un po' più a cuor leggero (in questa situazione), fa sentire un pò come se qualcuno ti suggerisse di smettere di guidare perché è stato sollevato un nuovo problema identificato sulla Ford modello T", ha detto Allen.

McKitrick ha risposto all'argomentazione di Allen in una e-mail: “Anche se fosse vero che [il metodo di Allen] non è più utilizzato e le persone sono passati ad altri metodi, [data] la sua importanza storica, sarebbe ancora necessaria come questione scientifica per Simon
e Myles, sia nell'ammettere che il loro articolo contiene errori che per confutare le critiche specifiche.

“E la realtà è che la “professione del clima” non è andata più avanti. L'IPCC discute ancora il metodo delle Impronte Ottimali nel AR6 (il 6° Rapporto sul Clima) e si basa su molti studi che lo utilizzano.”

Mentre Allen sosteneva che il suo articolo successivo del 2003 aveva sostituito il suo articolo del 1999, McKitrick rispondeva che l'articolo del 2003, insieme con altri metodi più recenti che Allen ha identificato, "ha tutti gli stessi identici problemi".

McKitrick ha anche sostenuto che il metodo indicato su GlobalWarmingIndex.org potrebbe avere gli stessi problemi del documento di Allen del 1999, in gran parte perché entrambi gli studi citano uno studio del 1997 di Klaus Hasselmann, che, ha detto McKitrick, propone lo stesso metodo!

"Così, per gli stessi esempi proposti da Myles, AT99 è ancora centrale nella letteratura sull'attribuzione", ha detto McKitrick.

Allen ha sostenuto che le critiche di McKitrick al suo uso di un modello climatico sono fuorvianti, poiché il suo metodo del 1999 potrebbe effettivamente essere "eccessivamente
conservatore” nell'attribuire il cambiamento climatico all'influenza umana.

Secondo Allen, i modelli climatici standard possono produrre risultati in cui la quantità di "rumore" statistico, e quindi l'incertezza, è esagerato.

Questa confutazione, ha detto McKitrick, "non affronta il problema centrale che ho sottolineato", che ha a che fare con la verifica degli errori nei loro test sulle impronte digitali.

Allen e McKitrick si sono anche confrontati su uno specifico test statistico nel documento del 1999, con Allen che ha affermato che McKitrick aveva molto sopravvalutato la sua importanza e McKitrick ha ribattuto che è l'unico test di questo tipo che i ricercatori hanno utilizzato in questo contesto.

Il ricercatore Aurélien Ribes, i cui articoli erano tra quelli che secondo Allen avevano sostituito la ricerca del 1999, ha rifiutato di commentare dettagliatamente il giornale in un'e-mail a The Epoch Times, anche se ha detto di aver guardato un precedenteversione di esso.
"Non mi aspetto un impatto molto grande in termini di risultati di attribuzione", ha affermato Ribes, ricercatore sul cambiamento climatico presso la Francia
Centro nazionale per le ricerche meteorologiche.
Ha detto che alcune delle sue ricerche non dipendevano dalle impronte digitali. Ha anche detto che alcuni risultati di attribuzione, come quello sulla temperatura media globale, sono "molto robusti".

Ma un altro esperto, Richard Tol, crede che molte delle critiche di McKitrick centrino il bersaglio.
"McKitrick ha ragione", ha detto Tol, professore di economia all'Università del Sussex e professore di economia del clima alla Vrije Universiteit Amsterdam, in un'e-mail a The Epoch Times.

Tol ha affermato che il tentativo di Allen e Tett di affrontare un problema statistico diffuso aveva "peggiorato le cose, e non migliorate".

"Per completare il tutto, molte persone da allora hanno utilizzato il metodo proposto da Allen & Tett", ha affermato.

“Le implicazioni non sono chiare. Molti dei documenti che utilizzano il metodo delle impronte digitali, per rilevare l'impatto del cambiamento climatico, sono semplicemente sbagliati.”

“Ciò non significa che il cambiamento climatico non sia reale o che i suoi effetti non possano essere attribuiti alle emissioni di gas serra. Esso significa che molti dei documenti che hanno fatto tali affermazioni dovranno essere rifatti”.

 

Traduzione di Francesco Piro

Molte risposte sono già, tutte, alla luce del sole.
Chi legge non potrà aver colto, ma nella frase di cui sopra, ci sarebbe una sorta di doppio senso: verrà rivelato al buon lettore, se avrà la pazienza di giungere in fondo a questo articolo.
Una risposta alla luce del sole, per esempio, la si trova su http://www.srmgi.org.
E' il sito web del Solar Radiation Management Initiative, una pagina internet di una certa rilevanza, le cui attività vedono la partecipazione, dichiarata (organizzazioni partner), di numerose istituzioni, con cui si vuole diffondere e raccogliere consenso, sul controverso tema dello “schermo solare”.
Domandiamoci ora, cosa sia mai questo “schermo solare”.

L'attività di gestione dello schermo solare - prendo ora le parole dal sito - è “un approccio teorico alla riduzione di alcuni impatti dei cambiamenti climatici, riflettendo una piccola quantità di luce solare in ingresso nello spazio”.
Quindi, lo schermo solare, non è altro che QUELLO CHE rifletterebbe la piccola quantità di luce solare.
Per finirla con le inferenze, cosa si potrebbe usare mai per riflettere “la piccola quantità di luce”? Pensateci, con calma.
Nel frattempo, aggiungendo un pochino nel sito srmgi.org, scopriamo che le sue attività sono sostenute da una lunga lista di “stakeholders”, cioè portatori di interessi.
L'Italia ne ha ben due: l'InterAcademy Panel e l'ente italiano aderente a The World Academy of Sciences, con peso specifico differente fra i due.
Continua, la spiegazione, ipocrita, del Solar Radiation: “L'SRM ha il potenziale per ridurre alcuni effetti dei cambiamenti climatici ma potrebbe anche essere molto rischioso. Nel complesso, non è chiaro se sarebbe utile o dannoso . Una cosa è chiara: molti paesi in via di sviluppo potrebbero guadagnare o perdere molto se l'SRM fosse mai schierato . Nonostante questo, la maggior parte delle ricerche e discussioni sull'SRM si sono svolte nei paesi sviluppati. "

Perché dico ipocrita?
Punto 1) nel virgolettato di cui sopra viene usato il condizionale, quando oramai sono oltre due decenni che si fanno queste “ricerche”.
Si legga in proposito, a conferma di quanto scrivo, questo articolo
http://www.informarmy.net/2011/04/scie-chimiche-haarp-l-del-dominio/ ed il correlato video dei fratelli Gambino, sugli albori dell 'era del rilascio di particolato in atmosfera. (purtroppo, al momento, il video è stato cancellato dal web.. )
Punto 2) Mentre le ricerche si dovrebbero effettuare in laboratori appositi, ben separati dalla realtà circostante, in ambiente controllato, in realtà, le irrorazioni di materiale igroscopico ed elettro¬ conduttivo, sono state fatte, e presto ad essere eseguito “in esterni”, nel, di proprietà di tutti.
D'altra parte c'è una evidentissima ragione per cui i cieli, di venti o dieci anni fa, erano diversi, ed oggi, quasi sempre sono coperti da una riconoscibile coltre biancastra e lattiginosa, rilasciata dalla scie degli aerei che, dopo alcuni minuti, si trasformano, come detto, in matassa.
Basterebbe osservarle con attenzione, naso rivolto al cielo, per prenderne atto una volta per tutte. Per evitare però che ci si debba limitare a questo, il documentario “What in the World Are They Spraying?” (di cui al link https://www.youtube.com/watch?v=if0khstYDLA), spiega ed evidenzia bene tutto, punto per punto.
Punto 3) Le ricerche e le discussioni sono state fatte in tutto il mondo, e non solo nei paesi sviluppati: ad esempio, le grandi (e ripetute) super-alluvioni delle Filippine parlano da sole, ed è uno dei motivi per cui il signor Duterte ce l'ha a morte con gli americani, i quali si sono permessi, ripetutamente, di schierare (ed usare) dei “riscaldatori ionosferici mobili” a largo di Manila.
E non per caso.

Per completare l'analisi del virgolettato di cui sopra, non ci dobbiamo far mancare di riporre attenzione sul concetto che molti paesi potrebbero guadagnare o perdere molto.
Insomma, qui si sta affermando, apertamente, che i rischi e le variabili sono tali che “o va bene o va male, si fa testa o croce!”
Alla faccia della scienza, insomma!
Tornando a quanto detto in principio, ecco perchè la risposta circa l'esistenza (e l'operatività) dello schermo solare, è già tutta alla luce del sole.
Sole schermato, s'intende..
Tutto chiaro adesso?
Può bastare il fatto che siano proprio le istituzioni mondiali a lanciare il sasso del difficile compito di riallineare la realtà, vera, operante, delle cosiddette scie chimiche e del controllo climatico, con quella narrata dalla “tell-lie-vision”, ogni giorno?
Eppure è quello che sta accadendo e che si può leggere non solo e non più fra le righe, ma proprio sulle righe.
(Naturalmente questo è riservato a chi si prenda la briga di voler capire la verità, facendo lo sforzo di leggere e farsi un'idea di prima mano.)
Il srmgi.org è un modo elegante, diplomatico, istituzionale e defilato, se vogliamo, di dire alla gente: guardate che sono decenni che stiamo modificando il clima alle vostre spalle, ora ve lo vorremmo dire chiaramente, perchè sappiamo che le pressioni di chi vuole la verità in proposito sono sempre più forti e non le possiamo contenere ulteriormente. Potreste gentilmente prenderne atto, senza per questo mettere a ferro e fuoco i nostri laboratori, consci del fatto che il nostro, in fondo, era ed è un intento (e questo è falso) di mera ricerca e di aiuto alle cause dell'umanità?


Per concludere, ho trascritto qui sotto, in italiano, la posizione di Bill Hare, circa le attività poste in essere - ogni giorno - dal Solar Radiation Management, nel video di Youtube comparso il 5 dicembre scorso sull'argomento. https://youtu.be/qCrle7lrsCU
Buona lettura, buon video, e buon approfondimento della vera realtà dei fatti.
Bill Hare è un fisico e scienziato del clima con 30 anni di esperienza in scienze, impatti e risposte politiche ai cambiamenti climatici e alla riduzione dell'ozono stratosferico. È fondatore e CEO di Climate Analytics, che è stato creato per sintetizzare e far progredire le conoscenze scientifiche sui cambiamenti climatici e fornire soluzioni all'avanguardia alle sfide politiche globali e nazionali in materia di cambiamenti climatici http://climateanalytics.org/about-us/team/bill-hare.html
“Io credo che, d'accordo con molti fisici che si sono interessati a questa “Gestione dello schermo solare ”, si tratti di una tecnologia molto dannosa.
In molti modi essa stessa costituisce una pericolosa interferenza con il sistema climatico.
Ritengo che questa sorta di esperimenti, che poi si traducono in politiche vere e proprie, sono profondamente inique e di nessun aiuto.
Credo che c'è una grande incertezza, circa gli effetti delle tecnologie di gestione dello schermo solare.
Non comprendiamo l'impatto che ha su larga scala sui monsoni, sulle precipitazioni, i regimi delle piogge.
Ciò che comprendiamo, al suo proposito, ci dice che dobbiamo essere molto preoccupati che queste tecnologie possano provocare danni ulteriori, in differenti regioni.
Ciò di cui io sono inoltre preoccupato, è il modo in cui questa Gestione della tecnologia dello schermo solare, come branca della geo-ingegneria, sia stata aggressivamente spinta in questi tempi.
E' un vero per me ed una colpa, ed un elemento pesantissimo di discredito, a carico di chi
lo sta compiendo, poiché siamo nel momento esatto in cui stiamo assistendo a cambiamenti fondamentali nel sistema (planetario) dell'energia.
Nei loro pamhlets, brochures, letture e discussioni, sostengono che la mitigazione (d'altro genere proposto) abbia fallito e di conseguenza, bisogna guardare a queste tecnologie molto pericolose con grande circospezione.
Io credo che (esse siano) un grave errore.


Francesco Piro

Tra gli appuntamenti clou confronto internazionale su cambiamenti climatici alimentazione e Paesi in via di sviluppo.

Il clima e va bene. Poi le energie rinnovabili, la crescita, ma anche il cibo. Il G20 di Napoli - 22/23 luglio - si misura anche con l'alimentazione. Con la lunga catena agroalimentare che coinvolge il mondo intero ed è diventata centrale nelle politiche di transizione ecologica . È noto che senza un nuovo equilibrio tra natura,consumi,sviluppo,nessun progetto ecosostenibile potrà avere successo. Stiamo davvero andando in questa direzione? A vedere le contestazioni contro l’usi dei pesticidi, delle tecniche agricole e degli interessi delle Big Pharma non si direbbe.Eppure l’occasione di Napoli è ghiotta.

Su iniziativa del Future Food Institute ecco tre eventi tra Napoli e Pollica (Salerno) nei giorni del summit. Pollica, nota a livello internazionale come capitale della dieta mediterranea,città del sindaco Pescatore Angelo Vassallo ucciso per mano ancora ignota,si riappropria di antiche tradizioni alimentari, da mezzo secolo studiate nelle migliori Università.

Dal 22 luglio in partenariato con Città della Scienza si svolgeranno eventi per indagare le relazioni tra cibo e ambiente,promuovere lo sviluppo sostenibile a livello mondiale e dimostrare l’impegno della scienza per ridurre impatti sull’ambiente.Le iniziative sono parte di Food For Earth,il progetto internazionale che vede in campo anche la Fao.La leva promozionale e scientifica del Future Food Institute, in occasione dei vertici internazionali si sta rivelando di tutto interesse per imboccare una strada con minori disparità verso i Paesi in via di sviluppo. I maggiori punti di attenzione riguardano la sensibilità dei politici e dei manager della grande industria. Quanta è radicata la sensibilità di non voltarsi dall'altra parte dinanzi a movimenti epocali? Davanti a migrazioni mosse da fame,calamità naturali,sottosviluppo?

A Napoli e a Pollica ci saranno esperti a parlare di tutto questo con la voce rivolta ai giovani. "Uniamo così l’attivismo della società civile, la responsabilità imprenditoriale italiana e la politica internazionale -ha detto Sara Roversi di Future Food -per generare un impatto significativo e garantire la costruzione di un futuro corale e sostenibile.Toccare questi punti significa dare un senso al summit sciogliendo il nodo, non piccolo, del potere di chi fa le cose.

Riflettere su sistemi di coltivazione,di gestione dei prodotti della terra, sugli sprechi alimentari di milioni di euro/dollari senza considerare gli squilibri socio economici e le ingiustizie strutturali tra Paesi e continenti, richiede lucidità e sintesi politica. L'Italia che ospita il G20 negli ultimi tempi ha segnato diversi punti a proprio favore con la nuova politica agricola europea (Pac),stanziamenti pubblici aggiuntivi per l'agroagricoltura, accordi con le organizzazioni agricole. C'è bisogno anche di dialogo con le comunità e le istituzioni,per capire, almeno, se non per tanto altro ancora.Le giornate Napoli-Pollica dicono che lo faranno nella cornice della strategia Europea Farm To Fork, il vero pilastro per l'Europa per i prossimi anni. Bisogna fare gli auguri ai relatori e agli scienziati per un buon punto di partenza da Napoli per un tragitto mondiale. Una strada che non tollera più la retorica dei Paesi ricchi che aiutano quelli poveri.Tanto a danneggiare gli uni e gli altri ci pensa già il cambiamento climatico.

La lobby nucleare mondiale, rappresentata da “Nuclear for Climate”, pericolosissima per la pace e gli equilibri naturali, esiziale per la stessa sopravvivenza umana, in vista della COP 26 di Glasgow, ha lanciato una tattica subdola e astuta per rientrare in gioco e rilanciarsi : si propone, nel suo position paper (rinvenibile al link:  https://www.euronuclear.org/news/cop26-  / posizione-carta NetZero nucleare  ),  come alleata delle energie rinnovabili per il conseguimento dell'obiettivo della decarbonizzazione.                               I sottoscrittori del presente appello ritengono che la profferta unitaria indirizzata agli ambientalisti, volta a giustificare gli accordi verticistici nelle varie “cabine di regie”, vada rifiutata: né i micro reattori modulari di cui ha parlato anche l'attuale responsabile del MAET Cingolani, chiamando in causa il “dibattito europeo”, né tantomeno la fusione nucleare, che resta un miraggio, cambiano i termini della questione. Che sono, nella sostanza, ancora quelli che furono, in Italia, sottoposti al voto popolare il 12 e 13 giugno 2011, subito dopo la catastrofe di Fukushima, ricevendo un responso inequivocabile: l'unica cosa certa delle tecnologie nucleari applicate massivamente.

Ed anche per la pace, se si comprende l'indissolubilità del legame che tiene insieme il nucleare civile con quello militare, due facce della stessa medaglia. Fino alla minaccia di autodistruzione totale per incidente o per errore di calcolo, come ad esempio dimostrato dalla guerra per falso allarme evitata da Stanislav Petrov il 26 settembre 1983. Una osservazione di fondo va fatta, che porta ad ogni compromesso opportunistico: è impossibile passare ad un modello decentrato con il nucleare di mezzo perché il controllo del combustibile deve essere sottoposto a valutazioni sanitarie e addirittura militari che ne escludono un impiego a sovranità territoriale.Sulla base di questo ragionamento noi ribadiamo la necessità che in Italia sia data piena e completa attuazione alla volontà popolare per la denuclearizzazione manifestata con il voto di dieci anni fa. Per questo, in coerenza, esigiamo l'adesione dell'Italia al trattato di proibizione delle armi nucleari e la recessione dalla condivisione nucleare NATO. Alla COP26 di Glasgow ci sembra importantissimo che il disarmo (quindi la denuclearizzazione), all'origine della formazione dell'ONU e dei suoi Statuti, sia incluso tra le soluzioni per l'emergenza climatica ed ecologica.L'attività militare e le guerre distruggono esseri umani e ambiente mettere a rischio con la deterrenza nucleare la sopravvivenza di tutti;ma sono anche causa di gravissimo inquinamento permanente: quello che prodotto di CO2 – quantità ingentissime! (in varie stime, oltre il 15%) - va computato ufficializzare all'interno del percorso delle COP sul clima si persegua, con monitoraggio adeguato, la sua riduzione ed eliminazione. Con l'obiettivo di un inserimento nel testo degli accordi di Parigi sul clima, su questo punto – no nucleare, no guerre, si disarmo, si pace tra gli uomini e pace tra gli esseri umani e la natura - accettare alla mobilitazione convergente di ecologisti e pacifisti nell'occasione della preCOP di Milano (dal 29 settembre al 2 ottobre) e della COP di Glasgow(dall'1 al 12 novembre).

Alex Zanotelli, Moni Ovadia, Mario Agostinelli, Alfonso Navarra, Luigi Mosca, Antonia Sani, Ennio Cabiddu, Patrizia Sterpetti.

 

Perché bisogna dare credito al quadro sui finanziamenti alle industrie inquinanti dell'Autorità bancaria europea.

 

Non ci sono soltanto le critiche. Per le banche che continuano a finanziare l'inquinamento ora ci sono anche i numeri. E viene dallo stesso mondo della finanza che su un campione di 29 istituti europei ha accertato che il loro coefficiente di "patrimonio verde" non arriva all'8  %. E 'la prova sul campo che bisogna cambiare registro e smetterla di dare soldi a imprese che sono fuori da ogni approccio sostenibile. In Europa la discussione sul sostegno economico a gruppi industriali estranei alla lotta ai cambiamenti climatici va avanti da anni, ma gli effetti di  politiche di finanza sostenibile se ne vedono ancora pochi. Molti governi non riescono a distinguere i programmi politici dagli interessi della finanza che sulle fonti energetiche tradizionali fa affari miliardari. E 'l'Autorità bancaria europea nel primo green stress test a dirci che il  sistema ha lacune profonde. Quanto inconsapevoli non è chiaro.

L 'Autorità conferma l'urgenza di rimediare se le banche vogliono ottenere una transizione significativa e agevole a un'economia a basse emissioni di  carbonio. Più della metà dell'esposizione finanziaria verso le aziende è in ettori che potrebbero essere sensibili al rischio di transizione. Si  capisce che le indicazioni dell'Ue hanno bisogno di azioni più efficaci da parte dei governi nazionali e delle associazioni bancarie. Cosa blocca  questi interventi? Si sappia, dice l'Autorità, che il 35% delle esposizioni totali presentate dalle banche sono nei confronti di debitori dell'Ue con emissioni superiori alla mediana della distribuzione.In pratica quando attivano i canali di credito, i banchieri sanno bene che quei soldi non faranno bene all'ambiente. I rischi legati al clima sono concentrati in settori particolari che non vanno, quindi, più sostenuti.

L'Europa del Green New Deal ha un'occasione straordinaria per porre limiti, sempre che la visione di un futuro sostenibile sia nelle corde dei singoli Stati. "Nel complesso - riporta l'agenzia Ansa - i risultati del test mostrano che sarebbe necessaria una maggiore divulgazione sulle strategie di transizione e sulle emissioni di gas a effetto serra (GHG) per consentire alle banche e alle Autorità di vigilanza per valutare il rischio climatico in modo più accurato ". Ma qui si torna al punto di partenza: chi deve muoversi?

NaturalMente EDU APS è un'Associazione di Promozione Sociale nata nel settembre del 2020, con lo scopo di favorire una più attenta consapevolezza e una più profonda sensibilità nei confronti dell'ambiente, invitando anche alla partecipazione attiva a difesa di quanto resta del mondo (tanto ferocemente ferito) della natura.

L'Associazione, creata da educatori ai diritti umani, sociologi, letterati, esperti di giurisprudenza, informatica e agricoltura, si rivolge, in particolar modo, a bambini e ragazzi di ogni età, nonché alle loro famiglie e a docenti ed educatori.

A Viviana Isernia, vera “madre fondatrice” dell'associazione, abbiamo rivolto alcune domande, con lo scopo di comprenderne finalità, metodi ed obiettivi.

  • Il progetto di questa Associazione è certamente qualcosa che coltivavi già da molto tempo. Quanto le limitazioni della libertà individuali e collettive derivanti dall '”emergenza covid” hanno potuto incidere sulle tue scelte?

   L'idea di una realtà associativa dedicata al rispetto dell'ambiente è stata inizialmente frenata dall'arrivo della pandemia da Covid-19. Insieme agli altri Soci fondatori non ci siamo persi d'animo e dopo l'estate 2020 abbiamo iniziato il lungo percorso burocratico per essere operativi. In realtà l'idea progettuale iniziale era un po 'diversa da quella attuale. La nostra prima scelta era di offrire dei luoghi aperti per permettere, senza vincoli di distanza, il prosieguo della tradizionale didattica scolastica. Ci hanno fatto riflettere sul fatto che il mondo durante il primo lockdown si è fermato in tutta la sua velocità, ma ha permesso all'ambiente di rinascere e di essere osservato con occhi nuovi,ad alcune specie di animali di farsi strada in luoghi difficili e prima inaccessibili per loro, a causa dell'intensa attività degli esseri umani, e alle persone di riscoprire l'effetto benefico delle passeggiate all'aria aperta e l'apprezzamento della flora e della fauna a cui raramente si faceva caso. Abbiamo, quindi, ampliato il progetto rivolgendolo non solo alle scuole ma all'intera comunità educante con l'obiettivo di far conoscere l'importanza del rispetto dell'ambiente.

  • In che senso le vostre attività sono pensate come rivolte alla “comunità educante”?

   Si parla troppo spesso di "progetti  per  le donne", "progetti  per  i bambini", progetti  per  i migranti "ecc.

Per "comunità educante" intendiamo una rete di persone che educa e collabora per un bene comune, attraverso le sue forze, le sue diversità e caratteristiche specifiche. Il nostro motto è partecipazione e cooperazione. Le nostre attività, quindi, sono rivolte a bambine e bambini, ragazze e ragazzi di ogni grado scolastico e alle loro famiglie, ad adulti, docenti ed educatori, operatori sociali o famiglie che seguono l'educazione parentale, ma le stesse attività si articolano secondo la creatività dei partecipanti: progetti  CON  giovani e adulti. 

  • Sicuramente la vostra Associazione si prefigge numerose finalità. Quali ritieni che meriterebbero una particolare sottolineatura?

   La finalità principale è la promozione di azioni e idee che parlino il linguaggio dell'accoglienza, dell'inclusione e della salvaguardia dell'ambiente, tradotte in attività laboratoriali in cui tutte e tutti hanno un coinvolgimento attivo. In questo momento dedichiamo il maggior tempo all'infanzia e all'adolescenza che maggiormente hanno - secondo la nostra opinione - subito le conseguenze della pandemia. La nostra sede operativa è nella Regione Campania dove le scuole hanno riaperto poco prima di Pasqua 2021: è importante garantire ai giovani spazi per preservare la socializzazione, il diritto all'istruzione e al gioco.

A breve, partiremo con due progetti: il primo, "Favole in natura", per bambine e bambini dai 6 agli 11 anni; il secondo, per appassionati di fotografia.

Non mancheranno iniziative in altri territori.

  • A livello metodologico come pensate di procedere? Di quali strumenti educativi pensate soprattutto di avvalervi?

   Le metodologie educativo-didattiche di cui ci avvaliamo sono relative all'Educazione ai Diritti Umani del Consiglio d'Europa. In particolare, l'apprendimento esperienziale e l'apprendimento olistico, attraverso cui si sviluppa la persona nel suo complesso, ovvero nel suo potenziale intellettuale, emotivo, sociale, fisico, artistico, creativo e spirituale.

  • Cosa occorre, a questo punto, alla vostra Associazione, per potersi mettere pienamente in moto?

   Anche per progetti partecipativi - ahimè - servono dei fondi! Il mondo degli enti del terzo settore pone dei limiti purtroppo alle associazioni di recente istituzione, poiché la maggior parte dei bandi a cui avremmo potuto partecipare già dall'anno scorso istituivano il requisito di essere attivi da almeno 2 anni. Non ci siamo persi d'animo e abbiamo attivato un mini progetto di crowdfunding sulla piattaforma "Produzioni dal Basso". Anche in questo caso lo abbiamo elaborato come un progetto esperienziale: le persone apprendono informazioni curiose attraverso la scoperta di elementi, caratteristici del nostro "percorso-natura", che ricevono dopo la donazione.

Il progetto termina il 1 giugno e si può partecipare attraverso questo link:  https://www.produzionidalbasso.com/project/progetto-naturalmente-edu-vivi-la-natura-per-un-benessere-equo-e-sostenibile/

 

Altri modi per sostenerci sono:

* nella casella per destinare la quota del 5x1000 firmando nel riquadro che riporta la dicitura "Sostegno del volontariato e delle altre organizzazioni non lucrative di utilità sociale ..." si può indicare il nostro codice fiscale:  90043860601

   * contattarci per avviare collaborazioni in territori limitrofi al Basso Lazio / Alto Casertano

   * condividere sui canali Facebook, Instagram, Twitter il progetto "Favole in Natura"

Questi i contatti della Associazione:

Mail:  This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.

https://www.facebook.com/naturalmenteeduaps

https://www.instagram.com/naturalmenteeduaps/

https://twitter.com/NaturalMenteEDU

 
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No a una transizione energetica di facciata con soldi pubblici!

 

12 maggio 2021 - Extinction Rebellion Italia (XR) presidia l'assemblea degli azionisti di ENI per chiedere al Governo di cessare la connivenza con il cane a sei zampe, principale responsabile italiano delle emissioni di gas serra e del collasso climatico ed ecologico. Molte le manifestazioni di protesta: a Roma, per “far rumore" e pretendere dagli azionisti l'eliminazione definitiva delle fonti fossili dai piani energetici di ENI, a Ravenna per denunciare l'ipocrisia green malcelata dietro il progetto di ENI per la cattura e lo stoccaggio della CO 2 a largo della costa ravennate  Mobilitazioni anche a Milano, Napoli e in altre città italiane.Schierati, accanto a XR, cittadini e attivisti dei maggiori schieramenti ecologisti locali, nazionali e internazionali tra cui GreenPeace, Fridays for Future e Rise Up for Climate Justice.

I progetti pilota sul CCS nel mondo raccontano una tecnologia con una grossa inefficienza nella cattura, molto costosa, non consolidata, energivora e che perpetua lo sfruttamento dei pozzi e del fossile denunzia Extinction Rebellion Italia.

Un dato su tutti: un fronte delle attuali 400 milioni di tonnellate di CO 2  emesse all'anno dall'Italia, ENI prevede di stoccare 7 milioni di tonnellate di CO 2 all'anno sotto il mare di Ravenna entro il 2030 e 50 milioni di tonnellate all'anno entro il 2050, per una capacità complessiva di stoccaggio del sito fino a 300-500 milioni di tonnellate di CO 2 .

ENI stima un costo di circa due miliardi di euro per il CCS ravennate e i finanziamenti pubblici per realizzarlo. L'Ente Nazionale Idrocarburi è partecipato al 30% dalla Cassa Depositi e Prestiti (controllato dal Ministero dell'Economia e delle Finanze), di fatto è sostenuto dal settore pubblico italiano, con i soldi di tutti. Questo impone scelte collettive e condivise su come attuare una reale transizione energetica e abbandonare il vigente sistema tossico della fossile.

 
 Ravenna, manifestazione nazionale"Il futuro non si (s) tocca! - CCS

Per gli ambientalisti il ​​Governo deve rispondere al mandato costituzionale che impone di proteggere la salute della popolazione, fare scelte coraggiose e introdurre le assemblee dei cittadini, reale strumento di democrazia deliberativa su questioni che, come il CCS, riguardano il benessere e il futuro di tutti. Sulla base delle migliori evidenze scientifiche, la proposta è di far deliberare a future assemblee le strategie ei percorsi da attuare per trasformare la società in chiave di neutralità di emissioni e rispetto dei sistemi ecologici, in equità con tutti gli esseri viventi. La richiesta al Governo è di agire ora, di dire la verità, di andare oltre la politica.

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